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La lista della fine del mondo pt.6
02 gen 2015
È finito un mondo, è finito un anno, ed è ora di classificarne ogni aspetto. In questa sesta parte della nostra maxilista apocalittico-annuale: Alfredo Giacobbe elegge i 5 calciatori esplosi nel 2014, Costanzo Colombo Reiser fa la top-5 dei migliori videogame dell'anno, Matteo Gatto descrive il video di gol su YouTube perfetto, Fabio Severo elenca le migliori volée dell'anno tennistico, Davide Coppo ci consiglia come arredare casa con le piante, Fulvio Paglialunga ci racconta le cose che non sono successe nel 2014.
(articolo)
28 min
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Qui trovate la prima parte della lista.

Qui la seconda e qui la terza.

Qui, invece, la quarta e la quinta.

I 5 calciatori esplosi definitivamente nel 2014

di Alfredo Giacobbe

5. Koke

In una squadra muscolare e machiavelliana come l’Atletico di Simeone, Koke è colui che accende la scintilla della fantasia. Ha fatto le fortune di Diego Costa con i suoi assist, a ventun anni è il candidato unico a prendere l’eredità in Nazionale di Andres Iniesta, il tuttocampista, “El Hombre del Destino” che ha deciso la finale del Mondiale 2010.

4. Thibaut Courtois

Mourinho ha calpestato ogni accordo con l’Atletico ed ha pensionato precocemente il veterano Petr Cech pur di avere Courtois alla corte del Chelsea. Il portierone belga ha blindato la sua porta, trascinando i Colchoneros alla conquista della Liga e ad un passo dal trionfo in Champions League.

3. Raheem Sterling

Appena premiato dai giornalisti europei come il miglior Under 21 del Vecchio Continente, Sterling è già il punto di riferimento offensivo del Liverpool, ormai orfano di Suarez. Velocità allo stato puro e dribbling fulminante, se acquisisce un pizzico di freddezza in più sotto porta è il top-player di domani.

2. James Rodriguez

Un predestinato, James Rodriguez: a 17 anni vince il suo primo campionato col Banfield; al Mondiale d’esordio diventa capocannoniere, segnando sei gol in tutto e una rete, negli ottavi contro l’Uruguay, di una bellezza abbagliante. Sta vivendo una stagione di transizione in un Real Madrid zeppo di campioni, sotto la guida di Carlo Ancelotti saprà sicuramente elevare ancora il livello del suo gioco.

1. Paul Pogba

È l’Ibrahimovic del centrocampo, il calciatore moderno fisicamente e tecnicamente straripante. La recente partita disputata contro la Lazio - due gol e tante giocate sontuose - è stata la sua migliore prestazione da professionista; i suoi margini di miglioramento sono impredicibili, ma c’è chi preconizza per lui un futuro come trequartista. Un Pogba alla Zidane, what else?

L'anno dei videogames

di Costanzo Colombo Reiser

A giudicare dal riepilogo degli ordini effettuati su Amazon nel corso dell'anno, è ufficiale che il 2014 si classifica come anno di transizione a/k/a anno del cazzo per quasi tutti i miei interessi. Per dire: l'hip hop ha prodotto sì e no 5 dischi degni di nota (su tutti, Run the Jewelz 2 di Killer Mike & El-P) seguiti da roba buona a stento per la manutenzione dello stereo e, infine, da una sfilza di boiate che lèvati (dishonorable mention ai Roots, oramai definitivamente diventati i session men di sé stessi). Passando ai libri, devo poi ringraziare la produzione letteraria degli anni precedenti, soprattutto quella di Robert Caro e della sua biografia su Lyndon Johnson, perché, al netto della mia disattenzione – e del mio oculato disinteresse – non mi risulta che siano uscite chissà quali opere fondamentali. E quanto al cinema, persino le stronzatone coatte più promettenti (teste che scoppiano «because, reasons»), come The Human Race, hanno lasciato l'amaro in bocca. Per farla breve, insomma, a parte la commercializzazione della Bavaria 8.6 rossa, non è stata una grande annata. Eccetto – più o meno – per i videogiochi.

1. Alien Isolation non sono ancora riuscito a finirlo. E non tanto perché difficile, quanto perché dopo un'oretta di gioco mi salgono un disagio e un'ansia difficilmente gestibili, specie se ho passato una giornata in ufficio. Com'è come non è, da mesi mi sono autobloccato alla sesta missione come un babbo. È che AI mi prende con la sua estetica rétro spakkiusina ma poi mi terrorizza al punto che, quando l'intelligenza artificiale glitcha e l'alien s'aggira a caso per i corridoi come un coglione, quasi lo considero un pregio. In queste vacanze intendo finirlo per una questione di principio, ma non esagero se dico che forse è il gioco che più mi ha spaventato in tutta la mia vita.

2. Restiamo in tema angoscia con Dark Souls II: il sequel del gioco più bello degli ultimi 5 anni ha deluso molti fan a causa del design troppo lineare, dell'estetica schizofrenica e dei mostri poco immaginifici (problemi parzialmente risolti nei tre DLC), ma anche con questi difetti resta un gioco da provare. Superata la fase iniziale diventa crack poligonale, al punto che l'anno prossimo uscirà la pregio edition per PS4 e sarà un dovere morale ricomprarlo.

3. In attesa di quel momento, Dragon Age Inquisition ha preso in ostaggio il mio tempo libero: e stavolta non tanto per via delle meccaniche, dell'ambientazione eccetera ma perché è ENORME. Forse non quanto Skyrim, ma a occhio e croce siamo lì. In più, grazie a dialoghi ben scritti e ben recitati, che irrobustiscono le centinaia di sottotrame presenti nel gioco, per la prima volta da Last of Us a oggi me la sento di dire che una storia merita. Ho sfondato il tetto delle 100 ore e, per quanto il mio elfo assassino/bisessuale/ateo/socialista ormai possa massacrare qualsiasi cosa gli si pari davanti, ancora mi lancio nelle sidequest per il semplice gusto di vedere le nuances caratteriali dei comprimari. Pro tip: il mago gay è uno dei personaggi meglio riusciti in qualsiasi RPG degli ultimi anni.

4. This War of Mine. Uno dei motivi per cui i videogiochi non sono presi sul serio consiste nell'incapacità (il più delle volte) di affrontare temi impegnativi in modo serio e coerente con l'argomento trattato. Non che non vi siano titoli che cercano di affrontare questioni «alte» come il disarmo e la spietatezza della guerra (mi viene in mente Metal Gear Solid), ma il più delle volte lo fanno senza rinunciare a conferire al giocatore i mezzi per sovvertire la situazione a proprio vantaggio: un po' un controsenso, che stona con la portata del messaggio. TWoM, invece, ci mette nei panni di un civile intrappolato (letteralmente) in una città in conflitto con l'unico scopo di sopravvivere giorno per giorno. Ogni scelta comporta delle conseguenze, sia in termini di gioco che come etica personale, e capita che – sacrificando un anziano o uccidendo uno sconosciuto per rubare delle provviste - ci si senta delle merde umane. Ecco: questo gioco non aspira a sostituire la letteratura o la cinematografia disponibile in materia, ma la integra, facendo esperire in modo quanto più vivido cosa significhi trovarsi una guerra in casa.

5.Shadow of Mordor è stato un po' una sorpresa: all'annuncio non gli avrei dato manco un gettone del telefono, e invece alla fine mi ha divertito. Il Nemesis System è effettivamente una figata, e con qualche pimpata in più potrebbe rappresentare una seria svolta per l'impersonalità di tanti open world (l'ultimo al quale mi sono appassionato, al di là dell'aspetto più ignorantemente ludico, era San Andreas). Poi, ovvio, non è il capolavoro descritto da tanti, ma si propone come un discreto ibrido tra la serie degli Arkham e l'ormai incircolabile Assassin's Creed. È una godibilissima cazzatona fine a sé stessa, insomma, e va bene così.

Detto questo, nelle vacanze mi sa che chiuderò con Dragon Age e soprattutto con Far Cry 4 (che non ho messo in quanto troppo simile all'episodio precedente), dove si possono raggiungere dei livelli di ignoranza inauditi. Questo almeno fino al momento in cui usciranno i vari Arkham Knight, Bloodborne e Witcher 3, che tra un rimbalzo e l'altro sta cominciando a diventare il Detox videoludico.

Top 5 Ultimate Crazy Football Videos on YouTube HD

di Matteo Gatto

Il modo in cui il calcio viene rielaborato su YouTube è una realtà che credo vada affrontata, possibilmente senza vergogna. Certo, i canoni estetici sono preoccupanti, i superlativi troppi, la musica spesso terribile e Adel Taraabt ha una reputation migliore di Sergio Busquets. Ma ci sono tante cose complessivamente belle, raccolte e mostrate in un enorme archivio patrimonio dell’umanità. Ho definito 5 categorie e per ognuna ho scelto il video dell’anno. Significa che li ho visti tutti? Ovviamente no. Nessuno li ha visti tutti.

Categoria “Individual Performance”

Paul Pogba 1080p – Ultimate Skill Show 2014/15

Autore: Colosimo99

Visualizzazioni: + 220.000

Pogba è nuova linfa per gli appassionati di amazing tricks and crazy skills. È enorme, elegantissimo, rende ogni cosa semplice ed è così superiore che non risulta neppure irridente. Questo video è pieno di slo-mo e close-up sul pallone, il campo non si vede praticamente mai, al massimo c’è Paul a figura intera attorniato da avversari in affanno. Si muove a tempo, pare una qualche forma di danza. Le immagini sono sincronizzate con la soundtrack (The Nights di Avicii, scritta per Fifa 2015: si lascia ascoltare), i gol arrivano quasi solo alla fine in un’unica infornata, a completare il climax ascendente. Il 1080p del titolo dichiara il tipo di risoluzione del video, che per gli standard di YouTube è piuttosto alta.

Categoria “Collective Performance”

2014 Crazy Dribbling Skills and Amazing Runs

Autore: rom7ooo

Visualizzazioni: + 1.300.000

8 minuti di calciatori che corrono e dribblano palla al piede, da Messi e Ronaldo a Wilshere e Gervinho, con molto Jesé e molto Willian. L’unico gol è a 2.46 ed è un peccato che ci sia, perché il video è un’eccellente collezione di assoli autosufficienti, purificati da ciò che viene prima o dopo. A 1.46 Lucas Leiva va a 20 centimetri da una ragguardevole quantità di gloria. A 2:59 Wellbeck vorrebbe non essere in questo video. La soundtrack è composta da due pezzi: il primo non è riconoscibile dalla mia app per il riconoscimento canzoni, ma sarebbe perfetto come sottofondo di un videogioco colorato e ossessivo (tipo Bubblegum). Il secondo è Origin di Electric Joy Ride.

Categoria “VS”

Cossu vs James Rodriguez

Autore: David Neri

Visualizzazioni: + 3.700

Tutti sono forti, su YouTube. E se tutti sono forti, allora tutti sono comparabili. Dev’essere questa la filosofia dietro all’opera di David Neri, utente che ha iniziato già l’anno scorso a inscenare battaglie immaginarie tra top player internazionali e mestieranti di culto del calcio italiano. Come in ogni video di questa categoria, non c’è mai una vera e propria sfida, solo giustapposizioni di giocate. Questa – lo specifico per i profani – è una parodia. Dopo Messi vs Gasbarroni e Rooney vs Soncin, quest’anno Neri ci regala Cossu vs James Rodriguez. Emozionante la sequenza introduttiva: vecchia che spacca legna - curva del Cagliari - spruzzi d’acqua su qualcosa di soffice e bianco. La soundtrack è un pezzo di Michael Calfan che si chiama Resurrection.

Categoria “Violence”

Famous Footballers Fights and Horror Tackles ► Teo CRi™

Autore: Teo CRi

Visualizzazioni: +189.000

Dall’umano fascino per la violenza nascono lavori che hanno poco a che fare col talento calcistico. Quand’è che un fallo spettacolare diventa un atto brutale? Questo video è ben assortito e ha il pregio di non mostrare tibie che si spezzano. C’è molto Pepe e molto Totti. Da 0:48 a 0:59 si vede Cristiano Ronaldo che salta per aria tra volte, lo segnalo soprattutto per i suoi hater. A 1:49 Flamini si trasforma in un missile dal doppio piede a martello, poi incita o insulta il pubblico. Subito dopo, magia di Ibra. Seguono i versi “We ain't promised tomorrow, We're only promised this bottle of the finest Moscato” declamati dalla voce di DeStorm, personaggio nato proprio su YouTube e autore della soundtrack King Kong. Esiste anche un filone positivo dei video violenti, quelli in cui il bene vince sull’orrore, come il meraviglioso Lionel Messi - Never Dives del 2012.

Categoria “Humiliation”

Ronaldinho Humiliating Great Players

Autore: HeilRJ

Visualizzazioni: + 5.700.000

Nel 2005 Ronaldinho vince il Pallone d’Oro; nel 2006 la rivista Time sceglie You(Tube) come Persona dell’anno: il campione più adatto di sempre a essere sintetizzato in video di 3 minuti arriva proprio quando la produzione di questi video diventa alla portata di tutti. Ancora oggi, la considerazione di cui gode Ronaldinho su YouTube è enorme e la sensazione è che tra i suoi ammiratori ci siano molti tra quelli troppo giovani per averlo visto all’apice (2003-2007). Come nel calcio di strada, dove fare un tunnel è spesso più importante che fare un gol, anche nel calcio su YouTube si dà gran risalto al concetto di umiliazione tecnica. In questo video Ronaldinho ridicolizza alcuni tra i migliori calciatori della sua epoca. Se vi viene da ridere è normale: Ronaldinho è anche un comico.

Le migliori volée

di Fabio Severo

Di quello che è successo durante la stagione maschile 2014 se n'è già parlato in altra occasione, e allora questa listina di fine anno si compone giusto di qualche momento di bello residuale.

Il grande assente dal tennis moderno è il gioco di volo, è ormai un tema logoro sul quale non si può fare obiezione o leggere qualche controtendenza che faccia immaginare un futuro diverso. Ancora nel 2000 si poteva giocare una partita come questa:

Pete Sampras v Richard Krajiceck, quarti di finale US Open 2000 (audio fuori sincro dopo pochi minuti, sorry)

Oggi non è più possibile, perché spesso andando a rete si subisce questo:

Novak Djokovic v Jo Wilfried Tsonga, ottavi di finale Wimbledon 2014

Il fatto che Djokovic sia in grado di colpire simile risposta (e che sia presente come antagonista in quasi tutte le clip presentate qui sotto) riassume tanto il suo talento e iperagonismo che l'evoluzione tecnico-atletica dello sport in generale. Si tratta di uno step evolutivo, non è soltanto la bravura di un giocatore in particolare.

E allora il gioco di volo, che fino a non molti anni fa avrebbe riempito le clip di highlights di tante partite, si riduce a sparuti episodi sepolti tra le migliaia di incontri giocati. Per poter realizzare una compilation di prodezze a rete di un anno intero bisognerebbe registrare tantissimi match, isolare le clip e poi montarle insieme. Che nessuno l'abbia fatto testimonia la marginalità della pratica al giorno d'oggi. Una sola vera eccezione: quest'anno Roger Federer ha probabilmente giocato il doppio o il triplo di punti a rete rispetto a qualsiasi altro giocatore, ricalibrando il suo stile in quello che rimarrà ai posteri come l'autunno agonistico più sontuoso di sempre. Non gioca più come una volta, ma gioca sempre meglio di 97-98 giocatori su 100 e a 33 anni ricomincia a andare a rete come se fossimo nel 1989. Forse approfondire e diversificare l'insegnamento tecnico per i tennisti di domani non è un'idea tanto stupida.

Neanche una top ten, giusto qualche colpo preso da quest'anno per ricordare quello che si potrebbe fare e non si fa quasi mai. Il tennis è uno sport ammorbato dai tempi morti, riempito da immagini di giocatori che si asciugano il sudore o stacchi su facce inebetite nel pubblico. La ripetitività degli scambi di molte partite non aiuta, e un gioco di volo più frequente aggiungerebbe un po' di controtempo alla monotonia del presidio del fondocampo contemporaneo.

Roger Federer v Novak Djokovic, semifinale Dubai

Alla fine dello scambio Federer colpisce prima un pallonetto di rovescio in allungo con un controllo di polso eccezionale, poi lo segue in avanti e chiude lo scambio con una stop volley di rovescio. Due invenzioni giocate alla fine di uno scambio di 26 colpi, dove Federer ha gestito perfettamente la transizione da attacco a difesa fino al capovolgimento con la chiusura del campo verso la rete.

Novak Djokovic v Kei Nishikori, semifinale Parigi Bercy

Qui Nishikori vede il suo servizio uscire bene sul dritto di Djokovic e decide di seguirlo a rete, solo per trovarsi davanti una risposta molto tesa che cade alla sua sinistra. Di riflesso si tuffa per intercettare con una volée di rovescio, e gli riesce un incrocio tanto bello quanto probabilmente un po' fortunoso. La tipica acrobazia a rete del giocatore contemporaneo, giocata perché costretto, non realmente cercata. Il gioco di volo in passato aveva una componente di ricerca consapevole del rischio e di accettazione della complessità di esecuzione, una difficoltà a cui si andava incontro perché si sapeva come affrontarla. Oggi la rete è vista come luogo per finire un punto, quasi mai per iniziarlo.

Novak Djokovic v Radek Stepanek, secondo turno Wimbledon

Stepanek è giocatore ultra-classico, colpi piatti e ricerca continua del movimento in avanti, e in questo punto attacca Djokovic subito sulla risposta, non con il tradizionale chip & charge tagliato sotto la palla ma con un rovescio a due mani. Il suo lungolinea veloce prende di sorpresa Djokovic, ma la velocità del colpo non consente a Stepanek di arrivare subito a ridosso della rete, trovandosi il rovescio in recupero di Djokovic che gli cade davanti ai piedi, in mezzo al campo. Nell'occasione si vede l'intuito dell'attaccante e la determinazione a eseguire un colpo tecnicamente molto complesso: la demivolée di Stepanek non è assolutamente fortuita, con il giocatore che in una frazione di secondo fa spazio al rimbalzo della palla arretrando leggermente per prepararsi a colpire.

Rafael Nadal v Grigor Dimitrov, quarti di finale Australian Open

Nadal serve sul rovescio di Dimitrov e da lì comincia la sua consueta ricerca dell'angolo sinistro, per impedire a Dimitrov di giocare di dritto. Ma lo schema non riesce, e Dimitrov si sposta bene per colpire un dritto sul rovescio di Nadal quasi in controtempo, andando poi subito a rete e giocando una prima volée incrociata di rovescio. Così facendo Nadal può provare il passante di dritto lungolinea su cui Dimitrov inventa un gancio in allungo che diventa una smorzata vincente. Altro colpo fortunato, ma stavolta voluto: Dimitrov, che è dotatissimo tecnicamente, più di molti altri va incontro a questo tipo di situazioni, fidandosi della sua capacità di improvvisare virtuosamente.

Feliciano Lopez v Radek Stepanek, semifinale Queen's

Altro punto lungo, 23 colpi. I primi sono da tipico scambio sull'erba tra due attaccanti, ancora a fondocampo ma entrambi ansiosi di liberarsi della palla e spezzare il ritmo del palleggio. Comincia Lopez con il più classico degli attacchi in slice di rovescio, e da lì si prosegue con un tira e molla di attacchi sventati da Stepanek e ricominciati da Lopez, che non riesce a trovare la volée definitiva. Alla fine viene respinto indietro e costretto a alzare un pallonetto difensivo, su cui Stepanek esegue un non facile smash delicato in diagonale e poi alza le braccia esausto, dopo aver corso per tutto il campo a recuperare volée. Qui si vedono bene le potenzialità del gioco di variazioni costruito attorno alla ricerca della rete: gli schemi sono audaci, la palla accelera e scivola via, si creano molte traiettorie e il campo ne guadagna in senso di profondità. In un solo punto i due giocatori hanno eseguito una dozzina di colpi diversi, quasi uno ogni due scambi, hanno colpito forte, delicato, da fondo, a rete, hanno corso, attaccato e difeso. Hanno 33 e 36 anni, si può sempre continuare a seguirli sul senior tour.

Le piante dell'anno

di Davide Coppo

Da quest'anno ho una nuova casa in un nuovo quartiere, dalle parti dell'Isola a Milano. È una casa molto luminosa, e soprattutto mia: non la devo dividere con nessuno se non con il mio gatto, e posso arredarla come mi pare. Da tempo avevo scoperto un piccolo bug nel mio sistema di produzione di serotonina: quando ero giù, una delle migliori soluzioni per tornare di buon umore non era l'Mdma, ma comprare fiori e piante. Andavo da uno di quei fiorai a bordo marciapiede, guardavo i pochi fiori malmessi schiacciati in vasi di plastica bianca sporca, sceglievo un mazzo, pagavo, lo mettevo in acqua sul tavolo della cucina e mi sentivo meglio. I fiori, però, morivano, e la serotonina tornava giù. Allora ho iniziato a guardare di più alle piante da appartamento. Nel nuovo quartiere c'è un "piantaio", o fioraio-con-più-piante-che-fiori, accogliente, simpatico e con una varietà di specie rara da trovare normalmente. Così, da qualche mese, spendo una discretamente enorme quantità di soldi in piante, che mi rendono felice e rendono la mia casa verde. Qui di seguito alcune cose che ho imparato e consigli per chi volesse non dico abbandonare, ma almeno ridurre l'Mdma in favore del pollice verde.

1. I cactus devono essere bellissimi, altrimenti lascia perdere

I cactus sono banali. Quelli piccoli che vendono al supermercato, ad esempio, sono orribili e inutili. mi dispiace per loro, che hanno la sola colpa di essere minuti, e che forse crescerebbero se gli si lasciasse tempo e soprattutto spazio (nel vaso). Ma un cactus, se proprio lo volete, deve essere originale, non una palletta spinosa e basta. Il consiglio è un San Pedro crestato. Me lo sono regalato per Natale, ho speso più o meno cento euro ma è una meraviglia assoluta. Viene dall'Ecuador (e quindi vezzo esotico incluso) e se non ho capito male è una sorta di modificazione genetica molto rara: sembra un panorama di Terra vista dallo spazio, con valli, letti di fiumi e altopiani.

2. Zampa di canguro

Sono piante australiane, scoperte nel 1800 dal biologo francese Jacques Labilladière, il primo a mappare scientificamente la flora australiana (e c'è una pianta endemica che si chiama infatti Labilladiera). Le zampe di canguro (kangaroo paw in inglese) crescono in natura in cespugli che diventano anche molto alti, ma in vasetto sono molto resistenti, necessitano di poca acqua e molto sole, e hanno foglie che sembrano quasi di plastica. Il nome viene dalla forma dei fiori, che sono fatti così:

3. Kentia

È probabilmente la pianta più diffusa negli appartamenti del mondo occidentale (dopo i piccoli orribili cactus, forse) ma è bella, elegante e irrinunciabile. È legata all'Australia, anche lei: Kentia è la capitale dell'Isola di Lord Howe (e infatti la Kentia è della famiglia di palme Howea), un'isola minuscola al largo del Galles del Sud, abitata da 350 persone, scoperta a ridosso del 1800 da una nave britannica che trasportava carcerati per fondare una colonia. Costa poco se alta un metro, le più belle sono alte anche due metri ma, data la lentezza con cui crescono, si fanno pagare molto.

4. Orecchia di elefante, o Alocasia

Ha foglie enormi, lisce e verdi, e da quelle deriva il suo nomignolo. Viene dalle regioni dell'Asia sub-tropicale, richiede umidità, luce non diretta e poca acqua. Il mio esemplare mi fa soffrire molto: i fusti, elastici, si piegano irrimediabilmente. Le foglie ingialliscono, a volte si bucano. Devo tagliare, amputare, poi cauterizzare per evitare infezioni. Le voglio molto bene. In natura fa anche fiori e frutti, ma non li vedrete mai in appartamento.

5. Zamia, o "la pianta più diffusa dell'Ikea"

Voi la potete trovare all'Ikea, e dovreste anche comprarla, perché sopravviverà a voi, ai vostri figli, nipoti e pronipoti. Quello che dovete sapere per non trattarla come banale "pianta da Ikea" è che gli indigeni maya Lacandòn, della foresta di Lacandòn in Messico, la utilizzano come alimento. I Lacandòn esistono tuttora, parlano lingua maya e sono l'unica popolazione dell'intera Nuova Spagna (il vicereame più esteso tra le colonie) a non essere mai stata assoggettata dagli europei. Altro che EZLN.

Cose non successe

di Fulvio Paglialunga

Abbiamo aspettato un anno per dire che nemmeno stavolta è successo. Tutti i giorni o quasi a parlare, leggere o guardare pallone sperando che fosse la volta buona, che forse l'anno pari poteva aiutare, fidandoci magari delle stelle che però non sono “quelli che sanno giocare benissimo a pallone”, ma proprio gli astri che posizionati in una certa maniera avrebbero potuto permettere che. Invece niente. Ma poi: che cosa? Ecco la lista delle cinque cose che non sono accadute, nel calcio, e che secondo me erano importanti.

Il calcio non s'è ringiovanito

Eppure potevamo farcela, perché il Mondiale andato malissimo e la tristezza di un'intera spedizione sembrava aver detto basta a tutto quel grigio-burocrate degli abiti del calcio italiano. E poi c'era la moda del rottamatore, sembrava il momento dei quarantenni che hanno passato metà della loro vita a chiedere che ci fosse spazio per i ventenni. E invece dopo il Mondiale e le dimissioni di Abete non c'è stato verso di cambiare né verso da cambiare: la tristezza delle gestione precedente, evidenziata persino in abbondanza anche solo dalle interviste nell'intervallo delle partite della Nazionale, è scivolata verso la rassegnazione quando il ricambio ha assunto il volto, il linguaggio sgrammaticato, le idee volgari e soprattutto l'età di Carlo Tavecchio, 71 anni portati male e spesi quasi tutti a occupare poltrone. Fosse solo una questione di carta d'identità, almeno ci sarebbe da sperare, ma poi se si pensa che l'alternativa all'antico uomo democristiano aveva sì l'età per dichiararsi giovane, ma non poteva dichiararsi innocente di fronte al declino del pallone perché colui che risponde al nome di Demetrio Albertini era anche il vicepresidente della Federcalcio precedente, dunque non uno al di fuori, dunque non uno senza responsabilità, fosse anche il mancato controllo. Ecco che guardandosi intorno non c'era niente di bello da vedere, mentre le piccole si organizzavano all'ombra di un altro che minaccia di essere eterno (dopo aver già realizzato la promessa di essere onnipresente) come Lotito e le grandi che però non facevano capire cosa stessero chiedendo, se non il contrario, in modo confuso. Potevamo diventare più giovani, e i giovani hanno la capacità di pensare un po' più avanti. Invece siamo gli stessi, un po' più vecchi e persino incarogniti: che giochiamo la partita di oggi senza mezzi mentre gli altri a oggi ci pensavano da ieri, e dunque ci sorpassano. Meglio non sapere cosa ci tocca domani.

Non abbiamo smesso di parlare di arbitri

Poi ce la prendiamo con i governanti del pallone, ma non siamo meglio. Se un giorno sbarcassero gli alieni e questo giorno fosse una domenica (per convenzione: facciamo che sia ancora la domenica il giorno del pallone) si chiederebbero per quale motivo tante persone seguano con tanta ostinazione uno sport che è, a sentirli, truccato sin dalla prima giornata. Perché ormai siamo oltre il semplice rigore non dato, che in ogni caso non viene dato non per il potere dell'avversario che ci è contro, ma per una richiesta esplicita di aiuto da parte della squadra che ha interessa diretto in classifica. In pratica una macchinazione che non prevede nemmeno vittorie della concorrente: se la Juve sta vincendo contro la Samp e i doriani hanno iniziato malissimo e i bianconeri invece no, in tempo reale c'è già chi è capace di dire che la Samp lo fa perché la Juve deve vincere, il Palazzo lo vuole e gli arbitri aiutano. E poi, di contro, c'è chi tifa Juve che aspetta il favore agli avversari (sì, non spera che non ne abbiano) per poter dire che anche loro sono danneggiati. Non fosse così non si sarebbe parlato per dieci giorni di Juve-Roma, che è sì stata arbitrata malissimo, senza cognizione né polso, ma da un direttore di gara incapace e non c'era bisogno di giorni di accuse sui giornali che pure hanno tirato fuori tutto quello che era possibile, girando dichiarazioni per farci titoli e intervistando protagonisti improbabili del calcio italiano, purché avessero qualcosa “di pancia” da dire per non perdere il filo brutto del discorso. Il punto è che anche dopo dieci giorni il discorso nei bar continua. E ogni domenica trova la sua sublimazione nelle partite in cui nessuno guarda più solo la sua squadra, ma molti passano del tempo che poteva essere indirizzato ad altro a discutere di tutte le decisioni di un arbitro e immaginare retroscena indicibili per un'ammonizione non data. Non che il nostro calcio sia pulito, se almeno alle sentenze dovessimo decidere di dar retta, ma il punto è che siamo nel mezzo di un dibattito surreale, in cui nessuno parla più di calcio se non per mettere insieme torti di un arbitro o due, e quindi i giornali su questo devono fare le pagine per vendere e le trasmissioni di questo devono parlare per avere lo studio bello infuocato. Ma il pallone in tutto questo non c'è. Se n'è andato da qualche altra parte. Forse con gli alieni.

Balotelli non ha smesso di essere un caso

A Mario Balotelli voglio bene. Chi ha la sventura di seguirmi sui social network questo lo sa già: la mia è una difesa spassionata di un giocatore forte, che può diventare fortissimo e sul quale scarichiamo gran parte delle nostre frustrazioni. Per non annoiare nessuno con la linea difensiva, non mi dilungo (ma qualcosa potete leggerla qui, alla voce Balotelli), ma questa volta vado contro le mie convinzioni: non discuto delle prestazioni in una squadra che gioca malissimo ed è in una continua fase involutiva, che dunque non fa arrivare palloni avanti, e se non arrivano palloni avanti uno come segna? Né ridicolizzo quanti pur di partecipare al “dagli a Mario” hanno creduto alla bufala ben organizzata (e dal punto di vista del marketing, geniale) della Paddy Power, abboccando alla fila falsa di gente che scambiava la maglia di Balotelli con una qualsiasi, all'uscita dallo stadio. E nemmeno commenterò oltre l'esempio di accanimento che può essere una notizia strillata così: “Balotelli a letto tardi: rabbia del manager”, che associata a una gallery di foto in cui Mario ha la giacca di pelle, sembra all'uscita di un locale, intorno c'è pure qualche donna e la superauto in parcheggio fa pensare a una notte da leone (e non proprio da calciatore) di quelle da non poter proprio perdonare, se non fosse che la notizia pubblicata in Italia il primo dicembre e ripresa dal Daily Mirror che non è proprio l'autorevolezza, parla di una vicenda di due mesi prima (il primo ottobre, esattamente), che le foto non c'entrano nulla con la vicenda e che l'ennesimo colpo di testa di Balo è il seguente “mentre gli altri giocatori dei Reds erano saliti in camera entro le 22, Balotelli era rimasto nella hall”: la notte brava era quella di uno che alle 22 era ancora nella hall. Ma al di là di tutto questo, che giustifica un giocatore ombroso perché inventano le notizie pur di poter parlare di lui e farlo male, tocca dire che nemmeno lui evita di cascarci. La vignetta di SuperMario su Instagram l'avevo vista pure io, e siccome la ricordavo ho pensato a una bella trovata, se non fosse per la parte aggiunta sotto di cui non mi ero accorto, quella dell'«afferra soldi come un ebreo» e di cui lui – mi sento abbastanza sicuro – non ha capito la portata. Perché poi si è giustificato e avendo la madre ebrea certo non potrebbe avere pregiudizi, essendo egli stesso vittima continua di episodi di razzismo di sicuro non ci cascherebbe volontariamente. Si è scusato, è stato onesto con la Federcalcio inglese e ha preso una giornata di squalifica invece delle tre che rischiava. Ha superato quasi indenne un altro momentaccio, ma questa volta non sono stati gli altri, è stato lui. Che ogni tanto se le cerca. E dopo un altro anno, con un Mondiale che aveva cominciato benissimo e che ha finito meno male di molti, siamo ancora a parlare di lui come un caso. A un calciatore non si può chiedere di essere intelligente, ma qualche volta magari aiuterebbe.

Il Taranto è rimasto in Serie D

Tutto congiurava: la lunga rimonta, Papagni in panchina, il destino solo nelle nostre mani. Al Taranto bastava vincere le ultime due e sarebbe stato almeno spareggio, e infatti ha pareggiato la penultima e tutto è saltato. Il piano di assalto alla LegaPro è per me, tifoso lontano, morto in una domenica pomeriggio passata con il telefonino in mano per seguire la partita di Marcianise in streaming (lo dico ai profani: noi a Taranto abbiamo le tivvù che trasmettono le partite in diretta, quando si gioca in trasferta. Ecco) e maledire quel due a due che non era giusto, per come era andata la stagione, per i diecimila degli ultimi mesi, per quello spontaneo e rumoroso amore che non si riesce a spiegare a chi concepisce il calcio come uno show e quindi cerca una squadra di serie A per cui tifare. Io nel Taranto in Lega Pro credevo molto e vivendo ora altrove immaginavo un bel po' di trasferte vicine da poter fare, dopo averne fatte tante con il taccuino. Invece niente, la prima volta. E niente, la seconda, perché se la società avesse fatto domanda di ripescaggio al primo giro ce l'avrebbe fatta lo stesso, ma chi guidava il club non aveva i soldi e temporeggiava per cedere, e quindi non ha fatto domanda e se non fai domanda non hai nemmeno la risposta. In serie D, quello era il destino se non fosse che poi si sono riaperti i termini del ripescaggio per un altro posto e questa volta la società nuova c'era, i soldi per provarci pure e la domanda dunque è stata fatta. Mancava solo un “ma”, che si è materializzato per evitare che venisse sorpassato da una gioia: l'Arezzo, tra un giro e l'altro di ripescaggio, aveva messo a posto lo stadio e ha potuto gareggiare con il Taranto e vincere, avendo maggiori requisiti per il salto d'ufficio in Lega Pro. Così, ho visto la mia squadra perdere il campionato tre volte in una stagione, anche nell'anno in cui ci credevo. E mi vado convincendo che il destino sia starci ancora un po', a vedere partite come quella dell'ultima domenica a Pozzuoli con le bandiere che impallano la telecamera e il muro dietro la porta, ché anche questo tocca quando si è in serie D. Forse lo faccio perché preferisco non avere attese, non potendomi lamentare del dolore a cui invece sono abituato. Perché se avere attese è passare una domenica pomeriggio a Roma con il telefono in mano e lo streaming infame, e poi scaricare una corposa scorta di imprecazioni nei tristissimi momenti successivi da uomo tradito, allora vivo in silenzio la speranza di poter andar via, prima o poi, dalla D. Romantica sì, ma dopo un po' che palle. Alla prossima lista della fine del mondo vi aggiorno.

Non c'era tifo alla Supercoppa

Qui avevo delle cose da mettere come tentativi del nostro calcio di emergere guardando agli altri per poi incastrarsi nel difetto enorme di essere italiani. Poi ho visto la finale di Supercoppa a Doha, in Qatar, in uno stadio di soli quindicimila posti, tutti a sedere, con sceicchi e simili seduti in tribuna, un silenzio irreale da sembrare tutto finto, vedevo scimmie ammaestrate costrette a esibirsi davanti a ricconi invece che calciatori alle prese con un trofeso, il commento che sembrava da studio per quando era zitto lo stadio e forse pure qualche sagoma cartonata per coprire gli spazi vuoti a meno che non fossero proprio immobili, insomma un prodotto che si voleva vendere per soldi ed è finito al discount, e ho pensato che non ci fosse nient'altro da aggiungere per descrivere il pallone nostro.

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