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La lista della fine del mondo pt. 1
23 dic 2014
È la fine del mondo, è la fine dell'anno, ed è ora di classificarne ogni aspetto. In questa prima parte della nostra maxi-lista apocalittico-annuale: Arnaldo Greco fa il power ranking dei telecronisti, Daniele V. Morrone descrive le 5 partite migliori del suo cestista NBA preferito, Giovanni Fontana aggiorna il file quotations.doc, Martina Testa elenca i 10 libri che non ha letto e i 5 articoli che invece ha letto, Valerio Mattioli ci racconta il suo anno in musica.
(articolo)
21 min
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Qui trovate la seconda parte della lista. Qui la terza.

Top ten telecronisti

di Arnaldo Greco

Da quando siamo abituati ad avere un'opinione su tutto non c'è lavoro più duro del telecronista sportivo. Sul suo ruolo si concentrano i due più inveterati luoghi comuni nazionali: tutti capiscono di calcio, tutti capiscono di televisione. Il telecronista si può insolentire e deridere. Perché è troppo triste, o troppo esagitato, perché è troppo coinvolgente, perché lo è poco. Lo si può accusare di tifare la Marchigiana, o di tifare sempre contro la Marchigiana, e chi non lo ammette è un disonesto. Gli si può dare dell'incompetente, raccomandato, ignorante, partigiano, vecchio, portaiella, molesto. E se una partita da lui commentata passa alla storia o, più banalmente, fa un buon risultato d'ascolto, lui che merito ne ha?

Per stilare questo power ranking ho tenuto conto del ruolo ironico e parodico che oggi svolgono i telecronisti, ma anche del fatto che, nonostante i peggiori lazzi, non esiste un telecronista che trovandosi a commentare la propria professione non risponda "faccio il lavoro più bello del mondo, chi non vorrebbe essere pagato per guardare partite di calcio?".

10. Sandro Piccinini

Bio: Nato nel 1958. Figlio di un ex-calciatore. Ha lavorato a Tvr Voxson, TeleRoma56, Rete4, Koper Capodistria. Ora è a Mediaset dove è l’unico a commentare la Champions League in chiaro.

A Piccinini siamo tutti un po' legati. Ha perso l'abbrivio degli anni migliori, ma fosse solo per il fatto che con le sue sciabolate morbide, i suoi nonva, tuttoattaccato, i mucchio, incredibile, i brivido, ci ha mostrato che esisteva qualcosa di diverso dal grigiore delle trequarti di campo e degli “in posizione di ala destra” della Rai, gli dobbiamo qualcosa. Segnalo, come massima dimostrazione d'affetto, i vari drinking game disponibili su Facebook, per godere al meglio le sue telecronache della Champions: si beve a ogni gran botta, siluro, pericolo, spot per noi. Com'è immaginabile si beve moltissimo.

Perché: Piccinini è diventato un generatore automatico di se stesso e gli stessi drinking game sono, al momento, anche la ragione della posizione di rincalzo in classifica. Tuttavia dall’anno prossimo, quando la Champions League sarà un’esclusiva Mediaset, è destinato a risalire alla grande.

9. Massimo Marianella

Bio: RadioIncontro, TeleRoma, Tele Capodistria, Italia1, poi, dal 1991 a Tele+. Il 29 agosto del 1993 ha commentato il primo posticipo televisivo serale della storia del calcio italiano.

Ha iniziato a seguire la Premier League prima che diventasse il campionato più fico al mondo, e l'investimento sta dando i suoi frutti. È il Fenoglio dei telecronisti, pensa in inglese e racconta le partite in italiano. Nonostante su Sky in molti si dilettino a commentare il poker, la scommessa migliore l'ha fatta lui.

Qui trovate una compilation con le migliori esultanze (tanti Drogbaaaa). Mentre qui un’imitazione di Massimo Marianella in una puntata di VivaRadioDue. (Quando ti fanno l’imitazione vuol dire che ce l’hai fatta)

Perché: Sky ha diversi commentatori specializzati nei campionati diversi ma Marianella è sicuramente quello su cui s’è creata la miglior simbiosi. Tanto legato all’Inghilterra che s’è occupato anche di Wimbledon. Quando la crisi del campionato italiano costringerà Sky (e gli altri network di rimando) a spingere sui campionati stranieri più che su Lazio-Atalanta o Torino-Palermo (l’ultimo posticipo giocato di sabato sera al momento in cui scrivo o il prossimo, nessuna volontà di offendere) avere dei telecronisti così legati al paese commentato sarà un vantaggio enorme.

8. Alessandro Bonan

Bio: Nato nel 1964. Prima su Rete37, poi a Tele+ quindi Sky. È il volto principale dei programmi sportivi di Sky tra i quali non si può non citare Speciale Calciomercato (imperdibile). Ha scritto un romanzo, Anatomia di una voce. E diverse canzoni.

Mia suocera è una stalker di Bonan. Registra i suoi programmi, ha pianto leggendone il romanzo (e ha detto a mia moglie, con me si vergogna, che grazie a quella lettura ha capito quanto siano anime affini) e quando, per una settimana, gli abbiamo lasciato i nostri figli ha insegnato loro le canzoncine di Bonan, canzoni di cui ignoravo l'esistenza. E ora i miei figli le conoscono a memoria, e mi chiedono chi siano Luis Silvio Danuello e Renato Portaluppi solo perché hanno sentito quei nomi nel cd che è, anche, l'unico cd originale che ho in macchina. Questo per dire che non sono molto lucido quando ne parlo. E che, mi sembra, che ormai Bonan faccia gli show migliori sul calcio, a volte davvero con pochissimo materiale a disposizione, e che il calcio forse non gli sia più sufficiente, gli stia stretto. Il tempo di Falcao. Sigla del programma “di studio” di Sky agli ultimi mondiali.

Perché: è una garanzia. Assieme a Di Marzio forma una coppia in grado di intrattenere anche quando gli spunti a disposizione sono davvero limitati: provate voi a portare avanti due mesi di una trasmissione di calciomercato di un campionato dove Fernando Torres è “il” colpo dell’estate. Secondo me è pronto per una trasmissione anche extra sportiva.

7. Marco Lollobrigida

Bio: Nato nel 1971. Ha collaborato con Radio Montecarlo, Radio 105 e Roma Channel. Si è occupato di economia per Raitre. Poi dal 2001 è a Raisport. Commenta anche il canotaggio.

Fino a qualche anno fa, in certi casi al telecronista non restava altro che constatare quanto una partita fosse noiosa e non stesse offrendo il migliore degli spettacoli. Alcune partite, poi, potevano essere perfino insignificanti. Oggi, invece, partite noiose non ce ne sono quasi mai. Non perché il livello del gioco sia schizzato chissà quanto verso la spettacolarità, ovviamente, ma perché è molto più difficile che un telecronista possa permettersi di ammettere di essere lì a commentare un incontro soporifero. È una conseguenza laterale ma evidente della lievitazione del costo dei diritti calcistici. Non si pagano migliaia di euro per spettacoli noiosi. Tuttavia per i nostalgici di quando non tutte le partite erano decisive, campali, importanti, ma potevano essere semplicemente partite ed essere anche noiose senza necessariamente annoiare, Lollobrigida è la risposta. La cronaca, la tattica, le storie, il racconto di quello che sta succedendo senza la proiezione dei significati che vorremmo trovarci e che, in realtà, spesso non ci sono.

Perché: Si occupa dell’Under21 che, negli schemi Rai, significa sarà il prossimo commentatore della nazionale maggiore. (Era così anche con gli allenatori della nazionale maggiore almeno fino ad Azeglio Vicini).

6. Riccardo Trevisani

Bio: Nato nel 1979. Tanta tv e giornali, poi dal 2004 a Sky. Commenta, principalmente, Serie A e Champions. Commenta (e gioca) anche a poker.

Fino a pochi anni fa uno dei complimenti migliori che si potesse fare a un giornalista era "è preparato". Essere preparati aveva a che fare con un genere di cultura rinascimentale, significava ricordare dati, conservare articoli, citare episodi, conoscere storie, e sapere intrecciare tutto all’occorrenza. Ora che la mole di informazioni è disponibile a chiunque, essere preparati significa distribuire le informazioni senza dare l'idea di leggerle in quel preciso istante. O cinque minuti prima della diretta. Dare a ciò che si dice la distanza delle conoscenze assorbite e profonde. Trevisani lo fa al meglio. Sembra sempre conoscere tutto da tempo. Prima che sia successo. Prima che il prof l'abbia spiegato. Oltre a questo ci mette un entusiasmo sincero e senza pari. Tipo qui.

Napoli – Dnipro 4 a 2 (rinomato genialmente Cavani – Dnipro 4 a 2)

Perché: Piccoli Caressa crescono.

5. Stefano Borghi

Bio: Nato nel 1982. Comincia a Sportitalia. Dal 2013 a Sky. Si occupa prevalentemente di Liga e Premier League.

I veri fanatici si vantano di averlo scoperto a Sportitalia, quando faceva le telecronache del calcio sudamericano e poteva essere passionale come solo quelle partite lì possono permetterti di esserlo.

Le migliori esultanze della Primera Division.

Perché: occupa una posizione così alta pur essendo arrivato di recente per una ragione molto semplice: è l’idolo incontrastato della rete. Provate a guglarlo. Ha schiere di fan nei commenti di ogni pezzo e in ogni discussione di facebook. Qui c’è un suo video in cui pronuncia Diego Costa per un minuto e mezzo. Trasformando impercettibilmente l’ “st” del nome in una specie di “sht” con l’aria di chi sa una cosa ma non vuole fartela pesare.

4. Federico Buffa

Bio: Nato nel 1959. Ha lavorato come agente di atleti, per l’Olimpia Milano, per TeleReporter, per Tv Koper Capodistria. Dal 1994 a Tele+. È stato soprattutto la voce del basket assieme a Flavio Tranquillo. Dal 2005 ha cominciato a occuparsi anche di calcio in tv. Prima con Milan Channel poi anche per i canali principali dell’offerta Sky. (E ho omesso, per brevità, una quantità di altre cose). Larger than life.

Ha i fan più fedeli, stravedono per lui, ed è uno dei rarissimi casi di personaggio pubblico ad essere passato da brillante promessa a venerato maestro senza la fase "solito stronzo". L'unico appunto che gli si può fare è che durante i Mondiali ha tentato di imporre l'epica a cose appena accadute e che, quindi, senza distanza non potevano essere epi- Anzi, no, non gli si possono fare appunti. È il migliore. Ha pure beccato l'onda dello storytelling quando è passata davvero, non a babbo morto come chi si dà un tono parlandone.

Perché: È come Arya Stark in Game of Thrones. Merita un posto alto nel power ranking perché il suo potere si costruisce sull'assenza di potere apparente.

3. Stefano Bizzotto

Bio: Nato nel 1961. Ha lavorato all’Alto Adige e poi alla Gazzetta dello Sport. Quindi in Rai dove fa tutta la trafila calcistica, il solito cursus honorum del telecronista Rai, e si occupa anche di tuffi e tiro a segno.

Ultimamente, in uno speciale dedicato a Roberto Baggio, ho visto il video del famoso rigore di Usa '94. La palla va alta e Pizzul commenta l’accaduto dicendo “alto”. Che dovrebbe essere una cosa lapalissiana, in fondo il rigore era andato alto, l’avevamo visto, eppure m’è sembrata una cosa bellissima. “Alto”. Così, secco. E poi “Il Brasile vince i mondiali” o qualcosa di simile. Nessun alto, ma nel suo mondo interiore è gol, nessun sogno dell’Italia che sfuma in un profluvio di lacrime, nessuna crisi specchio di un paese che non ha la forza di osare, o ancora nessun Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore, paese mio che stai sulla collina disteso come un vecchio addormentato, metafore, immagini, tristezze varie. Solo “alto”. Quello che era successo.

Bizzotto è uno dei pochi rimasti su quella scia. Anche quando la sua squadra del cuore ha vinto i Mondiali come quest’anno (sappiamo tutti che tifa Germania, e che in Germania guardano il suo commento alla semifinale col Brasile per esaltarsi, vero?) riesce a nasconderlo dietro la cronaca. Battute facili a parte è il capofila di una scuola.

Perché: è destinato a perdere il podio in breve. Dopo gli ultimi mondiali è staro “retrocesso” a voce di commento mentre la cronaca vera e propria è stata affidata ad Alberto Rimedio. (Almeno ci siamo liberati di Dossena).

Dopotutto quand'è che un telecronista può dirsi davvero arrivato? "Quando può commentare la finale dei mondiali" dirà la stragrande maggioranza. E solo Varriale obietterebbe: "Quando può intervistare il Presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio durante gli intervalli delle partite della Nazionale".

2. Pierluigi Pardo

Bio: Nato nel 1974. Comincia a lavorare alla Procter&Gamble contemporaneamente ai primi lavori nelle radio locali. Passa a Stream e con Stream confluisce in Sky. Nel 2010 passa a Mediaset.

Mentre tutti, non parlo più di giornalisti sportivi, si riempiono la bocca discettando della bellezza del mercato, è uno dei pochi professionisti ad aver fatto valere le leggi del mercato cambiando network. L’estate scorso ha tenuto un servizio di Studio Sport lungo due minuti per districare il nodo dell'articolo davanti a Costarica, il o la, che per me dovrebbero far studiare nelle scuole di giornalismo. Alcuni lo detestano perché appare il tipico esempio di pappaeciccia coi calciatori e perché impone la propria simpatia anche quando la simpatia non sarebbe necessaria. È ormai in una posizione per farsene seriamente una ragione.

Perché: Quest'anno, massima onorificenza, ha conquistato FIFA 15, scambiandosi il ruolo con Caressa che è passato a PES (anche se le differenze tra i due giochi non sono più evidenti come qualche anno fa sia per giocabilità che per pubblico). Conduce uno dei programmi di calcio più seguiti, Tiki Taka - anzi, ha fatto chiudere il potenziale rivale di Rai3 prima ancora di cominciare per quanto andava bene.

1. Fabio Caressa

Bio: Nato nel 1967. Comincia a Canale66, poi a TeleRoma56. Nel ’91 passa a Tele+. Da luglio ’13 è condirettore di Sky Sport. Collabora con diverse quotidiani, riviste e radio.

Il 4 luglio 2006 circa 20 milioni di persone ascoltano la telecronaca della semifinale dei mondiali su Raiuno. Io tra questi. Ma se oggi mi chiedessero la frase che ricordo di quella partita, direi che è "si va a Berlino, Beppe!". Credo di non essere l'unico a ricordare quella frase più per come l'ho riascoltata che per averla sentita davvero in diretta. E non mi viene altro esempio di egemonia che essere capaci di imporsi come ha fatto Caressa, addirittura ricostruendo la memoria.

Perché. Anche in questo caso c’è chi lo detesta perché chiama Iturbe Maurito. Altri dicono che sbagli i nomi, che ormai perde di continuo le situazioni di gioco, che non valorizza abbastanza i nuovi collaboratori prediligendo quelli abituali. Può essere tutto. Intanto: è il direttore.

IL RE DEL SOTTOBOSCO NBA

di Daniele V. Morrone

Chi segue la NBA, con il tempo inizia a collezionare una serie di pupilli. Spesso non sono le stelle della squadra, e nemmeno i secondi violini. Spesso sono role player a cui ci si affeziona magari per lo stile inconfondibile di gioco, la storia personale o per quello che fanno fuori dal campo. Il re dei miei pupilli si chiama Patty Mills, ha 26 anni, è australiano di origine aborigena e di mestiere fa l’ingranaggio della macchina perfetta guidata da Gregg Popovich.

La stagione 2013/14 è stata per Mills quella della consacrazione come giocatore importantissimo nella rotazione degli Spurs: tiratore mortifero, giocatore energico e competitivo, anima dello spogliatotio e idolo dei tifosi. Lo status a San Antonio è tale da portarlo fino agli spot pubblicitari con le stelle della squadra e ai discorsi nei talk show NBA. Nonostante sia alto 180 cm Mills va in pressione su ogni pallone con l’irrazionale fiducia nei propri mezzi di chi vuole sfidare i Titani.

Gli Spurs con Mills in campo aggiungono un fattore extra in quanto ad agonismo, ma mantengono saldo un sistema che produce il miglior basket della stagione. Questo fa sì che Mills sia l’unico con Manu Ginobili ad avere carta bianca quando si tratta di tirare, anche andando in controtendenza al flusso del gioco. Una licenza che in pochissimi hanno avuto nella storia recente degli Spurs. Ecco la lista delle 5 migliori prestazioni del 2014 di Patty Mills, il Re del sottobosco NBA.

08/02/14 @ Bobcats. Vittoria 104-100. 32 punti (10/13), 4 assist, 7 rimbalzi e 2 recuperi in 25 minuti.

18/02/14 @ Clippers. Vittoria 113-103. 25 punti (9/15), 5 assist e 5 rimbalzi in 27 minuti.

14/05/14 vs Blazers secondo turno PO gara 5. Vittoria 104-82. 18 punti (8/17), 2 assist, 2 rimbalzi e 3 rubate in 25 minuti.

12/06/14 @ Heat NBA Finals gara 4. Vittoria 104-86. 14 punti (5/8), 2 assist e 1 rimbalzo in 16 minuti.

15/06/14 vs Heat NBA Finals gara 5. Vittoria 104-87. 17 punti (6/10), 2 assist e 1 rimbalzo in 17 minuti. Campione NBA.

La lista delle 11 citazioni che ho aggiunto al file quotations.doc nel 2014

di Giovanni Fontana

1. Si mon cœur est français, mon cul, lui, est international.

Arletty, celebre attrice francese, quando fu accusata (e processata, e condannata) per tradimento della Patria, a causa di una sua relazione con un ufficiale tedesco durante la guerra.

2. Vita sei bella, morte fai schifo.

È l'epitaffio sulla tomba di Claudio Villa. (ho anche scoperto che lasciò scritto "Aiutate l'uomo del domani a sbarazzarsi degli ultimi baluardi del Cristianesimo!", mangiapreti insospettabili).

3. E tu pretendi di fare la rivoluzione senza sapere i risultati della Juve?

Palmiro Togliatti, al compagno di partito Pietro Secchia.

4. Noi con voi c’avemo perso solo quanno eravamo alleati.

È uno striscione fotografato a Roma dopo Italia-Germania 2-0 agli Europei del 2012, ma io l'ho scoperto quest'estate.

5. A modest man who has much to be modest about.

Winston Churchill su Clement Atlee. Churchill è uno di quei personaggi che sembra aver vissuto col fine di essere inserito nei file quotations.doc.

6. Nature and Nature's laws lay hid in night; // God said, “Let Newton be!” and all was light.

Epitaffio di Alexander Pope per Isaac Newton.

7. A lie can travel half way around the world while the truth is putting on its shoes.

La citazione non è un granché, ma è divertente che venga attribuita – erroneamente e dappertutto – alternativamente a Mark Twain o Winston Churchill.

8. L'essere perbenisti ammazza la necessità di essere per bene.

Giovanni Lindo Ferretti è un personaggio incredibile, uno di quelli che sembra fatto apposta per starti sulle palle e invece per qualche ragione ti rimane interessante, nonostante le follie. Delle volte sembra parlare per slogan, poi invece ci ragioni e ti rendi conto che sono anche quelli dei pensieri ragionati. La necessità di essere per bene è data dal continuo domandarsi perché ci si comporta in un certo modo, se è giusto. Se uno non lo fa, e procede per convenzioni – il perbenismo non è altro che non domandarsi il valore di ogni singola cosa che si fa, accettare quello datogli dalla società in cui si vive – finisce per non sentire più la necessità di farsi quelle domande.

9. La vita di un puntuale è un inferno di solitudini immeritate.

Stefano Benni.

10. Avevo sempre sognato, da grande, di fare l'aggettivo.

Federico Fellini. L'ho scoperta su Twitter. Un amico ha commentato che una cosa che avevo twittato era la cosa più giovannifontanesca che aveva mai letto (non lo era). Un altro ha chiosato con questa citazione, di uno che è veramente un aggettivo. Viene da un'intervista in cui Fellini dice anche che la miglior traduzione di "felliniano" è "fregnacciaro".

11. Quantity has a quality all its own.

La quantità ha una qualità tutta sua, contro il conformismo del preferire la qualità alla quantità. Dovrebbe averla detta Stalin, ma anche se non l'ha detta, potete usarla in questi giorni per giustificare le abbuffate natalizie.

10 libri che mi scoccia non aver trovato il tempo di leggere e 5 articoli che sono felice di aver trovato il tempo di leggere

di Martina Testa

10 libri che mi scoccia non aver trovato il tempo di leggere:

Viv Albertine, Clothes, Clothes, Clothes. Music, Music, Music. Boys, Boys, Boys (Faber) - Il memoir della chitarrista delle Slits; non subisco granché il fascino del punk, ma una volta l'ho sentita presentare il libro e leggere degli estratti e invece di un'ex rockettara fuori tempo massimo mi è sembrata una donna sveglissima, autoironica e brillante.

Eula Biss, On Immunity (Greywolf Press) - Un libro sulla paranoia e la paura dei vaccini (e sulla loro necessità), citato in molte liste della migliore non-fiction americana del 2014. Me lo immagino come un esempio di saggistica divulgativa ma lucida e seria, che in Italia è merce rarissima.

Vikram Chandra, Geek Sublime (Greywolf Press) - Un narratore di successo scrive un saggio-memoir sulle affinità e le differenze fra la programmazione informatica e la scrittura letteraria. Io, che se rinascessi vorrei fare la programmatrice, sono molto incuriosita.

Howard W. French, China's Second Continent (Knopf) - Dell'Africa sappiamo sempre pochissimo, la Cina la sta colonizzando e non ne parla nessuno, mi piacerebbe capirne di più.

Marlon James, A Brief History of Seven Killings (Penguin/Riverhead) - Uno dei romanzi americani dell'anno, storia lunghissima e complicata ambientata fra la Giamaica e gli Stati Uniti, fra gli anni Settanta e i Novanta, con in mezzo traffici di droga, CIA, un complotto per assassinare Bob Marley... (Uscirà per Frassinelli nel 2015, in bocca al lupo a chi dovrà tradurlo).

John Lanchester, How to Speak Money (Faber) - Di nuovo un narratore affermato che si dà alla non-fiction: questo è un vademecum per orientarsi nel lessico finanziario di oggi (e quindi nel mondo che lo usa, traendo gran vantaggio dalla sua impenetrabilità); ho la sensazione che se lo leggessi mi cambierebbe un po' la vita.

Jonathan Lethem, Il giardino dei dissidenti (Bompiani) - Ambizioso romanzo multigenerazionale sulla sinistra newyorkese degli ultimi cinquanta e rotti anni. Il mio cuore di vecchia compagna si commuove solo all'idea. E poi stimo molto Jonathan Lethem, uno scrittore nella cui testa convivono il nerd appassionato di supereroi e l'intellettuale impegnato.

Alan Pauls, Storia del denaro (Sur) - Non ho mai trovato il tempo di leggere un libro di Pauls dall'inizio alla fine, ma dalle poche pagine su cui mi è capitato di mettere gli occhi mi sembra uno scrittore stilisticamente formidabile, con una voce divagante e controllatissima al tempo stesso che dà enorme godimento.

Sergio Pitol, La divina (Sur) - La traduttrice, Francesca Lazzarato, in un incontro di qualche mese fa all'ambasciata argentina ha fatto una presentazione irresistibile di questo libro, lo immagino come un geniale delirio metaletterario, un manufatto quasi alieno nella letteratura perlopiù rassicurante di oggi.

Donna Tartt, Il cardellino (Rizzoli) - Ha vinto il Pulitzer e non so neanche di che parla. Che vergogna.

5 articoli che sono felice di aver trovato il tempo di leggere:

James Bamford, "The Most Wanted Man in the World", Wired - Intervista a Edward Snowden, che io sulle prime avendo letto qualche titolo di giornale pensavo che fosse tipo un hacker, un avventuriero, e invece ora penso che sia un cittadino esemplare e un eroe.

Javier Grillo-Marxuach, "Gilding the Small Screen: or, 'Is it just me or did TV get good all of a sudden?'", Los Angeles Review of Books - Un articolo sulle serie tv di oggi scritto, con grande lucidità e una tesi precisa, da uno che le serie tv le fa.

Jill Lepore, "The Disruption Machine", New Yorker - Una prof di storia di Harvard contro il vangelo ultracapitalistico della "disruptive innovation".

George Packer, "Cheap Words", New Yorker - L'occhiello recita: "Amazon fa il bene dei libri?" La risposta è no.

Nathaniel Rich, "The Man Who Saves You from Yourself", Harper's - È un pezzo uscito alla fine dell'anno scorso ma che ho letto solo quest'anno: il ritratto di un detective specializzato nel dare la caccia ai capi delle sette; storia pazzesca che sembra un film e invece è vera.

Il 2014 in musica

di Valerio Mattioli

Scriverò di cose di musica perché questa è la funzione che mi hanno ritagliato attorno, e poi perché qualcuno che si occupi di quella materia negletta che è il pop dopotutto ci vuole. E allora diciamo che lʼaggettivo che più ho speso questʼanno è stato “freddo”. Nel senso che una delle qualità principali a emergere dalle musiche del 2014 (almeno dalle più interessanti), è proprio una specie di algido inebetimento, di stupore antisentimentale, di glaciale rassegnazione ai flussi – emotivi, estetici, persino economici – della Rete. Dalle nuove reginette dellʼR&B come FKA Twigs a progetti paraconcettuali come PC Music, dalle serate berlinesi targate Janus a quelle londinesi di Boxed, dal Lorenzo Senni di Superimpositions a stranianti fenomeni neopop come Hannah Diamond o la stessa Fatima Al Qadiri, è stato tutto un florilegio di superfici levigate, schermi a cristalli liquidi, baluginii elettronici in HD, iconcine kawaii ed eterei ologrammi rosa-shocking, il tutto in chiave apertamente “accelerazionista”. Credo sia la prima volta che il mondo della musica pop tenti realmente di restituire non solo il clima, ma gli assunti ideologici che permeano la cultura digitale tutta: ci è voluto un poʼ, e soprattutto ci sono voluti i soliti pionieri underground come James Ferraro, Daniel Lopatin, Logos e compagni. Ma finalmente si torna a immaginare, se non un futuro, quantomeno un presente scevro da tentazioni retromaniache.

Lʼaltro fenomeno che sotterraneamente continua a ridisegnare le geografie musicali degli anni 10, credo proprio resti la scoperta di tutti quegli “altrove” che a suo tempo avremmo catalogato alla voce world music e che adesso dipingono semmai un suono bastardo, contaminato, meticcio e pesantemente infettato dal mainstream occidentale. Più ancora degli scorsi anni, in Europa il 2014 è stato il momento dellʼelectro-chaabi egiziana (che pure dovrebbe essere un fenomeno già esauritosi in patria; almeno così mi dice chi in Egitto ci vive): a Londra sono finiti a suonare i vari Islam Chipsy, EEK, Sadat, Figo e via elencando, a Parigi lʼInstitut du Monde Arabe ha dedicato unʼapposita rassegna al “suono delle strade del Cairo”, e in Olanda collettivi come Cairo Liberation Front hanno contribuito a trasformare il convulso electro-pop tutto autotune e scale arabe in oggetto inevitabilmente “hip”. Ma forse ancora più rivelatore è lʼinteresse che si è coagulato attorno al kuduro mutante nato a Lisbona allʼinterno della comunità afro-lusitana, e che ha proiettato il ghetto sound di tizi come Nigga Fox, Marfox e tutto il giro dellʼetichetta Principe Discos in uno dei piatti forti del panorama festivaliero europeo. La foto di Nigga Fox che posa davanti a un lupetto della Roma periodo scudetto 1983 dipinto su una saracinesca di Tor Pignattara, è forse lo scatto “musicale” più bello in cui mi sia imbattuto questʼanno (grazie Federico Proietti).

Il disco 2014 di Pitchfork è Run The Jewels 2, quello di The Quietus è Gazelle Twin, quello di Fact è Sun Kil Moon, quello di Dummy è FKA Twigs, quello di The Wire è Aphex Twin. Al solito, non si capisce granché – anche se i vari Fatima Al Qadiri, Dean Blunt, Mica Levi, PC Music, Andy Stott, Swans, Scott Walker & Sunn O))) compaiono un poʼ ovunque nelle suddette playlist. Il mio disco preferito del 2014 è stato Punish Honey di Vessel, ma quello che ho ascoltato di più è Tropical Nature of Tiaso degli italianissimi Umanzuki, peraltro uscito solo su cassetta. Il 2014 è stato anche lʼanno in cui, secondo David Keenan di The Wire, “lʼunderground è definitivamente morto”; ma forse se avesse ascoltato il nastro in questione un barlume di speranza lʼavrebbe tenuto in vita, chissà.

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