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Lo stretto legame tra Bolsonaro e il calcio brasiliano
19 nov 2018
Se il rapporto tra Bolsonaro e i calciatori brasiliani è così vicino c'è un motivo.
(articolo)
9 min
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Ronaldinho Gaúcho, Felipe Melo, Rivaldo, Lucas Moura, Jadson, Carlos Alberto Gomes de Jesus, Roger, Edmundo, Cafu, Dagoberto, Diego Souza e tutto l’Atletico Paranaense. Questa la squadra e alcuni tra i più influenti calciatori che hanno sostenuto la candidatura di Jair Bolsonaro, ex-militare di estrema destra eletto presidente del Brasile il 28 ottobre 2018. Bolsonaro ha ottenuto il 55,13% dei consensi, sconfiggendo al ballottaggio Fernando Haddad, candidato del Partido dos Trabalhadores di Luis Inácio Lula da Silva. A Haddad non è bastato l’appoggio di 69 tifoserie organizzate, tra cui la Gaviões da Fiel, dello Sport Club Corinthians Paulista, tra le più numerose del paese.

«Tu che sei socio della Gaviões da Fiel, conosci la storia della tua torcida? Sai che nell’anno della nostra fondazione, nel 1969, vivevamo in piena dittatura militare? (…) Sai che i nostri fondatori hanno subito ritorsioni per aver alzato la loro bandiera in nome della democrazia e dei diritti del popolo? (…) Siamo una tifoseria che difende i diritti del popolo e non possiamo permettere che il nostro maggior rappresentante sia contro di noi e contro tutto ciò per cui lottiamo». Così Rodrigo Gonzalez Tapia, “Digão”, presidente della Gaviões, si è rivolto ai soci della tifoseria che intendevano votare Bolsonaro. Per il Corinthinas e per il Brasile, non sono però più i tempi di Socrates e della Democracia Corinthiana, dell’impegno civile e della resistenza all’autoritarsimo, fuori e dentro il campo.

Nostalgico della dittatura – uno dei suoi idoli dichiarati è il colonello Carlos Alberto Brilhante Ustra, torturatore del regime –, omofobo, contro i diritti LGBT, a favore del porto d’armi generalizzato e della “Scuola senza partito”, progetto di legge che pretende arginare la presunta indottrinazione socialista nelle scuole e nelle università brasiliane, Bolsonaro ha molto a che spartire con la cultura e i valori attuali del calcio verdeoro. In particolare, due sono i pilastri su cui si fonda tale relazione: il fanatismo religioso e il fanatismo patriottico.

Brasil acima de tudo, Deus acima de todos

«Voglio ringraziare Dio per il gol, la mia famiglia. Questo gol è per il nostro futuro presidente Bolsonaro», ha dichiarato Felipe Melo nel post-partita di Bahia-Palmeiras, giocatasi il 19 settembre 2018 a Salvador. Non era la prima volta che il centrocampista del Palmeiras manifestava la propria simpatia nei confronti di Bolsonaro. In un video pubblicato su YouTube la mattina del 1 maggio del 2017, Melo celebrava così la festa del lavoro: «Dio benedica i lavoratori e mazzate ai fannulloni! E daje addosso Bolsonaro!». A fine giornata divulgava poi un secondo video, in cui precisava che i fannulloni a cui si riferiva non erano i disoccupati in cerca di lavoro, ma la gente che “vuole tumultuare il nostro paese. Un abbraccio (…) Che Dio vi benedica e si, sono per Bolsonaro”.

Nelle esternazioni politiche di Melo, Dio, il Brasile e Bolsonaro vanno sempre a braccetto. Il 28 ottobre 2018, a urne ormai scrutinate, il giocatore posta su Instagram una sua foto in cui mima il gesto della pistola, marchio di fabbrica di Bolsonaro, accompagnata dalla seguente didascalia: «Il Brasile sopra ogni cosa, Dio sopra tutti. @jairmessiasbolsonaro presidente del Brasile!! #patriaamadabrasil (Brasile patria amata), #bolsonaroneles (daje addosso bolsonaro) #obrigadojesus (Grazie Gesù), #jesusémeumito (Gesù è il mio mito)».

Sulla stessa linea si sono espressi, tra gli altri, Lucas Moura: «Che sia l’inizio di un tempo nuovo e che, finalmente, il nostro paese inizi a camminare verso una nazione giusta, onesta e prosperosa. BRASILE SOPRA OGNI COSA, DIO SOPRA TUTTI!!!»; Rivaldo: «Felice la nazione il cui Dio è il Signore (…) Auguri, Presidente Bolsonaro, che Dio benedica il tuo mandato»; Edmundo: «Felice la nazione il cui Dio è il Signore. Benedici, Signore, il nostro Brasile»; Neymar padre: «Il nostro paese ha un nuovo presidente. Che Dio lo illumini e lo guidi verso un governo che porti progresso al nostro paese»; Dagoberto: «Adesso c’è finalmente qualcuno che mi rappresenta, Il Brasile sopra ogni cosa, Dio sopra tutti. Dio è fedele e giusto». Come l’Atletico Paranaense, che il giorno prima delle elezioni è entrato in campo con una maglietta gialla con su scritto “Vamos todos juntos por amor ao Brasil” (Tutti insieme per l’amore verso il Brasile).

Ronaldinho ha invece giustificato il suo endorsment a Bolsonaro con un generico riferimento alla necessità di un “Brasile migliore”. «Il Brasile sopra ogni cosa, Dio sopra tutti». Era questo lo slogan della campagna di Bolsonaro.

Un racconto di salvezza

Come Felipe Melo, Lucas Moura e la gran parte dei giocatori brasiliani oggi in attività, Bolsonaro è evangelico. O meglio, si è recentemente convertito all’evangelicalismo. È stato battezzato in Israele, nel fiume Giordano, il 12 maggio del 2016, lo stesso giorno in cui il Senato votava l’apertura del processo di impeachment dell’ex-presidente Dilma Rousseff. La sua candidatura è stata sostenuta da Edir Macedo, leader della Igreja Universal e proprietario della Grupo Record, azienda di telecomunicazioni di cui fa parte la TV Record, terza rete televisiva del Brasile in termini di audience, e Silas Malafaia, capo spirituale della Assembleia de Deus Vitória em Cristo.

In modo del tutto simile a un Neymar che si inginocchia e alza le mani al cielo dopo un gol, Bolsonaro ha iniziato il suo primo discorso da presidente eletto con una preghiera di ringraziamento a Dio. Condotta dal senatore, pastore, cantante gospel e probabile futuro ministro della famiglia Magno Malta, l’orazione è un misto di profezia, misticismo e propaganda elettorale:

«Abbiamo iniziato quest’avventura pregando. E il movimento di Dio… Nessuno sarà mai in grado di spiegarlo… I tentacoli della sinistra non sarebbero mai stati strappati via senza la mano del Signore (…) Signore mio Dio e mio padre, in questo momento ti siamo grati. Sono stati anni di lotta, anni a parlare con il popolo, chiedendo la tua protezione. A parlare della famiglia, del paese, della cura dei nostri bambini. Dio nella vita, Dio nella vita della famiglia, nella vita del Brasile, lottando contro la corruzione, affrontando tutto e tutti. Questo è un momento di festa, ma è soprattutto un momento di gratitudine (…) Dobbiamo ringraziare il Signore per ciò che ha fatto: ha fatto rialzare Jair Bolsonaro due volte, perché il Signore non ha lasciato che la morte se lo portasse via, in un momento di aspettative e di sogni del popolo brasiliano [riferendosi all’attentato subito da Bolsonaro il 6 settembre 2016 a Juiz de Fora] (…) Il signore ha unto Jair Bolsonaro e, a partir da oggi, Bolsonaro sarà il presidente di tutti, un presidente che ama la propria Patria, un vero cristiano, un patriota pieno di fede, coraggio e speranza».

Le parole di Malta evidenziano il nucleo duro della narrazione del “Brasile sopra ogni cosa, Dio sopra tutti”: la fede incondizionata nel volere divino. Per gli adepti del motto bolsonarista, niente accade per caso. Nel calcio come nella politica tutto è parte di un disegno superiore: l’impeachment di Dilma, l’attentato a Bolsonaro, la morte scampata, l’elezione, l’eradicazione dei tentacoli della sinistra, un gol segnato, un gol subito, il 7-1 contro la Germania nella semifinale dei mondiali del 2014, l’esonero di Dunga e le vittorie successive di Tite, l’eliminazione contro il Belgio agli ultimi mondiali, il sesto titolo che ancora non arriva, ma che prima o poi, quando Dio vorrà, arriverà. In questa trama in cui le cose non dipendono dalla volontà terrena, gli uomini, siano essi centrocampisti del Palmeiras o ex-militari candidati alla presidenza, non scelgono e non decidono per loro conto. Più che agenti, sono agiti. Nel bene e nel male. «Non c’è spiegazione, se Dio ha permesso che ci succedesse questo, è perché più avanti sorrideremo», ha detto Neymar dopo il 7-1. È stata un’elezione difficile, che può essere spiegata soltanto dall’intervento “dell’amore di Dio”, ha dichiarato Bolsonaro in un’intervista concessa a Malafaia il 30 ottobre 2018.

Ora, non è un caso che, in un paese che negli ultimi decenni ha assistito a una crescita esponenziale dell’evangelicalismo (si veda qui e qui), siano sorti il desiderio e il bisogno dell’uomo forte, del salvatore della Patria che, unto dal Signore, è chiamato a mettere le cose a posto. E prima ancora del desiderio e del bisogno del salvatore, il desiderio e il bisogno della narrazione del salvatore.

Negli ultimi 5 anni, dalle rivolte del giugno del 2013 alle elezioni di ottobre 2018, passando per l’impeachment di Rousseff, le politiche di austerità del governo Temer e l’arresto di Lula, il racconto del “Brasile paese del futuro” è andato vertiginosamente frantumandosi. Allo stesso tempo, si è sedimentata la percezione di una nazione alla deriva, in preda a una crisi economica e sociale senza vie d’uscita, di cui il PT è stato additato come principale responsabile. Al radicamento di tali convinzioni, il 7-1 contro la Germania ha contribuito in maniera significativa. Il senso di smarrimento politico-sociale si fa, a partir da lì, sempre più acuto e tangibile. In qualche modo, è come se il Brasile avesse perso le redini della propria storia, o anche solo di una storia, di un racconto a cui credere.

Quando nel 2016 Tite assume la guida nazionale, dando inizio alla serie di vittorie che riporterà il Brasile in testa al girone di qualificazione per i mondiali del 2018, qualcuno inizia a proporlo come candidato-presidente. Nel marzo del 2017, un sondaggio gli attribuisce il 15% dei consensi. Lui chiede pubblicamente di farla finita con lo “scherzo”. Dice che la politica è una cosa seria, che questa storia lo mette a disagio e che la sua missione è un’altra.

È in questo solco che si è instaurato il discorso mistico-patriottico di Bolsonaro. Il vuoto in cui fa breccia lo slogan “Brasile sopra ogni cosa, Dio sopra tutti” non è un mero vuoto di rappresentanza politica. È anzitutto un vuoto narrativo. Il secondo nome di Bolsonaro è Messias: Jair Messias Bolsonaro. Il soprannome più diffuso e utilizzato dai suoi simpatizzanti per riferirsi alla sua figura “Mito”. Prima ancora che come candidato, Bolsonaro si è affermato come una storia, un racconto giusto, “il” racconto giusto al momento giusto, una narrazione di salvezza efficace. Efficace proprio perché dichiaratamente antipolitica e apertamente religiosa, ricca di allusioni e riferimenti espliciti all’universo simbolico cristiano, a partire dal nome. Detto altrimenti, più che una parabola politica quella di Bolsonaro è stata, finora, una politica parabolica di successo.

Resta un dubbio: e se Tite avesse infine deciso di candidarsi?

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