Quante volte abbiamo sentito e accettato come verità assodata che in Europa si gioca un altro calcio? Ma cosa significa davvero? In cosa consiste il calcio che si gioca in Europa? Cosa deve fare una squadra per avere un’anima europea?(altra espressione che sembra indicare un’identità specifica ma che nessuno sa davvero definire con precisione). Se mi pongo queste domande non è per fare semplice esercizio di debunking della retorica giornalistica, ma perché a volte questo tipo di verità pre-confezionate sembrano spiegare davvero la realtà che si svolge davanti ai nostri occhi.
Ieri il Milan - una delle squadre più intense e solide a livello mentale e tattico del nostro campionato, nonché quella che sembrava più in forma in questo momento - tornava nell’unica coppa che conta quando si parla di calcio europeo ed è stata per larghi tratti della partita in balia del Liverpool. Certo, ha dimostrato di essere una squadra incredibilmente matura e cinica a dispetto della sua età media, capitalizzando al massimo le due occasioni da gol più importanti create durante i 90 minuti e terminando il primo tempo addirittura in vantaggio, ma nell’arco della partita la superiorità dei “Reds” è stata netta e incontestabile. La squadra di Klopp ha fatto quasi il doppio degli Expected Goals dell’avversario (3 contro 1.6, e questo senza contare l’autogol di Tomori e il rigore sbagliato da Salah che non vengono conteggiati) tirando verso la porta più del triplo delle volte (23 contro 7) e tenendo il pallone per oltre il 61% del tempo. Soprattutto, restituendo l’impressione di poter essere pericolosa a quasi ogni possesso, di poter alzare o abbassare la pressione nei confronti dell’avversario a proprio piacimento.
La prima spiegazione a una partita di questo tipo è proprio il fatto che il Milan, che tornava in Champions League dopo sette anni di assenza, fosse disabituato al calcio che si gioca in Europa. D’altra parte, Anfield è uno degli stadi in cui opporsi all’energia emanata dai tifosi è più difficile e per molti giocatori rossoneri fare la prima apparizione a questo livello sicuramente non deve essere stato facile. Ma l’aspetto mentale - la pressione di giocare con quasi 54mila persone che ti urlano contro a pochi metri di distanza - non può spiegare da solo la differenza di intensità atletica, sensibilità tecnica e concentrazione che alla fine ieri ha piegato il risultato dalla parte del Liverpool. E allora torno a chiedermi: in cosa si differenzia il calcio che si gioca in Europa da quello che vediamo ogni domenica sui campi di Serie A? Perché sembra essere di un altro livello?
Qualcuno dirà che la risposta è da cercarsi nei giocatori, che la differenza è tutta nel livello tecnico. Ma se è incontestabile che il Liverpool abbia alcuni giocatori di livello assoluto, è vero anche però che ieri mancavano due titolari di primaria importanza come van Dijk e Mané, e che l’ossatura della squadra di Klopp era composta da giocatori per cui nessun tifoso in Italia farebbe i salti di gioia se vestissero la maglia della propria squadra, come Joe Gomez, Joel Matip e Divock Origi. In quanti scambierebbero questi giocatori con Fikayo Tomori, Theo Hernandez, Franck Kessié e Brahim Diaz? Se sia l’aspetto mentale che quello tecnico sembrano raccontare solo in minima parte la partita di ieri, allora forse bisogna allargare lo sguardo cercando risposte più onnicomprensive. Forse bisogna guardare proprio a quel gioco che, per l’appunto, viene definito europeo.
Il Liverpool, in questo senso, viene spesso raccontato attraverso i suoi aspetti più fisici, come l’intensità, le corse in verticale e il pressing (e il gengepressing) esasperato. Ma questi tratti, sicuramente presenti nel gioco di Klopp, finiscono per banalizzare ciò che veramente i “Reds” mettono in campo ad ogni partita. Ieri, ad esempio, il pressing era molto più saggio di quanto non raccontino le metafore alla Fast&Furious che di solito vengono associate alle squadre di Klopp. Sulla costruzione bassa del Milan, il Liverpool lasciava Origi tra i due centrali con il compito di andare in pressione su quello in possesso, mentre le due ali (Salah e Diogo Jota) rimanevano in mezzo, nello spazio tra centrali e terzini. In questo modo, Kjaer e Tomori non avevano lo scarico facile né sull’esterno, dove Salah e Diogo Jota cercavano di schermare il passaggio verso Calabria e Theo Hernandez, né in avanti, dove Kessié e Bennacer avevano costantemente Henderson e Keita alle spalle. Chiuso in questa gabbia, il Milan ha perso diversi palloni in maniera molto pericolosa ed è riuscito a bypassare il pressing avversario o lanciando o nei rari momenti in cui il Liverpool ha abbassato il baricentro.
Due esempi di palle perse malamente da Kessié e Bennacer in costruzione: sul primo il centrocampista ivoriano, sotto pressione da Keita, può solo tentare un passaggio alto molto complesso verso Calabria per evitare Diogo Jota, e infatti lo fa in maniera troppo debole. Sulla palla riconquistata il Liverpool arriva vicino al gol con l'ala portoghese.
Al contrario, il Milan ha tenuto per quasi tutta la partita un baricentro molto basso con un’applicazione del pressing individuale e spesso farraginosa. Brahim Diaz è stato particolarmente pigro e impreciso nello schermare Fabinho, costante spina nel fianco tra le linee per il Milan, mentre Leao e Rebic hanno spesso sbagliato le uscite, soffrendo costantemente la fluidità della squadra di Klopp, soprattutto a destra, dove il triangolo Arnold-Henderson-Salah è stato decisivo per vincere la partita.
Anche a sinistra, comunque, il Milan ha fatto fatica a leggere i movimenti avversari. Qui, ad esempio, Robertson ha addirittura due linee di passaggio libere verso il centro, con Diaz in ritardo a schermare Fabinho, e Bennacer e Calabria entrambi tirati fuori posizione da Keita.
Proprio l’intelligenza nella lettura degli spazi e la creatività nella scelta dei movimenti è forse ciò che più ha fatto la differenza tra le due squadre, tra un gioco propositivo e uno reattivo. Prendiamo, ad esempio, il gol che apre la partita. Su una palla esterna giocata da Arnold, il triangolo esterno del Liverpool parte dalle posizioni canoniche, con Salah sull’esterno alto e Henderson nel mezzo spazio.
Da questa situazione statica, però, il Liverpool arriva facilmente al limite dell’area piccola attraverso le letture dei propri giocatori. Henderson, invece di aspettare che gli arrivi un difficile passaggio spalle alla porta, continua la corsa verso l’esterno portandosi dietro Bennacer. Il suo movimento libera il corridoio verso l’area di rigore a Alexander-Arnold, che infatti scarica velocemente su Salah e poi ci si butta dentro. A quel punto per il fuoriclasse egiziano servirlo sulla corsa è facilissimo, e il Liverpool può andare dritto per dritto a puntare la porta.
Ho avuto la tentazione di descrivere azioni come questa con i termini “giocate codificate” o “pattern di gioco”, espressioni che descrivono però situazioni ripetute in serie, negli stessi punti e in maniera industriale. La forza della squadra di Klopp ieri è stata invece proprio la creatività artigianale e ogni volta nuova con cui tutti i suoi giocatori hanno letto lo spazio e il tempo delle giocate in ogni zona di campo, manipolandolo per arrivare in porta in maniera pulita. Da questo punto di vista, il migliore in campo è stato senza ombra di dubbio Jordan Henderson, un giocatore che, proprio come il Liverpool di Klopp, viene esaltato solo per le sue qualità distruttive dimenticandosi della sua creatività e intelligenza con e senza palla in fase di possesso. Non sto parlando solo dello splendido gol con cui ha chiuso la partita, ma anche di situazioni come questa.
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Una delle poche volte del primo tempo in cui il Milan riesce ad alzare il pressing sulla prima costruzione del Liverpool, Henderson si abbassa intelligentemente sull’out di destra proprio nel momento in cui Leao ha seguito invece Arnold, che ha preso il suo posto in mezzo al campo. Il Milan legge sempre con un momento di ritardo le rotazioni avversarie: Matip ha un’uscita pulita proprio su Henderson che, dopo aver scaricato al centro per Arnold, finta di andare in verticale mandando a vuoto di nuovo Leao. Arnold può servire di nuovo sull’esterno Henderson - libero senza essersi mosso di un metro - che troverà libero dentro al campo Salah, guardato solo a distanza da Theo Hernandez.
Pensate che stia esagerando? Eccovi il gol del 2-2 dei “Reds”.
Ancora una volta Henderson si allarga da “falso terzino”, ingannando Leao che esce su di lui. Il passaggio, però, non è per Henderson ma per Alexander-Arnold che è più avanti sulla stessa fascia. Sul terzino inglese allora è costretto a uscirci Kessié, che così facendo libera uno spazio centrale che, come un processo osmotico del tutto automatico, viene occupato immediatamente da Fabinho. Il regista brasiliano ha il tempo di ricevere, alzare la testa e trovare Salah tra le linee, ancora guardato a debita distanza da Theo Hernandez. Da questa situazione, infine, il triangolo con Origi chiuso con lo scavino geniale che tutti abbiamo ancora negli occhi.
Il Milan è riuscito a rialzare la testa nell’unico momento in cui il Liverpool, abbassando il baricentro e l’attenzione, non è riuscita a leggere gli spazi in maniera così lucida. Anche Pioli, come Klopp, aveva puntato fortemente su una catena laterale, quella di sinistra formata da Theo, Leao e Brahim Diaz, sovraccaricando quel lato del campo per mandare in tilt le marcature avversarie. Quando Salah si allargava troppo per seguire Theo, ad esempio, Tomori riusciva a salire fino in mediana per giocare il pallone e a trovare Brahim Diaz proprio alle spalle di Jordan Henderson, che a quel punto aveva troppo campo da schermare.
Il Milan, però, è stato davvero pericoloso, o almeno potenzialmente pericoloso, solo quando è riuscito ad usare lo spazio in maniera creativa, con i giocatori che si sono scambiati di posizione per far perdere i riferimenti all’avversario.
In questo caso, ad esempio, Brahim Diaz si allarga sull’out basso di sinistra proprio mentre Theo Hernandez entra dentro al campo in posizione da mezzala. Salah viene ingannato dallo scambio di posizione e, nel momento in cui esce su Diaz, Tomori può servire il terzino francese con un passaggio taglia linee. A quel punto, Theo si gira mettendosi alle spalle Fabinho e può puntare la linea difensiva palla al piede. Cerca di servire Rebic dentro l’area, ma un intervento prodigioso di Joe Gomez col tacco fa sfumare tutto. Anche il gol del momentaneo 1-1 arriva dopo una ricezione di Brahim Diaz (questa volta servito da Kjaer) alle spalle di Jordan Henderson ma soprattutto da una serie di letture controintuitive da parte dei suoi compagni d’attacco. Il movimento a venire dentro al campo, alle spalle di Keita, di Saelemaekers, la sua decisione di scaricare su Leao centralmente nel momento in cui Matip era uscito su di lui, il taglio in profondità di Rebic proprio alle spalle del centrale del Liverpool.
Insomma, nel momento in cui il Milan è riuscito a improvvisare in maniera brillante con lo spazio e il tempo a sua disposizione, è stato davvero al livello del Liverpool. E in quel momento - cioè, all’incirca, negli ultimi 10 minuti del primo tempo - è uscita fuori la grande qualità dei suoi giocatori: la progressione palla al piede di Theo, la freddezza di Rebic, la creatività di Brahim Diaz, la qualità in costruzione di Tomori. Il Liverpool, però, da grande squadra qual è, è riuscito a farlo per quasi tutti i restanti 80 minuti e in maniera talmente brillante da far assomigliare il gioco di Klopp più al jazz che all’heavy metal, come lo stesso allenatore tedesco una volta l’aveva descritto.
Questo forse è quello che si intende con gioco europeo: non un determinato stile tattico, offensivo o spettacolare che sia, ma la capacità, interiorizzata da tutti i giocatori in campo, di saper leggere il momento e lo spazio, utilizzandolo per creare ogni volta qualcosa di nuovo.