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Emanuele Atturo

Lewis Ferguson è il segreto meglio nascosto del Bologna

Lo scozzese è uno dei giocatori più importanti per Thiago Motta.

Questo articolo è uscito originariamente in inglese su Hudl, il blog di Wyscout. Potete leggerlo qui.

 

Quando Lewis Ferguson è arrivato in Serie A, nemmeno un anno e mezzo fa, quasi non ce ne accorgevamo. Non sono tanti i giocatori di 23 anni che arrivati dalla Scozia, da una squadra che non siano né il Celtic né i Rangers, possono imporsi tra i migliori del campionato italiano. Ferguson ha giocato quattro stagioni all’Aberdeen e non era nemmeno tra i titolari fissi della Nazionale scozzese. Eppure ci ha messo poche settimane ad ambientarsi nel nostro Paese e a risultare tra i centrocampisti più interessanti, completi ed efficaci del campionato italiano.

 

Decisivo è stato, come per tutto il Bologna, l’arrivo in panchina dell’allenatore Thiago Motta, che ha rivoluzionato tatticamente una squadra in quel momento in regressione, tattica e motivazionale. Dopo alcune difficoltà iniziali, il Bologna ha giocato un campionato in crescita, confermato con un inizio di stagione in cui la squadra ha battuto il record di risultati utili consecutivi (10). Di questa striscia di successi Lewis Ferguson è stato un protagonista indiscusso: forse nessun giocatore del Bologna incarna in modo tanto perfetto le caratteristiche della squadra: il dinamismo, l’intensità fisica, l’intelligenza.

 

Ferguson è un giocatore particolare: più offensivo di una mezzala, più difensivo di un attaccante. Ferguson fa troppe cose per rientrare troppo chiaramente in una definizione. La sua tecnica non ruba l’occhio, non ha nulla di appariscente, ma è sempre votata all’efficacia – e sta bene nello spirito di una squadra che vuole comandare il gioco, ma che è molto versatile e pragmatica.

 

Quando parliamo di Ferguson, insomma, parliamo di flessibilità; di un giocatore intelligente, che sa leggere e interpretare le situazioni di gioco che ha di fronte. Un giocatore la cui utilità non è immediatamente percepibile, se non si comincia a far caso alla quantità di funzioni che svolge in campo. Sa difendere e attaccare, concludere e rifinire; chiama la carica sul primo pressing della squadra, ed è il primo a ricucire il campo all’indietro, a coprire i buchi che si possono aprire. Allenando l’occhio, si comincia a provare una strana sensazione, e cioè che Lewis Ferguson sia ovunque. Un attimo prima a chiudere in rimessa laterale su Augello (il terzino avversario), e un attimo dopo è già in area di rigore per concludere l’azione. L’agonismo che esprime in campo, la ferocia con cui divora il prato, ha molto dell’attitudine del calcio anglosassone da cui proviene.

 

Se guardiamo la sua heat map ci accorgiamo di come Ferguson finisca per calpestare spesso zone laterali. Parte dal centro ma poi si allarga a sinistra o a destra per associarsi con i compagni, per poi ritornare al centro negli ultimi 25 metri di campo. Secondo le statistiche fisiche della Serie A, è uno dei giocatori che percorre più chilometri.

 

 

 

Questa attitudine da maratoneta però non è funzionale solo a un gioco fisico ma anche cerebrale. Il Bologna col pallone è una squadra molto fluida, che punta sullo scambio di posizioni tra i giocatori, e il dinamismo di Ferguson è essenziale anche per muovere lo schieramento rossoblù e disordinare le difese avversarie. Secondo Motta «segna ed entra bene in area. È molto disciplinato sul piano difensivo. Tiene sempre la testa alta per leggere i movimenti dei compagni e adattarsi a loro. È esemplare».

 

Quest’anno ha segnato già tre gol, contro Juventus Frosinone e Lazio, lo scorso anno ha chiuso la stagione con 9, in media per ripetersi. È vicino a superare il connazionale Denis Law, e a diventare quindi lo scozzese più prolifico della storia del campionato italiano. Il gol alla Lazio racconta la qualità forse più appariscente di Lewis Ferguson, e cioè la capacità di smarcarsi in area di rigore, costruendosi spesso tiri pericolosi. È il secondo giocatore del Bologna con più xG accumulati per novanta minuti, dopo Orsolini ma più del centravanti Joshua Zirkzee.

 

L’associazione tra Ferguson e Zirkzee è uno dei meccanismi offensivi più interessanti della squadra di Thiago Motta. I due hanno caratteristiche esattamente complementari. Zirkzee è alto e slanciato, ma ama giocare palla a terra. Vuole sempre la palla sui piedi per poi associarsi con i compagni in spazi stretti. Zirkzee quindi viene incontro e libera lo spazio in area su cui può inserirsi, come abbiamo visto nel gol alla Lazio. Ferguson ha uno stile più verticale, e tende a riempire naturalmente gli spazi aperti da Zirkzee per arrivare a concludere in area di rigore – assecondando uno stile classico da box-to-box britannico. Come possiamo vedere dalla mappa che traccia i suoi ingressi in area, Ferguson arriva sia da destra che da sinistra.

 

 

La sua mappa di tiri è abbastanza impressionante per un centrocampista, soprattutto se facciamo caso alla quantità di conclusioni che prova dentro l’area di rigore. Lo scorso anno la maggior parte dei suoi gol sono arrivati grazie al tempismo dei suoi inserimenti-ombra in area di rigore. Se prendiamo solo il periodo di Thiago Motta al Bologna, Ferguson è il centrocampista che ha segnato più reti in Serie A.

 

 

 

Quest’anno non ha ancora ritrovato l’efficacia della passata stagione sotto porta, ma ha compensato con i tanti modi con cui sa rendersi utile per la squadra. È tra i migliori centrocampisti per conduzioni con la palla; il secondo del Bologna per quantità di palloni toccati ogni 90 minuti; ed è tra i migliori pressatori del campionato. Per una squadra che vuole riconquistare la palla in alto come il Bologna, la disciplina e la costanza del pressing di Ferguson è un’arma importante, offensiva e difensiva. Secondo le statistiche di Wyscout, recupera quasi 5 palloni ogni 90 minuti; è il 23esimo giocatore che recupera più palloni in riaggressione, ma se parametriamo anche il numero di minuti giocati il suo contributo spicca in modo più chiaro. Ferguson rappresenta bene l’impatto fisico e di intensità che il Bologna mette in campo ogni domenica, e che spesso è sopra gli standard medi del campionato italiano.

 

Ferguson ha raccontato a James Horncastle, su The Athletic, il momento in cui ha saputo dell’interessamento del Bologna. Era in Nazionale e ha battuto la mano sulla spalla di Aaron Hickey, ex giocatore rossoblù: «Mi ha detto che la città è bella ed è un gran posto in cui vivere. Mi ha tranquillizzato sull’idea di andarmene da casa, sai di essere in buone mani, a giocare per un buon club fatto da persone per bene». In quel momento c’era anche l’interesse del Lecce di Pantaleo Corvino. Ora dice di essersi integrato bene a Bologna, di amare i tortellini con la panna.

 

A Thiago Motta piace che Ferguson rimanga l’ingrediente segreto della sua squadra, così nessuno può arrivare a rubarglielo nella prossima sessione di calciomercato. Le sue caratteristiche sono quelle di un centrocampista forse senza grandi picchi d’eccellenza, ma capace di esprimere un livello alto in tutto. Il tipo di giocatore da usare come un coltellino svizzero, buono per tutte le partite e per tutte le situazioni, e che gli allenatori non possono che amare. L’agonismo con cui affronta le partite rischia di far passare in secondo piano la sua grande intelligenza tattica, e la raffinatezza di certe sue letture, soprattutto senza il pallone, ma lui non sembra curarsene. Nella intervista a The Athletic ha distillato una filosofia perfettamente scozzese: «Se non corri, non vinci».

 

 

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Emanuele Atturo è nato a Roma (1988). Laureato in Semiotica, è caporedattore de l'Ultimo Uomo. Ha scritto "Roger Federer è esistito davvero" (66thand2nd, 2021) e "Visionari, la percezione alterata degli sportivi" (Einaudi, 2024).