Abbiamo iniziato il 2016 domandandoci se Novak Djokovic fosse imbattibile e ora, ad anno tennistico non ancora finito, Andy Murray è il nuovo numero 1 del mondo. Dopo anni passati a dubitare di se stesso, resistendo alle puntuali sconfitte nelle finali Slam contro i migliori, Murray è riuscito a insinuare dubbi e pensieri nelle teste dei tre più forti di lui, che alla fine si sono arresi. Il 5 di novembre, quello che nel Regno Unito è ricordato per la congiura delle polveri di Guy Fawkes, è stato il giorno ufficioso del nuovo numero 1 del mondo. Non è stata una presa di potere esplosiva, però, ma un lento lavoro cominciato molto tempo fa. Come ha detto Murray stesso il giorno del ritiro di Milos Raonic dalla semifinale di Parigi Bercy che gli ha dato l’aritmetica certezza, «diventare numero uno non era una questione che riguardava questa settimana, o quella passata, ma è stato un processo durato molti anni».
Il migliore?
Se è vero che basta accumulare punti per salire in cima alla classifica, perché altro metodo non c’è, Murray oggi non sarebbe il migliore se il fisico non avesse chiesto conto a Federer per via dell’età anagrafica e a Nadal per l’usura, e se Djokovic, dopo tanto dominare, non avesse chiesto una pausa a se stesso. Tracciando una linea su questi puntini numerati si delinea la figura del nuovo numero uno del mondo, un Re che promette di essere più buono dei suoi predecessori.
Rispetto agli altri, Murray ha dovuto aspettare molto di più per diventare il più forte di tutti. Come loro, però, è diventato numero 2 del mondo abbastanza presto, visto che Murray aveva 22 anni e qualche mese quando arrivò ad un passo dal numero 1 del mondo. Fu un anno molto particolare per il tennis, il 2009: l’uragano Nadal aveva perso gran parte della sua potenza e dopo la clamorosa sconfitta a Parigi contro Robin Söderling, il maiorchino aveva deciso di prendersi una pausa saltando Wimbledon, lui che era il campione uscente; Djokovic era in una crisi di risultati imprevedibile, per uno che appena l’anno prima aveva vinto Australian Open, Indian Wells, Roma e Masters: il serbo aveva steccato in tutti gli Slam, compresa una sconfitta al terzo turno del Roland Garros che rimarrà per molti anni l’ultima sconfitta di Djokovic nella prima settimana di uno Slam. Rimaneva allora Roger Federer, che a inizio anno aveva dovuto accettare l’ennesima sconfitta in finale Slam contro Rafael Nadal, quella del «God, it’s killing me». Poi, tra una racchetta spaccata a Miami e una sospirata vittoria contro Nadal a Madrid, Federer visse la migliore estate della vita, vincendo Roland Garros e Wimbledon e tornando al numero 1 del mondo.
La carriera di Murray, del resto, è sempre stata così. C’era sempre qualcuno meglio di lui: quando non era Federer, era Nadal; quando non era Nadal, era Djokovic. E poi, finalmente, è arrivato il 2016. Un anno cominciato come al solito, con Djokovic che alzava il trofeo degli Australian Open e Murray che stringeva l’ennesimo piatto al petto, un cliché oramai abusato ma sempre di moda a Melbourne. Il Roland Garros non faceva altro che confermare che stavamo vivendo l’ennesima stagione all’insegna di Djokovic, visto che il serbo si liberava dall’ossessione per l’unico Slam che mancava nel suo palmarès. Nonostante Murray si fosse segnalato per i suoi miglioramenti anche su terra battuta (in molti lo davano per favorito al torneo di Parigi alla vigilia), la domanda del tennis rimaneva sostanzialmente la stessa, anche se variava di poco: Djokovic può realizzare il Grande Slam?
E poi, in un sabato londinese come tanti, è arrivato Sam Querrey a cambiare la storia. L’erba di Wimbledon, quella che Djokovic ha anche mangiato, ha ridato una speranza a quelli che vorrebbero un tennis meno dittatoriale. Murray, una settimana dopo la clamorosa sconfitta di Djokovic, è riuscito a vincere il suo terzo torneo dello Slam, anche perché Nadal era già disperso e Federer si era arreso all’età di Raonic in semifinale. Ma Murray non è mai stato un tiranno, e mai lo sarà. E così, agli US Open, quando tutti aspettavano lui, è arrivato Wawrinka, uno che in soli due anni è riuscito a vincere gli stessi Slam dello scozzese, giocando però molte finali in meno.
Murray, senza risultati eclatanti, ha però accorciato sempre di più il divario in classifica rispetto a Djokovic, che alla vigilia di Wimbledon ammontava a 8.035 punti. Improvvisamente, i primi sei mesi del 2016 erano dimenticati. Lo straordinario Djokovic, capace di vincere i primi due Slam e tre Masters 1000 fino al Roland Garros, è via via scomparso. Murray è riuscito a vincere praticamente tutti i tornei e la domanda è di nuovo cambiata: Murray può diventare il nuovo numero 1 del mondo?
Forse in ritardo, abbiamo cominciato a riflettere sulla straordinarietà del Djokovic del 2016. Vinceva sì, ma come? E contemporaneamente Murray perdeva sì, ma come?
La lenta erosione
Nel tempo le sicurezze che Djokovic ha accumulato nella scorsa stagione hanno cominciato a mostrare tante piccole crepe. Al contempo le sporadiche sconfitte di Murray davano la stessa sensazione di chi lascia qualcosa sul piatto perché è troppo sazio per finire. Dopo la finale del Roland Garros, però, i due non si sono più incontrati, più che altro per colpa di Djokovic. Alle Olimpiadi, mentre uno è stato subito eliminato, l’altro ha vinto l’oro. A New York, unica eccezione, Djokovic è arrivato in finale senza giocare, ma è stato poi sconfitto da Wawrinka. In Oriente, se Djokovic sembrava perso nei suoi pensieri, Murray ha vinto Pechino. Poi avrebbero potuto incrociarsi a Shanghai ma mentre l’altro conquistava l’ennesima finale, bastava Bautista-Agut ad evitare l’incontro. Nel corso dell’anno, qualsiasi partita è diventata difficile per Djokovic, mentre qualsiasi partita è diventata una passeggiata per Murray, che se non chiudeva in due set, stracciava tutti nel terzo. Il nuovo numero uno ha perso solo tre set negli ultimi quattro tornei, tutti al tiebreak. Il vecchio numero 1, nello stesso periodo, in fondo ha perso solo due partite. Ma ha giocato solo due tornei.
Nel tennis succede spesso, e inutilmente, che si correli l’ascesa di uno col declino dell’altro. Federer vince perché non c’è Sampras, Nadal diventa numero 1 dopo che Federer ha vinto qualsiasi cosa, Djokovic dopo che Nadal si è rotto, adesso Murray perché gli altri tre eccetera. Quello che rimane è che, come ha detto Federer, “c’è un nuovo re in città”.
Il cambio al vertice potrebbe aver ravvivato l’interesse intorno a uno sport che ultimamente stava soffrendo il totalitarismo imposto da Djokovic. Anche se alle ATP Finals di Londra c’è il rischio di un’immediata restaurazione: cosa che senz’altro alimenta hype intorno a un evento che sembrava dimenticabile. Magari dopo tanto tennis mediocre, Djokovic e Murray, a posizione invertite, potrebbero tornare a regalarci del bel tennis a Londra. Il tiranno è stato deposto, e Murray non ha le stimmate dei tre che l’hanno preceduto. Per un po’, forse, non si parlerà né di record né di grande slam. Per un po’, forse, il tennis potrà tornare ad essere uno sport ovattato. Non sono meriti da poco, quelli di Andy Murray, numero 1 del tennis mondiale.