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Libidine Musetti
11 lug 2024
11 lug 2024
Contro Fritz una partita da svenire.
(foto)
IMAGO / ABACAPRESS
(foto) IMAGO / ABACAPRESS
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Viene quasi da ridere a scriverlo, ma Musetti è in semifinale a Wimbledon. Nemmeno nelle nostre fantasie più sfrenate avremmo potuto immaginarlo. È stato un pomeriggio mistico in cui dal televisore sembrava baluginare il fantasma di Roger Federer. E dall’altra parte il suo avversario era ridotto a uno di quei giocatori che Federer faceva sembrare degli esseri umani, prima che dei tennisti, inadeguati a quei palcoscenici.



La partita ha rischiato di finire un punto prima della vera fine per KO tecnico, visto che, per recuperare la millesima smorzata sadica di Musetti, Taylor Fritz per poco non si rompeva il ginocchio. Come se il suo corpo fosse troppo goffo e pesante per le parabole impossibili di Musetti. In conferenza stampa l’americano è arrivato a testa bassa, e con l’aria di uno che si è fatto un paio di mesi di isolamento carcerario. Arrivava al quarto di finale da stra-favorito, e forse non aveva ancora capito del tutto cosa gli era successo.



C’è stato un momento, nel quinto set, in cui il tennis ha sconfinato totalmente nella fantasia. Dalla racchetta di Musetti fioccavano rovesci in controtempo, accelerazioni in anticipo, palle corte, back stesi sul prato come sul dorso d’acqua. Pallonetti al volo, tocchi da pickleball. Colpi che non sono in nessun manuale sul tennis, che Musetti ha plasmato col suo istinto profondo per questo gioco. Non sembrava esserci un rapporto razionale di causalità nei suoi scambi, ma un ritmo e una geometria tutti personali, inclassificabili. Un gioco simile al barocco di certe chiese di Palermo; il tennis è diventato pieno di cose e dettagli, di gesti volutamente complicati, di una creatività grassa e ostentata. E Fritz ha cominciato a perdercisi dentro, come possono fare appunto certi turisti americani in giro per chiese italiane in questi giorni di canicola. Per Fritz la partita è stata a tratti imbarazzante. Non c’è altro modo per definire quelle corse ingobbite a rincorrere le palle corte in avanti, e poi i lob che lo scavalcavano puntualmente. E lui che, inevitabilmente, cercava di non mollare. E meno mollava più il suo avversario lo spostava al guinzaglio da una parte all’altra. E poi quei colpi smarriti, completamente deragliati, come se ci vedesse doppio.



Eppure la partita non era cominciata così.



L’americano sembrava avere una cilindrata troppo alta per Musetti. Il suo gioco muscolare e contemporaneo l’unica risposta possibile al tennis di oggi. Il primo set era stato chiuso senza incertezze, e nel secondo Musetti ha subito un break precoce, che sembrava chiudere la partita. Girava anche voce di un problemino al ginocchio di Lorenzo, che arrivava precario al match. Non sembrava esserci speranza. Pochi giocatori, mentre perdono, restituiscono un’impressione di debolezza come fa Musetti. Non si tratta dei soliloqui con sé stesso, e nemmeno delle bestemmie; ma dell’idea che il suo tennis sia troppo poco per giocarsela; che il suo tennis, a stringere, non sia competitivo. La fragilità di Musetti, che è quella dei grandi talenti artistici dello sport di oggi, fa parte del bagaglio della sua esperienza. Nell’arco della stessa partita, spesso di pochi minuti, passiamo dal pensare Non può giocare a questi livelli a È il più grande giocatore vivente.



Per un set è stata la partita di Fritz. Una partita convenzionale, come ci si aspetta dal tennis nel 2024. Un gioco essenziale, asciugato attorno ai colpi di inizio scambio, a un dritto dominante che comanda col pugno duro. In questa partita, per questo tennis, Musetti non è all’altezza. Non poteva fare una partita di forza con Taylor Fritz, lo sapeva, e dopo un set e mezzo passivo e spaventato, è riuscito a sottrarsi. Ha immaginato una partita diversa, ed è riuscito a crearla.



È diventata una partita d’astuzia, d’improvvisazione, un tennis fuori dal tempo e a suo modo ipnotico. È diventato difficile districare la bravura di Lorenzo e la sciaguratezza di Fritz, che è sembrato ubriacato dal tennis funambolico di Musetti. Uno che giocava dopo aver bevuto da un bicchiere drogato. Fritz ha cominciato ad andare al manicomio, con tutte quelle variazioni, le traiettorie spezzate, le palline che si sgonfiano per aria, rimangono a galleggiare in sospensione più del normale.



Musetti si è costretto a stare con i piedi vicini alla riga di fondo. È sfuggito alla tentazione di lasciarsi risucchiare dai teloni, dove cerca nel tempo un alleato, per giocare il suo tennis creativo. Si è costretto a fare a meno del tempo, a giocare di controbalzo, a improvvisare la meccanica dei suoi colpi teoricamente troppo macchinosa per l’erba. Giocava di controbalzo di dritto e di rovescio, e a Fritz tornavano indietro delle risposte troppo in fretta. Dove perdeva in potenza, guadagnava in anticipo. E la partita ha iniziato a intorbidarsi, a diventare difficile da leggere. E l’americano è sembrato ottuso, troppo elementare, per la complessità che aveva dinanzi. Troppo poco sensibile. Questo punto descrive la cottura a fuoco lento a cui è stato sottoposto Fritz nel match.





Musetti è riuscito ad allungare gli scambi, a rallentare il tennis. La sua straordinaria creatività è stata messa anche al servizio dei colpi difensivi. Nei punti in cui veniva sbattuto fuori dal campo, e doveva tirare in equilibrio precario, improvvisava dei colpi di puro braccio, in chop o in back, che gli permettevano di rimettersi in posizione. Fritz è stato obbligato a pensare, e nella sua mente si sono fatte strada insicurezza non solo tecniche. Era la quarta volta che arrivava a un quarto di finale di uno Slam, e aveva un’occasione irripetibile per raggiungere la semifinale. E stava buttando via tutto. Nel quarto set l’americano ha avuto una reazione, alzando soprattutto il rendimento al servizio. Annullate una serie di palle break, ha sfruttato le proprie, vinto il set e spostato di nuovo l’inerzia della partita dalla propria parte.



All’inizio del quinto nutrivamo ben poche speranze su Musetti: un perdente epico in questo tipo di partite. Non si contano più i match giocati in modo spettacolare, contro avversari con cui partiva sfavorito, e persi al quinto set, o comunque per pochi dettagli. È sempre sembrato che il tennis di Musetti fosse cognitivamente troppo dispendioso per poter reggere sulla lunga distanza contro avversari più dotati - che riescono a economizzare il tennis attorno a servizio e dritto. Lo davamo per spacciato, insomma.



Per questo è stato ancora più emozionante vederlo trasformare, nel quinto set, il campo di Wimbledon in un palco per l’esibizione del proprio talento personale. Musetti è un maestro dell’illusione, con i suoi colpi impossibili, ma anche perché riesce sempre a sorprenderti nel bene o nel male. Tocca nadir tecnici ed emotivi deprimenti, e poi gioca come l’utopia incarnata di un giocatore. Sembra che ti stia manipolando come il ragazzo o la ragazza di cui siete innamorati di un amore totale e velenoso. Un giorno ti fa sentire l’amore più puro, e poi non ti risponde ai messaggi per una settimana.



Nel quinto set ha tirato fuori il repertorio completo. Sulla palla break, con Fritz sbattuto crudelmente da destra a sinistra, lo ha quasi scherzato. La palla gli è arrivata sul rovescio, e invece di accelerare lungolinea ha tirato un back incrociato aggressivo a metà campo - un colpo arrivato così inavvertitamente da aver provocato un muggito del pubblico. Uno scambio poi chiuso da un vincente lungolinea di dritto.



Sono scambi di straordinario ingegno e creatività - e che richiedono quantitativi generosi di concentrazione. Si evoca Federer per gioco, visto che le partite di Federer erano punteggiate di questi momenti ma sostenuti da un’architettura minimalista di servizi e dritti e scambi brevi. Per Musetti il tennis è invece soprattutto questa lunghissima invenzione che somiglia a un sogno. Un gioco difficile da mettere in pratica, meraviglioso quando riesce. Non è semplice affrontarlo per un giocatore di oggi, perché nessuno gioca come lui. Nessuno ha il suo tennis così sottile, velenoso, che ti entra sottopelle e ti sabota dall’interno. Ti porta fuori equilibrio, a giocare in territori che sembrano appartenere a uno sport leggermente differente da quello che siamo abituati a vedere.



Da vedere è un’esperienza unica, perché sottrae il tennis della sua componente violenta e lo trasforma in un gioco molto più gentile e artistico. In questa stagione su erba, c’è da dire, Musetti ha messo anche tanta sostanza.



Due anni fa perdeva per tre set a zero da Fritz nel primo turno di Wimbledon. Un anno fa vinceva la sua prima partita su erba a livello professionistico. Il suo gioco non sembrava tagliato per questa superficie, che per quanto premi l’improvvisazione e la creatività, ha bisogno di servizi affidabili e gioco veloce. Quest’anno è cambiato qualcosa. Tra Stoccarda e il Queen’s è riuscito a battere giocatori navigati sul verde: Perricard, Bublik e un top-10 come De Minaur. Chissà se quella vittoria gli ha dato qualche consapevolezza in più. In questo Wimbledon è stato benedetto da un tabellone a dir poco fortunato, ma chi conosce Musetti sa che battere avversari alla portata è un grande problema. Ha battuto di nuovo Perricard, in forma straripante al servizio, e ora Fritz. Si muove bene, serve sempre meglio, la risposta bloccata è un’arma che sta imparando a usare con sempre maggior dimestichezza. Se riesce a non farsi aggredire troppo, può spostare facilmente il contesto strategico dalla propria parte. E poi abbiamo visto finalmente un Musetti capace di reagire alle difficoltà, che non entra in modalità auto-distruttiva alle prime cose che vanno storte. È la terza partita che vince in rimonta nel torneo: ha imparato a reagire, a trovare delle risposte tattiche, e a non arrivare col fiato corto nei finali. Tutti miglioramenti con cui ha messo le fondamenta concrete del suo talento, incredibile ma talvolta fumoso.



Certo, da anni Musetti è una grande speranza del tennis italiano, ma per arrivare alla sua prima consacrazione - almeno in uno Slam - ha percorso una strada non convenzionale, quasi incomprensibile. Non sai mai cosa aspettarti da lui, tra un colpo e l’altro, tra una partita e l’altra, tra un torneo e l’altro. Può mostrarti ogni registro: il tragico, il comico, l’epico e l’artistico fanno tutti parte dell’esperienza Musetti.



Inutile dire che sembra spacciato anche contro Novak Djokovic, da cui ha ha perso cinque volte su sei, ma in fondo non ce ne frega niente: fateci solo vedere Lorenzo Musetti giocare a tennis.


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