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Imparare a sopravvivere senza LeBron James
24 mar 2021
Senza James infortunato, i Lakers devono reinventarsi praticamente da zero.
(articolo)
11 min
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Alla vigilia di questa stagione cominciata così a ridosso di quella passata ci si aspettava che i Los Angeles Lakers gestissero le energie di LeBron James e Anthony Davis, magari facendo saltare loro qualche partita qua e là per una sorta di load management che non toccasse troppo le sorti della squadra in termini di record. L’ipotesi di fare a meno di una o di entrambe le stelle però era da considerare sporadica nella sua scientificità: un back-to-back a Sacramento saltato qui, una quinta partita in sette notti da evitare, una sconfitta da mettere in preventivo pur di non caricare di troppi minuti le due superstar dalle quali dipendono interamente le possibilità di ripetersi come campioni NBA.

Quello che non si aspettavano a Los Angeles è che entrambe le stelle dovessero fare i conti con infortuni così gravi e così a rischio di ricadute, per di più dopo aver già superato la pausa per l’All-Star Game. I problemi di Anthony Davis con il polpaccio vanno avanti ormai da diverso tempo, e aver rischiato il suo rientro solo per vederlo zoppicare fuori contro i Denver Nuggets temendo la rottura del tendine d’Achille non ha fatto altro che imporre estrema cautela per la sua gestione. AD non scende in campo ormai da metà febbraio e in questo periodo di tempo i Lakers hanno indiscutibilmente sofferto, perdendo sei delle otto partite disputate prima del weekend delle stelle con il 20° differenziale su 100 possessi (-2.0) per via di un’enorme fatica a segnare (solo il 24° in NBA con 109.3) e senza avere la solita solidità difensiva, uscendo fuori dalla top-10 con 111.3 (12° nella lega). E tutto questo con LeBron James in campo per la maggior parte delle partite.

Così quando James è crollato a terra sabato scorso a seguito di un tuffo avventato da parte di Solomon Hill degli Atlanta Hawks (alzi la mano chi si ricordava che nel corso della free agency era finito in Georgia), le speranze di titolo dei gialloviola sembravano essere andate in frantumi. James, che sin dalla prima partita della stagione convive con un fastidio alla caviglia sinistra sul quale ha continuato a giocare, ha provato a camminare sulla caviglia destra ed è anche rimasto in campo per un paio di possessi, giusto il tempo di portare a 1.036 la sua striscia di partite consecutive in doppia cifra con una tripla dall’angolo, ma ha dovuto presto alzare bandiera bianca tornando negli spogliatoi e prendendo a schiaffoni qualsiasi cosa gli capitasse per mano.

https://twitter.com/BleacherReport/status/1373368929318432769

Una scena a cui noi per primi non siamo assolutamente abituati, soprattutto perché in questi 18 anni di carriera solamente una volta James ha giocato meno di 60 partite — al suo primo anno a Los Angeles, quando un suo infortunio all’inguine ha di fatto tolto i Lakers dalla corsa per i playoff già a Natale, rendendo inutile un suo rientro affrettato. Quello di James è stato un infortunio accidentale e non di usura, ed è stato definito come una “high ankle sprain”, una distorsione nella parte alta della caviglia che normalmente richiede un periodo di assenza di almeno dieci partite in anni normali, che diventano 12 se si considera un calendario fitto come quello di questa stagione accorciata. Se tutto va bene, James dovrebbe saltare circa un mese di partite tornando in campo verso metà aprile per riprendere il ritmo in vista dei playoff che cominciano il 22 maggio. La vera domanda è: in che condizioni saranno i Lakers quando James e possibilmente Davis saranno pronti a scendere in campo?

L’inevitabile dipendenza da LeBron

Sin dalla notte dei tempi, ogni squadra che conta su LeBron James fa fatica quando il Re non è in campo. All’interno dei Cleveland Cavaliers, in un interessante aneddoto raccontato da Zach Lowe di ESPN, ci si chiedeva incessantemente quale potesse essere l’anima della squadra nei minuti in cui LeBron doveva andare a sedersi: quale sistema potevano implementare, quali giocatori potevano mettere assieme un quintetto sostenibile, quanti minuti di riposo potevano far guadagnare a James per ridurre il carico sulle sue spalle.

Guardando i numeri, praticamente nessuno ci è riuscito. Stando ai dati di Cleaning The Glass, il differenziale medio con James in campo nel corso della sua carriera è di +11.5 rispetto a quando non c’è, e solo sei volte è stato inferiore ai 10 punti su 100 possessi. E se in cinque stagioni le sue squadre sono riuscite a cavarsela difendendo meglio senza di lui in campo, non è mai successo che un attacco riuscisse anche solo a rimanere in linea di galleggiamento senza di lui. Anzi sì, una squadra ci è andata vicina: i Lakers dell’anno scorso erano solo 1.4 punti su 100 possessi peggio in attacco rispetto a quando c’era lui, arrivando quasi al pareggio del bilancio grazie alla presenza di Anthony Davis. Il problema è che Davis quest’anno non c’è e per i Lakers sono guai seri.

In questa stagione i Lakers sono -5 su 100 possessi senza James in campo (l’equivalente su base stagionale dei Detroit Pistons) e -4.5 senza nessuna delle due stelle in 762 possessi. E se in difesa sono riusciti in qualche modo a mantenere un rendimento più che discreto (109 punti concessi su 100 possessi, l’equivalente della quinta miglior difesa), in attacco sono andati peggio del peggior attacco di tutta la NBA, quello dei Cleveland Cavaliers con 105.8 punti segnati. I Lakers senza le due stelle tirano sotto il 50% effettivo dal campo (neanche gli Orlando Magic tirano così male, e sono ultimi) e perdono più palloni di quelli che riescono a recuperare in difesa, riuscendo giusto ad andare a rimbalzo offensivo e in lunetta sopra la media della NBA.

I problemi dei gialloviola nel creare qualsiasi cosa sono stati evidenti all’inizio del secondo tempo della partita contro gli Atlanta Hawks, senza mai riuscire a battere nessuno dal palleggio, muovendo poco la palla e venendo del tutto battezzati sul perimetro. Già normalmente con Davis e James in campo le difese avversarie tendono a staccarsi dai tiratori e cercare di farsi battere da loro piuttosto che dalle superstar, ma ora una tripla aperta concessa a Markieff Morris o a Kyle Kuzma è quasi il miglior tiro che i Lakers possono sperare di costruire. Ed è un tiro che le difese avversarie lasciano con tutta la tranquillità del mondo.

Siamo a questo livello di disperazione.

Quando i Lakers in estate hanno salutato buona parte del supporting cast del titolo nella bolla per aggiungere Dennis Schröder, Montrezl Harrell e Marc Gasol, l’opinione comune è il loro arrivo avrebbe migliorato l’attacco della squadra dando maggiori soluzioni offensive rispetto agli isolamenti delle superstar che avevano contrassegnato il primo anno dell’era James-Davis. Fino a questo momento però il playmaker tedesco è stato quasi più utile in difesa che in attacco: il rating offensivo dei quintetti da lui guidati senza LeBron e AD è di 107.8, nel 24° percentile della NBA, e solo quando viene accoppiato con Harrell i loro numeri salgono (anche qui soprattutto per merito di una difesa granitica da 103.6 punti concessi su 100 possessi piuttosto che per il rendimento offensivo).

Nonostante le idee in sede di mercato di aggiungere qualcuno che potesse farsi carico di un po’ di responsabilità offensive, i Lakers sono rimasti una squadra dall’anima difensiva e piuttosto stagnante in attacco, senza riuscire a creare nulla che andasse oltre la grandezza delle due superstar. Che è una formula a prova di bomba per giocarsi il titolo, visto che comunque a pieno regime i gialloviola rimangono i favoriti quantomeno per uscire vincenti a Ovest, ma che potrebbero pagare enormemente in questa congiuntura astrale che li vede costretti a fare a meno sia di Davis che di LeBron per diverse settimane consecutive in una conference agguerrita.

Coach Vogel cercherà di sfruttare questo periodo di tempo per creare quel tipo di esperienza condivisa che può tornare utile nei playoff, affidandosi soprattutto a Schröder, Kuzma e Harrell (cioè gli unici giocatori ragionevolmente con 20 punti nelle mani, seppur difficilmente efficienti) per tenere in piedi un attacco in grossa difficoltà nelle prime uscite senza il Re, coincise con tre sconfitte in fila. Il problema strutturale dei Lakers è che è un roster offensivamente costruito su giocatori abituati a chiudere le azioni (con un tiro o una penetrazione) piuttosto che a costruirla, di “play finishers” piuttosto che di “play makers”. Oppure, per usare le parole di Kuzma questa notte: «Questa squadra è stata costruita per giocare attorno a LeBron James e Anthony Davis». Perché un conto è allenare una squadra per fare a meno di James per 20 possessi a partita - anche abbassando i ritmi e “puntando allo 0-0” per contenere i danni, tattica sempre più utilizzata dalle squadre così dipendenti dalle loro superstar -, e un altro è cercare di riempire 48 minuti senza la sua presenza.

Lo stesso Schröder, teoricamente il giocatore più “autosufficiente” del roster, ha giocato la sua miglior stagione, quella passata, quando aveva al suo fianco sempre almeno un’altra guardia con cui condividere le responsabilità come Chris Paul o Shai Gilgeous-Alexander, mentre in carriera è andato in difficoltà quando doveva creare in prima persona - e non a caso spesso usciva dalla panchina per ridurre i minuti in cui tutto il carico era sulle sue spalle e i suoi inevitabili errori venivano minimizzati su un numero ridotto di possessi.

Ci sarà anche ampio spazio per vedere davvero se Talen Horton-Tucker è qualcosa di più oltre a una palla di cannone che prova a segnare in rovesciata ogni volta che si avvicina al ferro, anche perché i Lakers dovranno prendere una decisione spinosa in estate visto che sarà restricted free agent (ed è assistito da Rich Paul, oltre a essere pupillo di James). A lui sarà messo il pallone nelle mani nei quintetti della second unit, in attesa che il ritorno in forma di Marc Gasol — alle prese con il COVID-19 nelle ultime settimane e solo recentemente negativizzatosi — o il mercato dei buyout porti in dote un’iniezione di talento e playmaking più che mai necessaria.

https://twitter.com/MONSTATREZZ/status/1374129154929651718

La emoji con gli occhi sbarrati di Montrezl Harrell ha fatto nascere l’idea che potesse essere sacrificato sul mercato per un aiuto immediato, ma al momento nulla si è concretizzato.

Il tempo perso nella rincorsa alla storia

L’infortunio di James ha anche degli effetti sulla sua rincorsa ai primi posti nella storia della NBA. Non c’è partita che passi senza che LeBron non superi qualche record di longevità o aggiunga milestones su milestones alla sua carriera leggendaria (fun fact: Chris Paul ha appena superato i 10.000 assist in carriera; sapevate che James è appena lì dietro a poco più di 300 di distanza?). Perdere un mese o più di partite inevitabilmente rallenterà la sua corsa ai primi due posti della classifica marcatori detenuti da Karl Malone (che avrebbe potuto superare al termine della prossima stagione) e Kareem Abdul-Jabbar (che dovrebbe superare se continuerà a giocare dopo la scadenza di questo contratto prevista per il 2023, come appare probabile).

Ma soprattutto avrà un effetto sulla sua candidatura al quinto premio di MVP in carriera, lo stesso numero di Michael Jordan, per il quale aveva cominciato a fare la sua campagna pubblicitaria quando ancora si trovava nella bolla. Ricordate quel «Non sto dicendo che chi ha vinto non ha meritato, ma se devo essere sincero sono molto arrabbiato» parlando dell’MVP ad Antetokounmpo? Oppure il passivo-aggressivo «And I want my damn respect too» dopo aver vinto il titolo? Gli infortuni che hanno fermato Joel Embiid e i dubbi che ci sono attorno a buona parte degli altri candidati che stanno risalendo da dietro, da James Harden a Giannis Antetokounmpo fino a Luka Doncic, rendono comunque aperta la corsa all’MVP, anche se Nikola Jokic prendendosi uno dei primi tre posti a Ovest potrebbe avere la candidatura più forte di tutte.

Soprattutto questo infortunio potrebbe essere contemporaneamente la migliore e la peggiore cosa possibile per il fisico di James. Da una parte gli permette di ricaricare le batterie in vista della volata per i playoff, come si è augurato anche coach Vogel; dall’altra rappresenta un ostacolo nel certosino lavoro di condizione fisica che LeBron fa sul suo corpo per arrivare al massimo ai playoff, facendogli perdere tempo prezioso e, se i Lakers dovessero andare particolarmente male nelle prossime settimane, costringendolo a un rientro a minutaggi sostenuti per sistemare il record.

I gialloviola dovrebbero comunque avere abbastanza margine per evitare di cadere nel torneo play-in che coinvolge le squadre dalla settima in giù, ma potrebbero benissimo anche chiudere la regular season al sesto posto - ritrovandosi subito avversarie come Denver o i Clippers al primo e al secondo turno. E se è vero che anche il resto della Western Conference deve guardare con apprensione a un primo turno contro i campioni in carica, la strada verso il repeat si è fatta decisamente più accidentata per i Lakers. Tutto per una sfortunata distorsione alla caviglia in un mezzogiorno di sabato a marzo, giusto per ricordarci quanto sia volatile la pallacanestro NBA.

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