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Sarebbe giusto esonerare Gotti?
13 gen 2021
Le statistiche dimostrano come l'Udinese dovrebbe aver raccolto di più.
(articolo)
11 min
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Dopo la sconfitta contro il Napoli i giornalisti di Sky Sport hanno chiesto a Luca Gotti se temesse l’esonero dalla panchina dell’Udinese. Una domanda arrivata a ciel sereno. La sua squadra non vince una partita dal 12 dicembre, ma è al quindicesimo posto, 4 punti sopra la zona retrocessione, poco distante da dove ci si aspettava fosse a inizio stagione. Gotti ha velatamente accusato i media di contribuire a spingere il suo esonero: «Non vedo segnali. Discutendone così tanto siamo noi a muovere la slavina». Eppure la storia recente del calcio italiano è ricca di esoneri controintuitivi, arrivati in momenti inaspettati forse perché l’allineamento cosmico aveva inviato strane vibrazioni ai polsi di presidenti suscettibili. Ricordate quello di Rolando Maran dal Cagliari a metà dello scorso anno, dopo un girone d’andata strepitoso? O, per scavare ancor di più nell’assurdo, quello di Davide Ballardini col Genoa a una manciata di punti dalla zona Champions League? Ha senso, quindi, pensare di cambiare allenatore per l’Udinese? La squadra sta davvero deludendo le aspettative?

I discorsi sull’esonero hanno un gusto paradossale associati a Luca Gotti, che poco dopo il suo arrivo sulla panchina dei friulani parlava semmai di auto-esonerarsi. Disinteressato alla ribalta e insofferente alle pressioni, era diventato allenatore dell’Udinese il 1° novembre del 2019, subentrando a Tudor. Gli avevano assicurato che sarebbe restato ad interim e per un tempo ridotto ma, dopo una striscia di risultati positivi, la dirigenza lo ha convinto a restare. Lui continuava a mostrarsi reticente: «Non è bello che un vice-allenatore prenda il posto del tecnico esonerato. Sembra che gli abbia fatto le scarpe» aveva detto con eleganza, e alla domanda se si era ricreduto, dopo un po’, ha risposto: «Non ci ho preso gusto, assolutamente anzi, spero di togliermelo presto, questo gusto». Così ha iniziato a farsi il personaggio dell’eretico, dell’uomo distaccato dalle passioni del calcio e dal potere, che non trova nessun piacere a sedere in un posto per cui la maggior parte delle persone farebbe carte false. Gotti con un’educazione da baronetto davanti ai microfoni, l’accento veneto addolcito, lo stile sempre impeccabile, fatto di maglioni a collo alto o cravatte infilate sotto il gilet. L’Udinese lo scorso anno non solo si è salvata, ma ha fatto qualcosa in più. Ha chiuso il campionato al tredicesimo posto, finendo con 3 vittorie nelle ultime 5 partite. Con 51 gol subiti è stata la settima difesa del campionato, al pari di Verona e Roma, e con una sola rete presa più del Napoli. Quindi se allarghiamo la lente anche alla fine della scorsa stagione, il lavoro di Gotti appare ancora meno criticabile.

L’Udinese è cambiata molto dalla scorsa stagione a questa, e il mercato estivo ha forse fatto lievitare le aspettative. Per la prima volta dopo anni, l’Udinese è sembrata uscire rafforzata dal solitamente sanguinoso mercato estivo. Sono arrivati due giovani dalle prospettive intriganti come Makengo e Molina, ma è soprattutto fra centrocampo e attacco - nei due reparti che sembravano soffrire di meno qualità - che l’Udinese ha acquistato di più. Sono arrivati tutti giocatori già formati, più o meno nel teorico prime della carriera. Tolgay Arslan, ex giovane prodigio arrivato svincolato dal Fenerbahce; Gerard Deulofeu, altro ex prodigio con una carriera tormentata che ha avuto almeno un paio di lampi notevoli; Fernando Forestieri, nato come Pibe de Oro e diventato giocatore di culto in Championship. Roberto Pereyra era però forse l’acquisto di punta, dopo 4 ottime stagioni in Premier League e che a 29 anni sembrava avere ancora da dare in un campionato meno intenso. Alla fine del mercato è tornato anche Ignacio Pussetto, anche lui come Pereyra dal Watford retrocesso dei Pozzo. L’unico a partire era stato Fofana. Insomma, sembrava un calciomercato fatto per preparare la cessione di Rodrigo De Paul, vicinissimo al Leeds. Ogni giorno sembrava quello buono, ma alla fine l’affare è saltato e l’Udinese si è ritrovata con una rosa di livello incredibilmente buono rispetto agli ultimi anni di nozze con i fichi secchi.

Gotti, con questa materia prima, ha pensato di modificare leggermente l’identità della squadra. L’Udinese della scorsa stagione si caratterizzava per un gioco molto fisico e diretto: era la squadra con i calciatori mediamente più alti della Serie A, 1,85 metri. Aveva un baricentro basso e un gioco che cercava velocemente le punte saltando il centrocampo. Mandragora era poco coinvolto nella costruzione bassa, De Paul e Fofana dovevano impegnarsi in lunghe e folli corse in conduzione per ricucire il campo in avanti.

Una delle vittorie più brillanti della scorsa stagione.

Quando invece l’Udinese provava a costruire dal basso, quindi aspettando due o tre passaggi prima di andare sulle punte, si cercavano di costruire dei triangoli tra attaccante, esterno e mezzala, soprattutto De Paul, fonte creativa principe della squadra. Era l’esempio di un certo tipo di squadra italiana: 3-5-2, molto fisica, equilibrata in fase difensiva e diretta in quella offensiva. Era la terza in Serie A per gol segnati in contropiede, dietro solo a Parma e Lazio. In un’intervista al Corriere della Sera Gotti aveva ammesso che l’Udinese praticava un gioco un po’ “speculativo”. Non era il suo ideale, diceva, ma per ottenere risultati accettava i compromessi: «Il mio ideale di calcio, forse un’utopia, non sarebbe quello che adottiamo oggi, ma noi allenatori dobbiamo adattare il guanto alla mano. Qui c’era un pregresso storico legato alla difesa a tre e anche Tudor la usava, perciò sono andato avanti su questa strada. Io preferisco un calcio propositivo, non speculativo».

Una squadra più tecnica, ma che non riesce a segnare

Anche in questa stagione Gotti ha mantenuto la difesa a tre, ma con qualche infortunio e l’inserimento dei nuovi acquisti ha modificato la struttura dal centrocampo in su, adattando la mano a questo nuovo guanto. Davanti la difesa Arslan, rispetto a Mandragora, ha caratteristiche più di palleggio, e rispetto a Fofana Pereyra ha meno esuberanza atletica ma anche lui è più raffinato nelle letture e nelle esecuzioni tecniche. La squadra fa meno fatica dello scorso anno a gestire il possesso ed è meno dipendente dalle combinazioni delle punte. L’Udinese continua ad amare gli attacchi in campo aperto, ma è meno diretta, meno frenetica. Due anni fa era quartultima in Serie A per dominio territoriale e baricentro medio, l’anno scorso è passata a essere tredicesima. In questa stagione è quarta per baricentro medio e sesta per dominio territoriale.

Gotti sta quindi lentamente modificando il DNA tattico dell’Udinese, che conoscevamo nella storia recente come una squadra fortemente speculativa. La produzione offensiva è quindi migliorata, passando dall’1,07 xG per novanta minuti dello scorso anno (la peggiore in Italia) all’1,39 di oggi. L’Udinese in questa stagione è la settima squadra in Serie A per xG prodotti in Open-Play, dietro solo alle squadre di cui consideriamo la rosa superiore, ed è terza per xG prodotti su calcio piazzato. Eppure l’Udinese ha il terzo peggior attacco del campionato: con 18 gol segnati solo Parma e Crotone fanno peggio. Magari allora c’è un problema di qualità di occasioni. In realtà la squadra è sesta in Serie A nella classifica degli xG per tiro prodotto, quindi le occasioni che produce sono invitanti.

Tutti questi indizi portano al rendimento delle punte, che forse può spiegare il perché l’Udinese in attacco raccolga meno di quanto produca. L’imprecisione degli attaccanti negli ultimi metri è un problema che la squadra di Gotti si porta dietro dallo scorso anno e che è per certi versi strutturale: a Lasagna e Okaka veniva richiesto un lavoro fisico così grande che finivano per essere poco lucidi nella definizione dell’azione. Ma c’è anche una questione di caratteristiche: Okaka è bravissimo nel gioco fisico spalle alla porta, Lasagna è formidabile nel guidare le transizioni lunghe con l’intensità dei suoi scatti dietro la difesa, nessuno dei due però è un attaccante preciso sotto porta. L’altra punta, Nestorovski, ha segnato 4 gol in 38 presenze con i friulani. Un problema chiaro dallo scorso anno, ma che non è stato risolto dal mercato estivo.

Kevin Lasagna è un giocatore peculiare e dai pregi chiari; è uno dei migliori attaccanti in Serie A ad attaccare in campo aperto, tra i più intelligenti negli smarcamenti. Ha un’intensità a volte disperata, sempre enfatica nelle sue conclusioni in porta di collo pieno che arrivano dopo scatti da velocista. Oggi però è il calciatore che sta vivendo la peggiore performance offensiva della Serie A: è secondo per xG prodotti in open-play in tutto il campionato, ma ha segnato appena due reti. È il peggiore del campionato nella differenza tra xG prodotti e realizzati (-4,6, contro i 2,9 di Vlahovic penultimo) - e di converso De Paul è quello con la più grande sproporzione tra xA e assist effettivi. Un’imprecisione che non può essere spiegata solo col lavoro atletico, visto che quest’anno le punte sono meno sollecitate per far alzare la squadra. Guardandolo giocare, Lasagna ha un evidente problema di selezione di tiro, ma anche di scelta nella soluzione tecnica. A volte cerca la potenza invece di preferire una soluzione più calma e “sicura” di precisione. Lasagna sembra sempre in bilico tra tirare in modo impeccabile sotto al sette come in Holly&Benji, oppure far finire la palla in fallo laterale.

Per questi problemi, e anche per la disponibilità di giocatori più bravi a giocare tra le linee come Forestieri, Pussetto e Deulofeu, Gotti quest’anno ha diminuito l’enfasi delle punte nel suo gioco. A volte ha rinunciato persino a schierarle, preferendo coppie di attaccanti leggeri e mobili e cercando di attaccare in modo meno diretto.

Una squadra solida difensivamente, ma che non riesce a non subire gol

Quindi l’Udinese è migliorata in modo chiaro nella produzione offensiva, ma non per questo ha perso solidità difensiva. Anzi, i suoi numeri rimangono d’eccellenza. Ha alzato il blocco difensivo di qualche metro rispetto allo scorso anno, è una squadra aggressiva sulle linee di passaggio, disciplinata, forte nei duelli uno contro uno. Non cerca spesso una riconquista alta ma è brava a ostacolare la costruzione avversaria. È la quarta migliore squadra in Serie A per xG concessi in open-play e la sesta da calcio di punizione, ma anche qui subisce più gol di quanto dovrebbe. È solo la nona migliore difesa del campionato. Anche se prendiamo il dato sugli xG per tiro concesso - che in fondo misura la qualità delle occasioni concesse - l’Udinese è la sesta migliore squadra. A differenza del rendimento offensivo, però, per quello difensivo è più difficile trovare dei responsabili chiari. Juan Musso, per esempio, non sta avendo la stagione eccezionale dello scorso anno, ma il suo rendimento è nella media dei portieri del campionato. C’è una statistica che più di altre ci parla della stagione dell’Udinese, ed è la percentuale realizzativa sui tiri: è la quinta peggiore squadra per conversione dei propri tiri, ed è la terza peggiore per conversione dei tiri avversari. Insomma, le squadre che affrontano l’Udinese segnano facilmente sui propri tiri nonostante non siano grandi occasioni.

L’insieme di questi dati indica quindi che l’Udinese, a dispetto di una classifica forse leggermente deludente rispetto alle attese (ma comunque non grave), sta giocando bene. È una squadra in salute, dall’identità chiara e che sa anche valorizzare le individualità a disposizione. Ma è una sensazione che si può avere anche dimenticando le statistiche avanzate e guardando le partite. Basterebbe guardare l’ultima prestazione contro il Napoli, in cui la squadra ha creato molto e concesso relativamente poco per le qualità di un avversario del genere. Il Napoli veniva da due partite in cui aveva superato i 4 xG prodotti ma contro l’Udinese si è fermato a 1,8 (e l’Udinese ne ha accumulati 2). Sull’1-1 Lasagna ha avuto una grossa occasione per portare in vantaggio i friulani, ma ha calciato sulle gambe di Meret.

Non è stata certo la sconfitta più immeritata dell’Udinese, che quest’anno si specializzata in perdere partite che poteva pareggiare o vincere. Prendiamo la sfida contro lo Spezia a fine settembre. Lasagna e Okaka sbagliano almeno tre occasioni nitide, mentre Galabinov segna due gol nei minuti di recupero, di primo e secondo tempo, uno di testa e l’altro approfittando della squadra sbilanciata in avanti per cercare il pareggio.

Anche contro il Crotone l’imprecisione sotto porta è stata fatale, così come contro il Benevento, un’altra partita persa in modo assurdo. Ce ne sono di meno evidentemente sfortunate. Contro la Roma, in una partita tesa ed equilibrata, ha fatto la differenza un gol straordinario di Pedro con un tiro da fuori area; contro la Fiorentina le prestazioni di Dragowski e Castrovilli hanno spostato l’inerzia di una partita equilibrata in cui l’Udinese aveva comunque creato un po’ di più degli avversari.

In un calcio sempre più razionale e che cerca legittimamente una spiegazione logica per tutto è difficile ammetterlo, ma nella stagione dell’Udinese il peso del caso e della sfortuna è stato forse più grande di quanto vorremmo credere. L’Udinese però non dovrebbe preoccuparsi: dovesse continuare a giocare così i risultati dovrebbero migliorare nel breve periodo, almeno in teoria. Magari l’acquisto di un attaccante nel mercato di gennaio potrebbe aiutare a risolvere alcuni problemi di precisione sotto porta. Il problema sarebbe se la squadra, scoraggiata dall’assenza di risultati, cominciasse a non applicare le idee del suo allenatore. A quel punto, e solo a quel punto, sarebbe sensato pensare all’esonero di Luca Gotti.

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