
La regola del super tie-break a 10 punti – che nel tennis è presente nei tornei ATP e WTA, ma non negli Slam e nei tornei per nazioni – ha reso i set decisivi dei tornei di doppio alle Olimpiadi molto simili agli assalti della scherma individuale a 15 punti. Un intervallo limitato di tempo in cui uno sportivo si gioca le sorti di un intero torneo olimpico e, molto spesso, di un’intera carriera.
Se la finale del doppio maschile è parsa un incontro di sciabola, per via delle caratteristiche superoffensive dei quattro interpreti, assistere al super tie-break della finale femminile tra le coppie Errani/Paolini e Andreeva/Shnaider è sembrato più simile invece a un assalto di fioretto o di spada; un incontro più tattico in cui la stoccata andava preparata più lentamente e con più attenzione.
La metafora con un altro sport di interesse tipicamente olimpico può essere utile per capire fino in fondo lo spirito e la portata storica di questa medaglia conquistata dalle nostre ragazze, il primo oro di sempre del tennis azzurro alle Olimpiadi. L’edizione di Parigi 2024, dopo il bronzo in singolare di Lorenzo Musetti, diventa dunque la migliore edizione per l’Italia in questa disciplina. Una spedizione che prima del forfait di Jannik Sinner poteva ambire legittimamente all’oro in tutte e cinque le specialità, e che si ritrova comunque a celebrare le due giocatrici che sugli stessi campi, già qualche settimana prima, erano andate vicine al successo al Roland Garros perdendo in finale. La coppia italiana ha sfruttato al massimo la contingenza favorevole del torneo olimpico su terra battuta - bisogna pensare che Errani e Paolini quest'anno hanno trionfato anche a Roma.
Sara Errani, che alle Olimpiadi era approdata già con ambizioni di vittoria nel 2012 e nel 2016 in coppia con Roberta Vinci, ha dichiarato nel post-partita di aver pianto per due giorni proprio dopo la sconfitta a Rio 2016. Il suo successo a Parigi rappresenta quindi la chiusura di un cerchio: Errani, a 37 anni, entra in una ristrettissima élite di sole sette tenniste in grado di aver completato il cosiddetto Career Golden Slam in doppio femminile, ovvero la collezione di tutti gli Slam e dell’oro olimpico. Dall’altro lato, dopo le delusioni di tre finali consecutive importanti perse – singolo e doppio al Roland Garros, singolo a Wimbledon – arriva finalmente il primo successo pesante della carriera di Jasmine Paolini, esplosa quest’anno a livelli inimmaginabili.
Sara Errani entra nella leggenda
Si è trattato certamente di un successo innanzitutto di squadra, e non solo banalmente perché quando si gioca in coppia anche il tennis – sport tipicamente solitario – diventa una questione di alchimie, ma anche perché è stata soprattutto Sara Errani a chiudere un cerchio glorioso che coinvolge in senso più ampio tutto il team italiano di questi anni e una persona in particolare. Una storia che parte da lontano e che è stata anche menzionata dai telecronisti di Eurosport: alla loro compagna in cabina di commento, una Roberta Vinci fortemente emozionata e in cui per tutta la partita si è incarnato lo spirito passionale di Giampiero Galeazzi, è stato ricordato quanto decisiva sia stata la sua influenza nello svezzare e nel rendere la sua ex storica compagna una delle migliori giocatrici al mondo.
La caratteristica più straordinaria del Career Golden Slam di Errani, un’impresa che la fa entrare nell’olimpo del tennis mondiale e non solo di quello italiano, sta nel fatto che è riuscita a farlo con due partner differenti – Vinci e Paolini, appunto – e soprattutto dalle caratteristiche tecniche e tattiche profondamente diverse tra loro. Per minimizzare il distacco da una compagna con qualità insostituibili come Vinci e passare a una compagna più convenzionale, ma neanche troppo, Errani è stata costretta a effettuare un percorso di miglioramento e di adattamento irto di difficoltà. Tra la fine e dello scorso decennio e l'inizio di questo è successo di tutto a Errani: la squalifica per doping, la scomparsa ai piani alti del singolare, un peggioramento della qualità al servizio in kick forse per via di un calo della muscolatura delle spalle e della schiena. Errani è una giocatrice completamente diversa e bisogna essere consapevoli di questo per capire quanto sia stata miracolosa questa impresa.
Quando giocava con Roberta Vinci, una delle pochissime a fare costantemente serve and volley, Errani utilizzava la sua straordinaria intelligenza tattica per muovere il gioco da fondo, soprattutto attraverso la solidità e i pallonetti, con il compito di preparare le volée decisive della sua compagna; oggi, invece, la consistenza da fondo di Paolini ha indotto Errani a trasformarsi a rete in un autentico muro, sciorinando una clamorosa varietà tecnica di volée, sia di puro riflesso ma anche di grande tocco, e un’incredibile istantanea visione di gioco, facendo spesso impallidire le sue avversarie. Mirra Andreeva nel post-partita, quando sottolineava l’esperienza e la qualità tecnica e tattica della tennista bolognese, aveva una faccia che non poteva essere più emblematica nel testimoniare quanto ne fosse impressionata.
Jasmine Paolini non ha caratteristiche fisiche e tecniche troppo diverse da Errani e non può esserne davvero complementare: non è alta e il suo tennis non può fare la differenza sulla potenza pura. Eppure la loro alchimia si basa principalmente su quanto riescono a mescolare il gioco a tutta una serie di avversarie che, nella quasi totalità dei casi, tirano più forte di loro, ma con meno intelligenza. Per esempio, le differenti tattiche sul loro servizio sono funzionali ogni volta alle proprie caratteristiche: se da un lato il servizio più debole di Errani viene coperto dalla strategia di partire entrambe da fondo – senza lasciare Paolini a rete come bersaglio facile per la risposta – e poi far avanzare quando possibile Sara, così quando a servire è invece Paolini le due utilizzano spesso la formazione a I – entrambe al centro – per non dare punti di riferimento alla risposta su dove eventualmente Errani andrebbe a intervenire in modo deciso a rete, provando a condizionare l’avversaria che ribatte.
Raramente nel tennis professionistico si vede una strategia che è tipica dei giocatori da circolo. Eppure, far servire Errani tenendo anche Paolini a fondo è una tattica giusta.
La finale di ieri testimonia quanto sia incisiva sul campo questa varietà di schemi a volte anticonvenzionali, come del resto Sara Errani non ha mai avuto paura di essere – avendo tra l’altro giocato il servizio da sotto sul 7-5 del super tie-break. Le russe, approfittando anche di una Paolini inizialmente contratta (come da lei stessa dichiarato), oltre che di una Shnaider in stato di grazia, hanno iniziato a martellare forte al centro con tutti i colpi, facendo pesare la loro maggiore cilindrata e mostrando anche perché hanno battuto in due set la coppia forse favorita assoluta del torneo, Krejcikova/Siniakova.
Progressivamente, tuttavia, la crescita soprattutto di Paolini ha permesso alle azzurre di cambiare il contesto della partita. Le italiane non fanno la differenza con la potenza, ma quando riescono ad assorbire quella delle avversarie riescono poi a spostare gli incontri su un terreno diverso, più cerebrale, che rappresenta il loro habitat naturale. Anche nei punti importanti, quando il braccio di tutti si contrae almeno un po’ e si è costretti a pensare di più in campo senza potersi lasciar andare completamente, tutta la maestria soprattutto di Sara Errani emerge in modo prepotente come quella di un grande playmaker ai tempi supplementari di una partita sovraccarica di tensione nervosa.
Come in questo caso.
Errani ha sempre avuto un repertorio completo, ma qualche anno fa sarebbe stato difficile immaginarla a dipingere tennis in una finale così importante. Errani ci costringe ancora una volta a rivedere le narrazioni su quella che è la concezione comune del talento: una giocatrice che per troppi anni ha fatto e continua a fare una fatica disperata a ogni singolo servizio giocato, come fosse un incessante supplizio impostole da qualcuno, che però aumenta anno dopo anno – attraverso una discrepanza sempre più clamorosa – la sua facilità di lettura tecnico-tattica delle partite, di ogni singolo colpo. La naturalezza del gioco di Sara Errani, che a una prima occhiata appare la giocatrice che meno di tutte può permettersi di essere disinvolta nel colpire la palla, è racchiusa invece in tutta una serie di altre dinamiche molto meno visibili del tennis, che rendono questo sport non sempre di facile comprensione e che l’hanno oltretutto resa, a tutti gli effetti, una campionessa che resterà nella storia.
La consacrazione di Jasmine Paolini
Finalmente, dopo la vittoria nel 1000 di Dubai, arriva un altro titolo prestigioso per Paolini dopo la scorpacciata di delusioni in finali che, probabilmente, hanno un po’ pesato sullo stato d’animo con il quale ha approcciato a quest’ultima. Nel primo set abbiamo rivisto la versione più confusionaria di Paolini, quella che – proprio per le caratteristiche citate in precedenza – non può proprio permettersi di essere: quella della dolorosa e sorprendente sconfitta in singolare del torneo olimpico contro Schmiedlova. La finale è però davvero cambiata nel momento in cui Paolini è riuscita a fare il salto di qualità, spinta anche emotivamente da una Errani che è riuscita a toccare le corde giuste.
Errani e Vinci sembravano avere un’alchimia personale perfino superiore, spezzata improvvisamente nel 2015 e faticosamente ricomposta in modo estemporaneo in ottica Olimpiadi 2016. Eppure è stata proprio la bolognese a sottolineare quanto importante sia per lei oggi, non solo dal punto di vista tecnico ma anche emotivo, l’ormai proverbiale capacità di Paolini di vivere tutto con estrema gioia e capacità di sdrammatizzare. Se i clamorosi miglioramenti del 2024 della tennista toscana hanno permesso a Errani di poter vivere una seconda giovinezza, le esperienze in doppio con una giocatrice così saggia potranno arricchire il bagaglio di Paolini in maniera tangibile per resistere al contraccolpo della pressione che aumenterà dopo i grandi risultati ottenuti.
Paolini puntava all’oro anche nel torneo di singolare e ha sprecato forse una grande occasione, vista la sconfitta in semifinale di Iga Swiatek, oltretutto dalla parte opposta di tabellone. Forse la tensione mostrata proprio nella finale di doppio e nella sconfitta contro Schmiedlova sono il campanello d’allarme del fatto che la toscana non avesse superato a pieno la dolorosa sconfitta al terzo set nella finale di Wimbledon contro Krejcikova. È bello raggiungere tante finali importanti, ma almeno una volta bisognerebbe vincere, specie se non sono impossibili.
Il successo olimpico può sbloccare Paolini nella consapevolezza di saper giocare una finale con tanta pressione, imparando a gestirla. Come del resto Roberta Vinci fu importante per Errani nel suo percorso di crescita a tutto tondo. Lo stesso trasferimento di esperienza e di conoscenze può avvenire da Errani a Paolini, arricchendo un settore femminile che sembrava da anni pervaso da un’irrimediabile crisi. Il modo in cui Paolini ha ritrovato il filo della partita, senza poi smarrirlo nelle fasi decisive, come era invece accaduto contro Krejcikova a Wimbledon e Schimedlova alle Olimpiadi, può essere un grande punto di partenza proprio nel momento in cui una medaglia d’oro olimpica appare invece un magnifico punto d’arrivo.
Se nel maschile, soprattutto grazie a Berrettini e Sinner, siamo riusciti ad allinearci all’avanguardia del tennis mondiale per caratteristiche tecniche, nel femminile la sensazione è che il nostro movimento – dopo gli addii di Flavia Pennetta e Camila Giorgi – fatichi a produrre giocatrici che abbiano la cilindrata per stare alla pari con le primissime. Paolini, come stile, può fare da ponte tra quelle più vecchia scuola – non solo Schiavone e Vinci, ma anche Garbin e Brianti – e le campionesse di oggi: da un lato i miglioramenti soprattutto nella semplificazione e nell’accelerazione del dritto le permettono di stare lì con le primissime; dall’altro è inevitabile che Paolini, proprio per stare al passo col peso delle campionesse, debba usare intelligenza e letture - ed essere sempre centrata.
Il successo olimpico di Errani e Paolini in doppio sta tuttavia a ricordarci proprio questo, quanto sia molto meno scontato il tennis femminile di quanto si dica; se da un lato è indispensabile allinearsi almeno in parte ai canoni dominanti della propria epoca, dall’altro certe caratteristiche – l’intelligenza e la varietà – sono immarcescibili, eterne, senza tempo, e resteranno decisive in questo e in altri sport anche nei prossimi decenni. Se gli sportivi sono davvero di ispirazione per le vite comuni, allora la paziente e accusata costruzione del successo di Errani e Paolini, per applicazione mentale, longevità e capacità di reinventarsi, è un esempio straordinario per tutti.