
Dopo tre anni dall’ultima visita passo le vacanze a Barcellona. Attirato dalla possibilità di poter assaporare l’aria che si respira all’inizio di una nuova stagione decido di acquistare il biglietto per il trofeo Gamper: la partita di presentazione del Barcellona 2014/15. Propongo agli amici con cui sono in vacanza di vivere l’esperienza dello stadio più grande d’Europa. La risposta è negativa, meglio la paella al Barrio Gotico. Mi tocca andare da solo, non è la prima volta in una città straniera che vado allo stadio da solo e la cosa comunque non mi dispiace.
Seguendo il calco spagnolo ormai da più di quindici anni so bene quanto poco ci si possa fidare dei giornali sportivi locali, fatti di superlativi assoluti, tentativi di influenzare l’opinione pubblica e rivincite personali del giornalista di turno; la partita quindi diventa la prima occasione utile per sapere cosa ne pensano veramente i tifosi dei nuovi acquisti. I giorni precedenti alla partita Barcellona è piena di uomini dai dieci ai cinquant'anni in maglie da calcio di varie squadre, i bambini sono tutti marchiati Messi o Neymar Jr e gli adulti vanno dall’Aberdeen al West Ham.
Andando allo stadio la mia maglia vintage del Barça si mescola a quelle taglia XL dei tifosi americani e a quelle arancione acceso dei tanti bambini-Messi. Il premio per il tifoso nostalgia va a un ventenne con la maglia di Gudjhonsen, siamo fermi al semaforo insieme e gli vado a stringere la mano.
Nella metro rubo stralci di conversazioni dei tifosi: “Ti dico io che Bravo non è un buon acquisto, sicuro non regge la pressione” dicono tra loro due uomini sui 40. Non me la sento di difendere l’ottimo portiere cileno. Rimango però infastidito da due ragazzi con la maglia dell’Argentina quando sento: “Iniesta ha perso la scintilla, per me non giocherà tanto quest’anno”. Forse il timore che sia vero è la cosa che mi infastidisce di più. Una volta imboccato il viale per lo stadio vedo un ragazzino di massimo otto anni con la maglia di Iniesta e tutto torna apposto.

“Nuova stagione, nuovi sogni!” dice la locandina della partita
E pensare che quella appena passata è la stagione più difficile della storia recente del Barcellona. Tutto inizia con una data precisa: è il 19/7/2013 e Barcellona è sotto shock per la improvvisa notizia del forzato addio dell’allenatore Tito Vilanova, a causa del ritorno della malattia che lo aveva già costretto ad allontanarsi nella stagione precedente. La dirigenza del club si trova davanti ad una scelta difficile, quella di trovare un allenatore con “profilo Barça” a poche settimane dall'inizio della stagione. Scartata l’ipotesi di prendere un allenatore della casa come era successo già con Guardiola e con lo stesso Vilanova, dopo solo tre giorni il presidente Rosell stringe la mano ad uno degli allenatori più quotati del continente Americano: Gerardo “Tata” Martino.
Di Rosario come Messi, Martino è famoso per aver messo in serie difficoltà la Spagna poi campione del Mondo 2010 con il piccolo Paraguay e per le belle prestazioni con la squadra argentina del Newell’s Old Boys (proprio quella dei primi calci al pallone da parte di Lio). Da buon allievo di Marcelo Bielsa predilige un calcio offensivo basato sul recupero alto del pallone e dal ritmo veloce, senza però mostrare la rigidità ideologica del maestro. Il profilo sembra essere perfetto per un Barcelona reduce dalla vittoria nella Liga, ma anche dall’umiliazione subita in semifinale di Champions ad opera del Bayern di Heynckes (0-7 come risultato finale dopo le due partite in cui neanche per un istante la squadra è sembrata in grado di stare dietro ai bavaresi). Invece il Barcellona 2013/14 fallisce tutti gli obbiettivi stagionali (meno la Supercoppa di Spagna vinta per differenza reti dopo due pareggi contro l’Atletico Madrid) e lo fa in modo triste, come l’ultimo Barcellona di Rijkaard (2007/08), con giocatori increduli davanti alla loro stessa impotenza nel ripetere giocate mandate a memoria negli anni di successi.
A tutto questo si aggiungono due scandali: il primo costa il posto al presidente stesso a fronte di strane clausole e soldi in nero per il pagamento al Santos di Neymar (una bellissima prevede il pagamento di un’opzione di acquisto per un anno di tre talenti delle giovanili del Santos, alla modica cifra di 8 milioni) e il secondo causato dai trasferimenti irregolari per le giovanili che provoca il blocco del mercato per un anno da parte della FIFA (poi sospeso per permettere il ricorso del Barcellona). Utilizzando le parole di uno dei leader dello spogliatoio Javier Mascherano: “Nel momento in cui si cercano dei colpevoli è più facile indicare una persona che venti”. E a pagare per tutti è infatti Martino.
Il flop nella gestione tecnica da parte di Martino è comunque chiaro: la squadra in mano ai senatori e il tecnico argentino incapace di influenzare il gioco e di motivare adeguatamente i giocatori. Il Barcellona '13/'14 giocava con gli stessi dettami lasciati da Vilanova: Messi al centro del progetto, esterni alti molto larghi per lasciare spazio al 10, terzini che che partecipavano alla manovra, difesa alta (qui Martino ha provato ad abbassare la linea ma andando avanti con la stagione si è tornato sempre più alle praterie dietro il solo Mascherano), ritmo lento e assenza di pressing. Era il Barcellona di Messi che non correva più e voleva la palla sempre più indietro, di Iniesta che sembrava interessato a giocare solo quando aveva la palla tra i piedi, del peggior Dani Alves visto al Camp Nou e di un Piqué che dimostrava dieci anni in più. Le uniche note positive del passaggio di Martino a Barcellona sono Neymar, scopertosi giocatore in grado di seguire diligentemente le richieste dell’allenatore, e i tanti minuti in campo per Bartra (certo per necessità visti i continui infortuni di Puyol) il centrale più promettente tra quelli usciti recentemente dalla Masia. Stop. Il resto della stagione si può riassumere con la foto di Martino che si aggira sconfortato a bordo campo nell’assistere all’ennesimo pareggio, questa volta contro l’Elche alla penultima giornata, che consegna il match point per il titolo all’Atletico Madrid (poi non sfruttato).

Una stagione in una foto.
Con l’idea di far tornare entusiasmo ad una tifoseria depressa la dirigenza decide di richiamare a casa Luis Enrique. Dopo la negativa esperienza con la Roma (tante attenuanti, ma anche tanti errori) “Lucho” è stato autore di una positiva stagione con il Celta Vigo, chiusa con un ottimo nono posto dopo i tanti problemi iniziali e con un gioco proposto estremamente offensivo ed energico che ricorda tanto il Luis Enrique giocatore. La scelta di tornare ad una icona della casa non è casuale, è data dalla necessità di riavvicinare i tifosi con un allenatore familiare e che oltretutto da ex allenatore del Barcellona B potrà dare fiducia nei giovani della Masia (ignorati da un Martino troppo preoccupato a vincere partite a breve termine che a dare spago al progetto a lungo).
Sapendo che il ricorso per la sospensione del mercato sarebbe caduto nel vuoto (facendo tornare lo stop al mercato per la stagione 2015/16) la dirigenza ha affidato al Direttore Sportivo Zubizarreta il budget di due anni da poter impiegare completamente in un’estate. Con un budget enorme Zubizarreta è intervenuto in ogni zona del campo, cercando di venire incontro alle richieste di Luis Enrique di avere almeno due giocatori per ruolo. Quindi: due portieri in grado di giocare bene con i piedi (già noto da tempo l’addio di Victor Valdes e Pinto) e due centrali mancini a sinistra e due destri a destra. Il budget viene alimentato anche dalle richieste dall’Inghilterra per Cesc e Alexis. La partenza di Alexis si spiega con la prospettiva di incassare 40 milioni (42,5 per la precisione al cambio con la sterlina) per un giocatore chiaramente non adatto allo stile di gioco del club. Invece per quanto riguarda Cesc si tratta anche, se non sopratutto, della voglia della società di partire da zero, ritenendo incapace il talento catalano di uscire dalla spirale di insicurezza in cui sembrava piombato. Il Barcellona ha bisogno di certezze e non si aspetta nessuno, neanche il figliol prodigo ritornato a casa (anche se va detto che le prestazioni altalenanti di Cesc erano in parte dovute dalla posizione precaria in campo, schiacciato tra i movimenti a prendere la palla di Messi e l'abitudine di Dani Alves ad accentrarsi per partecipare alla manovra).
Con l’ombra dell’imminente addio di Xavi nel ruolo di centrocampista viene acquistato dal Siviglia Ivan Rakitic, stella della squadra e autore di un’annata in crescendo grazie all’intuizione dell’allenatore Unai Emery di avanzare la sua posizione in campo per poterne sfruttare il tiro e la capacità nell’assist. Il prezzo è di 20 milioni più la cessione in prestito per due anni del talento della seconda squadra (il Barcellona B) Denís Suárez. Sembra strano pensare che il nuovo erede di Xavi sia un giocatore che per esplodere nella Liga ha avuto bisogno di essere spostato venti metri più avanti rispetto al ruolo del regista catalano, per di più un giocatore prettamente verticale, ma a Luis Enrique il giocatore piace tantissimo per l’energia che trasmette e l’attenzione tattica che dimostra nonostante il DNA non sia del classico regista cresciuto nella Masia, e alla dirigenza non sembra vero poter accontentare il nuovo allenatore a prezzo contenuto.
In compenso ci sono voluti 81,25 milioni di euro per poter disporre del miglior attaccante della Premier League. Neanche dopo il folle morso in mondovisione e la conseguente squalifica Zubizarreta è riuscito a strappare un grande sconto per avere Luis Suárez. Al netto dei momenti di follia, della totale assenza di sportività (per quella c’era comunque già Busquets) e degli insulti razzisti, arriva in Catalogna uno dei migliori attaccanti d’Europa e Luis Enrique si ritrova con un tridente di lusso che deve solo far funzionare a dovere.
Allo stadio mi aspetto opinioni contrastanti rispetto all’acquisto di Luis Suárez, invece sono tutti entusiasti e quando entra in campo a metà secondo tempo per la prima partita al Camp Nou parte un’ovazione dagli spalti. La fame (perdonate la battuta) e la determinazione del giocatore vengono considerate due qualità imprescindibili per rilanciare il Barcellona. C’è pure un ragazzo che mi dice che in realtà Suárez è stato incastrato…incastrato da chi e come esattamente non lo specifica.
Ecco l’esordio al Camp Nou per il nuovo numero 9. Prossimo appuntamento direttamente il Real Madrid a squalifica ultimata.
Per assecondare le richieste del tecnico in fatto di difesa Zubizarreta non bada a spese e mette sul piatto 24 milioni complessivi per la coppia di portieri Ter Stegen e Claudio Bravo rispettivamente dal Borussia Mönchengladbach e dalla Real Sociedad. Entrambi portieri di primissimo livello sono un cambio di rotta rispetto all’idea di avere un titolare fisso ed un portiere di secondo piano.
Per i centrali la cosa è un po’ più complicata: posto il ritiro dell’eterno capitano Puyol, il centrale più in forma e in fase ascendente della carriera è Bartra, ma è destro, come il titolare Piqué e il centrale adattato Mascherano a cui però, insieme con un contratto che arriva fino al 2019, sono stati promessi più minuti nel ruolo naturale di centrocampista davanti alla difesa. Come detto Luis Enrique predilige centrali mancini a sinistra, quindi dovevano essere acquistati due centrali mancini (merce rara sul mercato) ed entrambi possibili titolari (merce rarissima). L’unico nome chiesto espressamente dal tecnico è quello del francese del Valencia Jérémy Mathieu. Il Valencia è irremovibile sul prezzo: 20 milioni; e forse è bene ricordare che Mathieu nasce un terzino, reinventato con successo come centrale negli ultimi tempi, e che ha già superato i trent’anni. Dopo settimane di trattative in cui il Valencia si mantiene sulla richiesta iniziale Zubizarreta cede. Dopo altre settimane passate a fare offerte ad un po’ tutti i centrali mancini dei “top club” d’Europa arriva anche il quarto difensore: il belga Thomas Vermaelen, ex capitano non titolare dell’Arsenal. Altro centrale in grado di giocare la palla viene da diverse stagioni piene di infortuni che ne hanno minato fiducia e posto in squadra. Così il Barcellona ha quattro centrali di ruolo in rosa. Come cambiano i tempi.
Ad ogni tocco di Mathieu parte una risatina dai seggiolini dietro di me. “Il vecchio è costato un patrimonio speriamo abbia le gambe veloci come Mascherano altrimenti finisce male”, dicono in un perfetto spagnolo con accento madrileno due ragazzi che dalla Romania si sono trasferiti a Madrid per lavoro da una dozzina di anni, ma tifano Barcellona al 100%. Concordiamo che la nuova difesa anche se non perfetta è decisamente un passo avanti enorme rispetto allo scorso anno. “Ah, e Bartra deve essere titolare”, aggiunge uno dei due.
A completare la lista degli arrivi ci sono i ritorni dal prestito di Rafinha, fratello del rimpianto Thiago Alcantara, titolarissimo proprio nel Celta Vigo di “Lucho”, capace di giocare sia tra i tre davanti che a centrocampo; e Deulofeu che però Lucho ha giudicato non pronto mentalmente, per lo scarso impegno mostrato in estate, decidendo di rimandarlo subito in prestito a Siviglia. Peccato.
L’erede di Dani Alves (che lascerà la prossima estate a contratto scaduto) Douglas, anche lui brasiliano, preso dal San Paolo con una mossa che ha colto anche i più attenti osservatori impreparati e il talento diciottenne croata Halilovic, giocatore che ha impressionato nelle amichevoli estive mostrando un repertorio importante e che giocherà per un anno nella seconda squadra. Dove troverà altri due giocatori dal futuro roseo: il regista per cui non si può non avere un debole Sergi Samper (che visto dal vivo sembra sempre in controllo di ciò che avviene intorno a lui, un vero numero 4 come non si vedeva dai tempi del Guardiola giocatore) e l’ala con il turbo Adama Traoré.
Inoltre Vengono aggregati in prima squadra per l’inizio di stagione (e in attesa della fine della squalifica di Luis Suárez) gli attaccanti del Barça B Munir El Haddadi (origini marocchine ma nato e cresciuto nella regione di Madrid e famoso per aver segnato questo gol lo scorso anno) e Sandro (attaccante Canario non proprio tecnicissimo, ma estremamente freddo sotto porta) che incredibilmente segnano entrambi nei rispettivi debutti nelle prime due giornate e che già si sono presi le prime pagine dei quotidiani catalani.
“El chico es bueno” il ragazzo è bravo. I due ragazzi romeni ci mettono poco a descrivere Munir.
Con la rosa rinnovata, accontentato in tutte le sue richieste (tra cui anche il ritorno alle amichevoli del giovedì con il Barça B e l’assenza di tour in giro per il mondo, cose negate al precedente allenatore) Luis Enrique si pone come primo obbiettivo quello di far tornare l’aggressività e il recupero alto del pallone come nella prima stagione di Guardiola. L’estate viene passata ponendo moltissima enfasi nella preparazione atletica per poter garantire il ritorno al pressing. Molte cose potrebbero cambiare ma quanto visto in campo al Gamper è un tentativo di adattare la squadra all’evoluzione di Messi, facendolo convivere con un attaccante come Suárez e con Neymar, che non può giocare troppo largo nel suo secondo anno in Catalogna. Il tutto con movimenti degli altri giocatori in campo ripetuti con un basso grado di libertà.
Il modulo si scrive 4-3-3 ma si legge 4-1-2-1-2 in quanto davanti a Busquets viene a crearsi un quadrato formato dai due interni (Iniesta e Rakitic) e dai due attaccanti (che saranno Neymar e Suárez) con in mezzo un Leo Messi con ampio margine di manovra. Non sono quindi più presenti gli esterni larghi per fare spazio a Messi, l’ampiezza ora viene data da Jordi Alba a sinistra e Dani Alves a destra, i due attaccanti giocano più vicini tra loro stando attenti a non allargarsi troppo e senza prendersi troppe libertà anche nei movimenti senza palla. Dopo la scorsa stagione era chiaro che Messi necessitasse di un punto di riferimento davanti per poter sfruttare la sua nuova indole e Luis Enrique in queste prime partite ha deciso di mettergliene addirittura due. Sempre in fase embrionale c’è la scelta di far uscire il pallone dalla difesa con l’abbassamento di Busquets a formare una linea a tre con i centrali e con gli interni di centrocampo che spesso si allargano: Rakitic può finire a giocare anche ad una decina di metri dalla linea laterale e in generale non si disdegna il cambio di gioco, segnalato da applausi quando a buon fine.
La partita è un massacro, ma poco conta il punteggio (per la cronaca 6-0) quello che volevo vedere non erano gol, ma il linguaggio del corpo dei tifosi e le idee di Luis Enrique messe in pratica in campo. Posso quindi tornare dai miei amici amanti della paella al Barrio Gotico consapevole di aver risposto a tutte le mie domande sull’estate del Barcellona. La stagione inizia solo ora e sarà molto lunga a Barcellona.
CONCLUSIONI
“Lucho” non è Guardiola, ma come l’ex compagno di squadra è riuscito in poco tempo a riportare entusiasmo ad una piazza depressa dopo una stagione amara. Il rigore tattico richiesto e il ritorno ad un recupero veloce del pallone sembrano per ora essere stati accettati positivamente dalla rosa, chiaramente ansiosa di riscatto. Si può dire che Luis Enrique sia andato a pescare dalle origini del ciclo vincente dei blaugrana riscoprendo vecchi dettami sepolti dopo i primi successi, riuscendo così a dare sicurezze ai senatori. Sta costruendo un sistema consapevole e dal rientro di Suárez nel Clásico con il Real Madrid non saranno più permessi esperimenti, si dovrà vedere il vero Barça 2014/15. L'estate sta finendo.