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Tutti gli equivoci su Lorenzo Musetti
01 mar 2024
È entrato in una nuova spirale negativa e l'opinione pubblica non gli perdona niente.
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27 min
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IMAGO / Beautiful Sports
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Lorenzo Musetti è in crisi. Compirà 22 anni tra un paio di giorni, ha appena iniziato la quarta stagione da protagonista stabile nel circuito Atp, e questa è la terza importante crisi di risultati che deve affrontare. Ha vinto solo 4 delle undici partite giocate nel 2024, e non è mai andato oltre il secondo turno di un torneo. Nella sua breve carriera da professionista ha mostrato l’inclinazione a entrare in spirali negative, in cui dà l’impressione di poter perdere da chiunque, in modi spessi masochistici e deprimenti.

Dopo essersi rivelato al pubblico nel 2021, nella seconda metà di quella stagione ha affrontato il primo momento complicato della carriera, perdendo una trentina di posizioni in classifica. Si è risollevato nella primavera del 2022, per poi mostrare nei mesi seguenti progressi sempre più entusiasmanti, coronati dai primi titoli nel circuito maggiore (500 di Amburgo e 250 di Napoli). L’inizio del 2023 è stato drammatico, con appena tre vittorie in dieci partite tra la leg oceanica, quella sudamericana e il Sunshine Double, ma si è poi rilanciato tra la terra e l’erba dell’Europa, toccando anche il suo best ranking (15° il 26 giugno). Da lì in poi, un abisso sempre più profondo di sconfitte e sconforto (non riesce a vincere due partite di fila da settembre), alleggerito soltanto dalla meravigliosa vittoria in Davis, in cui, tuttavia, è stato additato d’essere il Giona della spedizione, colui che con la sua sciagura rischiava di far naufragare la nave azzurra.

I suoi tifosi e in generale gli appassionati italiani di tennis (il cui numero è di recente in esponenziale crescita grazie alle imprese di Sinner) mostrano segnali di esasperazione sempre più forti nei suoi confronti. La poca pazienza che gli viene concessa per via della giovane età sembra oramai essersi esaurita. In questi casi, il pattern dell’insofferenza italiana è oramai collaudato su una serie di elementi: gli immancabili paragoni con Balotelli e Cassano, le sentenze su una carriera che non andrà da nessuna parte, gli inviti al ritiro, l’ironia sarcastica su questioni anche personali. Nei casi più gravi, le immancabili minacce e insulti alla famiglia. Musetti si è già protetto da tempo dall’hating diretto, chiudendo i suoi profili social al livore altrui, ma il polso della situazione attuale lo si può comunque trovare in ogni luogo di internet dove si discuta di tennis.

Sappiamo come l’odio verso gli sportivi nasca spesso dalla delusione e dalla disillusione dei fan, e certamente il continuo aumento di spettatori scommettitori (spinto dallo stesso sistema sportivo, che da questo trae profitti vitali) esaspera il discorso.

Oltre all’importanza dei risultati, però, ci sono altre dinamiche emotive più sottili che possono entrare in gioco nella strana danza tra attese e giudizi.

Ritrovarsi simbolo

Lorenzo Musetti rivendica spesso come già da Juniores si sia dovuto abituare a essere oggetto di un certo tipo di pressione, dovuto alle aspettative nei suoi confronti. Ma le speranze che hanno accompagnato il suo percorso non possono essere messe sullo stesso piano di quelle affibbiate, per esempio, a Jannik Sinner - che a un certo punto si è trovato sulla schiena il peso del riscatto di un intero movimento, a cui mancavano vittorie di primissimo piano da generazioni.

Il nome di Musetti è da sempre accostato al suo peculiare stile di gioco, analizzato già infinite volte in tutti i suoi dettagli tecnici. Musetti è fantasioso, geniale, dotato di una varietà di colpi che gli permette di spaziare su più registri, anche teoricamente antitetici tra loro. Ma è anche più propriamente artistico, per come coniuga la sua creatività a un certo gusto estetico ben standardizzato. Il fatto che sia nato e cresciuto a Carrara, in una famiglia impegnata nel settore del marmo, sembra quasi un segno del destino, visti tutti gli accostamenti al bello che lo riguardano. Lui stesso si è spinto a dire che la sua priorità è la perfezione estetica. Lorenzo Musetti è una macchina da highlights, per lui essere spettacolare è praticamente inevitabile: anche nelle sconfitte più tremende, riesce sempre e comunque a produrre un paio di giocate speciali, capaci di illuminare la scena.

Tennis Tv ha trovato modo di dedicargli un post anche durante l’ultima sconfitta, un 2-6 0-6 contro Zhang Zhizhen.

C’è poi il suo colpo più iconico, il rovescio a una mano, accostato al suo nome in modo praticamente meccanico. La Gazzetta lo ha definito «patrimonio dell’umanità» (dopo una sconfitta). In un circuito in cui questo colpo si coniuga in tanti modi, dallo stile sgraziato di Tsitsipas ed Eubanks fino alla potenza di Thiem, il pubblico vede in Musetti colui che più si avvicina a realizzare l’ideale stereotipato del monomane estroso ed elegante (in questo Shapovalov pare scavalcato).

Una richiesta particolarmente sentita in un periodo in cui questo gesto tecnico si sta gradualmente estinguendo. C'è appena stata la prima settimana della storia dello sport senza rovesci a una mano in top 10, un momento simbolico che sancisce uno sviluppo considerato già da anni come del tutto inevitabile. Questo colpo sta perdendo sempre più efficacia in un contesto in cui la velocità del gioco e delle palline – spinta dall’evoluzione dei materiali tecnici e della preparazione atletica – è sempre più difficile da controllare. Forse si può iniziare a considerare il rovescio a una mano come il residuo vestigiale di un organismo che sta completando l’adattamento al suo nuovo ambiente. Giusto qualche giorno fa Marco Bucciantini ha rinnovato la speranza che Musetti possa prolungare la vita di questo gesto tecnico.

Lorenzo Musetti è spesso etichettato come tennista d’altri tempi. A questa interpretazione contribuisce anche il modo in cui le sue prestazioni differiscono da una superficie all’altra, dall’indoor all’outdoor, dal livello del mare all’altitudine, dall’umidità al clima più secco. Musetti, nonostante abbia giustamente l’ambizione di essere competitivo ovunque, viene sempre visto come uno specialista, in un circuito che invece si spinge consapevolmente verso l’uniformità delle performance tra un torneo e l’altro.

Queste percezioni sono corroborate dalle vibrazioni, del tutto opposte, emanate in campo dagli altri illustri talenti della sua generazione, come Alcaraz, Rune e, appunto, Sinner. La leva dei tennisti nati a inizio millennio è formata generalmente da tennisti elettrici, che fondano il proprio gioco su accelerazioni e intensità. In questo gruppo, Musetti rappresenta un’eccezione peculiare. Da ragazzo lo chiamavano l’incantatore di serpenti, e mi piace pensare che questo soprannome non faccia riferimento solo al senso di incantamento che ricerca con il suo gioco, ma anche a come questo si incastrava con lo stile dei suoi rivali dell’epoca, che mostravano già i connotati dei predatori velenosi o costrittori.

Abbiamo già capito che questo video sarà riesumato prima di ogni incrocio tra Musetti e Sinner.

Le aspettative su Musetti, quindi, riguardano anche una simbologia di cui è stato suo malgrado oggetto fin dalla giovinezza, e che lo mette al centro di uno di quei conflitti tra fazioni ideologiche diverse che proliferano tra gli appassionati di sport. Un brodo primordiale da cui spesso, purtroppo, nasce l’hating.

E così le sue vittorie sono spesso cavalcate da una retorica nostalgica e conservatrice, mentre le sue sconfitte sono punteggiate dalla disillusione del sogno di rivedere un tennista d’altri tempi che si impone, come un vendicatore nel tennis contemporaneo. Viceversa, i partiti anti-nostalgici legati al tennis supersonico contemporaneo, refrattari al suo stile retrò e infastiditi dalla retorica che lo accompagna, non perdono occasione per infierire a ogni sua difficoltà.

C’è però in ballo anche un'ulteriore sfumatura di aspettative, più sottile. Definire Lorenzo Musetti come un atleta catapultato dal passato è chiaramente la semplificazione di un occhio pregiudizievole e disattento, mentre non mancano osservatori che hanno notato altri aspetti. Musetti fin da ragazzo ha mostrato una certa completezza stilistica, in cui si integra anche l’attitudine verso colpi tipici dei bombardieri da fondocampo. Nell’ultimo anno e mezzo il suo corpo sta fisiologicamente maturando e ha migliorato la sua esplosività atletica e la solidità del dritto e del servizio. Ora può assecondare meglio i cambi di spartito.

Analizzandone i promettenti progressi sulle superfici veloci nel 2022, Giorgio Di Maio concludeva citando una sorta di profezia annunciata da Jimmy Connors proprio in quel periodo: «Il prossimo grande tennista sarà diverso, una sorta di ibrido, mostrerà la potenza del tennis di attuale ma anche un atteggiamento da “vecchia scuola” per assomigliare a Roger Federer». In questa frase si scorge ovviamente l’auspicio che il futuro di questo sport non sia monodimensionale. Nei suoi momenti migliori, Musetti in effetti riaccende su di sé il sogno di poter incarnare questa sorta di figura messianica: il frutto di una Aufhebung hegeliana, un movimento che, partendo da un momento specifico, supera il suo opposto, negandolo e conservandolo al tempo stesso.

Non si tratta di una vera promessa razionale, quanto piuttosto di una suggestione che a volte aleggia attorno a Musetti e che rientra silenziosamente nel discorso anche se nessuno vuole esplicitarla. Mats Wilander, in un intervista post-partita direttamente sulla terra del Suzanne Lenglen, lo ha guardato negli occhi, chiedendogli: «ho rivisto in te sia Gustavo Kuerten sia Roger Federer, tu come pensi di essere, aggressivo o finesse

Del talento e dei suoi equivoci

Credo che si possa leggere tutta questa mole di sogni e aspettative all’interno di un più generale malinteso sul talento, spesso ingenuamente identificato, nel senso comune, con l’estro e la creatività. È un fraintendimento che si ritrova anche nello sport, il cui racconto insiste spesso sul tema del talento naturale e della sua realizzazione.

Una figura emblematica è stata quella di Gianmarco Pozzecco, cestista fantasioso e ribelle, a cui spesso si è stato rimproverato di non aver espresso il proprio potenziale. Di fronte a considerazioni di questo tipo, Pozzecco ha spesso ricordato gli inizi della sua carriera sportiva, quando giocava sia a calcio sia a basket ed era «talmente poco credibile» come cestista che suo padre (l’allenatore della sua squadra di basket) gli aveva consigliato di concentrarsi solo sul calcio. Pozzecco in effetti ha giocato ad altissimi livelli nonostante lo svantaggio di un corpo normale in un contesto, quello del basket, in cui sono fondamentali doti fisiche straordinarie. Ma non solo: ha dovuto anche pagare il dazio di un carattere poco congruente con le esigenze di una carriera professionistica, una personalità che – è bene sottolinearlo – non si è scelto, contrariamente a quello che alcuni si ostinano a credere. I suoi successi, considerate tutte le premesse e la sua predisposizione, andrebbero rivalutati, se non visti come effettivamente eccezionali.

C’è una fallacia nella percezione del talento – nello sport e oltre – che porta a dare un po’ per scontate certe qualità diffuse tra le persone di successo. La frequenza con cui si manifestano ad alti livelli le fa apparire come banali, quando invece si tratta di connotati speciali, che motivano l’alta competitività. E così le si interpreta come requisiti facilmente integrabili nel bagaglio di una persona, se non, addirittura, come una dotazione base dell’essere umano.

Nello specifico, l’idea che Musetti sia un talento puro si scontra con alcune semplici considerazioni tecniche e caratteriali sul suo conto. La previsione di Connors, per cui la sensibilità tecnica e la creatività saranno in futuro il vero quid dei tennisti migliori, è ancora in contrasto con un presente in cui l’efficienza nelle prestazioni sembra determinata da aspetti che hanno a che fare con ciò che, semplificando, possiamo chiamare solidità. Una solidità che si ritrova nell’abilità in risposta al servizio (che in questo periodo sembra spostare più del servizio stesso), nell’acume e la conoscenza tattica, nella forza mentale (fondamentale in uno sport individuale così psicologicamente logorante).

La varietà imprevedibile di Musetti e la sua eleganza naturale nell’eseguire certi colpi non sembrano in grado di muovere l’ago della bilancia in campo. E lì dove i più forti fanno la differenza, Musetti sembra naturalmente partire più indietro, alla luce di certi congeniti problemi in risposta, dell’ovvia difficoltà a incasellare la sua fantasia in pattern più geometrici, della tendenza ad abbattersi nelle difficoltà.

Anche Musetti deve fare i conti con i malintesi di un pubblico che tende già a dare per scontata la carriera che sta avendo e che fa fatica a comprendere le sue sconfitte. Si tratta di un tennista giovane che ha già raggiunto un ottimo livello di competitività pur seguendo una strada atipica, tanto interessante quanto difficile. Il suo gioco è molto impegnativo, richiede una enorme concentrazione e non permette errori: anche per questo le sue prestazioni sembrano dipendere tanto da una fiducia in sé stesso che, oggi, non può che essere oscillante. Questo spiega la tendenza a entrare in spirali negative, sia nel singolo match, sia nel medio periodo.

Non stupisce che la rivalità di lungo corso con Sinner, Alcaraz e Rune (tutti tennisti con un altro tipo di talento) sembri aver preso una piega asimmetrica. Negli ultimi confronti con questi avversari, Musetti è sempre uscito sconfitto, a volte restituendo un senso di impotenza. Particolarmente impressionante è stata la sconfitta contro Sinner l’anno scorso nei quarti a Montecarlo, dove Musetti è stato semplicemente piallato dal connazionale. Anche riconoscendogli la giustificazione di aver giocato con poche energie dopo il turno precedente (una vittoria contro Djokovic, la prima in carriera contro il numero 1 del ranking), bisogna ammettere che Musetti è sembrato inerme su un campo lentissimo dove, sulla carta, avrebbe potuto esprimere il suo miglior tennis.

Un rettangolo in salita

Tra i limiti di Musetti ce n’è uno che irrita particolarmente il pubblico: la sua tendenza a giocare abbondantemente dietro la linea di fondo campo, spesso sopra la scritta che reca il nome del torneo, ma a tratti ancora più indietro. Si tratta di qualcosa per cui viene sempre più frequentemente preso in giro in modo iperbolico: si dice che Musetti «gioca sui teloni», con riferimento al punto limite dello spazio utilizzabile. Il modo in cui i social sottolineano sistematicamente la tendenza nel posizionamento di Musetti è un fenomeno che si potrebbe definire telonismo. Ci sono momenti in cui Musetti sparisce dall’inquadratura televisiva e la palla sembra riconsegnata al di là della rete da un’invisibile forza misteriosa.

Quando Musetti arretra, il campo sembra inclinarsi, come se stesse giocando su un ripido pendio che lo porta a scivolare sempre più a valle. Nel frattempo, i colpi dell'avversario salgono di violenza, la larghezza del campo pare dilatarsi, e lui si trova costretto a spremere ogni sua dote atletica per muoversi da una parte all’altra. Una corrida in cui il più delle volte l’epilogo è un punto perso. Tutto questo ha una forte valenza simbolica e psicologica: è la prova più concreta delle varie disillusioni di cui ho parlato prima. Musetti è l’artista a cui il pubblico chiede controllo e dominio, ma che di fronte alla tirannia del tennis contemporaneo è costretto a essere passivo. È probabilmente il tennista con il repertorio offensivo più vario e completo del circuito, ma spesso è costretto a giocare affidandosi agli errori dell'avversario.

C’è un grosso equivoco collettivo sul fatto che Lorenzo Musetti giochi così perché in fondo lo vuole. Ogni qual volta viene interpellato sul suo gioco, Musetti sottolinea il suo desiderio e i suoi sforzi per riuscire ad essere più aggressivo in campo. In tanti non si capacitano di come non ci sia ancora riuscito e non vogliono riconoscergli attenuanti, né concedergli altro tempo.

Nel tennis, tra il dire e il fare non c’è di mezzo un semplice mare, ma un oceano. Modificare radicalmente certi aspetti del proprio gioco è un lavoro certosino, lungo, a volte esasperante, ma soprattutto è un impegno senza garanzie di successo. A Musetti non basta la semplice volontà per riuscire a giocare più spesso con i piedi dentro il campo, deve soprattutto ritoccare la meccanica di certi suoi colpi. Si tratta di tanti piccoli dettagli che definiscono movimenti complessi, particolari che vanno memorizzati fino a raggiungere la piena sicurezza - e quindi cambiare abito cognitivo in campo. Il "recency bias" causato delle vittore di Sinner ha già fatto dimenticare, per esempio, come la solidità al servizio del neocampione slam sia stata raggiunta dopo lunghi mesi in cui quel colpo pareva addirittura peggiorato nella sua efficienza.

Musetti sembra ancora nel pieno di un percorso simile: come è normale che sia, nelle fasi più semplici e interlocutorie di un match riesce in effetti a mostrare progressi interessanti, mentre in quelle più intense, complicate e decisive ricade con entrambi i piedi nei soliti problemi. Il match recente a Rotterdam contro Griekspoor è stato particolarmente significativo: Lorenzo ha vinto il primo set mostrando diversi picchi di aggressività a tutto campo, e poi ha perso i successivi, sconfitto in due tie break giocati da lontanissimo, cercando di speculare sulla fallosità dell’avversario.

In questo cammino così difficile, Musetti è costantemente accusato di svogliatezza oppure – quando gli viene riconosciuta perlomeno la voglia – di akrasia, debolezza della volontà. Non sono molti gli elementi con cui possiamo giudicare il lavoro dietro le quinte di un professionista. Musetti su Instagram posta ogni settimana video e foto che lo ritraggono sui campi e in palestra. Rispetto a due anni fa ha costruito un fisico scultoreo e mi viene difficile pensare che questo non sia frutto di sacrifici e duro lavoro.

Molti commentatori sembrano credere che Musetti sia un professionista indisciplinato, nonostante chi lo abbia visto lavorare lo ha sempre definito un ragazzo molto esigente e maniacale. Recentemente Paolo Bertolucci lo ha accusato di testardaggine e poca professionalità nei confronti del suo nuovo collaboratore Corrado Barazzutti.

Proprio il rapporto con lo staff è uno dei grandi topoi nell’atlante delle critiche a Musetti. In questo caso, il bersaglio principale è il suo head coach, Simone Tartarini, con cui ha un legame di lunghissima data che va al di là della semplice collaborazione professionale. L’importanza della figura di Tartarini sembra fondarsi non solo sull’affetto e su un importante vissuto condiviso, ma anche su una certa sinergia tecnica. Tartarini, dal principio, ha cercato di lasciar fluire la personalità tennistica di Musetti, senza cercare di ingabbiarla in uno stile più rigido e accademico.

Tartarini era un maestro di tennis ed è diventato coach di un professionista proprio perché ha seguito Musetti in tutta la sua crescita: già questo sembra alimentare pregiudizi nei suoi confronti, soprattutto da parte di chi vorrebbe vedere il tennista italiano allenato da un super coach, possibilmente un ex tennista di caratura mondiale (ho letto in giro invocazioni per Becker, Ljubicic, addirittura Federer). Dopo la vittoria su Djokovic a Montecarlo, Musetti ha voluto rivendicare il suo legame con Tartarini firmando in modo ironico la telecamera, un gesto che alcuni gli rimproverano e rinfacciano ancora oggi.

Quella del coach (e in generale dei propri collaboratori) è una scelta complessa, in cui entrano in gioco aspetti non soltanto performativi. Un tennista di alto livello passa la maggior parte delle settimane dell’anno lavorando in giro per il mondo, motivo per cui lo staff diventa un riferimento umano fondamentale.

In un passaggio interessante della lunga conferenza tenuta a Roma dopo la vittoria a Melbourne, Sinner ha detto che la decisione di rivoluzionare il suo staff, presa due anni fa, è stata un buttarsi nel fuoco. Ha voluto sottolineare i grossi rischi che ci si prende con scelte di questo tipo (chiedere a Rune per conferme) e ha addirittura ammesso che forse, senza cambiare, avrebbe già ottenuto risultati migliori di quelli effettivamente ottenuti. Il lavoro di Vagnozzi e Cahill sul suo gioco è così evidente che i due hanno vinto il premio ATP di coach dell'anno nel 2023. Però bisogna fare lo sforzo di leggere il primo strato di queste parole: la priorità di Sinner è stata la costruzione di un contesto di lavoro in cui tutte le persone coinvolte possano sentirsi a proprio agio: «il mio team non deve essere il team migliore di tutti: devono essere tutti delle persone che si capiscono».

Il senso di queste parole è stato ribaltato da una certa retorica giornalistica, che ha preferito enfatizzare quel cieco desiderio di miglioramento di sé che dovrebbe accompagnare il percorso dei vincenti. Non stupisce, quindi, che molti non riescano ad accettare la priorità che Lorenzo Musetti attribuisce agli equilibri nel suo contesto di lavoro, piuttosto che al perfezionamento totale delle proprie performance.

Emozioni, lamentele, bestemmie

Da sempre i giudizi su un tennista riguardano non solo gli aspetti tecnici, ma anche i comportamenti in campo. A Musetti è stata affibbiata la fama di ragazzo poco umile, e questo probabilmente c’entra con il suo gioco, che nella sua naturale spettacolarità può a volte essere frainteso come provocatorio, specialmente all’interno di un contesto ancora molto sensibile nei confronti del proprio galateo.

Inoltre, gli viene rimproverato spesso di non saper combattere e di essere, quindi, viziato. Il peccato originale risale al confronto con Djokovic al Roland Garros del 2021, quando dopo due set vinti incantando, è crollato e si è ritirato al quinto per infortunio. Un infortunio che alcuni ritengono fosse simulato, per non dover subire la mortificazione di due bagel consecutivi. Alla base, c’è sempre l’idea che gli umili siano coloro che accettano di farsi umiliare. Nella semifinale dell’ultima Davis, contro Kecmanovic, Musetti ha perso giocando tutto il terzo set sopra un problema muscolare, solo per rispetto della competizione, dei suoi compagni e dei tifosi. Non gli è stato dato credito per questo, e anzi per alcuni si è trattato, di nuovo, di un infortunio finto.

Lorenzo Musetti si pone in campo come un ragazzo molto emotivo, con una passionalità difficile da controllare, che lui stesso definisce «un avversario più duro di qualsiasi colpo». Sempre a Montecarlo 2022, dopo un derby contro Nardi dominato, gli è stato rimproverato di non aver lasciato neanche un game al suo avversario e di aver poi esultato eccessivamente. Musetti arrivava da uno dei suoi periodi neri e ha vissuto quel match con un'emotività quasi feroce, tanto da sembrare inopportuna.

Sono soprattutto le emozioni negative a caratterizzare i suoi comportamenti in partita. Mentre gioca, Musetti spesso vive la propria tragedia, e la vive sinceramente, ma – a differenza di un altro uomo drammatico come Rublev – lo fa con delle sfumature che possono rendere difficile empatizzare con lui.

Musetti ha un ampio campionario di lamentele: la giornata di grazia dell'avversario, le palline, i nastri avversi (in questo ricorda Fognini). Non ricordo, però, di averlo mai visto polemico con altri esseri umani, come gli arbitri, i giudici di linea o il pubblico sugli spalti, cosa invece sempre più diffusa nel resto del circuito. Musetti ha soltanto due nemici giurati che sembrano perseguitarlo: la sfortuna e sé stesso. L’ossessione per il fato ostile potrebbe sembrare un modo per sollevarsi dalle proprie responsabilità, ma in realtà Musetti è talmente autocritico che a volte sembra odiarsi. Contro Rune al Queen’s della scorsa stagione, in un match approcciato bene ma che è deragliato psicologicamente dopo un medical time out molto tattico dell’avversario, a un certo punto ha iniziato a flagellarsi da solo: «Hai 21 anni, un po' di coraggio! Hai 21 anni e hai il coraggio di un bambino di due anni». Ciò che lo mette in cattiva luce è il modo in cui la sua autocritica si contamina con una certa vena autocommiserante, che per tante persone è sinonimo di piagnisteo e capriccio.

Le emozioni sono per loro essenza difficili da gestire. Quando scappano dal controllo, possono diventare anche sgradevoli, ma questo è un fatto umano ineliminabile. Esistono persone che riescono a maneggiare le proprie emozioni meglio degli altri, a renderle più socialmente accettabili, ma questo non significa che tale autocontrollo sia egualmente semplice per tutti. La narrazione attorno a Musetti ci ricorda una volta di più quanto si tenda a colpevolizzare e sottovalutare le difficoltà che molte persone hanno nel controllo dei propri moti d’animo.

«Non sei autorizzato a commentare su come la gente gestisce le proprie emozioni». Ero ingenuamente convinto che le lezioni del Dottor Cox avessero attecchito un po’ di più nel senso comune.

A rendere più controverso il rapporto di Musetti con le proprie emozioni è lo strumento prediletto con cui le esprime: la bestemmia. Musetti bestemmia tantissimo, bestemmia quando si carica dopo un bel punto, unendo l'imprecazione con un «c'mon» e fondendo così culture diverse, ma soprattutto bestemmia quando commette errori o quando si sente perseguitato dalla cattiva sorte. Le sue ingiurie entrano nei microfoni, mettono in imbarazzo i telecronisti, finiscono sotto la lente della stampa, si diffondono sui social scandalizzando alcuni e divertendo altri.

Nel suo bestemmiare in giro per il mondo, Musetti ci ricorda la relazione peculiare che hanno gli italiani con le imprecazioni, un rapporto che all’estero è oggetto di curiosità divertita, come un aspetto caricaturale e folkloristico del nostro popolo. Mentre nomina il nome di dio invano, Musetti sfoggia un vistoso crocifisso d’oro al collo, incarnandosi così come simbolo di questa latente contraddizione italiana tra riverenza e ribellione religiosa.

I tifosi italiani più suscettibili sull’argomento non si capacitano dell’impunità di cui gode Musetti, dovuta al fatto che, come in tutti gli sport, nei tornei internazionali non c’è ovviamente la stessa attenzione puritana che può esserci nel nostro paese. Nella deriva bigotta di alcuni elementi dell’opinione pubblica, Musetti diventa colui che si permette di fare qualcosa di immorale davanti a tutti, un po’ come Sinner che paga le tasse nel Principato di Monaco, e non c’è cosa che li faccia impazzire più di questo.

A tal proposito, anche Musetti è residente a Montecarlo, ma sappiamo già che i conti in tasca gli saranno puntualmente fatti solo quando otterrà vittorie di prestigio.

Rivestire la normalità

Se Musetti sembra essere mal interpretato come tennista, le cose vanno forse pure peggio quando gli appassionati di tennis si lanciano in giudizi personali nei suoi confronti. Purtroppo, dagli atteggiamenti in campo degli sportivi spesso si ricavano conclusioni e giudizi sulla loro personalità, sui loro comportamenti e loro scelte extra campo. Lorenzo Musetti non ne è esente e ovviamente, tenendo presente quanto detto fin qui, sembra sia stato inquadrato nell’ampio stereotipo del carattere difficile.

In realtà, la passionalità di Musetti in campo, e tutte le letture severe che ne conseguono, stridono con l’atteggiamento che Musetti mostra davanti ai microfoni, in cui si mostra spesso serafico e umile, manifestando una timidezza che a tratti lascia trasparire imbarazzo e disagio. Il contrasto tra la sua personalità in campo e quella fuori dal campo è un'apparente contraddizione che probabilmente manda in confusione alcuni spettatori, ma che in realtà lo rende anche, a suo modo, interessante.

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Comunque vi sfido a rispondere a queste domande, con quel vestito, senza sentirvi un pochino a disagio.

Chi si dedica al proprio mestiere con estro, con una creatività che per sua stessa costituzione rigetta schemi collaudati, tende a essere visto con sospetto, come un difetto nell’ingranaggio produttivo, e questo porta con sé congetture anche sulla vita privata. Tanto più se si tratta di ventenni, in un paese che sta tornando a rimpiangere i tempi in cui i giovani erano inquadrati. Proprio per questo motivo, personalmente mi sento già intossicato dalla maniacalità con cui il giornalismo sta cercando di penetrare nella vita privata di Jannik Sinner, quasi a volerlo erigere a ideale di efficienza umana, che sconfina dal suo ruolo produttivo fino ad avvolgere la sua intera esistenza.

Musetti però sfugge dalle collocazioni che giocano su semplici opposti. Non è come Kyrgios o Bublik, che accompagnano le loro stranezze e la loro creatività in campo con una congruente aneddotica sulla sfera privata. Musetti sembra essere tanto complesso, tempestoso e imprevedibile come tennista, tanto semplice, lineare e buono come ragazzo. I suoi pochi tatuaggi, ciò che solitamente l’opinione pubblica scruta per penetrare morbosamente nella sfera privata di un atleta, sono dedicati al tennis e alla famiglia. Quello più in vista è un elettrocardiogramma unito a una racchetta, simbolo di una persona che ha elevato a lavoro la sua più grande passione. Quando gli chiedono quali strappi alla regola faccia nella sua vita da sportivo, risponde che festeggia al termine di un buon torneo mangiando al fast food con Tartarini. Per rendere l’idea della sua normalità, posso dire che la cosa più curiosa che ho trovato di lui nel web è un video dove gioca con il padre dentro una cava.

Come superficie mi sembra molto più entusiasmante dell’ormai abusatissimo cemento.

Musetti ha ammesso di essere seguito da uno psicologo che lo aiuta ad affrontare le difficoltà e le pressioni, e nella sua carriera ha affrontato un paio di situazioni riconducibili ad attacchi di panico (lo stesso è successo pure a Tartarini). Questo sembra, però, più un risvolto di quella grande sensibilità che lascia trasparire, piuttosto che il portato di un’esistenza tormentata. Una sensibilità che nel discorso comune si fa un po’ fatica a interpretare, e che viene vista con una punta di fastidio quando non è accompagnata dai successi.

Abbiamo iniziato a confrontarci con la sensibilità di Musetti quando ha ammesso che uno dei suoi momenti di crisi è stato influenzato dal peso della fine di una relazione sentimentale. Qualcosa che è davvero capitato a tutti. Musetti adesso è felicemente fidanzato, e il fatto che la sua compagna non sia un personaggio mediatico gli ha perlomeno permesso di evitare la solita retorica sessista della donna rovina-carriere (come purtroppo è invece successo a Berrettini e Tsitsipas). Non gli ha però risparmiato i commenti tipici della classica narrativa – tanto becera quanto contradditoria – che a volte accompagna il rapporto tra sesso e lavoro: se non fai sesso lavori male, se fai sesso lavori comunque male.

Qualche mese fa Musetti ha annunciato che lui e la sua compagna aspettano un figlio e questo è subito entrato a far parte delle considerazioni che vengono fatte sulle sue prestazioni in campo. In questi casi, generalmente ci si divide tra chi ritiene che la responsabilità della paternità possa essere un elemento importante nella maturazione di un atleta, e chi invece va nella direzione opposta.

Dopo una vittoria ad Adelaide a inizio anno, il tennista italiano ha elencato i suoi obbiettivi per il 2024: cercare di tornare in top 20 ed essere un buon padre. Il momento wholesome è stato velocemente contaminato da una frase un po’ acida nel commento tecnico di Sky: «la testa torna sempre lì». A questa considerazione vagamente allusiva ne sono ovviamente seguite altre da parte dell'opinione pubblica. Di recente si leggono spesso commenti secondo cui Musetti non ha il più il tennis come priorità.

Sembra esserci uno stigma verso chi diventa padre prima di aver raggiunto la sua completa realizzazione professionale. In questo caso, ovviamente, non può esserci nessun riferimento alle condizioni economiche di una famiglia, e quindi emerge chiaramente un bruttissimo stereotipo: l'idea che un figlio possa essere una distrazione e un impedimento verso la strada per il successo. Uno stereotipo conservatore, tra l'altro in contraddizione con alcune narrative – altrettanto conservatrici e in voga di questi tempi – relative alla crisi della natalità e al valore della famiglia.

La parabola pubblica della figura di Musetti ci mostra alcune dinamiche perverse che riguardano l’aspettativa nello sport. Le opinioni attuali su Musetti partono da equivoci tecnici che distorcono la percezione del suo percorso sportivo e che, tramite una reazione a catena, si trasformano pure in giudizi stereotipati sulla sua persona. Il tutto, purtroppo, condito da tanto risentimento. Si tratta di dinamiche già viste più volte, ovviamente enfatizzate nel caso di uno sport individuale, dove un singolo atleta non rientra dentro un certo simbolo collettivo (quello che chiamiamo i colori o la maglia), ma coincide pienamente con l’oggetto del tifo degli appassionati.

Vista la repentina crescita del movimento tennistico italiano, sia dal punto di vista degli spettatori sia da quello dei praticanti, la ricezione comune che sta avendo la carriera Musetti è un segnale negativo da non sottovalutare. Parliamo di un tennista che a suo modo sta aggiungendo colori interessanti nel quadro di un movimento in espansione, strati che meriterebbero di essere descritti in modo diverso rispetto a quanto non si stia facendo. Non sappiamo quali pieghe prenderà il suo futuro, se saranno positive o negative, ma tutto lascia presagire che, comunque vada, Musetti sarà ancora un tennista intrigante, che regala qualcosa di diverso e personale al panorama sportivo italiano, e per questo degno di essere seguito.

Soffocare ogni analisi e opinione in schemi così preconfezionati significa aver già iniziato (o semplicemente ripreso) a irrigidire il racconto sull’intero movimento. Ma credo anche che, più in generale, le vicende di Lorenzo Musetti possano suggerirci qualche riflessione più ampia, non confinata soltanto allo sport, a proposito del nostro sguardo sui rapporti tra la creatività, il lavoro e la vita privata delle persone.

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