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L'identità del nuovo Atletico
10 feb 2016
Come gioca e quanto è forte la nuova versione della squadra di Simeone.
(articolo)
18 min
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L’arrivo di Diego Simeone sulla panchina dell’Atlético, ormai quattro anni e mezzo fa, ha cambiato la storia recente della seconda squadra di Madrid. I “Colchoneros” sono usciti dal limbo che appartiene alle squadre di seconda fascia, quelle per le quali la massima aspirazione può essere una buona Europa League, arrivando persino a sfiorare una clamorosa vittoria in Champions.

Simeone ha cambiato soprattutto la mentalità del club, facendo tornare l’orgoglio a una tifoseria storicamente schiacciata dalle luci del Bernabeu e legata a una storia fatta più di rimpianti che di gioie. Un’identità più simile a quella di realtà periferiche che non a quelle che si siedono al tavolo con le grandi. Un’identità sofferente, creata proprio di riflesso alla squadra che non conosce sofferenza.

Simeone ha aggiunto a questa dimensione simbolica una tattica corrispondente. Innanzitutto rifiutando il dogma del possesso palla inteso come unica arma vincente: «Possesso? per niente. Non mi interessa per niente. Quello che mi interessa è vincere. Il possesso è una storia che è stata venduta molto bene. È un modo di vincere, però non è l’unico. Uno sceglie quello che vuole. Noi siamo equilibrati nelle due fasi di gioco. Abbiamo giocatori per mescolare possesso, equilibrio difensivo e contropiede».

Il risultato è un gioco umile, che permette all’Atlético di mantenere sempre i reparti perfettamente coordinati tra loro anche nei momenti di più acuta sofferenza, anche contro avversari che dispongono di un talento maggiore. Il risultato, soprattutto, è che l’Atlético in una partita secca può giocarsela da anni più o meno con chiunque. Se si perde giocando così pazienza, del resto tifando Atlético non si è condannati a vincere sempre come invece accade al Bernabeu.

Dirò subito, però, che studiando l'Atlético di questa stagione sono stato colto dai dubbi sul reale valore della squadra di Simeone. In un senso e nell'altro: non sono riuscito a capire se si tratta di una squadra superiore addirittura a quella della finale di Champions, che magari sta mettendo le basi per anni di lotta ai vertici del campionato spagnolo e non solo (considerata l'età di alcuni dei giocatori più importanti attualmente in rosa, sempre ammesso che non li vendano) oppure solo di una squadra molto equilibrata, forse più completa del passato, che può giocare bene molte partite senza però eccellere davvero in qualcosa, senza avere un'identità forte e definita, diciamo pure unica, come il “primo” Atletico di Simeone. Se, cioè, quello spirito di sofferenza non si sia normalizzato, se non sia diventato solo uno stile.

Vendere cara la pelle

L’ultimo esempio dell'umiltà dolorosa dell'Atletico è arrivato nella sconfitta contro il Barcellona di fine gennaio, che ha lasciato la squadra al secondo posto, distante tre punti dalla vetta (e, con i blaugrana che devono ancora recuperare una partita, i punti possono diventare anche 6). Nonostante la sconfitta, la squadra di Simeone è andata a Barcellona imponendo il proprio contesto di gioco per buona parte del primo tempo, quando ha trovato anche il gol del vantaggio. Successivamente ha subìto due gol da altrettanti fenomeni (Messi e Suarez) e ha finito la partita in inferiorità numerica a causa di un errore individuale (intervento insensato di Filipe Luís su Messi). Ma, insomma, i tifosi potevano comunque dirsi orgogliosi.

L’atteggiamento iniziale, poco timoroso nei confronti della squadra più forte al mondo, e l’incredibile lavoro per mantenere inalterata l’organizzazione anche in 9 uomini per la mezzora finale – senza però perdere la forza di provare comunque a segnare (e quando l'Atletico era ancora in 10 sono stati solo i piedi di Bravo a togliere a Griezmann il gol del pareggio) – hanno dimostrato quanto la strada intrapresa da Simeone anni fa sia quella giusta.

Soprattutto perché il contesto del Camp Nou è unico e giocare contro il Barcellona presenta delle condizioni che non hanno pari in Europa, per quanto richiede sul piano dell'organizzazione collettiva. Come hanno scoperto quest’anno Roma e Valencia, basta entrare in campo con un piano di gara eseguito male per subire una goleada, e invece l’Atlético ha mostrato il meglio di sé proponendo un mix tra pressione alta – per ostacolare l’inizio azione senza perdere le distanze e il controllo del centrocampo – e indirizzamento del possesso avversario in fascia attraverso i movimenti delle due linee di centrocampo e difesa, che scivolando in sincrono hanno seguito puntualmente i cambi di gioco blaugrana, rendendoli innocui. Il tutto con la solita, incredibile tempistica nelle marcature preventive e nei raddoppi per creare densità nelle zone dove arriva il pallone.

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«Se devo perdere, preferisco sempre farlo in questo modo» ha detto in conferenza stampa Simeone. L’Atleti ha perso ma ha venduto cara la pelle, pur non dando l’impressione di giocare oltre le proprie possibilità: i suoi giocatori non erano in trance agonistica (o almeno, non più del normale) e non c’era un senso complessivo di impresa nella prima mezzora di supremazia. E questo è l'aspetto più strano di quella partita, e di questo nuovo Atletico.

Stava vincendo con merito al Camp Nou, giocando una partita replicabile perché dettata dai sincronismi nelle transizioni e nella difesa posizionale: eppure la squadra dava l'impressione di avere ancora margini di miglioramento, che oltretutto si stanno via via assottigliando con il passare del tempo. Simeone sta già concretizzando il potenziale immaginato inizialmente, sta migliorando il nuovo Atlético settimana dopo settimana, correggendo il proprio tiro, tornando anche indietro alle proprie intuizioni, rincorrendo un solo fattore indiscutibile: l’esaltazione del talento a disposizione per modificare un sistema meno granitico di quanto possa sembrare. Meno granitico, forse, di quanto ci piace pensare quando pensiamo all'Altetico.

Identità “colchonera”

«Una volpe, vedendo un serpente coricato, fu presa d'invidia per la sua lunghezza, e le venne voglia di uguagliarlo: si stese giù vicino a lui e cercò di tendersi, fino a che, per gli eccessivi sforzi, la malaccorta crepò

Questo capita a coloro che si mettono a gareggiare coi più forti: prima di poterli raggiungere, vanno in malora».

La favola della volpe e del serpente di Esopo.

La rosa messa a disposizione di Simeone a inizio stagione era di facile interpretazione: un gruppo formato dai reduci della vittoria in Liga che conoscono a menadito i dettami del Cholismo e un altro di giovani promesse sotto i 21 anni. Più due stelle in Griezmann e Jackson Martinez a formare la coppia d’attacco. A ragione o a torto, l’ambiente ha riposto enormi aspettative su questo gruppo di giocatori, considerando questa stagione come la prima in cui l’Atlético potesse mostrare un gioco più offensivo e teoricamente in linea con l’idea di una squadra vincente, almeno nell’immaginario comune.

L’idea iniziale di Simeone coincideva con quella della tifoseria: il potenziale offensivo era tale da poter pensare di giocare a pallone anche nella trequarti, di non limitarsi agli sporadici scambi in velocità come unica soluzione contro le difese schierate. Quello che però sembrava chiaro solo a Simeone era che c’era bisogno di tempo per amalgamare il nuovo gruppo di giocatori attorno a un’idea forte di gioco.

Ma la squadra non riusciva a dare una vera continuità alla proposta offensiva, e le vittorie per 1-0 condite da pochi tiri in porta non bastavano più a soddisfare un ambiente che forse avrebbe voluto smettere di soffrire ogni partita. Probabilmente un altro tecnico avrebbe accettato la pressione esterna e abbandonato l’idea di accompagnare l’inserimento dei nuovi innesti prima di trovare la formula definitiva con cui affrontare la stagione. Probabilmente un altro tecnico avrebbe iniziato a schierare un tridente con Vietto, Jackson Martinez e Griezmann per accontentare tutti.

Invece proprio dalla risposta alla pressione esterna si capisce come Simeone sia il tecnico giusto al posto giusto: in una conferenza stampa che può essere considerata come il momento di svolta della stagione Simeone ha ricordato a tutto l’ambiente cos’è il suo Atlético: «Per quelli che non sanno cos’è l’Atlético: è pressione, contropiede, questa è la storia. Quelli che la vogliono cambiare stanno andando contro quello che è stato l’Atlético. Si può giocare bene in maniera distinta, alcuni scelgono di giocare bene con più possesso, altri con i contropiedi. Soprattutto per non far confondere i tifosi: l’Atlético è sforzo, contagio, contropiede, competere… e a partire da questo l’Atlético sempre ha avuto successo e noi non lo cambieremo».

L’Atlético in questi anni ha mostrato un modo differente di vincere e il suo allenatore non ha certo intenzione di vestire i panni della brutta copia delle squadre più blasonate solo per il piacere di accontentare i tifosi. Sarebbe, però, un errore non mettere in discussione la sincerità assoluta delle parole di Simeone. Un allenatore in fondo manipolatore, che alla prima conferenza stampa aveva detto di non interessarsi di tattica, salvo poi rivoltare la squadra sulla lavagnetta: Simeone sa benissimo che il suo Atlético non è una squadra che ha nel contropiede la sua unica opzione offensiva, ma la cosa importante per lui in quel momento era evocare quel tipo di immagine dell'Atlético nella testa di chi stava ascoltando.

Quella del bunker da cui veniva lanciata la palla per il contropiede solitario di quel bisonte di Diego Costa, l'immagine di una squadra che ha vinto grazie all’organizzazione e allo sviluppo costante di un’idea coerente con la rosa a disposizione. Il talento a disposizione vale poco se non viene inquadrato in un sistema competitivo anche contro squadre che di talento ne hanno anche di più. Se l’Atletico vuole avere la certezza di poter giocare alla pari anche con chi ha più talento, lo può fare soltanto tenendo bene a mente come già ci è riuscito due anni fa.

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Rispetto all’Atlético di due anni fa qui dopo aver recuperato palla bassi, non hanno nessuno da poter servire con un bel lancio e devono quindi attuare una transizione più elaborata

Sulle spalle di Antoine Griezmann

Lo sviluppo della squadra quest’anno ha quindi seguito il ritmo di Simeone e può essere riassunto in tre fasi distinte: ricerca dei giocatori di cui fidarsi, ricerca del modulo e formula finale. Sia la ricerca dei giocatori di cui fidarsi che quella del modulo sono state scandite dalla difficoltà nel trovare un partner adeguato ad Antoine Griezmann in attacco. Il reparto offensivo, ovvero quello che a inizio stagione prometteva di più, è il grande problema di questo Atlético.

Griezmann è ormai diventato la figura più importante della Liga – tolti i giocatori delle solite due – e tutto il sistema offensivo della squadra è legato alla sua capacità di concludere. Il suo talento nel portare palla dalla trequarti, nell’inventarsi sempre un nuovo modo, con o senza palla, per attaccare la porta, hanno forzato Simeone a scegliere un sistema che cerchi il più possibile di portare il francese a concludere. In questo senso la prima cosa da fare è sfilarlo dalla battaglia fisica con i centrali avversari, che ne limiterebbero il potenziale: a Griezmann viene chiesto di essere il terminale offensivo unico della squadra, pur partendo piuttosto distante dalla porta avversaria.

A questo punto della stagione Griezmann è l’unico giocatore dell’Atletico in doppia cifra, vera e propria colonna portante del reparto offensivo, già autore di 19 gol e 3 assist.

Tutti i suoi gol che hanno spinto l’Atlético nel girone d’andata

Proprio la ricerca del compagno di Griezmann ha portato alla cessione di Mandzukic in estate (troppo lento e poco associativo per aiutare il francese) e a scartare subito Jackson Martinez a gennaio (troppo statico, con la tendenza a intasare le zone di caccia del francese). Fernando Torres garantisce profondità alla manovra, ma ormai in area di rigore sembra non riuscire più a vedere la porta e dopo le prime settimane è stato accantonato lasciando i dubbi al ballottaggio più interessante: Vietto o Carrasco, due giocatori dalle caratteristiche tecniche molto diverse.

L’argentino è geniale nei movimenti senza palla e negli appoggi per i compagni, perfetto per dialogare con Griezmann e per svuotargli l’area con il movimento dentro fuori che tanto piace al francese. L’unico difetto è che sembra tanto preso dall’aiutare il compagno da dimenticarsi di tirare in porta: paradossale per un giocatore arrivato in doppia cifra lo scorso anno non superare una conclusione a partita.

Carrasco invece è un’ala dalla progressione palla al piede invidiabile, entusiasmante e contagiosa, in grado da solo di guidare la transizione come ispirare l’inizio della fase di pressing. Inserito punta accanto a Griezmann, come Vietto, garantisce l’impegno costante che Simeone vuole come mantra per ognuno dei giocatori in campo (pena la fine di Jackson Martinez).

Scegliere l’argentino significa optare per un piano gara proattivo, in un contesto di attacco posizionale più marcato e legato anche a un dominio territoriale col pallone. Mentre scegliere il belga significa decidere un piano di gara reattivo, improntato alle transizioni offensive e a lasciare il dominio del pallone agli avversari (non a caso contro il Barça ha giocato Carrasco). Purtroppo nessuno dei due attaccanti è in grado di occupare bene l’area e quindi per arrivare ai 13 tiri a partita di media (terzo in Liga) Simeone ha dovuto lavorare molto sulla lavagnetta tattica.

Il motore

La ricerca del modulo è condizionata proprio dalle difficoltà nel trovare una strategia di attacco consistente, che ha portato Simeone a lavorare su due moduli distinti (il 4-4-2 e il 4-1-4-1) da alternare a seconda dell’avversario o del contesto della partita. La possibilità di poter passare da un modulo all’altro è uno dei punti di forza della squadra ed è strettamente legato alla presenza di due giocatori unici nel panorama iberico e incredibilmente cresciuti in casa: Koke e Saúl.

A Vigo l’Atlético inizia con il 4-4-2 e controlla bene il centrocampo, una volta recuperato il pallone però manca fluidità nella transizione e decide allora dopo una ventina di minuti di gioco di passare al 4-1-4-1 avvicinando Saúl e Koke e di farne il motore della manovra. La duttilità dei due centrocampisti permette di assorbire il cambio di modulo senza problemi e la squadra finisce per vincere la partita contendendo il pallone al Celta.

I due giovani centrocampisti sono stati plasmati da Simeone, che ha lavorato sulle loro caratteristiche per trasformarli in armi tattiche perfette per i diversi piani gara. Koke e Saúl sono giocatori particolari, capaci di interpretare sia il ruolo di farlo esterno nel 4-4-2 che quello di ala o di mezzala del 4-1-4–1. Simeone può quindi ottenere un cambio di modulo immediato semplicemente spostando i due coltellini svizzeri dove meglio crede.

Nelle ultime partite Koke è partito come falso esterno a sinistra del 4-4-2: parlo di falso esterno perché, pur partendo dalla fascia sinistra, il giocatore non ha solo la richiesta di lasciare al terzino Felie Luis lo spazio per arrivare sul fondo, ma anche ampie facoltà di accentrarsi per giocare la palla (quasi a giocare da trequartista ad esempio contro il Las Palmas) così da esaltare la sua capacità di passatore e di giocatore da spazi stretti e, al contempo, nascondere la velocità di base non eccelsa. Con un ottimo fisico, sulla fascia è avvantaggiato anche in fase di recupero del pallone e non si notano minimamente le lacune difensive.

In fase di possesso, quindi, i movimenti di Koke sono più simili ad un trequartista a sinistra di un 4-2-2-2 che di un esterno classico da 4-4-2. La possibilità di averlo come mezzala del 4-1-4-1, poi, dota l’Atlético di una maggiore qualità in fase di palleggio nelle partite dove ha bisogno di cercare il possesso. Il contesto dell’Atlético Madrid riesce a mettere in mostra il meglio del repertorio di Koke, tanto come organizzatore quanto come gestore di gioco.

Griezmann chiama la palla cosciente di essere il bersaglio del passaggio e Vietto è ben attento a tenere occupato uno dei due centrali. È intelligente Koke a fare il movimento per portare su di se un uomo e liberare la traiettoria del passaggio per Griezmann. Senza gli inserimenti in area di uno tra Koke e Saúl l’Atletico non potrebbe giocare contro le difese schierate.

Meno tecnico ma non meno forte fisicamente, Saúl Ñíguez è fondamentale invece per la capacità di inserimento in area da falso esterno a destra del 4-4-2, oltre che per il lavoro difensivo costante. Una sorta di box-to-box atipico vista la zona di campo che solitamente occupa, ma che si sposa perfettamente con le necessità di presenza in area di rigore che questo Atlético semi-spuntato sta dimostrando.

Anche Saúl può essere messo in ogni zona del centrocampo senza abbassare il proprio livello di gioco; e, posto che Koke sulla fascia rende di più, forse sarà proprio Saúl a occupare il ruolo di centrocampista centrale accanto al capitano Gabi ora che sia Tiago che Augusto Fernández sono fuori per infortunio fino alla primavera. In quel caso Simeone può continuare a giocare sia con il 4-4-2 che con il 4-1-4-1 semplicemente evitando il ballottaggio tra Vietto e Carrasco e schierando il centrocampista davanti e il belga sull’esterno. Senza dimenticare il talento di Ángel Correa, altro ragazzo prodigio a disposizione, bravissimo a vivacizzare l’attacco della squadra a partita in corso.

L’Atletico di due anni fa aveva la sicurezza di poter segnare sempre almeno un gol lanciando Diego Costa contro tutti, oppure sfruttando i calci piazzati (che hanno fruttato 18 gol totali in stagione!). Erano fattori così solidi che era come se l’Atletico partisse sempre a 1 -0, un risultato in grado di preparare un contesto di gioco perfetto per la squadra di Simeone, forse la migliore interprete della difesa posizionale. Questo Atletico è diverso (per adesso i gol segnati da calcio piazzato sono solo 4 e mancano proprio le armi per immaginare di raggiungere l’incredibile cifra di due anni fa), ma compensa con una nuova capacità di attaccare anche le difese schierate, che tendono a non concedere transizioni offensive.

La miglior difesa d’Europa?

Si può dire quindi che la nuova versione dei Colchoneros abbia più soluzioni potenziali ma meno certezze, e la squadra è affascinante più per quello che potrebbe diventare che per quello che sta mostrando attualmente. La fase in cui l’attuale Atlético Madrid raggiunge già un livello di assoluta eccellenza, e che la accomuna al vecchio Atlético, è quella difensiva e di recupero del pallone.

Due esempi in cui la palla viene indirizzata dall’Atletico verso le fasce, dove poi la va a recuperare creando densità aiutati dalla linea laterale. Quest’anno il recupero palla avviene più avanti rispetto all’Atletico di due anni fa, che preferiva utilizzare il recupero alto solo sporadicamente.

Nonostante la dolorosa partenza di Miranda (che due anni fa ha formato con Godín la coppia meglio assortita della storia recente della Champions League) e le difficoltà nel trovare un compagno affidabile all’uruguaiano, la squadra è ancora un bunker: subisce solo 10 tiri a partita ed è la squadra che ha subito meno gol dei maggiori campionati europei con 11 reti finora (di cui 4 nelle due partite col Barcellona, che dovrebbero valere meno).

Il centro dell’area è protetto come in nessun’altra parte al mondo: da lì l’Atletico ha subito solo 55 tiri in tutta la stagione di Liga. Anche se può sembrare elementare, meno tiri si subisce dal centro dell’area e meno probabilità ci sono di subire gol essendo la zona più pericolosa per la difesa vista la prossimità con la porta. E visto che Savic non brilla per letture e Giménez pensa più a buttarsi in scivolata che a seguire il reparto, il merito principale non può che essere attribuito a Godín. L’uruguaiano è un fenomeno sia nel gioco in anticipo uscendo dalla linea, sia nelle coperture in area. Guida il reparto coprendo le falle dei compagni meno attenti e le lacune dei più giovani (soprattutto l’aggressività incurante del contesto di Giménez e alcune uscite un po’ fuori controllo di Oblak) e al contempo coordina gli altri reparti, permettendo ai due centrali di centrocampo di andare in tackle appena la palla passa loro vicino senza doversi preoccupare delle spalle scoperte.

Il risultato è anche che l’Atlético può permettersi una difesa decisamente più alta rispetto a due anni fa, subendo comunque meno contropiedi di tutti in Liga (solo 34 tiri subiti da azioni di contropiede, 11 in meno del Depor secondo nella classifica).

Difficile fare contropiede contro una squadra che prevede Godin, in grado di andare in anticipo senza problemi anche ben distante dall’area. In questo caso legge l’intenzione del giocatore del Rayo e si fionda sul pallone prima ancora che possa completare il passaggio per il compagno. Palla recuperata e lancio immediato.

Simeone sta facendo crescere un sistema diverso rispetto a quello vincente di due anni fa, meno legato a una singola strategia e quindi, in prospettiva, più adatto a modellarsi su diversi tipi di avversario. Un sistema in cui tutti i giocatori partecipano a ogni fase di gioco e hanno la capacità di rendere fluide sia le transizioni offensive che quelle difensive. Una squadra che gioca un calcio esteticamente più appagante e dalle promesse più affascinanti.

Gli infortuni a centrocampo e la lentezza con cui i nuovi arrivati sono riusciti a entrare nei meccanismi di gioco devono mantenere in allerta ogni avversario. Se il fatto che questa squadra possa lottare per la Liga al pari dei due giganti è ormai pacifico, non bisogna dimenticare che se nella singola partita l’attitudine difensiva può risultare ancora più determinante, rendendoli complicatissimi da affrontare anche in Champions League.

Allora anche la Champions League non è un obiettivo impossibile. Con il lavoro che sta facendo Simeone e l’organico a disposizione, bisogna considerare l’Atletico come una credibile candidata alla vittoria finale della coppa dalle grandi orecchie, e potenzialmente una delle squadre più interessanti dei prossimi 2-3 anni. Ma Simeone è sempre più sul filo delle proprie idee e l'adattamento alle caratteristiche dei giocatori a disposizioni sembra sempre di più un rischio d'impresa che potrebbe portarlo al fallimento. I prossimi mesi saranno decisivi per dirci qual è per ora la dimensione di questo Atlético e per capire in che direzione dovrà remare Simeone, con la speranza che l'identità resti intatta. Semmai, aumentata.

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