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L'eco dell'addio di Messi
11 ago 2021
Le ragioni di un divorzio che nessuno voleva.
(articolo)
13 min
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Leo Messi poche settimane fa ha coronato il sogno di vincere un trofeo con la maglia dell’Argentina. Lo abbiamo visto in lacrime, con la coppa gigante in mano e i suoi compagni intorno a celebrare la sua allegria anche più del proprio successo. Nell’estate più felice della sua vita, poi, abbiamo visto Leo Messi piangere su un palco, davanti a microfoni e telecamere, asciugarsi le lacrime con un fazzoletto, mentre annunciava il suo addio al club in cui è cresciuto e che definisce casa. Il suo contratto era scaduto ormai da un mese, eppure nessuno era ancora pronto a immaginare Messi lontano dal Barcellona. Nemmeno lui, probabilmente, ci riusciva. Aveva un accordo verbale con il presidente Laporta, dove accettava di dimezzarsi lo stipendio e pensava fosse abbastanza per restare. Quando ha scoperto che non lo era, e che il Barcellona in realtà non avrebbe potuto firmare quel contratto, si è accordato col Paris Saint Germain, per andare a formare un tridente da sogno con Neymar e Mbappé. Il finale pirotecnico di un mercato in cui il club di Parigi ha già acquistato Hakimi, Sergio Ramos, Donnarumma e Wijnaldum.

Messi va al PSG per una ragione semplice: nessun’altra squadra può permettersi in pochi giorni di tirare giù un contratto da 35 milioni netti a stagione (senza considerare il bonus per la firma). Quante squadre hanno alle spalle il fondo sovrano di uno stato che nel 2022 ospiterà il Mondiale? Il PSG non sta badando a spese per farsi pubblicità e ha la copertura politica per poter aggirare vincoli finanziari diventati soltanto teorici. Certo, proprio per tutte queste ragioni, l’immagine di Messi non esce bene da questa storia. Dal nostro punto di vista avrebbe potuto scegliere di guadagnare meno e abbracciare una sfida più romantica, in un modo o nell’altro. Dal suo punto di vista, però, ai vantaggi economici, va aggiunto che giocherà a Parigi, nella squadra dove ci sono già suoi amici come Neymar, Di Maria e Paredes. E giocherà nella squadra che più gli permetterà di puntare a vincere. Per un vincente come lui, è forse la cosa più importante in assoluto. Sono cose che non possiamo ignorare.

Per chi segue il calcio gli ultimi cinque giorni sono stati surreali. Figuriamoci per chi, come me, è tifoso del Barcellona. Ho provato a proteggermi evitando di guardare la conferenza stampa di addio, i messaggi di addio dei suoi compagni del Barcellona; non ho visto i vari video prodotti in fretta dagli account del club. Ho passato la sera di giovedì a vedere tutti i gol segnati con la maglia del Barcellona dal 2004 a oggi. Con un ringraziamento alla pazienza di chi si è messo lì a raccoglierli in un solo video di YouTube. Un’operazione che mi ha messo addosso una malinconia che francamente nessuno merita a inizio agosto.

Foto di Marc Gonzalez Aloma / Spain DPPI / DPPI.

Il Barcellona negli ultimi anni è diventato una squadra decadente. Un club aggrappato al proprio miglior giocatore mentre tutto attorno brucia, tra acquisti sbagliati, scelte strategiche miopi, una gestione del budget scellerata. Personaggi distruttivi sono stati messi in posti chiave e, pezzo dopo pezzo, hanno distrutto quanto era stato costruito anni prima. Messi, però, rimaneva il motivo principale per cui valeva comunque sempre la pena guardare una partita del Barcellona. I 90 minuti di Messi che faceva le sue cose, erano un ponte con i ricordi felici del passato e la promessa di un futuro migliore. Anche negli ultimi anni, dove forse ha perso una frazione di secondo nell’esecuzione dei gesti, Messi continua a essere un genio.

È stato Messi a rinunciare al Barcellona o il contrario?

Avevo già scritto dell’addio di Messi la scorsa estate, che poi non si è verificato. Forse per questo non ho creduto al suo addio nemmeno quest’anno, fin quando non si è realmente palesato. Tutte le fonti di cui mi fido davano per chiuso il rinnovo del contratto da settimane, la presenza del nuovo presidente Laporta era una garanzia. In parte era stato eletto per questo a marzo. Carismatico e amico intimo di Messi, aveva ricucito rapidamente il rapporto tra il giocatore e la squadra, facendo dimenticare gli anni bui sotto Bartomeu. Messi aveva festeggiato una vittoria della Coppa del Re come se si trattasse della Champions League. Era tornato a essere felice, si sentiva leader di questo gruppo e gli era stato anche portato in squadra il suo miglior amico, Sergio Agüero.

Quella Coppa del Re è stato il suo ultimo trofeo con il Barça; la sua ultima partita è stata invece un’anonima sconfitta casalinga contro il Celta Vigo, dove ha anche segnato l’ultimo dei suoi 672 gol con la prima squadra. Il Barcellona perde il miglior giocatore della sua storia senza neanche poter dare ai suoi tifosi la possibilità di salutarlo un’ultima volta. I tifosi hanno visto Messi dal vivo al Camp Nou l’ultima volta il 7 marzo 2020, rispetto a Xavi e a Iniesta non ha mai ricevuto un’ovazione completa per salutarlo e ringraziarlo per quanto fatto con la maglia. L’ultima immagine è stata quella: una conferenza stampa in cui piange mentre ribadisce che il suo desiderio sarebbe stato quello di restare.

È una storia di cui non arriveremo mai a conoscere la completa verità. Alcune cose le sappiamo, però. Sappiamo, per esempio, che Laporta e Messi si erano accordati per un taglio del 50% del contratto precedente, e per un rinnovo lungo cinque anni. Questo accordo è stato confermato dal presidente della Liga, Javier Tebas. Sarebbe dovuto essere firmato il 5 agosto, quando Messi, tornato dalle vacanze, avrebbe avuto il tempo necessario per rientrare e fare un paio di allenamenti, prima della presentazione durante il Trofeo Gamper dell’8 agosto. La coppa in cui si era fatto conoscere al mondo nell’estate del 2005, in una sfida contro la Juventus. Anche quest’anno, per il suo ritorno in pompa magna, il Gamper era stato organizzato contro la Juve. La firma, però, il 5 agosto non è arrivata.

Gli esperti di calciomercato, Gianluca Di Marzio e Fabrizio Romano, erano sicuri che sarebbe stata solo questione di tempo. Rimanevano sicuri anche dopo che Marca, proprio il 5 agosto, faceva scoppiare la bomba. Ma Marca non è un giornale vicino al Barcellona, e la versione che offre, comunque è quella di un intoppo temporaneo. Una trattativa riaperta all’ultimo, e che aspetta una nuova chiusura. La verità, invece, è che non c’era nessuna trattativa: Laporta aveva comunicato a Messi che era tutto finito.

Nel tardo pomeriggio è uscita prima la nota della società e poi le mille versioni dei fatti per spiegare l’impossibile. Quando la scorsa estate era stato Messi a chiedere di andare via sembrava implausibile che il Barcellona accontentasse la richiesta, ora sembrava assurdo fosse il Barcellona a non volere più Messi. Nella nota della società si conferma dell’accordo raggiunto da entrambe le parti, ma al contempo dell’impossibilità di registrare il contratto per via delle norme della Liga, che prevedono una sorta di fair play finanziario interno.

Foto di Zuma / SplashNews.com.

Il Barcellona non ha potuto iscrivere i nuovi acquisti e il nuovo contratto al ribasso di Messi perché il regolamento della Liga - rivisto di recente - prevede una percentuale annuale massima del 70% tra i costi sportivi (più che altro massa salariale) e i ricavi. Al momento della trattativa il rapporto era del 95%, senza il contratto di Messi (!), rendendone impossibile l’iscrizione. Il club, quindi, aveva bisogno di abbattere quella percentuale, prima di poter registrare il contratto: cedere i giocatori in esubero, o almeno riuscire ad abbassargli l’ingaggio. Nell’estate di calciomercato più povera e bloccata degli ultimi anni, un’impresa complicata. Il Barcellona è riuscito a cedere solo Junior Firpo. Jaume Llopis, ex dirigente del Barcellona, dimesso proprio per via della questione Messi, ha spiegato che di tutti i giocatori della rosa a cui è stato proposto un taglio netto dello stipendio per venire incontro al regolamento della Liga, solo Piqué ha accettato dimezzandoselo. Tutti gli altri sono in trattativa da settimane.

Deve essere arrivato un momento in cui Laporta ha realizzato di non riuscire a cedere i giocatori sul mercato con l’attuale congiuntura economica. A quel punto il piano del rinnovo di Messi mancava di una delle premesse di base: non avere in rosa ad agosto inoltrato giocatori dagli ingaggi pesanti come Griezmann, Coutinho, Umtiti e Pjanic, solo per fare alcuni tra i nomi più importanti, e quindi stare sotto la soglia del 70%. Forse con uno sforzo in più, provando ad arrivare agli ultimi giorni di mercato, si poteva ancora risolvere; Laporta, però, a una settimana dall’inizio della Liga ha scelto di mollare.

Comincia a circolare la notizia che la legge spagnola vieta un taglio superiore al 50% del contratto precedente, ma è un’informazione vera per le serie inferiori e il calcio femminile. Non c’è un riscontro per quanto riguarda un contratto nuovo in Liga. Messi non avrebbe potuto giocare gratis, questo è chiaro, c’è un minimo federale di qualche migliaio di euro al mese. Almeno in teoria, però, il nuovo contratto poteva essere inferiore di quello offerto dal Barcellona e che lui ha accettato. Messi, comunque, ha detto di aver fatto il possibile. Dalla nostra posizione non sapremo mai veramente se un’ultima offerta c’è stata ed è stata rifiutata o se Laporta ha desistito quando gli è stata presentata la realtà che neanche un taglio superiore sarebbe bastato senza accettare prima l’accordo con la Liga. Ricordiamolo ancora: senza il contratto di Messi il monte ingaggi del Barcellona supera comunque del 25% il tetto massimo previsto dalla Liga. Quel che sappiamo è che è stato Laporta a dichiarare di non voler continuare oltre le trattative. Insomma, possiamo dire che è stato il Barcellona a rinunciare a Messi e non il contrario.

C’entra ancora il progetto Superlega?

Ma è impossibile capire il contesto della scelta di Laporta senza parlare dell’accordo in ballo con la Liga e Javier Tebas. Pochi giorni prima dell’affare Messi, la Liga aveva ufficializzato un accordo col fondo CVC, che in cambio di 2,7 miliardi di euro, si prendeva tra le altre cose il 10% degli introiti dei diritti tv della competizione per i prossimi 50 anni (la Liga, in realtà, ha detto che l’accordo è per un numero di anni inferiore). Una sorta di prestito con ipoteca di parte degli introiti futuri delle squadre. Con la firma dell’accordo, quindi, alle squadre della Liga vengono legate le mani in termini di indirizzamento degli investimenti. Il vantaggio, però, è che vengono versati immediatamente fondi in proporzione al loro peso economico (al Barcellona corrisponde una fetta da 270 milioni) e questo, con l’aggiunta di ulteriori cessioni e contratti rivisti al ribasso dei veterani, avrebbe permesso di far quadrare i conti e di iscrivere Messi e i 4 nuovi acquisti della stagione (Agüero, Memphis, Emerson Royal ed Eric Garcia). Insomma: Tebas e la Liga avevano trovato un modo per far iscrivere Messi, ma questa strada è stata abbandonata quando il Barcellona ha rifiutato di sottoscrivere l’accordo con il fondo. I motivi del rifiuto sono diversi, ma ce n’è uno più grande degli altri: accettare l’ingresso del fondo avrebbe voluto dire rinunciare definitivamente al sogno della Superlega.

Ma cosa ha detto Laporta? Ha chiarito che la scelta è stata fatta per via della situazione economica precaria del club, di cui non è responsabile. Al suo insediamento - marzo 2021 - il Barcellona aveva previsto di chiudere l’anno con un passivo di 200 milioni di euro; dopo un audit, però, si è scoperto che il rosso sarebbe stato di 487 milioni, più del doppio. È una cifra per cui, diciamolo chiaramente, una squadra che non si chiama Barcellona finisce liquidata. Laporta prima di essere eletto era contrario alla Superlega, ma una volta visti i conti si è ricreduto e ne è divenuto un fervente sostenitore. Oggi è uno dei tre presidenti ancora attivamente a lavoro per tenerla in vita.

Lo spettro della Superlega continua ad aleggiare alimentato dalla determinazione di Laporta, Florentino Perez e Agnelli, che vedono nella competizione l’unica soluzione per tenere testa allo strapotere economico delle squadre con alle spalle oligarchi o fondi sovrani. Le due squadre spagnole storicamente rivali - Real Madrid e Barcellona - sono da mesi in accordo stretto e in lotta aperta contro La Liga e la UEFA con comunicati e denunce ai tribunali. In questo scenario il sacrificio di Messi può essere letto come una mossa necessaria, da parte di Laporta, nella partita a scacchi con la Liga e la UEFA. Un’ipotesi che ha raccolto più forza quando, giorni dopo l’annuncio del mancato rinnovo, a Barcellona si sono riuniti i tre presidenti. Laporta avrebbe dovuto scegliere tra Messi e lo status quo o la rincorsa alla Superlega. Ha scelto la seconda.

Cosa resta

Nel breve periodo è un colpo durissimo per il Barcellona, e non solo per il prestigio e l’economia del club - meno sponsor, meno vendite di maglie, meno tifosi stranieri che comprano il biglietto per vedere Messi al Camp Nou. Sul piano sportivo la competitività della squadra, senza Messi, ne esce ridimensionata. Già da un paio di stagioni il Barcellona non era più candidato alla vittoria in Champions, ma oggi non è neanche detto possa vincere la Liga. Messi la scorsa stagione è stato il leader assoluto della squadra e in termini statistici il migliore del Barcellona per gol, assist, tiri in porta, passaggi chiave, dribbling. Semplicemente, non è un giocatore sostituibile, e la sua assenza può essere solo mitigata sperando in un passo in avanti di Griezmann, del ritorno al 100% di Ansu Fati dopo mesi fuori e due operazioni al menisco. Magari anche dal successo degli acquisti di Memphis Depay e Agüero (che però già si è infortunato e debutterà verso novembre).

Un Barcellona meno forte, che dovrà accelerare il processo di ricambio generazione già avviato da Koeman la scorsa stagione. Ma il Barcellona ci perde, come ci perde la Liga: a dieci anni dal picco massimo raggiunto dalla storia del Barcellona e della Liga, siamo arrivati al punto in cui neanche uno dei migliori 3 giocatori al mondo sarà in campo nella Liga ogni settimana. Restano fenomeni come Karim Benzema e Frenkie de Jong, ma ovviamente non sarà lo stesso senza Messi.

Certo, si possono trovare tante scuse per contestualizzare e smussare la questione, ma il fatto che Messi non terminerà la sua carriera ad alto livello nel Barça, è colpa innanzitutto della gestione della squadra. È colpa della dirigenza precedente, che in un lustro ha messo sul lastrico una squadra che praticamente stampava denaro; è colpa di quella attuale, che probabilmente ha preso una scelta politica che non è detto pagherà. Il trasferimento di Messi, però, ha un significato più grande. È un fallimento anche per il sistema calcio europeo, la cui risposta alla Superlega - che, diciamolo, avrebbe reso normali questo tipo di operazioni - è stata di fatto una versione peggiore della Champions League, e lo status quo nei campionati nazionali. Le conseguenze economiche della pandemia hanno aumentato gli squilibri strutturali e solo la Premier League, il campionato più sano e che ha lavorato meglio, oggi può spendere soldi. Il PSG, dopo non essere entrato nel progetto Superlega, e con un mondiale alle porte, ha acquisito un enorme potere politico. La conseguenza è un accentramento di talento con pochi precedenti, proprio in un momento storico in cui si dovrebbe cercare maggiore redistribuzione del talento così da rendere più equilibrata la competizione. Dalla pandemia non ne uscirà un mondo migliore e questo vale anche per il mondo del calcio. La vicenda di Messi ne è solo uno degli ultimi esempi.

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