Lo scorso 20 Novembre gli L.A. Clippers e i Boston Celtics sono scesi sul campo dello Staples Center e hanno dato vita ad una delle partite più entusiasmanti di questo inizio di stagione. Si sono imposti i padroni di casa al supplementare, dopo aver recuperato 7 punti di svantaggio negli ultimi 130 secondi dei tempi regolamentari grazie alle magie di Lou Williams e i muscoli di Montrezl Harrell.
Ma è stata soprattutto la prima gara che Kawhi Leonard e Paul George giocavano insieme da quando sono entrambi tornati a casa. È stato il traguardo di un inseguimento iniziato oltre due anni fa – con la ormai nota richiesta di George di unire le forze con Leonard, allora ancora ai San Antonio Spurs – e concluso l’estate scorsa, quando i Clippers hanno messo a segno il colpo grosso, ultimando il piano di ricostruzione della franchigia iniziato tre anni prima.
Nelle sette partite nelle quali le due stelle hanno condiviso il campo finora, i Clippers hanno ottenuto sei vittorie e una sola sconfitta – sul campo degli Spurs, che nonostante la crisi di inizio stagione ci tenevano particolarmente a fare bella figura contro il colui che è stato rimosso dalla loro storia. Un record che spiega bene come, nonostante i momenti di confusione che erano leciti attendersi da una squadra che ha appena cominciato a conoscersi (training camp incluso, e manca Landry Shamet), il potenziale atomico di questo gruppo. I Clippers hanno comunque mostrato i tratti tipici della grande squadra, quella che anche quando gioca male o non è al massimo del proprio potenziale è in grado di girare la situazione dalla propria parte con tre minuti di basket di un livello inaccessibile ai propri avversari. Ancora più importante, però, i Clippers hanno mostrato di avere già assimilato un’identità ben precisa, una forma spirituale che trova le sue origini nelle due passate stagioni e che, adesso, grazie all’incredibile adattabilità di Kawhi e George, ha raggiunto la propria completezza.
La vera L.A.
Riuscire a costruire una franchigia che abbia una cultura sportivo-culturale ben definita e, al tempo stesso, una propria identità, fortemente attaccata al luogo e ai propri tifosi, è una delle cose più difficili da fare nella NBA. A maggior ragione se ti chiami Clippers e giochi nella stessa città della franchigia più glamour ed eccentrica dello sport mondiale. Da che mondo è mondo la pallacanestro a Los Angeles fa rima con Lakers, e, per decenni, ai cugini non è rimasto altro da fare se non prendersi l’etichetta di eterni perdenti, anche un po’ sfigati.
Almeno fino al nuovo progetto varato dal triumvirato composto da Steve Ballmer (proprietario), Jerry West (dirigente ma di fatto un vero e proprio deus-ex-machina dietro le quinte) e coach Doc Rivers, che, intuendo di non poter vincere la guerra dei VIP a bordo campo, hanno optato sapientemente per un rimodellamento del paradigma. I Lakers potranno anche riempire le prime file con stelle planetarie e svariati premi Oscar, ma non necessariamente rappresentano “Los Angeles”. Opposta al fioccare delle stelle c’è un’altra città fatta di uomini comuni, immigrati di prima o seconda generazione, volti senza faccia della città più grande degli States. Così facendo, i Clippers si sono dati la possibilità di cambiare narrativa, uscendo dallo svilente riflettore di mediocrità che campeggiava perennemente sopra di loro – anche se si parla di una franchigia che non conosce una stagione con record negativo dal 2011, e che vanta sette partecipazioni ai playoff negli ultimi otto anni – per costruire un nuovo progetto in grado di aprire una nuova frontiera della pallacanestro professionistica nella Città degli Angeli.
Anche i Clippers vogliono prendersi la loro quota cittadina di rivalità contro Boston, come si evince dal poster di Kawhi.
Quando Patrick Beverley dice che questi Clippers giocano per «quelli che non si vedono, i colletti blu che si guadagno tutto col sudore della propria fronte» non solo rimarca il concetto di “squadra operaia”, ma definisce anche l’animo del roster assemblato negli anni. Un gruppo di giocatori che ha vissuto sempre lontano dai riflettori, costretti a lavorare sul proprio gioco instancabilmente, rifiutati e spesso nomadi, uniti dal desiderio di prendersi il vertice seguendo un credo preciso incentrato sulla condivisione, sul lavoro quotidiano e sulla forza del gruppo. Questi sono i Clippers da tre anni a questa parte: una franchigia con un’ambizione enorme, quasi tracotante, e al tempo stesso un sincero disinteresse verso l’apparenza glamour.
A quella squadra mancavano solo i giocatori in grado di far fare loro il salto decisivo, di aumentare il livello della squadra (buono ma non eccezionale, come dimostra l’eliminazione piuttosto scontata, per quanto combattuta, al primo turno dei playoff dello scorso anno contro i Golden State Warriors) e chiudere il simbolico cerchio. E nonostante la gigantesca quantità di asset dovuti cedere per arrivare all’obiettivo prefissato, i Clippers hanno dimostrato un tatto e una capacità organizzativa geniale nella sua precisione anche nell’ultimo passo, quello di scegliere proprio Kawhi Leonard e Paul George. Sarebbe stato davvero difficile trovare qualcuno migliore di loro: due superstar nel prime delle rispettive carriere, con una mentalità umile e un basso profilo mediatico nonostante l’enorme talento, e capaci di abbinare caratteristiche tecnico-atletiche perfette per la pallacanestro contemporanea con il senso di appartenenza.
Leonard è nato e cresciuto a Moreno Valley, Paul George invece a Palmdale. Due cittadine della periferia est di Los Angeles, distanti appena 84 miglia l’una dall’altra e che per molti rappresentano la “vera LA”, quella che non si prende le copertine patinate di Hollywood e che non sfila sui pattini sul lungomare di Venice Beach.
Dominare in silenzio
Kawhi Leonard e Paul George: così simili, così Los Angeles, così perfetti nell’esplicare come, spesso, la distanza che separa una franchigia dal successo sia estremamente vicina e squisitamente complessa. La visione di Jerry West ci ha messo tre anni a prendere forma, passando dalla trasformazione di Chris Paul in Lou Williams, Patrick Beverley e Montrezl Harrell alla cessione di Blake Griffin per Tobias Harris, e poi dello stesso Harris per gli ultimi asset che hanno permesso di arrivare alle due nuove stelle. Un capolavoro di visione e bravura, fortuna e organizzazione – con i Clippers che per un anno hanno mandato osservatori e dirigenti a vedere le partite di Leonard in Canada, facendolo sentire coccolato ancora prima del primissimo giorno – e che nelle prime partite insieme sta iniziando a mostrare i primissimi tratti del dominio che prometteva.
Dalla capacità di Leonard di trovare il lungo sul “roll” verso canestro alla facilità di penetrazione a centro area e la capacità di sparare in transizione di Paul George. Un primo scorcio del talento offensivo delle due stelle dei Clippers.
Una caratteristica che contraddistingue sia Leonard che George da tutta la carriera è quella di saper elevare il proprio gioco – e di conseguenza quello dei compagni – senza la necessità di diluire l’essenza della squadra. Due superstar silenziose, e non per via delle semplicistiche battute su Kawhi, ma perché, come spiega PG «ad entrambi non interessa chi prende un tiro o chi chiama un gioco».
Fin dal primo giorno chiunque all’interno della franchigia ha voluto specificare che l’intento non era quello di costruire un Mostro a Due Teste, bensì una squadra che sapesse dare battaglia ogni sera. E non c’è migliore dimostrazione di questo del constatare come la squadra faccia bene sia quando sono in campo (+12.9 di Net Rating con Leonard e +11.4 con George, i migliori tra quelli ad aver giocato almeno 200 minuti) sia quando devono gestire il carico (+2.3 senza Kawhi, +5.9 senza PG). Nei 165 minuti in cui hanno condiviso il parquet, i Clippers concedo appena 98.3 punti su cento possessi e sovrastano gli avversari di quasi tredici punti, sempre su cento possessi.
Non solo: il terzetto composto dai due più Williams viaggia con un +33 (!) di Net Rating, e aggiungendo anche Harrell il divario raggiunge i 42 punti (!!) su cento possessi. Questo nonostante un’intesa ancora tutta da trovare, gli acciacchi fisici di entrambi da gestire e l’aver giocato contro avversari di ottimo livello come Boston, Houston e Dallas.
Una dimostrazione di forza in quattro atti. Prima due situazioni di post basso per Kawhi, che dalla media distanza fa quello che vuole contro due difensori diversi. Poi, nella terza azione, una classica situazione di doppie uscite con Kawhi che, dopo aver ricevuto sul perimetro, pesca il taglio di Harrell; mentre nell’ultima lo stesso Harrell prende il rimbalzo offensivo e riapre per George, che mette la tripla piedi per terra. Partita spaccata in due minuti.
Mettere insieme i pezzi
Nelle prime ventidue partite i Clippers hanno preso il 30% dei rimbalzi offensivi disponibili (il 31.6% nelle quattro partite con George e Leonard), un dato che deve far preoccupare gli avversari, considerando l’enorme arsenale offensivo a disposizione di Rivers, ma che serve soprattutto a rimarcare il dominio fisico, ancora prima che tecnico, che sono in grado di esercitare. Dominio che si nota in entrambe le metà campo, a cominciare da quella difensiva, dove sono in grado di mettere pressione sulla palla e sul perimetro come nessun altro.
La costruzione di un roster pieno di esterni intercambiabili permette a Rivers di scivolare all’interno di quintetti che possono decidere se cambiare su tutto o provare a spezzare i blocchi e affidarsi all’enorme apertura di braccia per recuperare il pallone. Leonard e George sono in grado di difendere contro ogni tipologia di attaccante: mentre negli ultimi due anni George si è dimostrato forse l’esterno più forte della lega nel difendere contro i portatori di palla avversari sul pick and roll, Leonard probabilmente è il miglior difensore di uno contro uno della storia del gioco. Entrambi sono mostruosi nel recuperare sulle situazioni di closeout e, insieme a Beverley, possiedono quell’intelligenza istintiva che serve leggere il gioco lontano dalla palla e muoversi in anticipo. Inoltre, anche se negli ultimi anni ha perso un po’ della sua magia difensiva, Kawhi resta un mostro tentacolare in grado di sporcare traiettorie di passaggio (settimo per deflections con 3.3 a partita) e alterare le conclusioni degli avversari – come con Kemba Walker sul possesso decisivo della partita contro i Celtics.
Ma se nella metà campo difensiva il fit è stato pressoché istantaneo e, per quanto migliorabile, rappresenta già quella che sarà la forza dei Clippers anche più avanti nella stagione, in attacco le cose devono ancora trovare il loro posto.
Nella partita dominata contro Dallas, Leonard ha annichilito, uno dietro l’altro, ogni difensore che provava a fermarlo in post basso. George, invece, è diventato letale quando può spaziare il campo – in questo prime partite è primissimo sia per situazioni di spot-up che per passaggi consegnati.
Sulla carta appare tutto molto semplice: sia Kawhi che George sono in grado di esplorare un mismatch a piacimento, di punire difensori più piccoli in post o di sfruttare la maggiore velocità e il loro atletismo nell’attaccare i lunghi. Ma il basket non è un gioco statico e, per funzionare, un attacco NBA ha bisogno di una propria fluidità. Per questo più che dalle loro capacità realizzative, le fortune dei Clippers dipenderanno dalla loro qualità come passatori.
Leonard ha già fatto vedere di aver montato una nuova patch che gli permette di scansionare meglio il campo, sviluppando una discreta chimica sia con Ivica Zubac che con Harrell. Anche George ha mostrato flash incoraggianti. Le loro abilità di playmaking saranno fondamentali per non far dipendere il grosso della creazione da Lou Williams, il quale, seppur proprietario del pick and roll più difficile da leggere della lega assieme a Harrell, potrebbe rischiare di finire la fantasia man mano che la stagione proseguirà verso giugno. Per questo motivo Doc Rivers, prima ancora dell’inizio della free agency, si era già messo a disegnare su foglietti da bar possibili soluzioni per sbloccare il proprio attacco.
Il pick and roll tra Lou Williams e Kawhi Leonard (con entrambi sia a condurre che bloccare) è una delle cose che più affascinano della nuova versione dei Clippers. Nella vittoria contro Houston se n’è visto un assaggio, con Rivers che nel quarto periodo l’ha cavalcato a lungo, soprattutto nei possessi decisivi che hanno portato alla tripla di George (terza clip) e il jumper decisivo di Kawhi.
Per essere uno che da piccolo non voleva saperne di provare a giocare da point guard, Leonard ha saputo lavorare talmente bene su se stesso da essere ora perfettamente in grado di gestire il possesso di una squadra, passando dall’essere un “Dennis Rodman che può segnare” a uno dei giocatori con il frame più simile a Michael Jordan tra quelli in circolazione in NBA oggigiorno. Il suo tiro dalla media distanza, oltre ad essere diventato una delle conclusioni più iconiche della lega negli scorsi playoff, è anche tremendamente efficace (48% su quasi sette tentativi a sera), soprattutto quando può attaccare dalla punta sfruttando la forza nella parte superiore del corpo per rimbalzare sul diretto avversario e prendere la separazione che gli serve per il palleggio-arresto-tiro.
Questo gli sta permettendo di mascherare anche le difficoltà di questo inizio di stagione al tiro pesante, dove il 30% su 5.5 tentativi a sera è nettamente la prestazione balistica peggiore della carriera. Discorso diametralmente opposto per George, il quale sta tirando con il massimo in carriera da tre (42.3% su quasi dieci tentati) e spara più triple dalla fascia centrale del campo di chiunque non si chiami James Harden. Pure lui è maestro nel gestire il pick and roll, così come Lou Williams, che da quando veste la canotta dei Clippers non ha mai chiuso una stagione sotto l’80° percentile in questa particolare categoria.
Lavorare per fare la storia
È probabile che il potenziale esprimibile della squadra di Rivers sia davvero il più alto di tutti. Nessuno ha un roster minimamente comparabile per profondità, qualità e gamma di soluzioni a disposizione. Lou Williams è, senza mezzi termini, un lusso per una squadra che vanta due giocatori in grado di viaggiare a quasi 26 punti di media a sera come Leonard e George; e Harrell sembra aggiungere qualcosa al proprio gioco ogni estate – tanto che la sua capacità di creare dalla punta e attaccare il canestro potrebbe colmare ancora di più quelle che in molti pensavano potessero essere le lacune iniziali di questa squadra, la mancanza di playmaking tra i lunghi.
Chiunque può essere eroe per una notte per questi Clippers. La panchina è la migliore della lega e non solo grazie a Sweet Lou e Harrell (in questo avvio di stagione sono primi sia per punti che per rimbalzi, secondi per assist e terzi per stoppate e recuperi). JaMychal Green sarà un’arma tattica fondamentale da aprile in poi, McGruder e Harkless danno elasticità e profondità difensiva tra gli esterni e anche Patrick Patterson può causare una scintilla in grado di incendiare una partita.
Ma se per la prima volta il titolo NBA dovesse finire nella metà meno scintillante di L.A., per portarlo a casa serviranno le gigantesche mani di Kawhi Leonard e Paul George, non più figliol prodighi ma profeti in patria.
I 19 punti di Patrick Patterson (5/7 da tre) nella vittoria di ieri notte contro Portland sono figli dell’impossibilità degli avversari di difendere su tutto. Nella clip, i Blazers prima cercano di assorbire la penetrazione di Williams, poi di contrastare il tiro di Kawhi, ma non possono niente sull’extra-pass, lasciando a Patterson una tripla non contestata dall’angolo.
I Clippers sembrano essere consapevoli di quanto occorra lavorare per fare la storia, ma il tempo può essere sia un alleato che un nemico per una franchigia che deve considerare come un fallimento qualsiasi risultato che non sia il raggiungimento almeno della finale. E la candela della speranza dei Clippers brucia davvero da ambo le parti, perché se è vero che c’è ancora tutto il margine per crescere, lo è anche che sia Leonard che George potranno decidere di tornare free agent nell’estate del 2021 e qualora le cose dovessero mettersi al peggio sarebbe davvero difficile uscire dal nuovo vortice del fallimento.
Inoltre, questo primo mese di stagione ha detto che ci sono squadre notevoli, tra tutti i Lakers, che nella stagione della definitiva consacrazione dei concittadini, quasi paradossalmente, hanno saputo farsi trovare preparati, assemblando una delle squadre più competitive del loro recente passato. Quanto sarebbe deprimente, per i tifosi dei Clippers, realizzare di aver definitivamente invertito l’epica della propria franchigia, per poi vedere gli eterni rivali primeggiare ancora una volta? Gli sceneggiatori della NBA saranno così crudeli?
Leonard e George sono chiamati a compiere la storia due volte e i Clippers hanno fatto tutto il necessario per dargli il massimo del supporto possibile per arrivare fino in fondo. Adesso non resta che aspettare e vedere se tutti gli astri resteranno allineati fino alla fine.