Fa un certo effetto scrivere che Valentina Vezzali non ce l’ha fatta. La più grande fiorettista italiana di tutti i tempi aveva un sogno sovrumano. Voleva disputare a 42 anni la sua sesta Olimpiade, come Josefa Idem (per lei anche due partecipazioni con la Germania Ovest, olimpionica più presente della storia) e Alessandra Sensini. Per assecondare la sua fame ossessiva di traguardi e record infranti. Non sarà così perché l’onorevole Vezzali ha fallito, sconfitta al secondo turno del trofeo Inalpi di Torino, gara di coppa del Mondo che le avrebbe garantito i punti utili per staccare il pass per Rio De Janeiro, da Diana Yakovleva. Una russa classe 1988 senza storia e senza palmares: appena un argento agli Europei del 2014.
Non le è riuscita una rimonta degna di quella che a Londra 2012 le valse il bronzo contro la sudcoreana Nam e la nona medaglia olimpica (anche questo un record). Una risalita cocciuta, digrignando i denti a ogni punto, iniziata a 20 secondi dal termine e con il risultato fermo sull’8-12 a favore dell’avversaria. Pareggio e vittoria all’extra time: Maria Valentina Vezzali da Jesi ci ha abituati così nel corso della sua carriera da cannibalessa. Forza di volontà e talento eccelso a corredo una voglia di vincere che ha davvero pochi eguali nello sport professionistico: il trionfo come unico risultato concepibile dell’azione. Semplicemente l’atleta italiana più medagliata di tutti i tempi.
La vittoria in rimonta disperata è un classico della fiorettista jesina.
Vòlli, e vòlli sempre, e fortissimamente vòlli
L’ultima Valentina Vezzali italiana è andata in scena al Pala Ruffini di Torino il 28 novembre 2015. Ventidue anni dopo la prima vittoria in Coppa del Mondo, diciannove dopo la prima medaglia olimpica (argento ad Atlanta 1996), dieci anni dopo il primo figlio Pietro e a due dall’elezione alla Camera dei deputati con Scelta civica (nel frattempo è nato anche Andrea, che a maggio spegnerà tre candeline). Nel mezzo c’è una carriera che non ha paragoni, non solo nella scherma: tre ori olimpici individuali consecutivi, più altri tre ori nelle gare a squadre e un totale di nove medaglie conquistate in 5 Olimpiadi. Venticinque medaglie ai Mondiali (16 d’oro) e 21 agli Europei (13 d’oro), Valentina ha trionfato inoltre in 11 edizioni della Coppa del mondo di fioretto, dove detiene il record di 78 gare vinte.
Un esempio. A giugno del 2005 le nasce il figlio Pietro, ma diciotto giorni dopo Vezzali è già in pedana: bisogna preparare i mondiali che si tengono a Lipsia in ottobre. A distanza di anni, conoscendo il metodo di lavoro della fiorettista, non viene difficile pensare che pure la gravidanza sia frutto di pianificazione del lavoro. A quell’appuntamento Vezzali non deve solo partecipare, deve vincere perché è la detentrice del titolo (tre trionfi negli ultimi quattro anni), perché è campionessa olimpica in carica e questa è la prima occasione per misurarsi di nuovo con le sue avversarie. E perché nessuna atleta è mai riuscita a fare altrettanto: battere tutte nello stesso anno del parto. Quei mondiali Vezzali li vince battendo l’atleta di casa Anja Müller.
Parata e risposta, vittoria conquistata in rimonta: gli ingredienti sono sempre gli stessi.
Valentina Vezzali è un’atleta che vive per frantumare record, talmente competitiva da creare lei stessa dei limiti da superare. La vita che ha vissuto, da quando a sei anni ha imbracciato il fioretto, è un record imbattibile che contiene tanti altri piccoli e grandi primati. Ed è da record anche la sua voglia di battere record. «Vincere mi viene naturale. Da quando ho cominciato a fare gare ho vinto tutto. È nel mio dna. Quando metto la maschera e tiro di fioretto sento l'adrenalina, le emozioni, la grinta, la rabbia, la felicità, che solo lo sport sa dare. Ogni volta che le provo, desidero risentirle ancora». Queste parole impresse sulla quarta di copertina della sua autobiografia uscita nel 2012, spiegano bene perché la chiamano “il Cobra”.
Sarà difficile abituarsi all’idea di non vederla sulla pedana di Rio de Janeiro a difendere i colori azzurri insieme alle altre due campionesse del fioretto nazionale, Elisa di Francisca e Arianna Errigo. Saranno solo due i pass per la specialità che è da più di vent’anni la vera miniera d’oro dello sport italiano. Infatti alle Olimpiadi 2016 non è prevista la prova a squadre femminile dell’arma più leggera della scherma (e nemmeno la sciabola maschile), in onore al discutibile principio della rotazione quadriennale delle armi. La scherma può avere soltanto 10 medal events ai Giochi (nei quali rientra dall’inizio dell’era moderna a Parigi 1896) per lasciare spazio ad altre specialità più “al passo con i tempi”.
L’Italia è la nazione che ha vinto più medaglie olimpiche nella scherma con un totale di 121, di cui ben 48 ori (la Francia segue a 41) grazie alle sue secolari scuole di Milano, Livorno e Jesi. Proprio la piccola città in provincia di Ancona è la fucina del talento fiorettistico femminile: qui sono cresciute e si sono formate Valentina Vezzali, Elisa Di Francisca e Giovanna Trillini all’ombra del capostipite Stefano Cerioni. Parliamo di qualcosa come settanta titoli individuali e a squadre in tre, vinti tra i Mondiali di Lione 1990 e Mosca 2015.
Giovanna Trillini si laurea campionessa olimpica contro Wang Huifeng.
Eppure quando la “primogenita” Giovanna si presenta sulla pedana olimpica di Barcellona ’92 l’Italia non vince un titolo da vent’anni, quando Antonella Ragno Lonzi trionfò a Monaco. Trillini rappresenta la riscossa di un movimento storico che però ha faticato per due decenni a trovare nuovi talenti. Lei è la migliore di una nidiata che si rivela miracolosa: tre titoli a squadre consecutivi, in compagnia di Diana Bianchedi, Margherita Zalaffi, Francesca Bortolozzi e poi la più giovane e la più forte, la nemica, una volta amica, e ossessione Valentina Vezzali.
Giovanna sarebbe l’atleta italiana con più medaglie vinte alle Olimpiadi, se non esistesse Valentina. E Jesi, 40.000 anime nell’entroterra della provincia di Ancona, è la città più medagliata sulla Terra nella storia olimpica: un palmares che conta 22 medaglie, di cui 14 d’oro, 2 d’argento e 6 di bronzo.
Quando Valentina parla di Dream Team fa riferimento alla squadra formata da Trillini, Bianchedi, Bortolozzi, Zalaffi e Vaccaroni che a Barcellona vince l’oro contro la Germania. «Sono cresciuta in un gruppo forte, ho imparato da loro la cultura del lavoro. Ho visto vincere il Dream Team nel 1992, ero davanti alla tv e volevo essere con loro». A diciotto anni Valentina avrebbe anche i punti per esordire all’Olimpiade ma davanti ha quel gruppo di fuoriclasse più esperte di lei e deve attendere. Quattro anni dopo, nel 1996, Vezzali vince l’oro olimpico a squadre e la prima delle sue 11 coppe del Mondo. Fa parte del Dream Team ma le sue compagne se le è già mangiate tutte.
L’oro vinto insieme alle sue compagne Trillini e Bortolozzi contro la Romania, è il primo di una cavalcata sul sentiero dorato che è la sua carriera, e si aggiunge all’argento individuale conquistato un paio di giorni prima. Giovanna Trillini è la nostra portabandiera ma si inchina alla ferocia di Valentina in semifinale, che si prende riflettori e titolo di regina della scherma tricolore ad appena 22 anni. In finale la marchigiana perde contro la più esperta atleta romena Laura Badea, ma non succederà più. Da quel giorno Valentina non verrà mai più sconfitta in una finale olimpica e nelle successive quattro partecipazioni porterà sempre a casa almeno una medaglia.
Non ci sarà una sesta replica: «Pensare che questa è la mia ultima stagione non è facile, perché la scherma è una passione, è parte di me. Mi ha accompagnato da quando avevo 6 anni, sapevo che prima o poi sarebbe finita. Ma sono serena e tranquilla, anche se affrontarla è difficile».
La nascita di un’ossessione
Valentina Vezzali, terza figlia femmina di Enrica Beneventi e Lauro, incontra il fioretto nel settembre 1980 al Club scherma Jesi, il paese in cui è nata sei anni prima. I suoi genitori e le due sorelle maggiori, Maria Stefania e Nathalie, sono invece originari della provincia di Reggio Emilia: «Lavoravamo a Correggio nello stesso maglificio - racconterà anni dopo mamma Enrica - lui è stato trasferito a Jesi per dirigere la fabbrica che era stata aperta e anch’io ho chiesto di venire qui».
Lezioni di scherma al Club dei miracoli.
Fondatore e maestro dell’arte del fioretto nel Club di Jesi è Ezio Triccoli, vera leggenda della scherma italiana. Dietro ai successi di Stefano Cerioni, Giovanna Trillini e Valentina Vezzali c’è lui. Padre putativo (è morto nel 1996) anche di tutte le generazioni successive di schermitrici e schermidori cresciute sulle colline marchigiane, Tricoli apprese l’arte del ferro da un sottufficiale inglese durante la prigionia di Zonderwater nella Seconda guerra mondiale, come raccontato nel libro di Carlo Annese, I diavoli di Zonderwater.
Sempre mamma Enrica racconta in un’intervista a Pierangelo Molinaro sulla Gazzetta dello sport: «Aveva sei anni, era magra, pallida, tanto che gli insegnanti della scuola elementare mi dicevano di portarla a vedere da un medico, ma il maestro Triccoli disse subito: “Questa la porto all’Olimpiade”. A me quella di Triccoli sembrava un po’ una sbruffonata, ma vedevo la bambina tornare felice dalla palestra, mi diceva: “Oggi ho giocato, mi sono proprio divertita”». Cioè ha battuto un sacco di avversarie. Il maestro non esagera, Valentina ha talento e tanta forza in quel corpo all’apparenza gracile: inizia a vincere e non smette più. Al suo primo torneo batte bambine più grandi di lei di tre anni ma il suo punto di riferimento, la sua ossessione è Giovanna Trillini.
Giovanna parla di amiche in pedana, Valentina non c’è mai.
Giovanna ha quattro anni più di Valentina ed è amica di Maria Stefania, pure lei schermitrice che però si ferma a venti anni per mettere su famiglia, quindi si concede spesso alle sfide della piccola di casa Vezzali. «Le ho dato due stoccate, le ho dato 3 stoccate» inizia a raccontare a mamma Enrica quando torna dagli allenamenti. E un giorno, quando ha 12 anni, rientra a casa raggiante: «L’ho battuta». Da quel giorno le sconfitte di Vezzali contro Trillini saranno poche e i ruoli di ossessione e ossessionata si invertono.
Giovanna e Valentina si sono combattute e odiate. A poco sono servite le foto di rito con baci e abbracci. La scherma è uno sport che deriva dal duello, quello in cui ci si uccideva veramente e Dorina Vaccaroni, ex azzurra, lo ha descritto bene: «La scherma è un'arma. È duello, agonismo, combattimento. Non si possono avere amici tra i compagni. Io non ne avevo. È far finta di voler bene alla tua compagna di squadra che trovo terrificante e ipocrita, quando sei pronto ad accopparla».
Valentina non ama sorridere e sdrammatizzare, non fa gruppo con le altre e non ha compagne, solo rivali. Giovanna è molto diversa, lascia lo scontro alla pedana e per il resto “fa squadra”, ha lo spirito del capitano e per questo appena appeso il fioretto al chiodo è diventata allenatrice. D’altronde si deve proprio a Trillini il ritorno in gara e l’esplosione definitiva della terza fuoriclasse di Jesi, Elisa Di Francisca. Ma Vezzali non è così, è concentrata sui propri obiettivi e solo quelli, chiunque le si pari di fronte rappresenta un nemico da abbattere. Conta vincere, in modo pulito ma vincere, e la sconfitta non riesce proprio a metabolizzarla. Nelle esultanze di Vezzali non c’è mai gioia, al massimo sollievo.
Anche dopo il terzo titolo olimpico la parola è ‘fatica’ e non ‘gioia’.
Valentina ha recentemente ricordato sulle pagine della Gazzetta dello sport i suoi trentacinque anni di scherma e alla domanda su quale sia la vittoria che porta nel cuore ha raccontato di quella volta nel 1984 a Roma, torneo Prime Lame al Pala Eur. «Prima di arrivarci ho visto un manifesto con scritto “molti partecipano, uno vince”. Ho pensato che fosse riferito a me, quel giorno lo ricordo benissimo». Poi aggiunge una nota di dolcezza: «Il mio papà era lì, quando ho piazzato l’ultima stoccata mi ha preso in braccio e mi ha fatto roteare in aria. Nelle altre vittorie importanti della mia carriera non c’era più».
Lauro se ne è andato nell’aprile del 1989, ucciso da un cancro alla gola. La morte di Lauro lascia un buco nella vita di Enrica e Valentina, che nel frattempo sono rimaste sole perché le altre due donne di casa si sono sposate e hanno lasciato la casa di famiglia, un vuoto che mamma e figlia riempiono sviluppando un rapporto quasi telepatico. Valentina trova in Ezio Triccoli una figura molto importante ma Enrica è il suo riferimento, viaggia con lei e trova sempre la parola giusta. Come quella volta alle Olimpiadi di Atene 2004: Valentina teme il suo girone, è insicura. «La tranquillizzai raccontandole un mio sogno di qualche notte prima. Avevo visto il maestro Triccoli e gli confessavo la mia paura, lui, rivolto a mio marito che però io non vedevo, disse: "Vezzali, sua moglie è sempre ansiosa. Ma è inutile, Valentina vince”».
Il secondo titolo olimpico consecutivo arriva contro “l’amica di famiglia”.
14 metri
Nel 1993 arriva la prima medaglia tra i professionisti, è un bronzo nella prova individuale. Per il primo podio mondiale bisogna attendere un anno: argento individuale e bis nella competizione a squadre. Da quel momento Valentina va a medaglia in ogni appuntamento, migliaia di chilometri macinati su e giù per quella pedana lunga 14 metri e larga due con una sola idea in testa: «Voglio arrivare a vincere più di tutti. Quella che mi supererà deve arrivare fra 100 anni».
Per Rita König non c’è scampo, Valentina diventa Olimpionica con un netto 15-5.
La fama arriva con le medaglie di Atlanta e con lei il nuovo soprannome: “la tigre”. Alle Olimpiadi di Sydney 2000 la superiorità sulle sue avversarie è imbarazzante. Vezzali vince con una facilità irrisoria: anche la finale contro la tedesca Rita König si chiude in pochi minuti, rivelandosi poco più che una passerella d’onore. Dopodiché Valentina trascina le compagne verso il terzo titolo a squadre consecutivo, con un parziale di 10-3 nell’assalto finale contro la Polonia (45-36 il punteggio finale). A quel punto accostarla alla personalità di Michael Jordan non è poi una bestemmia. Sono entrambi realisti atipici, ossessionati dalla vittoria, chiunque sia finito nella loro lista nera non ha fatto una bella fine.
Ad Atene 2004 il fioretto femminile a squadre viene tolto dal programma olimpico per far debuttare la sciabola femminile individuale e mantenere il limite di 10 eventi nella scherma, costringendo le atlete a concentrare tutti i loro sforzi sulla gara individuale. Valentina Vezzali riesce a ripetere la vittoria olimpica di Sydney sconfiggendo, in una finale che sa di chiusura di un cerchio, Giovanna Trillini: nel fioretto femminile, l'impresa del bis olimpico era riuscita solo alla ungherese Margit Elek nel 1936 e nel 1948.
Emanuela Audisio conia per lei un altro soprannome che ha molto poco dell’iconografia italica della donna che “sì va bene la carriera ma poi ci vuole la famiglia”: Killer. «Una che t’infilza, veloce e cattiva, che ti taglia le ali, perché pensa che il tuo volo impedisce il suo. E urla di rabbia, una cosa a metà tra Munch e Tardelli. Perfetta per lo sport, ringhiosa e attenta all’attimo». In realtà Valentina è una che vuole tutto e tutto si prende, subito dopo Atene comunica che smette: ma solo il tempo di mettere al mondo un figlio e svezzarlo. Così è, torna e si laurea campionessa del mondo per la quarta volta a Lipsia.
Valentina perde il titolo mondiale all’ultima stoccata con Granbassi.
Sempre alla Audisio, nel 2011 alla vigilia dei mondiali di Catania (che vincerà), confessa che «ho un marito e un figlio, voglio bene a ciò che ho ma in pedana il mio mondo si restringe a me e l'avversaria. Non riesco ad essere ipocrita e a dire che la vittoria non è tutto. Se fai sport è la sola cosa che conti». Perché così lei vive lo sport ed è solo così che a Torino 2006 conquista un argento con il legamento crociato rotto, lottando fino all’ultimo colpo con Margherita Granbassi.
La rivincita non si fa attendere a lungo e arriva nell’edizione 2007 del mondiale a San Pietroburgo dove Vezzali batte in semifinale Trillini con un netto 15-6 e poi si riprende il titolo da Margherita Granbassi vincendo 11-8. Per lei è il quinto successo individuale, quello «vinto dopo infiniti tormenti, è la mia più difficile impresa». Il prossimo record da infrangere è il terzo oro consecutivo alle Olimpiadi, e mancano pochi mesi a Pechino.
Lacrime
Vezzali piange, o almeno così dice. A noi è concesso solo vedere il suo lato aggressivo, al di là di piccoli e discreti sorrisi sul podio. Ha pianto tantissimo con mamma Enrica nei primi giorni senza papà Lauro e pianse quel giorno del 1988, quando al Mondiale under 20 di Pistoia non riuscì ad entrare tra le prime trentadue. Era decisa a lasciare la scherma, eppure quando coach Triccoli la mise davanti all’armadietto da svuotare lei scosse la testa e disse che voleva allenarsi di più.
L’oro di Pechino, vinto contro la coreana Nam Hyunhee e contro le indecisioni del giudice di gara, quello che rende Valentina la unica e sola signora della scherma con più ori di tutte (superata sempre lei, Giovanna Trillini), con più titoli consecutivi di tutti, arriva alla fine di un torneo snervante per le tante polemiche sugli arbitraggi. Prima di lei solamente tre donne nella storia dei Giochi avevano vinto tre ori individuali consecutivi nella stessa specialità: la nuotatrice australiana Fraser (dal 1956 al 1964), la ginnasta ex sovietica Larisa Latynina (dal 1956 al 1964), la nuotatrice ungherese Krisztina Egerszegi (dal 1988 al 1996). In Italia, l’unico ad aver realizzato l’impresa è il tuffatore Klaus Dibiasi.
Valentina scoppia in un pianto tra le braccia di mamma Enrica che c’è sempre, anche così lontano da casa, ma non guarda mai una gara. Come quella volta a Sydney che si trovò di fronte Chelsea Clinton appena fuori dalla sala 4 del Convention centre. La mamma aspetta fuori tanto «se Valentina è andata bene o male, me ne accorgo subito dal chiasso dei tifosi». E a Pechino il tripudio è assordante. Vezzali è nell’Olimpo dello sport ma non è ancora sazia: le manca il record di Mondiali vinti, quello di Mangiarotti con sei. Eguagliato a Catania dopo un paio di anni in cui i risultati non arrivano.
Ora Valentina sperimenta cosa vuol dire non essere più la regina, una nuova generazione è cresciuta attorno al suo esempio e ci sono due ragazze come Elisa Di Francisca e Arianna Errigo che le hanno preso lo scetto. Dua atlete che non la amano, anzi, non la sopportano proprio, e che provano ancora più gusto a batterla. Vezzali non arriva più sul gradino più alto del podio ma continua ad accumulare record: 14 titoli mondiali contro i 13 di Edoardo Mangiarotti grazie al titolo a squadre di Budapest 2013 e 19 ori tra mondiali e Olimpiadi.
Non è simpatica Valentina Vezzali, e le sue compagne non perdono occasione per farlo notare. Nella sua percezione pubblica ha inciso un’apparizione a Porta a Porta successiva al trionfo pechinese e una scenetta poco riuscita sotto la regia di Bruno Vespa. Ma certamente c’è anche un carattere impossibile, ossessivo, che rende complicato qualsiasi rapporto con lei.
In un’intervista ad Antonello Caporale dichiarerà: «Io e Berlusconi in qualche modo rappresentiamo l’Italia che vuole vincere».
Nel luglio scorso la capitana della nazionale di calcio femminile Patrizia Panìco si rende promotrice di una raccolta firme contro la possibilità che Vezzali possa essere nominata ministro dello Sport dal premier Renzi, che la vorrebbe spendere come carta vincente nell’assegnazione dello Olimpiadi 2024 a Roma.
«Non mi sembra di ricordare mai un suo intervento a sostegno delle nostre battaglie contro le discriminazioni», scrive Panìco. Che rimprovera a Vezzali di non aver detto nulla contro contro il presidente della Lega dilettanti Belloli quando disse di smettere di dar soldi alle quattro lesbiche calciatrici, e poi ovviamente la storia della “toccata” da Berlusconi. Valentina risponde sul Corriere della Sera: «Non è vero basta cliccare sulla mia pagina Facebook per trovare ciò che dichiarai. La Panìco mi accusa pure di essere una strenua sostenitrice della famiglia naturale, quella formata da un uomo e una donna. Ebbene sì, io amo mio marito Domenico. Ma credo soprattutto nell’amore e se due persone dello stesso sesso si vogliono bene, questa è la cosa più bella del mondo. Io sono a favore delle unioni civili».
La nomina a ministro non c’è mai stata.
“Io non credo nella predestinazione”
Resta il fatto che dietro ad Arianna Errigo ed Elisa Di Francisca, che hanno 14 e 8 anni meno di lei, la terza migliore fiorettista italiana è ancora Maria Valentina Vezzali, oggi deputata per Lista Civica, che vive tra Jesi e Roma, si allena al Foro italico e quattro sere la settimana dorme nella foresteria del Coni come una sedicenne, mentre i suoi due figli sono a casa col padre. Con quella voglia di competere che sta a metà tra la dedizione pura e la follia, e che non è diminuita né con l’età né con la famiglia.
E resta il fatto che se ci fosse in programma la gara a squadre, Valentina a Rio ci andrebbe con ottime probabilità di portare a casa la decima medaglia di una carriera ripetibile, forse, tra cento anni. L’idolo di Vezzali è, lo ha ricordato spesso, Pietro Mennea, quello che diceva che doveva prendersela con qualcuno per ottenere risultati. Ma pure: «Io non credo nella predestinazione. I risultati si ottengono solo con molto lavoro. Nella mia carriera sportiva mi sono allenato 5-6 ore al giorno, tutti i giorni, per 365 giorni l'anno, tra gare e allenamenti, per quasi venti anni».