«Io vi ringrazio, però quando hai tre giocatori a disposizione scegli quei tre». Nel momento più difficile della stagione Luciano Spalletti ha ritrovato il cuore dello spogliatoio e l’ironia, almeno in misura sufficiente per vincere il derby ed evadere con eleganza i complimenti dedicati alla grande prestazione di Vecino, schierato a sorpresa dietro la punta. Ancora una volta Vecino, in gol dopo centocinquanta secondi, è stato protagonista delle notti più belle della gestione Spalletti. Forse in questo caso non è lui il volto da copertina - l’urlo di Lautaro è stato troppo più potente - ma di sicuro è stato la chiave tattica, l’intuizione risolutiva, la principale sorpresa rispetto alle aspettative della vigilia.
Soltanto nelle ultime quattro partite, in quella posizione di mezza punta alle spalle del centravanti che connota tipicamente il suo calcio, Spalletti aveva schierato quattro giocatori diversi: Nainggolan contro il Cagliari, Borja Valero e Politano nelle due sfide contro l’Eintracht, João Mário contro la SPAL.
Privato di ogni alternativa, contro il Milan non ha potuto far altro che affidarsi al suo uomo di riferimento per i momenti difficili (stando a Transfermarkt, Vecino in quella posizione nell’Inter aveva giocato soltanto 12 minuti prima d’ora). In quella posizione Vecino è riuscito ad occupare l’area, a compensare i movimenti centrifughi di Lautaro, ma soprattutto a muoversi incontro al pallone nelle zone di campo ai fianchi di Bakayoko, che il Milan non riusciva in nessun modo a coprire.
Non è l’unica spiegazione del successo e del sorpasso dell’Inter in classifica, ma è stato il tema centrale della prima mezz’ora di partita, scandita proprio da due grandi occasioni capitate sui piedi di Vecino: quella del gol del vantaggio, e poi quella all’altezza del dischetto su cross basso di Perisic.
Se giovedì scorso, contro l’Eintracht, su ammissione dello stesso Spalletti il piano gara era quello di congelare lo 0-0 fino agli ultimi 10 minuti per poi provare a vincere in qualche modo, questa volta l’Inter ha trovato la forza di contendere al Milan ogni pallone fin dal primo minuto, riuscendo da subito a ricavarsi quel vantaggio che si è poi rivelato decisivo al termine della partita.
Ci sono tanti aspetti interessanti nell’azione del primo gol: la costruzione bassa affidata a De Vrij; la posizione di Vecino sul mezzo spazio di destra, alle spalle di Paquetá, che trova impreparato il Milan; la sicurezza con cui D’Ambrosio (verso cui il Milan è sembrato voler orientare il possesso dell’Inter) fa avanzare il gioco toccando di prima intenzione proprio verso l’uruguagio; infine, la posizione accentrata di Perisic, che così può raccogliere un cross respinto e giocarlo immediatamente verso l’area di rigore.
Ovviamente, è interessante anche la grande giocata di Lautaro, centravanti nel senso più puro del termine perché ha la sensibilità di stare due/tre mosse più avanti rispetto all’evoluzione dell’azione e, quando si allarga per colpire sul secondo palo, sa già di trovare l’inserimento centrale dell’accorrente Vecino.
L’azione dell’1-0 comincia con una costruzione sulla fascia di 4 giocatori interisti contro 2 milanisti, che libera il campo per la progressione di Vecino.
La salute dell’Inter
Come ormai noto, per valutare una prestazione dell’Inter è sufficiente monitorare una serie di parametri strettamente correlati all’atteggiamento della squadra: il numero di cross (a fine partita fermo a 17 contro i 31 del Milan) che finché si mantiene sotto i 20 è generalmente indice di buona salute; il numero di palloni toccati da Brozovic (47 già a fine primo tempo), che finché oscillano tra gli 80 e i 100 sono un segnale confortante; la percentuale di precisione passaggi dei terzini, e in particolare di D’Ambrosio (che ieri è stata di 82,1%, nonostante 18 dei 39 passaggi tentati fossero diretti in avanti) che se è di qualità ci dice di una costruzione piuttosto fluida.
Nel momento in cui l’Inter riesce a mantenere tutti questi parametri su livelli soddisfacenti diventa una buona squadra, all’altezza degli obiettivi stagionali, riuscendo anche a esprimere un calcio godibile per gli spettatori neutrali. Il problema per Spalletti è che gli avversari lo sanno, e fanno di tutto per provare l’Inter a ricorrere al cross come unica soluzione, ostacolandone la costruzione e, soprattutto, impedendo che il pallone circoli attraverso Brozovic, l’unico in grado di compiere scelte contro-intuitive, oltre che di dare pulizia alla circolazione.
L’Inter continua a sembrare una squadra confusionaria negli ultimi venti metri, che fatica a scardinare difese ben posizionate con l’estro individuale, ma quando riesce a far circolare il pallone velocemente nella propria metà campo le possibilità di creare pericoli aumentano vertiginosamente. Il Milan è apparso impreparato a creare un contesto scomodo per gli attacchi dell’Inter (con il senno di poi, quella story di Bakayoko in cui si intravedeva il centrocampo interista con il vertice basso, mostrava forse un vero fraintendimento del gioco di Spalletti).
Gattuso ha corretto più volte lo schieramento della squadra in fase di non possesso, passando dall’iniziale 4-3-3 - che costringeva Bakayoko a scalate lunghissime per andare a prendere in alto Brozovic - a un più compatto 4-4-2, in cui Paquetá andava ad accompagnare Piatek nella pressione sui due centrali dell’Inter. Ma l’enigma Vecino tra le linee restava irrisolto.
Di sicuro, Gattuso non è stato aiutato dalla prestazione abulica di Kessié, che pur avendo lasciato Gagliardini spesso libero di ricevere e giocare il pallone (con l’88,6% di precisione: secondo suo miglior dato di stagione, dopo il 94,1% registrato in trasferta a Bologna), non ha neanche aiutato Bakayoko nei raddoppi necessari a compensare l’inferiorità numerica della linea di mediana.
In generale l’Inter ha giocato una partita difensiva più intensa e più brillante di quella del Milan. Ha tentato un numero nettamente superiore di contrasti (25-18: statistica in cui spicca l’onnipresente Gagliardini con 6), ha completato più disimpegni in area di rigore (22-20, con il solo Skriniar che ne ha registrati 11, quanto Romagnoli e Musacchio insieme), e ha completato più anticipi nella metà campo avversaria (3-2, di cui uno di De Vrij su Piatek che ha contribuito ad allontanare il centravanti polacco dalla partita).
E alla fine l’ultima parola è stata dei caivanesi, con il provvidenziale intervento in scivolata di D’Ambrosio (cresciuto a Caivano, in provincia di Napoli) al 96’ che ha salvato praticamente sulla linea il tiro di Cutrone, risarcimento del destino per il discutibile fallo da rigore fischiatogli quasi allo stesso minuto contro la Fiorentina.
Il principale merito dell’Inter è stato quello di trovare continuamente soluzioni di gioco contro gli assetti difensivi del Milan: il passaggio al 4-4-2 ha creato più spazio per trovare in verticale le ali. Sul tocco all’indietro di Perisic, Gagliardini riuscirà poi a trovare Vecino.
Qual è il miglior Milan?
Il Milan migliore lo si è visto negli ultimi 20 minuti, con Bakayoko solo davanti alla difesa a coprire una porzione di campo immensa, Calabria e Conti a spingere sulle fasce in supporto a Castillejo e Suso, e Calhanoglu ancora nelle vesti di playmaker offensivo a tutto campo, alle spalle di Cutrone e Piatek, che dividendosi i compiti sono finalmente riusciti a creare problemi a Skriniar e De Vrij, costringendo Spalletti a lanciare in mischia anche Ranocchia.
A dispetto della fama da allenatore di grinta e contenimento, e dell’invidiabile ruolino difensivo (prima di ieri, il Milan aveva subito 3 gol nelle ultime 10 partite) si può dire che Gattuso sia stato molto più brillante nel trovare nuove soluzioni offensive, per un Milan che in fin dei conti non si è mai arreso.
La partita di Calhanoglu in questo senso rappresenta un mattoncino importante su cui costruire il finale di stagione. I numeri confermano l’impressione dell’occhio: 67 passaggi tentati, divisi perfettamente tra le due metà campo (33 in quella difensiva, 34 in quella offensiva), con l’88,1% di precisione generale e il 74,2% registrato nella sola trequarti dell’Inter.
A tutto questo va aggiunto un gran tiro da fuori, che ha impegnato Handanovic alla metà del primo tempo, e l’assist per il gol di Bakayoko, che ha fissato temporaneamente il punteggio sull’1-2.
Anche nel momento di maggiore difficoltà, il Milan ha conservato una buona varietà di movimenti a centrocampo che ha creato problemi allo schieramento molto compatto dell’Inter: qui Bakayoko e Paquetá si invertono di posizione e Calhanoglu arriva al tiro dopo che si chiude il triangolo.
Sarà fondamentale per Gattuso coinvolgere il più possibile nelle trame di gioco Calhanoglu, un giocatore che nelle giornate negative tende con troppa facilità a isolarsi, e che invece tra le fitte trame del centrocampo interista è riuscito a districarsi con disinvoltura, a unire dinamicità, verticalità e precisione, e a pescare con continuità sulla fascia opposta Suso, altrimenti del tutto escluso dal gioco (4/13 cross e 2/3 dribbling completati).
Con l’ingresso di Castillejo, il Milan ha ulteriormente guadagnato imprevedibilità offensiva (4 dribbling completati in un tempo di gioco), ma ha continuato a peccare lì dove era già mancata nel primo tempo: e cioè, nel recupero alto del pallone.
Il Milan è stato reattivo nel senso più letterale del termine, si è mosso sempre con qualche secondo di ritardo rispetto alle mosse offensive dell’Inter, senza mai riuscire a far valere quella forza fisica su cui un centrocampo con Bakayoko, Kessié e Paquetá (uscito acciaccato al termine del primo tempo) dovrebbe poter contare.
Per una squadra sempre più consapevole su come muovere il pallone nella propria metà campo, oltre che intelligente nello sfruttare le palle inattive (il corner corto da cui nasce il gol di Musacchio ha portato Spalletti a rimproverare l’atteggiamento di Gagliardini e Brozovic a fine partita), forse il margine di miglioramento passa proprio dalla sicurezza nell’aggredire la circolazione avversaria.
Una delle rare occasioni in cui il Milan è riuscito a pressare in parità numerica sulla trequarti dell’Inter è stata risolta da una grande giocata di Handanovic, che con un tocco di tacco “à la Alisson” si è liberato della marcatura di Piatek.
La firma sul sorpasso dell’Inter l’hanno messa tutti gli uomini in campo: De Vrij e Skriniar attraverso il dominio fisico, D’Ambrosio attraverso la sua lucida follia (e un salvataggio che vale un gol), Asamoah attraverso l’esperienza (non solo valvola di sfogo cruciale per la circolazione dell’Inter, anche totem di saggezza nel finale (quando per due volte ha convertito in fallo l’aggressività di Cutrone), Vecino attraverso l’innato opportunismo, Lautaro attraverso l'ottima tecnica e la caparbietà (al 93esimo va ancora a chiudere Musacchio sulla bandierina del calcio d’angolo, poco prima aveva fatto perdere la testa a Conti con un controllo orientato volante a metà campo).
L’aspetto più impressionante della partita dell’Inter è stata proprio la leggerezza con cui i giocatori l’hanno affrontata, nel momento stagionale più critico e delicato.
Quella leggerezza che ha portato Handanovic a liberarsi con il tacco di Piatek al 15esimo del primo tempo; e poi ancora Brozovic, Gagliardini, D’Ambrosio, a tentare e completare a più riprese giocate difficili e coraggiose. Non era affatto scontato nella settimana dell’eliminazione dall’Europa League, degli uomini contati, del derby che poteva segnare il -4 dal Milan, e invece ha segnato il +6 sulla Roma ferma al quinto posto.
Nei due anni alla guida dell’Inter, Spalletti non ha mai perso un derby in campionato. Al termine della partita ha giurato che questo non sarebbe stato l’ultimo, e i giocatori sono sembrati disposti a credergli.