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Le passeggiate di Lionel Messi
07 mag 2024
Cosa vede Messi che noi non vediamo?
(articolo)
4 min
(copertina)
IMAGO / SOPA Images
(copertina) IMAGO / SOPA Images
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Pubblichiamo un estratto di "Visionari, la percezione alterata degli sportivi" di Emanuele Atturo, e-book uscito per Einaudi Editore. Si può acquistare qui solo in formato digitale.

La finale dei Mondiali è appena iniziata. In campo ci sono Francia e Argentina e fate caso a una cosa: mentre diciannove giocatori di movimento corrono, uno cammina. Se ne sta sulla fascia destra, ai margini del campo, sovrappensiero. Non sembra davvero coinvolto nella partita, pare più un osservatore distaccato. È Lionel Messi e quello che si limita a fare è girare la testa da una parte all’altra. Lo fa spesso e in modo più accentuato nei primi minuti delle partite, come nota Pep Guardiola: «La sua testa fa così», dice ruotando il capo da destra a sinistra. Messi fa quello che in gergo si definisce «scanning»: la testa ruota come il periscopio di un sottomarino, e con gli occhi cerca di raccogliere più informazioni possibili. «Dopo cinque minuti ha l’intera mappa della partita nella sua testa e nei suoi occhi».

Durante le partite, soprattutto nella sua versione piú tarda, Messi gioca applicando a ogni azione una particolare intelligenza collettiva. Studia il modo in cui deve posizionarsi per ricevere palla, o anche solo per manipolare la struttura delle linee avversarie. Cerca di capire il comportamento della difesa che si trova di fronte, le sue fragilità, il tempo della gara, e stende il suo piano. Non ragiona solo per sé, pensa anche per gli altri. La squadra di calcio è un organismo in cui alcuni punti fungono da connettori più degli altri. Messi è un acceleratore, un produttore di rotture e discontinuità, ma anche uno stabilizzatore del sistema. Sa qual è il momento giusto di interpretare una parte o l’altra, ed è a questa capacità che ci riferiamo quando usiamo un’espressione vaga come «intelligenza calcistica».

Avete presente quelle foto di Johan Cruijff che indica cose ai suoi compagni di squadra? Non gli piaceva delegare le responsabilità; se avesse potuto controllare la mente dei suoi compagni, e prendere decisioni per loro, lo avrebbe fatto. Le prestazioni di Messi negli ultimi anni sono diventate un esempio estremo di quanto la raffinatezza cerebrale possa permettere l’economia di forze.

Lo scanning è la base del lavoro del quarterback di football americano, che in tempi brevi deve raccogliere con gli occhi un numero enorme di informazioni per compiere una scelta sulla distribuzione del gioco. Se nel football, però, il quarterback ha il vantaggio di vedere frontalmente il campo, i calciatori nel rettangolo di gioco convivono con l’impaccio di doversi muovere a trecentosessanta gradi, e sono dunque costretti a ruotare la testa per ottenere i dati.

È provato che i giocatori che muovono più spesso la testa sono anche quelli più efficaci nel giocare passaggi davanti a sé; ed è stato misurato che Messi riesce a muovere la testa quasi il doppio delle volte rispetto a un giocatore medio. Durante la finale dei Mondiali del 2023 ha scansionato il campo quasi settecento volte, sempre con tempi perfetti. Mentre si guardava intorno, il più delle volte, Messi camminava. Un’analisi della rivista The Athletic ha rilevato che durante le partite del torneo ha camminato per l’85 per cento del tempo. Insomma: come sapeva Nietzsche, camminare stimola la creatività e il pensiero.

Un giorno, sul lago di Zurigo non tira il vento e nessuno del club nautico esce in barca. Mentre sono tutti al ristorante a mangiare, vedono passare Albert Einstein, membro del club, con la sua barchetta. Restano perplessi, cosa fa? Einstein è uscito lo stesso, perché senza il vento poteva notare cose che altrimenti non avrebbe avuto l’occasione di osservare.

Gli aneddoti su Einstein che ribalta la prospettiva del mondo sono numerosi; quindi, vale la pena forse fare un altro esempio. Durante un’installazione in una villa vicino Varese, l’artista Robert Irwin ha messo in questione la nostra percezione del mondo esterno. Entrando in una stanza, si aveva l’impressione di avere davanti a sé un quadro rettangolare con la rappresentazione di un fogliame. Solo dopo qualche secondo, prestando più attenzione, ci si rendeva conto invece che di fronte c’era una vera finestra, oltre la quale c’era un vero albero. Solo attraverso un surplus di concentrazione, lo spettatore realizzava che non si trovava davanti a un’immagine bidimensionale, ma a uno spazio tridimensionale, un’apertura sul mondo. La combinazione tra luci e spazi creava l’illusione. Come in altre sue opere, Irwin voleva interrogarsi sui limiti della nostra percezione. Quante volte gli spazi ci appaiono più banali, opachi e insignificanti rispetto a quanto sono realmente?

Cosa nota Lionel Messi che noi non notiamo, passeggiando?

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