«Non abbiamo un centravanti, perché il nostro centravanti è lo spazio». Con questa frase Pep Guardiola sintentizzò alla perfezione una fase storica del suo ciclo al Barcellona, ma si marchiò anche per il futuro. In quella squadra il centravanti non c’era, o meglio c’era la sua versione falsa, il falso nueve, e per motivi più caratteriali che ideologici respinse anche uno che centravanti lo era per davvero, Zlatan Ibrahimovic. Questo contribuì a creare la fama di Guardiola come “uccisore dei centravanti”, una nomea che gli è rimasta appiccicata addosso e che è riemersa nel momento in cui si è saputo che alla sua corte sarebbe approdato Erling Haaland.
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Il rapporto tra Guardiola e i centravanti
C’è un po’ di confusione nel raccontare il rapporto tra Guardiola e i centravanti, trattato come fossero il gatto col topo, quando invece sarebbe più giusto parlare di gatto con le scatole di cartone. Al primo anno al Bayern Monaco il centravanti di Guardiola era stato Mario Mandzukic, che in quella stagione segnò 26 gol in 40 partite, la sua migliore di sempre a livello realizzativo. Il croato è stato forse il 9 meno tecnicamente dotato incrociato dall’allenatore spagnolo e il più vicino all’ideale vecchio millennio del centravanti (alto, grosso, dominante sui palloni alti), eppure non si fece problemi a schierarlo per tutta la stagione, nonostante una rosa che gli avrebbe permesso di usare lo spazio come centravanti, se proprio avesse voluto (Muller fu schierato come centravanti per qualche partita nel finale di stagione, lui che diventerà con Guardiola “il cacciatore di spazi”).
Non fu un rapporto idilliaco, tutt’altro, ma i motivi non furono tattici o dovuti all’odio di Guardiola per le persone sopra il metro e ottanta. Il Bayern Monaco decise di puntare su Lewandowski per la stagione successiva e Guardiola non si fece problemi a scaricare Mandzukic. «Avrebbe avuto molto più senso se mi avesse detto che non rientravo nella sua filosofia» fu il commento di Mandzukic, che cercò di giustificare la sua cessione come colpa, appunto, del cattivo rapporto di Guardiola con i centravanti, ma la causa fu piuttosto legata a una antica legge del calcio, secondo la quale perdi il posto se arriva qualcuno più forte di te.
Con Lewandowski furono due anni idilliaci - e non poteva essere altrimenti - e spesso il centravanti polacco ha parlato di come Guardiola gli abbia «insegnato a guardare il calcio dall'altra parte», «cambiato la mia visione del calcio al 100%». Si può dire che Guardiola abbia accentuato il lato associativo di Lewandowski, e sarebbe stato strano fare altrimenti con un calciatore così dotato tecnicamente, ma certamente non che ne abbia cambiato il posto in campo o le funzioni da punta.
Le sei stagioni al City fin qui possono essere divise in due fasi, se parliamo di centravanti: prima del calo di Aguero e dopo. L’argentino poteva essere un numero nove atipico per fisico, ma certo non lo era per gioco e nel City di Guardiola ricopriva il ruolo sfruttando al massimo le sfumature del suo talento, tuttavia senza scivolare in altri ruoli. Quando per motivi atletici e di infortuni Aguero ha smesso di dare garanzie, Guardiola ha provato a sostituirlo con Gabriel Jesus, acquistato proprio in previsione di diventare il nuovo nove del City, ma non è sembrato convintissimo della soluzione (e sarebbe interessante capire cosa non abbia funzionato). L’allenatore spagnolo è arrivato anche a schierarlo come esterno, o lasciarlo in panchina, per tornare a discutere il ruolo di centravanti. Lo ha fatto trovando soluzioni raffinate e funzionali - come il doppio falso nove con cui è arrivato in finale di Champions la scorsa stagione - ma che sono sembrate dovute all’assenza di alternative più che alla reale volontà di ridefinire i canoni del ruolo (a differenza, per esempio, dei falsi terzini, una scelta dovuta non alla mancanza di terzini, ma alla volontà di averli dentro al campo). Negli ultimi anni, con funzioni e caratteristiche sempre diverse, abbiamo visto de Bruyne centravanti, Bernando Silva centravanti, Sterling centravanti, Mahrez centravanti. L’ultima soluzione è stata Foden falso centravanti, ed era sembrata un'ottima idea, per un giocatore dal talento cristallino ma dalla collocazione ancora ambigua.
Guardiola ha sperimentato molto perché è nella sua natura, perché non ha paura di rischiare alla ricerca di soluzioni migliori. La rosa del City negli ultimi anni si è affollata di giocatori offensivi di talento ma nessuno adatto al ruolo di “punta pura” (a parte appunto Gabriel Jesus), sperimentare così era anche una necessità. Tutte le estati, da qualche anno a questa parte, si accostavano al City i migliori centravanti del mondo e, forse, è stato Guardiola a preferire che i soldi venissero spesi altrove, oppure non c’è mai stata la reale possibilità di arrivare a un centravanti abbastanza forte da vestire la maglia del City, almeno fino a oggi.
Erling Haaland a Manchester
Pur giovanissimo, l’arrivo di Haaland al City - oltre l’aspetto emotivo legato al passato del padre con la stessa maglia - sembra il tassello perfetto per completare il puzzle. Se non è mai stata una lamentela di Guardiola, almeno in pubblico, da un po’ si era individuata nella mancanza di un finalizzatore di alto livello il limite del City. In questa stagione ben sei giocatori di Guardiola sono in doppia cifra per numero di gol e le responsabilità in attacco sono divise in maniera abbastanza equa. Il totale dei gol segnati e le statistiche avanzate dicono che la mancanza di un riferimento unico offensivo non pregiudica la conversione delle occasioni del City (sono la seconda miglior squadra della Premier nel rapporto tra gol fatti e xG creati e anche in Champions sono tra le migliori), eppure la doppia sfida con il Real Madrid, ma anche quella prima col Atletico, hanno mostrato una mancanza di qualcosa (fisico? talento? istinto?) negli ultimi metri di campo. Sul Guardian Barney Ronay, per esempio, ha scritto che l'assenza di un centravanti puro ha limitato le possibilità del City.
Oltre agli errori di Grealish nel finale della partita con il Real Madrid, nelle sfide con il Liverpool - le partite che anche nella prossima stagione dovrebbero definire la Premier - gli attaccanti del City hanno sbagliato diverse occasioni limpide o non sempre hanno occupato l’area di rigore nella miglior maniera possibile. In un paio di occasioni Sterling si è mostrato poco deciso nella finalizzazione, nel recupero Mahrez ha sbagliato un gol da solo davanti alla porta, che avrebbe chiuso prima il discorso titolo in Premier. Nella semifinale di FA Cup Gabriel Jesus sbaglia almeno due grandi occasioni, tirando addosso ad Alisson.
Idealmente è qui che Haaland deve risolvere un problema, semplicemente facendosi trovare al posto giusto al momento giusto, per poi segnare quasi ogni singolo pallone in area di rigore con quel misto di aggressività e cinismo che gli ha permesso fin qui di tenere la media di un gol a partita negli ultimi quattro anni (29 gol in 27 partite col Red Bull Salisburgo, 85 in 88 partite col Borussia Dortmund, 15 in 17 partite con la Norvegia). Di Haaland come mostro venuto dallo spazio ne abbiamo già parlato (e lo abbiamo fatto, in più occasioni, c’èda dire) e vederlo nelle mani di uno dei migliori allenatori al mondo, in una delle squadre che attacca di più e meglio, con accanto alcuni dei migliori rifinitori è sicuramente eccitante.
Messa così sembra che nulla possa andare storto, tuttavia Haaland ha sempre giocato in squadre con poche pressioni, con un’idea di calcio che calza a pennello con le sue caratteristiche e soprattutto in campionati dove la sua superiorità atletica gli dava dei vantaggi evidenti. Al City si troverà in una squadra molto diversa e in un campionato che spesso si rivela complicato per chi viene da fuori. Inoltre gli verrà chiesto di risolvere le partite più importanti, non di certo di segnare il sesto o il settimo gol in chiusura di vittorie comode. C’è da dire che finora Haaland non ha mai sofferto i passaggi di livello. «Ogni volta che lo mettevo contro avversari migliori» ha raccontato il suo primo allenatore di quando era bambino «Erling semplicemente continuava a segnare. Era lo stesso schema, sempre, dal primo giorno». Haaland ha continuato a segnare gli stessi gol passando dal campionato austriaco a quello tedesco, in Champions League ha segnato a Liverpool, Napoli, PSG e Siviglia. Eppure la doppia sfida proprio contro il City, nella Champions 20/21, ha mostrato delle piccole crepe. La squadra di Guardiola riuscì a contenere Haaland in maniera abbastanza agevole, senza mai concedergli quelle ricezioni che lo rendono difficile da marcare.
Haaland si trova a suo agio quando può ricevere fronte alla porta e scatenare l’inferno: più campo ha davanti peggio è per i difensori avversari. RB Salisburgo e Borussia Dortmund cercavano di attaccare in maniera diretta e veloce appoggiandosi al gioco di Haaland (che a sua volta si è sviluppato in funzione di questo tipo di calcio). Al City troverà avversari più chiusi e compagni che non cercheranno di dargli il primo pallone disponibile. Guardiola non snaturerà il suo calcio di possesso per giocarne uno di rimessa, e in questo Haaland dovrà sicuramente trovare le misure. A margine della recente vittoria con il Wolverhampton l'allenatore spagnolo si è detto sicuro che il norvegese «si adatterà velocemente al nostro modo di giocare».
Haaland certo vedrà diminuire le occasioni in cui può correre in campo aperto. Non che smetterà di fare gol come questi, l’intensità delle squadre di Premier finisce per creare spesso momenti di partita in cui avere il controllo è semplicemente impossibile. In queste situazioni, che sono quelle che Guardiola ha sempre cercato di limitare o di provare a girare a suo vantaggio con soluzioni poco ortodosse, Haaland è di per sé una garanzia. Negli anni al Borussia Dortmund ha anche imparato a essere meno precipitoso, alternare momenti in cui prova a percorre il campo di pura forza - potete facilmente trovare su internet alcune delle sue corse - ad altre in cui si mostra più controllato, meno animalesco.
Haaland continua ad avere una visione dinamica e istintiva del gioco del calcio, ma sta introiettando più sfumature, guardate per esempio il tempo che si prende per aspettare la corsa di Witsel in questo che è uno degli ultimi assist fatti con la maglia del Borussia.
Principalmente, però, gli sarà chiesto di muoversi alle spalle di difese schiacciate per creare i presupposti per i filtranti di de Bruyne o di cercare il suo spazio dentro aree intasate per ricevere i cross bassi dagli esterni che arrivano sul fondo. Il City non usa i cross alti, ma con Haaland può diventare un’altra soluzione non banale vista la batteria di crossatori a disposizione sugli esterni (Cancelo, Walker, ma anche Mahrez e Grealish).
Soprattutto la connessione con de Bruyne (che ha già imitato l’esultanza del suo nuovo compagno) può essere particolarmente proficua. L’intelligenza e la rapidità con cui Haaland si muove tra i difensori avversari, non accontentandosi mai di ricevere da fermo tra i piedi, ma capendo sempre qual è il taglio giusto o il contromovimento migliore per ingannare il difensore, si sposa bene con la visione di gioco del belga. In questo lungo articolo su The Athletic si analizzano tutte le statistiche avanzate riguardo sua capacità di crearsi e convertire le occasioni in area di rigore e nessuna squadra più del City può garantirgli palloni negli ultimi sedici metri. Solitamente i centravanti, anche i migliori, ci mettono anni per arrivare a questo livello di produzione, essere così essenziali, ma a 22 anni Haaland è già capace di scegliere con accuratezza le sue conclusioni e di segnarle con altrettanta precisione, trovando anche angoli impossibili e calciando in situazioni in cui sembra impossibile ricavarsi un gol.
Un esempio, a caso, della sua capacità di ingannare i difensori con i suoi movimenti e crearsi spazi.
Haaland è invece meno incisivo quando riceve in maniera statica o quando gli è chiesto di giocare spalle alla porta. Non è molto tecnico, ma ha una visione di gioco e una rapidità istintiva che se canalizzate possono arricchire il suo bagaglio. Nelle tre stagioni in Germania il numero di passaggi e assist per 90’ è cresciuto costantemente, fino ad arrivare a livelli di élite in questa (è nel 97esimo percentile per assist tra gli attaccanti). Numeri che fanno pensare come il norvegese possa essere non solo il finalizzatore del lavoro dei compagni, ma possa - col tempo e col lavoro - diventare parte integrante delle trame della squadra di Guardiola.
Per farlo diventare rapidamente parte del battito del City, Guardiola dovrà cercare di non stressarlo con richieste troppo elaborate (molti giocatori al primo anno con lui trovano qualche difficoltà), ma al tempo stesso non rinunciare a modellare anche questo lato del suo gioco, ancora molto grezzo. Sarebbe sbagliato considerarlo un calciatore già finito, senza ulteriori margini. I miglioramenti di Lewandowski con l’allenatore spagnolo possono essere un buon riferimento.
Per Haaland, un attaccante di 22 anni che finora ha visto ogni cosa piegarsi al suo volere troppo facilmente, sarà una sfida difficile non solo nell’adattamento ma anche nelle responsabilità che avrà. A meno di improvvisi cambiamenti, il suo passaggio al City dovrebbe coincidere con quello di Mbappé, il rivale nella sfida Messi-Ronaldo del futuro, al Real Madrid. Dove il francese ha scelto di sposare la causa di un club della vecchia nobiltà europea, dopo aver provato a scalare il mondo con il PSG, Haaland arriva in Inghilterra per affermare invece la definitiva superiorità dei nuovi ricchi. Al City non è bastato dominare la Premier, sta per vincere il quarto titolo in cinque anni con numeri semplicemente irreali, per affermarsi come il miglior club al mondo. Per farlo deve vincere la Champions League, più volte, nei prossimi anni. Fare 40 gol e vincere in Inghilterra non basterà a renderlo più grande di così.
In un murales che gli hanno dedicato nella sua città natale, Byrne, compare la scritta “Parla coi piedi, e tutto il resto andrà bene”, nessun augurio sembra più azzeccato per questa nuova tappa della sua carriera.