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08 ott 2015
Ricordo della Nazionale del Suriname scomparsa in uno dei disastri aerei meno conosciuti della storia del calcio.
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Paramaribo - Amsterdam - Paramaribo

Il 6 settembre del 1989, in un’amichevole contro la Danimarca, Stanley Menzo fa il suo esordio con l'Olanda, subentrando nel secondo tempo a Hans van Breukelen, il portiere titolare degli “Oranje” nella trionfale cavalcata agli Europei di appena un anno prima.

Menzo è uno dei tanti calciatori olandesi originari del Suriname, l’ex colonia divenuta indipendente negli anni ’70, una delle ultime a ottenere l’indipendenza, oltretutto in maniera contrastante. Non è tra i più famosi, perché il legame tra Paramaribo (capitale del Suriname) e Amsterdam è essenzialmente cristallizzato, nell’immaginario collettivo, nei nomi di Ruud Gullit, Frank Rijkaard, Bryan Roy e Clarence Seedorf.

Menzo con Wouters e Cruijff nella sede del club.

Menzo è stato uno dei punti di forza dell’Ajax di Cruijff che nel 1987 ha vinto la Coppa delle Coppe, sconfiggendo nella finale di Atene la Lokomotive Lipsia: al termine di quella partita Cruijff non si era sperticato in elogi per Marco van Basten, l’autore del gol, ma aveva detto: «Stasera il nostro giocatore più importante è stato Stanley Menzo».

In buona sostanza, per il suo ruolo fondamentale nel dare inizio alle azioni, più che per le garanzie che offrisse sulla linea di porta.

In occasione del penalty dei danesi Menzo intuisce la traiettoria, ma non riesce a bloccare la palla. Nel video si intravedono anche un diciannovenne Bryan Roy e Aron Winter, altri due uomini che in un modo o nell’altro hanno molto a che vedere con la storia che sto per raccontare.

Quando Cruijff aveva preso le redini dei Lancieri nel 1985, il suo primo apporto tattico era stato quello di forgiare la squadra sul 3-4-3: la naturale conseguenza del gioco totale abbracciato dall’Ajax era la necessaria trasformazione del portiere in quello che oggi definiremmo sweeper-keeper, e che Simon Kuper riassume efficacemente nella formula: «Un calciatore di campo, ma con i guanti».

Stanley aveva assimilato perfettamente quel tipo di filosofia, aggiungendoci un pizzico di sfrontatezza: non si concedeva mai il lusso di attendere staticamente la palla nella sua aerea, la giocava sempre molto rapidamente, come se avesse le spine, anche di prima, così da poter saltare «fino a quattro avversari», come ha ricordato Ronald Spelbos, difensore centrale di quell’Ajax. Nel suo calcio c’era un’irriverenza che profumava di Caribe.

Prima che la parabola della carriera di Menzo cominciasse a farsi pericolosamente calante, marcata da errori grossolani a cavallo tra il ’92 e il ’93, prima che perdesse il posto a favore di Edwin van der Sar, Stanley ha racimolato 6 presenze con gli “Oranje”. Poche, in relazione al peso specifico ricoperto nel calcio olandese di metà anni ’80. Il fatto è che, con la maglia della Nazionale, Menzo appariva sempre nervoso, come se non fosse a suo agio.

Quando nel 1989 l’ha indossata per la prima volta, peraltro, non erano passati neppure tre mesi dal giorno in cui era stato vicinissimo a perdere la vita. O, forse, in un certo senso l’aveva persa di già.

Il più grande disastro aereo nella storia del Suriname

All’alba del 7 giugno del 1989 il volo PY764 della Surinam Airways si era schiantato durante la fase d’atterraggio nei pressi dell’aeroporto Zanderij di Paramaribo. Dei 187 passeggeri che trasportava se ne erano salvati soltanto 11, e un cane. Tutti gli altri, più i 9 membri dell’equipaggio, erano morti sul colpo.

Il velivolo annientato dall’incidente era stato ribattezzato, pochi mesi prima del fatale atterraggio, Anthony Nesty, in onore del nuotatore che con grande sorpresa aveva strappato agli Stati Uniti, nella finale dei 100 metri farfalla alle Olimpiadi di Seul, la medaglia d’oro.

Poco prima dell’atterraggio, davanti al PY764 si era parata una coltre nebbiosa, riducendo la visibilità a 900 metri. Will Rogers, il capitano, che aveva 66 anni all’epoca, aveva deciso di attivare il sistema di atterraggio strumentale ILS, fregandosene dei divieti (il velivolo non aveva i permessi adeguati per attivare questa procedura) e degli indirizzi della torre di controllo.

Pochi frangenti di secondo prima di toccare terra un’ala aveva urtato un albero: il velivolo si era ribaltato, poi spezzato in due, poi aveva preso fuoco. Le ultime parole registrate dalla scatola nera sono impietose e struggenti, riportano la voce del capitano mentre dice: «That’s it. I’m dead».

Su quel volo c’era un’intera squadra di calcio. Si facevano chiamare Kleurrijk Elftal, che in olandese significa “Undici variopinto”. Era composta da calciatori, quasi tutti professionisti, olandesi di origine surinamese, non una vera Nazionale, vedremo più avanti il perché.

Se l’alone di gloria malinconica che avvolge il Kleurrijk Elftal oggi non è pari a quelle del Grande Torino, del Manchester United o della Nazionale dello Zambia, se a Zanderij ’89 non riusciamo a tributare la stessa memoria di Superga ’49, Monaco ’58 o Libreville ’93, in definitiva dipende dal fatto che “l'Undici variopinto” fosse composto da calciatori non propriamente di primo livello. Anche se non possiamo davvero sapere quanto forti sarebbero diventati: dopotutto erano tutti giovani, poco più che ventenni.

Se su quel volo ci fossero stati anche Ruud Gullit, Clarence Seedorf, Aron Winter, se ci fosse stato Menzo, ricorderemmo con maggiore costernazione il più grande disastro aereo nella storia del Suriname?

L'assenza dei nomi eccellenti fatti sopra era dovuta a un eccesso di egoismo delle relative società di appartenenza, che non vedevano di buon occhio una trasferta transoceanica durante il finale di stagione. Perché se fosse dipeso da loro, sarebbero partiti per Paramaribo senza un attimo di titubanza.

L’unico dei nomi noti che aveva deciso di trasgredire il divieto dell’Ajax è stato proprio Stanley Menzo. Nel tentativo di fare contenti gli uni e gli altri, l’Ajax e sé stesso, la patria che l’aveva adottato e le sue origini, pur di onorare l’impegno preso con i Kleurrijk Elftal, Menzo si è rassegnato a non compiere la traversata con i compagni, ma in solitaria, su un altro volo partito poche ore prima da Amsterdam. Una fatalità che gli ha salvato la vita.

La tragedia è avvenuta nel pieno dei festeggiamenti per il centenario della KNVB, la Federazione Calcistica Nazionale Olandese, che sono stati subito sospesi, e neppure a un anno di distanza dalla vittoria degli Europei di Germania del 1988.

Così come il Grande Torino, il Manchester United, lo Zambia dei fratelli Bwalya stavano scrivendo (o erano in procinto di farlo) la storia del calcio, anche il Kleurrijk Elftal stava per compiere qualcosa di formidabile. E con la carena dell’Anthony Nesty è andata in fiamme, oltre a un sogno, anche una delle migliori generazioni di calciatori creoli.

Un volano per l’integrazione

Se appeso a un capo c’è il Suriname, all’estremo opposto del cordone ombelicale del Kleurrijk Elftal c’è il quartiere di Bijlmermeer, nello stadsdeel di Amsterdam-Zuidoost, un’enclave a sud-est della capitale olandese famosa per essere stato, negli anni ’70 e ’80, una delle aree più malfamate della città. Oggi, dopo un processo di gentrificazione massivo che ha portato anche alla costruzione della Amsterdam ArenA, lo stadio dell’Ajax, è una tranquilla zona residenziale in cui vivono molti dei giocatori dei Lancieri. Soprattutto, negli anni ’80 era l’area in cui si concentrava maggiormente la comunità surinamese.

Straight Outta Bijlmermeer.

In un contesto di violenza, povertà e razzismo, nel 1984 l’assistente sociale Sonny Hasnoe (anch’egli originario dell’ex colonia) ha un’intuizione: lanciare una serie di iniziative orientate alla lotta contro la povertà del paese d’origine, ma anche finalizzate a una maggiore integrazione tra immigrati e autoctoni.

Senza troppa convinzione, ma con molto entusiasmo, chiede ad alcuni calciatori professionisti di aiutarlo a dare una forma ai suoi sogni: nel 1986 il Kleurrijk Elftal fa la sua prima uscita ufficiale affrontando, all’Olimpico di Amsterdam, i campioni del Suriname dello SV Robin Hood. Le sfide incrociate con le radici si ripeteranno, a cadenza annuale, nel 1987 a Hengelo, con la presenza di Ken Monkou e Regi Blinker; e poi ancora nel 1988 a Enschede, sempre contro il Robin Hood.

L’allenatore dell’Undici variopinto è Nick Stienstra, un passato da calciatore proprio con il Robin Hood: è il coach a suggerire ad Hasnoe di provare ad allargare gli orizzonti, lanciare una sfida controcorrente, sublime e visionaria. Per il giugno ’89 Hasnoe riesce a organizzare un torneo in Suriname che prevede la partecipazione, oltre che delle squadre protagoniste dell’abituale sfida, di SV Boxel e SV Transvaal. Per molti dei calciatori che compongono la rosa del Kleurrijk Elftal è la prima, irripetibile occasione di visitare il paese che è stato dei padri.

In un universo parallelo Edgar Davids avrebbe guidato la Nazionale del Suriname alla prima storica qualificazione ai Mondiali di Francia ’98.

Perché una squadra composta da calciatori surinamesi dovrebbe chiamarsi “Undici variopinto” e non essere, per esempio, la Nazionale ufficiale del Suriname? Per quale ragione prospetti interessanti, che non hanno saputo (o sono consapevoli che mai potrebbero) ritagliarsi uno spazio nella Nazionale "Oranje" non sposano la causa del Paese nel quale le loro radici affondano vestendone i colori?

Il Suriname, o Guyana Olandese, è stato acquisito dagli olandesi nel contesto di uno scambio di possedimenti: gli inglesi l’hanno ceduta in cambio di una modesta città, qualche migliaio di chilometri più a nord, chiamata Nuova Amsterdam.

Ha ottenuto l’indipendenza, o forse sarebbe più corretto dire che gli è stata imposta l’indipendenza, nel 1975: a tutti i cittadini è stata data l’opportunità di scegliere quale cittadinanza vedersi riconosciuta, quella olandese o quella del Suriname. Duecentomila persone su quattrocentocinquantamila che vivevano nella ex colonia hanno deciso di trasferirsi in Europa, come se quell’angolo nordorientale di America del Sud fosse maledetto, come se la sfida di continuare a vivere fuori contesto, in un continente in cui la presenza ispanica è egemonica, fosse decisamente troppo dura da affrontare, figuriamoci con le proprie gambe e senza il supporto della Madre Europa.

Oggi la popolazione del piccolo stato si aggira sulle cinquecentoquarantamila persone, mentre trecentomila olandesi possono tracciare la loro linea di discendenza fino a trovarsi a posare il dito su quel fazzoletto di terra al di là dell’Atlantico.

Un match della Hoofdklasse, la massima serie calcistica del piccolo paese sudamericano. Osservando i portieri in azione non viene complicato pensare che uno come Stanley Menzo avrebbe fatto assai comodo.

Il legame tra calcio e Suriname è interessante anche come caso di studio culturale, perché esemplifica le disparità tra Primo e Terzo Mondo, il conflitto che gli immigrati avvertono tra paese di provenienza e paese d’adozione, e anche la questione di come un Paese relativamente piccolo sappia produrre un così ingente plotone di ottimi calciatori.

A questo punto, però, subentra un ulteriore livello di complicazione del discorso: come dovrebbe porsi un calciatore di origine surinamese cresciuto in Olanda? Il senso d’appartenenza, e quello di riconoscenza, quale piatto della bilancia dovrebbe appesantire di più? Senza le infrastrutture, l’organizzazione, i fondamentali tecnici e tattici che formarsi in una scuola calcistica all’avanguardia come quella “Oranje” ti dona, sarebbe stato lo stesso giocatore?

A risolvere la questione, comunque, e anche in maniera dirimente, è intervenuto il Governo surinamese, che ha postulato l’assurdo e per certi versi autolesivo dettame in base al quale qualsiasi cittadino che al momento dell’indipendenza (o successivamente) abbia scelto la cittadinanza olandese è interdetto dallo svolgere la sua professione in Suriname.

È per questo che non solo i nomi di spicco, ma neppure quei calciatori di origine surinamese che non sono così forti da essere integrati nell’Olanda potrebbero vestire la maglia della Nazionale, appannaggio invece, infatti, di modesti amateurs che militano nella Lega locale.

Humphrey Mijnals è stato il primo calciatore di origine Surinamese a vestire la maglia dell’Olanda. Tre partite in totale, poi si lamentò del gioco della Nazionale e finì fuori dal gruppo. Disputò anche una quarantina di match con la Nazionale del Suriname, prima che diventasse fuorilegge giocare per entrambe le rappresentative. Qui un presentatore della tv di Paramaribo cerca di fargli ripetere una rovesciata difensiva diventata famosa e iconica del personaggio, vecchia di cinquant’anni.

Se il Kleurrijk Elftal fosse riuscito ad approdare in Suriname, se avesse calcato quei campi esotici circondati dalle palme, forse non avrebbe raggiunto soltanto lo scopo umanitario che si era prefisso decidendo di dispensare allegria e devolvere gli incassi del pubblico pagante in beneficienza. Il loro impatto sarebbe potuto essere politico: le forze governative avrebbero potuto capire che forse era tempo di allargare le maglie dei divieti, aprire gradualmente all’ottenimento facilitato della doppia cittadinanza, e chissà che di lì a dieci anni il Suriname non avrebbe avuto una Nazionale davvero competitiva, magari qualificata al Mondiale.

Di contro, e con un po’ di malizia, la trasferta dei role models può essere interpretata anche come uno spot per l'integrazione in Olanda, una specie di messaggio subliminale che incentivasse all’abbandono dell’ex colonia. Che sia quest’aspetto potenziale a rendere la tragedia di Zanderij meno mitica delle altre?

Una generazione distrutta

Il calciatore più affermato scomparso nel disastro si chiamava Andy Scharmin. Stabilmente nella rosa dell’Under-21 olandese, di cui era stato anche capitano, giocava con il Twente, era un difensore di fascia, e fuori dal campo aveva l’irruenza degli adolescenti, uno spirito giocoso.

Una volta, si racconta, dopo aver affrontato i pari categoria della Germania Ovest, prima di raggiungere gli spalti per osservare la gara tra le Nazionali maggiori gli venne in mente di fare uno scherzo a Beckenbauer: negli spogliatoi trovò una divisa da bigliettaio, la indossò e si piazzò all’ingresso delle tribune. Quando il Kaiser arrivò, Andy—che parlava un tedesco fluente—gli chiese di mostrargli il biglietto, che ovviamente Beckenbauer non aveva. Ci sono molti resoconti di questa storiella sul web, che di certo è divertente, ma poco verosimile: perché Beckenbauer, che in quegli anni era CT della Nazionale, sarebbe dovuto andare in tribuna e non in panchina?

Andy avrebbe dovuto partecipare, con i giovani “Oranje”, al Torneo di Tolone nel giugno del 1989: ma sua madre non tornava in Suriname da quarant’anni, così come sua zia, e a lui era sembrata una buona idea aggregarsi ai Kleurrijk Elftal e portare con sé le due donne. Morirono tutti e tre.

Uno dei più promettenti, invece, era Steve van Dorpel. Lo chiamavano «la perla di Bijlmermeer», era un attaccante del Volendam, dotato di ottima tecnica, era stato il miglior cannoniere della sua squadra nell’ultimo campionato. Aveva fatto impazzire tutti con un gol di tacco contro il Den Bosch, e si parlava già di un potenziale trasferimento al Roda JC.

La perla di Bijlmermeer in azione contro l’Ajax.

Negli ultimi tempi aveva confidato agli amici di voler cambiare il suo cognome in Esajas, quello della madre, perché non aveva mai conosciuto di persona il padre, ex calciatore in Suriname, un portiere che aveva difeso i pali del Robin Hood. Il viaggio con l’Undici variopinto gli era parsa l’ultima occasione che aveva per darsi una chance e scendere a patti col passato.

Mentre frequentava il secondo anno delle superiori, ad Andro Knel—un altro dei giovani “dell’Undici variopinto”—venne chiesto di stilare un collage su sé stesso, un’autobiografia: è una delle pochissime testimonianze, insieme a una manciata di foto, che ci restano della sua giovane vita e si può visionare per intero nel sito dedicato alla sua memoria.

Una pagina, in particolare, colpisce nel profondo: è quella in cui esplicita i suoi amori calcistici, dichiarando ammirazione per Diego Maradona, ma soprattutto, ridimensionando le pretese, dove si definisce successore di Frank Rijkaard e Gerald Vanenburg.

Le tifoserie delle due squadre nelle quali ha avuto comunque modo di giocare nella sua pur breve carriera, il NAC e lo Sparta Rotterdam, lo ricordano con così tanta nostalgia che ogni anno disputano una partita di beneficienza in sua memoria.

Non esistono molte immagini di Andro in azione: da quelle poche, però, si intuisce come fosse tecnicamente dotato, con una buona garra, ma anche, in fondo, un animo gentile.

Il retroterra culturale del Suriname è profondamente influenzato da reminiscenze animiste, ruota intorno a concetti primitivi come quelli dell’intuizione o del destino. Nelle settimane immediatamente precedenti il viaggio, molti dei famigliari ricordano che i calciatori del Kleurrijk Elftal avevano dimostrato sentimenti contrastanti: da una parte erano ansiosi di partire, ma dall’altra avvertivano strani presentimenti.

Il giornalista olandese Iwan Tol ha raccolto una serie di testimonianze nel suo libro Destination Zanderij: la madre di Knel ricorda che Andro, poco prima di partire, avesse chiesto insistentemente al patrigno la promessa che si sarebbe preso cura di lei e delle sue sorelle, casomai gli fosse successo qualcosa. Le è toccata la drammatica incombenza di dover riconoscere il cadavere del figlio da un paio di scarpe da ginnastica che fuoriuscivano dai sacchi in cui erano stati avvolti i cadaveri, mentre le telecamere riprendevano il macabro scenario che era apparso ai primi cronisti e soccorritori.

La moglie di Nick Stienstra, l’allenatore, aveva faticato a prendere sonno la notte della partenza perché non riusciva a togliersi dalla mente l’immagine della figlioletta che gli si era stretta alle gambe implorandolo di non partire.

Jerry Haatrecht, una volta a bordo, aveva chiesto a Edu Nandlal di scambiarsi i posti perché aveva voglia di vedere il mare. Jerry, come suo fratello Winnie, era cresciuto giocando in strada a Balboaplein, con amici che si chiamavano Frank e Ruud Dil. Di lì si erano trasferiti nelle giovanili dell’Ajax, anche se per loro, per i due fratelli, l’occasione di crescita non si era concretizzata appieno. Winnie era riuscito a ritagliarsi una carriera dignitosa con il Willem II di Tilburg, l’Az di Alkmaar e l’Heerenveen, la squadra per la quale era tesserato nel 1989 e che non gli diede il permesso di partire. Jerry, invece, era scivolato nel baratro del calcio amatoriale: per questo l’occasione di aggregarsi ai Kleurrijk in sostituzione del fratello l’aveva quasi fatto sentire soddisfatto, arrivato. Era felice soprattutto che sua madre, che aveva appena vinto una battaglia contro il cancro, fosse orgogliosa di lui.

Il momento del ricordo di Jerry è uno dei più toccanti dell’intera cerimonia funebre in memoria dei caduti nel disastro. Gullit e Rijkaard sono visibilmente commossi. Ruud dice: «L’unica cosa, credo, che vorrei dire, è una parola speciale per un nostro amico, Jerry Haatrecht, che all’ultimo momento ha deciso di andare. Vorrei dire: Jerry, se potessi sentirmi adesso: ti vogliamo bene».

Edu Nandlal, invece, è uno dei soli tre membri che sono sopravvissuti all’ecatombe. Giocava con il Vitesse, ma non è mai più riuscito a calcare un campo di gioco. Sigi Lens, del Fortuna Sittard, lo zio del Jermain passato anni più tardi per il PSV, dovette abbandonare il calcio non ancora trentenne, così come Radjin de Haan.

Quasi tre mesi dopo il Kleurrijk Elftal scese di nuovo in campo, il 20 settembre, a Rotterdam, contro l’Olanda. Finì 2-1 per loro, e i festeggiamenti dopo le reti non sembrano per nulla fuori luogo.

Per gli "Oranje" segnò Ronnie Koeman con un tiro-da-fuori-alla-Koeman; per il Kleurrijk Elftal Hennie Meijer con un pregevole spunto personale e Frank Rijkaard. In porta c’era anche Stanley Menzo.

Quale futuro per il calcio del Suriname?

L’esperienza del Kleurrijk Elftal è idealmente proseguita, come una fenice rinata dalle sue ceneri, nel progetto dei Suriprofs di Stanley Menzo: tra il 1993 e il 2012 la selezione di calciatori professionisti olandesi con ascendenze surinamesi ha giocato, ogni anno, una partita di beneficienza all’Olimpico di Amsterdam contro i campioni della Serie B olandese.

Il capitano che calcia l’ultimo rigore è Lorenzo Davids, cugino di Edgar. Invece l’allenatore non c’è bisogno di ricordare chi sia, vero?

La Nazionale del Suriname, attualmente, è al 181.esimo posto nel Ranking mondiale della FIFA, tra Yemen e Bangladesh. L’ultima vittoria internazionale in gara ufficiale è vecchia di tre anni, 7-1 contro Montserrat, ed è già stata tagliata fuori dalla corsa verso Russia 2018. Nella doppia sfida contro il Nicaragua, dopo aver perso per 1-0 in Centro America, nella gara di ritorno è passata in vantaggio al terzo minuto, prima di subire la rimonta dei nicaraguensi.

La Federcalcio, negli ultimi tempi, ha dimostrato una certa flessibilità nell’affrontare le proprie idiosincrasie, e si sta aprendo, dichiarandosi possibilista, verso un’eleggibilità di professionisti originari del Suriname, ma cresciuti in Olanda. L’ex calciatore Dean Gorré si sta spendendo molto per la Surinaamse Voetbal Bond.

«Per me è molto impegnativo tracciare e seguire ogni giocatore che potenzialmente potrebbe giocare per noi. Come potrete immaginare ci sono così tante telefonate fatte, guardiamo un sacco di partite sulla tv satellitare e spediamo i nostri scouts ovunque. Ma già sappiamo quali sono i nostri calciatori migliori. Li abbiamo scovati, quindi si tratta solo di seguirli», ha dichiarato. «Ci sono molti ottimi giocatori in giro per l’Europa, sarebbe uno spreco se non avessero occasione di giocare a livello internazionale».

L’account twitter @NatioSuriname ha praticamente istituito un osservatorio permanente sui migliori potenziali giocatori di un’ipotetica Nazionale dei sogni, che viene aggiornata (o almeno veniva, fino all’anno scorso) su base settimanale. L’ultimo tridente pubblicato poteva contare su Misidjan del Lugodorets, Slagveer dell’Heerenveen e su Ricardo Kishna della Lazio, all’epoca all’Ajax.

Né Misidjan, né Slagveer, né Kishna hanno ancora esordito con la Nazionale “Oranje” maggiore. Se domattina le leggi del calcio surinamese cambiassero, e se i tre ne avessero voglia, potrebbero ancora essere in tempo per scegliere di vestire la maglia verde e rossa.

Sarebbe bello e utile per provare a scrivere, finalmente, pagine di storia vergate con frasi meno malinconiche; in un certo senso onorerebbero anche la memoria del Kleurrijk Elftal.

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