Anche in questa stagione sull’Ultimo Uomo assegniamo il premio “Calciatore del mese AIC” in collaborazione con l’Associazione Italiana Calciatori. Alla fine di ogni mese, sui nostri social e su quelli dell’AIC, potrete votare da una lista di quattro giocatori: a febbraio potevate scegliere tra Di Lorenzo, Ilicic, Luis Alberto e Rebic. Alla fine ha vinto il trequartista della Lazio. Qui trovate i nostri articoli sui "Calciatori del mese AIC" di questa stagione.
In un calcio dominato sempre di più dall’eccezionalità fisica, dall’ipertrofia muscolare, da corpi impossibili, non smetteremo mai di meravigliarci di quei calciatori che riescono a imporre la propria superiorità attraverso l’uso esclusivo della tecnica. Calciatori che rispondono al nostro bisogno di esseri umani che risolvono i problemi attraverso l’astuzia e la destrezza e non tramite la forza e la violenza. Il mito di Ulisse, di Palamède, di Ermes, solo per restare nella tradizione greca. Non sono molti a dire il vero. Quanti ve ne vengono in mente? Dani Parejo, Iniesta, Sergio Busquets, David Silva. Poi Josip Ilicic e Luis Alberto, che non sono accomunati solo dalla loro qualità tecnica squisita, ma anche dal fatto di giocare in Serie A e di avere avuto una parabola quanto meno peculiare nella propria carriera. Entrambi hanno toccato dei punti molto bassi nella propria vita, sono stati vicini al ritiro, hanno sofferto di depressione; entrambi ne sono usciti in modo sorprendente, nel momento in cui nessuno si aspettava più qualcosa da loro. Entrambi non lo hanno fatto snaturandosi, ma esasperando le proprie qualità, imponendo il proprio stile di gioco come un’anomalia efficace.
Ilicic e Luis Alberto erano anche i candidati forti per il premio di Calciatore del mese AIC di febbraio, e se ha vinto lo spagnolo è soprattutto perché è uno dei calciatori più rappresentativi della squadra più in forma della Serie A. Della più sorprendente, e anche della più bella da vedere insieme all’Atalanta mostruosa - e a tratti incomprensibile - di Gasperini.
Luis Alberto è anche il primo giocatore della storia del premio AIC a vincerlo in due mesi diversi. Lo spagnolo si era infatti aggiudicato il premio già a novembre, quando lo avevamo celebrato attraverso la sua arte più visibile, quella dell’assist. Ora che Luis Alberto sta dando una continuità ancora più sorprendente alle sue prestazioni, vogliamo invece ragionare su tre significati che si porta dietro la sua grande stagione.
I numeri 10 giocano più indietro
Se da una parte il calcio diventa sempre più fisico e intenso, dall’altra è proprio questo contesto a richiedere giocatori tecnici che possano battere quest’intensità. È una guerra per gli spazi che si gioca nelle prime battute dell’azione, quando una squadra cerca di riconquistare il pallone in alto e l’altra cerca di aggirarne il pressing giocandogli alle spalle, negli spazi che si sono aperti. Si richiede allora un livello tecnico più alto ai giocatori che iniziano l’azione. Per semplificare, allora, si dice che oggi i numeri 10 giocano 30 metri più indietro rispetto a vent’anni fa: non sono più i rifinitori dell’azione ma i giocatori bravi a resistere alla pressione avversaria, mandandola a vuoto e aprendo gli spazi. Questo tipo di centrocampisti sono il futuro, si scrive da più parti.
Anche Luis Alberto è un numero dieci che nel tempo ha dovuto abbassare il proprio raggio d’azione. A inizio carriera - con le maglie del Siviglia, del Barcellona B o del Deportivo La Coruna - veniva lasciato libero di muoversi sulla trequarti, spesso partendo da sinistra per accentrarsi e cercare la rifinitura o il tiro. Alla Lazio, dopo un primo anno molto difficile, ha cominciato a fare le sue prime presenze convincenti giocando play davanti la difesa per sostituire Lucas Leiva. Poi Simone Inzaghi lo ha avanzato in una posizione ibrida tra mezzala e trequartista, ma comunque piuttosto avanzato, dove poteva associarsi nello stretto con Sergej Milinkovic-Savic. Ora Luis Alberto gioca invece mezzala del 3-5-2, un ruolo in cui segna meno (le undici reti di due stagioni fa rimangono inavvicinabili) ma ha un’influenza enorme sul gioco dei biancocelesti. Tocca mediamente 12 palloni in più per 90 minuti, ha una percentuale di riuscita del 6% più alta ma non ha comunque abbassato la quantità di passaggi chiave e assist (oggi è a 2 assist dai 14 realizzati due stagioni fa). Quindi non rischia meno ma è diventato più preciso ed efficace.
Questo significa che Luis Alberto oggi aiuta la squadra in più fasi del gioco. A volte si abbassa talmente tanto, per aiutare la Lazio a uscire dal pressing, che finisce per essere addirittura uno dei giocatori più arretrati. Si defila sulla sinistra, con i compagni che si scaglionano davanti a lui per ricevere i suoi passaggi. Quando riceve e alza la testa stupisce la sua solitudine: com’è possibile che uno dei giocatori più temibili del campionato non venga pressato? Da una parte lo spagnolo è bravissimo a trovare i tempi dello smarcamento; dall’altra le squadre avversarie, contro la Lazio, tendono ad allungarsi perché hanno paura di concedere profondità a Immobile, e anche a Milinkovic-Savic, che esegue dei movimenti profondi che smagliano le difese. A quel punto Luis Alberto finisce per ricevere spesso solo, senza contare che quando è pressato e bravissimo a ondeggiare e a mantenere il possesso della palla.
Esempi della posizione arretrata di Luis Alberto. Il lato sinistro è quello di costruzione della Lazio con Radu.
Luis Alberto, però, non è mai conservativo e ha sempre come prima idea quella di andare in verticale. La Lazio è una squadra che vuole spesso giocare su un campo lungo, e a percorrere queste ampie distanze è spesso proprio Luis Alberto, il giocatore di Serie A primo per distacco nella classifica di chi fa avanzare di più la propria squadra, attraverso le corse o i passaggi. Scomponendo i dati, Luis Alberto è primo nei passaggi, che è una cosa che potevamo anche aspettarci, ma è anche quarto nelle corse, in mezzo a giocatori che nel nostro immaginario sono molto più dinamici di lui (Gomez, Dybala, Berardi, Boga).
Ma il dato più assurdo di tutti, almeno se messo in relazione a quelli già citati, è che Luis Alberto è anche il secondo giocatore della Serie A per passaggi completati in area di rigore. Questo significa che lo spagnolo è il giocatore che nella Lazio inizia l’azione, che la fa avanzare e che la rifinisce. Il dato sui passaggi in area è ancora più incredibile se pensiamo alla capacità di Luis Alberto di rifinire con l’ultimo passaggio anche molto lontano dall’area di rigore. La sua capacità di giocare filtranti e lanci lunghi a tutto campo aumenta e diffonde su tutto il campo l’imprevedibilità e la pericolosità della Lazio.
L’esempio che viene in mente a tutti della società messa in piedi da Luis Alberto e Milinkovic-Savic.
Definirlo “il cervello” della squadra a questo punto è quasi riduttivo.
In Serie A possono sopravvivere giocatori che usano soprattutto la tecnica
Se è vero che Luis Alberto spesso gioca a palla scoperta più di quanto dovrebbe un calciatore del suo talento, è anche perché in Serie A poche squadre riescono a portare un pressing efficace. Storicamente la tradizione tattica italiana preferisce la difesa posizionale a una proattiva in avanti. Ci sono sempre più eccezioni, ma è vero che questo aspetto - unito a un’intensità e a dei ritmi inferiori rispetto a campionati come la Premier o la Bundesliga, ma ultimamente anche in Liga si vedono squadre più intense che da noi - favorisce la sopravvivenza di giocatori tecnici nelle nostre squadre. E in questo caso per tecnici intendiamo giocatori che hanno quasi esclusivamente la tecnica come strumento per imporsi ad alti livelli.
Ilicic è il giocatore che in maniera più lampante ha elevato il calcio a un’arte puramente tecnica e mentale (guardate il gol segnato al Lecce, sembra Neo di Matrix). Ma ci sono altre eccezioni meno evidenti perché magari giocano in zone più arretrate di campo: Riccardo Saponara, per esempio, nonostante un atletismo che si assottiglia via via che aumentano i suoi problemi fisici, sta dimostrando di poter fare ancora giocate decisive in Serie A usando la tecnica pura. Luca Cigarini, nel Cagliari, sta giocando una grande stagione a quasi 34 anni, dopo una carriera passata a nascondere le proprie carenze fisiche. È quarto in Serie A nella classifica dei passaggi in avanti, per esempio. Dobbiamo anche citare Mario Rui, un terzino di cui il Napoli accetta i limiti fisici - più che altro nei duelli corpo a corpo - per il grande contributo che dà col suo raffinato gioco di passaggi (primo terzino per passaggi in avanti in Serie A). Ma anche Miguel Veloso, straordinariamente efficace in pressing quest’anno, ma giocatore che spicca soprattutto per la sensibilità tattile del suo sinistro. Con il Genoa Goran Pandev, a 37 anni, sta continuando a fare la differenza negli ultimi metri di campo con la qualità della sua visione e della sua finalizzazione.
Per questo discorso vale la pena citare anche il mese eccezionale di Javier Pastore con la Roma. Almeno fin quando era integro fisicamente, la sua tecnica e le sue letture riuscivano ancora a determinare partite di alto livello in Serie A nonostante un atletismo più da pittore che da calciatore
Il risvolto positivo quindi del livello fisico più basso del campionato italiano è la presenza di giocatori che per varie ragioni - problemi fisici, avanzamento dell’età, caratteristiche - hanno una grossa sproporzione tra valore atletico e tecnico, e che ci fanno vedere cose per cui vale la pena guardare le partite.
Qual è il prime di un calciatore tecnico
Luis Alberto, in realtà, appartiene solo in parte a quella categoria di giocatori, visto che quest’anno sembra in stato di grazia anche dal punto di vista fisico. Le sue conduzioni palla al piede sul corridoio di sinistra sono una delle ricorrenze fisse di questa stagione della Lazio. Quel moto ondeggiante da calciatore anni ’70 che lo fa sembrare lento e anacronistico, ma è sempre efficace e difficile da contenere.
Ha dichiarato che lo scorso anno è stato penalizzato anche da una pubalgia - «Le persone che mi criticavano non sapevano cosa stavo passando» - mentre quest’anno non è mai stato così in forma: «Sono diventato più forte, a questo livello non sono mai stato nemmeno quando la Spagna mi ha chiamato per la prima volta».
Luis Alberto negli anni è diventato sempre più scrupoloso nella cura di sé stesso. Ha lavorato insieme a un mental coach che lo ha aiutato a non essere più bloccato psicologicamente («Oggi provo cose che prima neanche pensavo»), e poi insieme a un preparatore personale, Ruben Pons Aliaga, che lo ha reso più flessibile e meno prono agli infortuni. Oggi, a 28 anni, Luis Alberto, è al massimo del proprio potere calcistico, e la grande stagione del trentaduenne Josip Ilicic ci fa pensare che per giocatori che basano molto il proprio gioco sulla tecnica e le letture, ci voglia più tempo per maturare. La questione di come invecchiano i calciatori è cruciale in un calcio in cui le società non vogliono fare più investimenti che possono deperirsi in breve termine, e che per questo spendono sempre di più per giocatori sempre più giovani.
Luis Alberto ha migliorato praticamente tutti i propri numeri in un età in cui molti giocatori creativi iniziano il proprio declino. Persino la statistica dei dribbling - quella che cala più in fretta e già intorno ai 25 anni - per Luis Alberto è oggi al suo massimo (3 per 90 minuti). Lo stesso è per Ilicic, che oggi esegue più del doppio dei dribbling di cinque anni fa.
Ovviamente è il contesto di Lazio e Atalanta a esaltarne le qualità, ma è possibile anche che a entrambi ci sia voluto più tempo per affinare uno stile di gioco raffinato e fondato sulla comprensione profonda delle situazioni di gioco.
Ora Luis Alberto è un calciatore al vertice della propria ambizione. Pochi riescono a comunicare la stessa possibilità di fare, o quanto meno provare, tutto su un campo da calcio. Pochi riescono a trasmettere la stessa sensazione di dominio del tempo e dello spazio solo ed esclusivamente attraverso la dolcezza e l’intelligenza con cui muovono il pallone.