Per la prima volta da quando veste la maglia del Manchester United, Wayne Rooney ha finito il campionato senza segnare almeno 10 gol. Tornato da un infortunio a metà aprile, Rooney ha giocato da trequartista, da mezzala, da centravanti e da mediano, annotando solo un assist per Mata nella vittoria contro il Norwich prima di determinare il 3-1 sul Bournemouth all’ultima giornata con un gol, un third pass (il passaggio prima dell’assist) e un assist. L’ultimo mese della sua stagione con i “Red Devils” in un certo senso racchiude una carriera: la versatilità è sempre stata una caratteristica di Rooney, ma ha rappresentato più una risorsa o un limite?
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Rooney che distrugge il Bournemouth.
Il confine è labile e sembra assottigliarsi ancora di più con il passare degli anni: Rooney è diventato il giocatore che si adatta per far posto ai talenti emergenti del Manchester United, una sensazione resa ancora più forte dai tanti cambi di ruolo cui è stato sottoposto in appena un mese. Il progressivo arretramento in campo, una soluzione utilizzata di solito per allungare la carriera ai giocatori in là con gli anni, sembra poi suggerire che la parabola di Rooney sia già nella sua fase discendente.
Eppure, nonostante abbia alle spalle una carriera così lunga da farlo sembrare più anziano, Rooney ha 30 anni. È più giovane di qualche mese di Cristiano Ronaldo e non ha nemmeno due anni di differenza con Leo Messi. Lo scorso febbraio Sven-Göran Eriksson, allenatore dello Shanghai SIPG, ha dichiarato: «Probabilmente accadrà molto presto che giocatori come Messi, Ronaldo e Rooney vadano a giocare in Cina». Dei tre, l’unico davvero vicino a un possibile trasferimento in Cina è stato proprio Rooney, a rafforzare l’idea che la sua carriera sia già arrivata a quella tappa in cui l’aspetto economico conta più delle ambizioni sportive. Ma la stella di Rooney è davvero prossima a spegnersi?
Il meglio alle spalle?
Due anni fa Paul Scholes, compagno di Rooney per diversi anni in Nazionale e nel Manchester United, ne sintetizzava in queste righe la carriera: «Wayne ha esordito nell’Everton a 16 anni, nel 2003 (in realtà l’esordio è avvenuto un anno prima, nel 2002, ndr). Da allora ha disputato Euro 2004, due Mondiali, la Premier League e la Champions League ogni anno con il Manchester United. È possibile che sia logoro. Può darsi che abbia raggiunto il suo picco prima di quanto faccia di solito un calciatore, a 28 o 29 anni. Il picco di Wayne potrebbe essere stato quando ha segnato 27 gol in campionato nel 2011/12, a 26 anni».
In realtà, se si guarda al contributo complessivo di Rooney, includendo gol (rigori esclusi) e assist e normalizzando il totale sui 90 minuti, si scopre che la stagione 2011/12, chiusa con il record personale di gol in campionato, non è stata la migliore in assoluto. Anzi, non rientra nemmeno nelle prime tre. Dopotutto, il numero di gol è un parametro semplice, ma non esaustivo per la valutazione di un calciatore, soprattutto di uno complesso e versatile come Rooney.
L’inglese ha giocato due delle sue migliori stagioni proprio nei due anni successivi a quella indicata come picco da Scholes, bilanciando con gli assist quanto perso nel numero di gol. Rooney è andato in doppia cifra in entrambe le statistiche (11 non-penalty gol e 10 assist nel 2012/13, 14 non-penalty gol e 10 assist nel 2013/14), contribuendo in maniera attiva a 0,94 gol per 90 minuti nel 2012/13 e a 0,88 gol per 90 minuti nel 2013/14, risultati che superano il contributo di 0,8 gol per 90 minuti del 2011/12 (chiuso con 21 non-penalty gol, ma solo 4 assist).
Rooney centravanti implacabile nel 2009/10.
È ragionevole pensare che le due stagioni sopra i 20 gol in Premier League (26 nel 2009/10 giocando da prima punta, 27 nel 2011/12 giocando in coppia con un altro attaccante, ma avendo le maggiori responsabilità di finalizzazione) abbiano rappresentato delle eccezioni nella carriera di Rooney, il cui valore è meno legato ai gol rispetto a molti altri attaccanti d’élite del panorama mondiale. Rooney è il miglior marcatore della storia della Nazionale inglese ed è vicino a diventare il miglior cannoniere di sempre del Manchester United (gli mancano 5 gol per superare Bobby Charlton), ma appartiene a un altro universo rispetto a quello di cui fanno parte Suárez, Lewandowski, Higuaín o Benzema. Non è un caso che le stagioni migliori in termini di contributo ai gol dello United siano state quelle in cui è riuscito a bilanciare le due anime che convivono in lui: l’attaccante e l’uomo squadra, disposto a rinunciare alla gloria personale per mettersi al servizio dei compagni.
Si tratta ovviamente di un percorso di maturazione compiuto negli anni: «Sono un giocatore diverso» - spiegava Rooney all’inizio dell’era van Gaal - «Sento di aver migliorato il mio gioco, quindi sono d’accordo con chi dice che sono cambiato. Correvo molto quando ero più giovane e poi non avevo le forze per mettermi nella posizione migliore per finalizzare in area. Adesso sono un giocatore più intelligente, so quando entrare in area di rigore e quando no, di conseguenza mi sono procurato più occasioni e ho segnato molti più gol». È curioso notare come Louis van Gaal abbia declinato al contrario questo discorso di Rooney, sfruttandone la maturazione per allontanarlo sempre di più dalla porta e ridurre le occasioni per segnare o fare assist. Le due stagioni con l’olandese in panchina sono state infatti le peggiori della carriera di Rooney allo United, con un contributo di 0,5 gol per 90 minuti nel 2014/15 (11 non-penalty gol e 5 assist) e di 0,48 gol per 90 minuti nel 2015/16 (7 non-penalty gol e 6 assist).
Anche quando ha giocato da prima punta (come per gran parte della stagione appena conclusa, prima che il suo infortunio consegnasse a Marcus Rashford il ruolo di centravanti titolare) Rooney è stato vittima del possesso ultra-conservativo voluto da van Gaal, più preoccupato di giocare sicuro e di non sporcare la struttura della squadra nella costruzione della manovra piuttosto che di creare occasioni da gol. Lo United ha chiuso la Premier con il peggior attacco tra le prime 8 in classifica (appena 49 gol) e Rooney ha tirato in media 2,6 volte a partita (più della metà da fuori area), un dato peggiore soltanto dei 2,4 tiri in media a partita fatti registrare durante la prima stagione di van Gaal, il punto più basso della sua carriera da questo punto di vista.
Diventa difficile quindi riuscire a distinguere l’effettivo declino di Rooney dai problemi offensivi della gestione van Gaal. Quanto conta lo stile di gioco dell’olandese nei numeri deludenti delle ultime due stagioni di Rooney? È ancora in grado di fare la differenza, in un contesto diverso o con altri compagni?
Il Pelé bianco
C’è stato un momento della carriera di Rooney in cui l’Inghilterra pensava di aver finalmente trovato il campione che avrebbe permesso di riscattare le delusioni accumulate dalla Nazionale negli anni. D’altronde il suo impatto con la Premier League e la Nazionale si prestava naturalmente ad alzare l’asticella delle aspettative al punto più alto.
Una delle tappe obbligate nel racconto della sua carriera è Euro 2004. È il periodo in cui è soprannominato “Wonder Boy” e Sven-Göran Eriksson, allora CT dell’Inghilterra, lo paragona a Pelé. Rooney ha 18 anni, ma gioca da titolare in coppia con Michael Owen e sembra davvero in grado di spostare gli equilibri da solo. Vengono spesso ricordati i 4 gol segnati in 2 partite che permettono agli inglesi di qualificarsi ai quarti di finale, ma Rooney impressiona fin dall’esordio contro la Francia campione in carica.
Il primo Rooney, grezzo tecnicamente e con una comprensione del gioco limitata, anche se superiore alla media di un normale 18enne, è una scarica di adrenalina che dà sempre la sensazione di poter cambiare la partita, nel bene o nel male. Una delle caratteristiche più evidenti è la sfrontatezza: si scontra più volte con Silvestre, interviene a gamba tesa sulla tibia di Thuram e successivamente gli tira una gomitata, litiga con Makélélé e prova una ruleta (non riuscita) davanti al re di questo gesto tecnico, Zinédine Zidane.
Poi a un certo punto raccoglie un rinvio della difesa un paio di metri dentro la propria metà campo, inseguito da Thuram. Rooney prova a superarlo con un sombrero, Thuram lo aspetta, si gira e cerca in tutti modi di trattenerlo: allarga il braccio e alza la gamba sul petto di Rooney, ma finisce per toccare il pallone venendo travolto dall’inglese. Con il primo scatto Rooney si lascia dietro di un paio di metri Thuram, alla sua destra lo accompagna Darius Vassel, ma viene completamente ignorato: il suo pensiero fisso è la porta e l’unico ostacolo rimasto è Silvestre. Rooney non sembra nemmeno rallentare quando lo salta, conquistandosi il calcio di rigore. In tutta l’azione ha percorso una cinquantina di metri toccando il pallone 5 volte.
Beckham sbaglierà il calcio di rigore, Zidane segnerà due gol nei minuti di recupero quando Rooney è già stato sostituito da Emile Heskey e l’Inghilterra perderà 2-1. Ai quarti di finale Rooney si frattura un piede dopo nemmeno mezz’ora, è costretto a uscire e l’Inghilterra verrà eliminata ai rigori dal Portogallo. Mai come quella volta le sorti dell’Inghilterra sembravano così legate alla forma di Rooney: sono passati 12 anni ed Euro 2004 resta ancora il miglior torneo internazionale giocato dall’attuale capitano inglese.
Il miglior Rooney
Lo sviluppo della carriera di Rooney ha smentito quelle aspettative. L’ex ragazzo prodigio si è trasformato in uno straordinario uomo squadra, incapace da solo di spostare gli equilibri, ma con un ruolo determinante e spesso sottovalutato nei risultati del Manchester United. Rooney ha giocato la migliore stagione con i “Red Devils” nel 2007/08, contribuendo a 1,03 gol per 90 minuti (12 non-penalty gol e 13 assist) in quella che è probabilmente la versione più forte dello United negli anni Duemila, capace di vincere sia la Premier che la Champions League. In attacco, oltre a Rooney, Alex Ferguson poteva contare su Cristiano Ronaldo e Carlos Tévez: un reparto stellare, nel quale Rooney si trovava a meraviglia. I tre non davano punti di riferimento ed erano difficilissimi da marcare: gli scambi di posizione erano continui e l’intesa raggiunta, con e senza il pallone, era davvero speciale. Non solo il livello tecnico era altissimo, ma i tre sapevano alternare i movimenti e durante la partita si trovavano sia a fare da collegamento con il centrocampo che a giocare larghi sulla fascia che ad attaccare l’area di rigore.
Dopo essere diventato il miglior marcatore nella storia della Nazionale inglese, la BBC ha dedicato un documentario a Rooney. Tra gli altri viene intervistato Zlatan Ibrahimovic, che a proposito di quel periodo del Manchester United dice: «Quando giocava con Cristiano, era Rooney a fare tutto il lavoro, mentre Cristiano si prendeva i meriti perché segnava tanto». È un po’ il paradosso della carriera di Rooney: può anche darsi che sia stato lui a fare tutto il lavoro, ma è innegabile che senza Ronaldo lo United non avrebbe vinto tutti quei titoli. Come a dire: indispensabile, ma di fianco a qualcuno più indispensabile di lui. È l’equivoco che ha deluso chi si aspettava che raccogliesse l’eredità di Ronaldo dopo il suo passaggio al Real Madrid. Rooney in realtà è un giocatore che dipende dal contesto più di quanto riesca a modificarlo.
Il prossimo Rooney: centrocampista?
Dopo aver giocato una delle migliori stagioni della carriera in quella che è stata la peggior stagione del Manchester United nell’era Premier League, con David Moyes in panchina, Rooney ha iniziato a girovagare per il campo durante la gestione van Gaal. L’olandese l’ha schierato un po’ in ogni posizione: centravanti, seconda punta, trequartista, ala, mezzala e mediano. La versatilità gli ha fatto tenere il posto in squadra, ma alla lunga si è dimostrata un limite. Rooney è diventato il giocatore a cui si trova sempre un posto, ma non necessariamente il migliore per sfruttarne al massimo le potenzialità.
Una delle opinioni più diffuse su Rooney, a quanto pare condivisa da van Gaal, che ha chiuso il suo ciclo a Manchester facendolo giocare con costanza da mezzala, è che debba cambiare ruolo e giocare stabilmente da centrocampista gli ultimi anni della carriera. Essere un buon passatore e avere un eccellente visione di gioco non basta comunque per essere un grande centrocampista.
Rooney rischia di trasformarsi in uno strano ibrido: né creatore né distruttore di gioco, pur avendo qualità tecniche eccezionali e non risparmiandosi nei contrasti. Reinventarsi centrocampista dopo una vita da attaccante presuppone un cambiamento di mentalità non indifferente: Rooney è abituato a pensare a come essere decisivo, non a come rendere più fluida la circolazione o a gestire il ritmo del possesso. Capita allora che non interpreti bene tempi e spazi per smarcarsi da centrocampista, per creare immediatamente una linea di passaggio dopo essersi liberato del pallone, non far perdere velocità alla circolazione e far guadagnare campo alla propria squadra. Anche il fondamentale che ormai rientra nei suoi marchi di fabbrica, il cambio di gioco (la qualità con cui lo esegue ha davvero pochi rivali e non ha nulla da invidiare al 99% dei centrocampisti in Europa), riflette la sua tensione a fare qualcosa di decisivo: altro non è che una scorciatoia per far salire la squadra e darsi il tempo di avanzare per riciclare il possesso, rifinire o concludere l’azione.
Poi a un certo punto si stanca e fa tutto da solo.
Allontanarlo dalla porta, farlo abbassare per ricevere il primo passaggio dai difensori, costringerlo a ripiegare fino nella propria area di rigore per dare copertura ai compagni è davvero la soluzione migliore per rinnovargli la carriera? Rooney ha dimostrato di dare il meglio di sé di fianco a compagni tecnici e dinamici con i quali può dialogare e alternare i movimenti, ma per sfruttarne la sensibilità dei piedi e le letture di gioco bisognerebbe limitarlo il più possibile negli ultimi 30 metri, cercando di restringergli il campo e non di allungarglielo. È comprensibile che non sia più in grado di sostenere sforzi prolungati come da ragazzino e proprio per questo è necessario massimizzare l’efficacia di ogni movimento e di ogni scatto. Può sorprendere, ma Rooney è ancora in grado di accelerazioni fuori dal comune ed è uno spreco vedergliele fare in direzione della propria porta e non di quella avversaria.
Quanto è esaltante questo recupero?
Rooney a Euro 2016
Chiusa la stagione con lo United con la vittoria della FA Cup, Rooney si è aggregato alla Nazionale inglese per gli Europei. Il CT Roy Hodgson ha deciso di continuare il discorso iniziato da van Gaal, schierando il proprio capitano a centrocampo, da mezzala sinistra. Ma esattamente come il tecnico olandese, anche Hodgson ha sfruttato la versatilità di Rooney: entrato nel secondo tempo contro la Slovacchia, il numero 10 inglese ha giocato da mezzala, esterno e trequartista in 40 minuti.
La questione del ruolo di Rooney si è posta insomma anche in Nazionale, con una controindicazione ulteriore: l’assenza di un contesto sufficientemente organizzato, che ha aggiunto incertezza a una situazione già indefinita di suo. Hodgson ha tirato fuori il meglio dalla propria stella? In rosa c’era qualcun altro che avrebbe potuto fare meglio di Rooney ciò che ha fatto Rooney?
Il numero 10 è stato a tutti gli effetti il regista della squadra e la dislocazione dell’Inghilterra a inizio azione era studiata per dargli il maggior numero di opzioni: il terzino dal suo lato, Rose, restava più basso rispetto a quello opposto, Walker; il mediano, Dier, si allineava ai difensori e forniva un’altra linea di passaggio semplice, mentre la mezzala opposta rispetto a Rooney, Alli, si alzava alle spalle del centrocampo avversario per dare la possibilità alla squadra di risalire il campo. In questo modo la Nazionale inglese ha delegato gran parte della propria pericolosità al suo capitano e alla sua capacità di verticalizzare: quella di Hodgson non era una squadra attrezzata per consolidare il possesso nella metà campo avversaria, ma cercava di guadagnare campo velocemente con giocate verticali per attivare i propri giocatori offensivi e puntare immediatamente la porta, confidando molto nelle loro qualità nell’uno contro uno. Non a caso una delle giocate più ricorrenti di Rooney è stata il cambio di gioco per Walker.
Una delle direttrici di gioco preferite dall’Inghilterra: il cambio di gioco di Rooney a cercare Walker.
Rooney cercava in maniera ossessiva il cambio di gioco e anche quando scambiava corto con i compagni più vicini spesso lo faceva soltanto per mettersi nelle condizioni migliori per lanciare verso la fascia opposta. Il punto è che la concentrazione di uomini a inizio azione (oltre a Rooney, Rose e Dier, c’erano i centrali difensivi, Cahill e Smalling) influenzava negativamente la manovra nella metà campo avversaria: l’Inghilterra aveva in pratica un solo centrocampista, Alli, che si muoveva in verticale, perché Rooney si era calato così tanto nella parte del regista da non cercare quasi mai la ricezione tra le linee, muovendosi piuttosto in appoggio o all’indietro per sottrarsi alle marcature e agli spazi ristretti cui avrebbe dovuto far fronte alle spalle del centrocampo avversario.
Sterling entra dentro il campo, Rooney si abbassa oltre tutti i giocatori russi di movimento, per aprire poi il gioco verso Walker. In questo modo però scherma Dier, che avrebbe potuto fare quel passaggio al posto suo.
In questo contesto avrebbe forse avuto più senso portare alle estreme conseguenze la trasformazione di Rooney e farlo giocare direttamente davanti alla difesa, in modo da guadagnare un giocatore per la manovra offensiva. Il rischio di questa evoluzione è che Rooney diventi un giocatore fin troppo conservativo, che non aiuta a rendere più fluida la manovra (anzi, l’anarchia e gli smarcamenti “piatti”, che non contribuiscono a rompere la struttura difensiva avversaria, rischiano di causare proprio il contrario) e attacca sempre meno la porta avversaria.
Rooney aspetta fino all’ultimo per attaccare l’area di rigore. Ricordate le sue parole sulla scelta delle occasioni migliori per entrare in area?
A questa Inghilterra sarebbe servito un Rooney più decisivo, più coinvolto nella trequarti offensiva che nella costruzione della manovra, per sfruttarne le qualità nel verticalizzare e nel calciare in zone molto più pericolose per gli avversari. La clamorosa eliminazione contro l’Islanda è arrivata anche perché Hodgson non è stato in grado di creare un contesto adatto a far brillare la sua stella, limitandosi semplicemente ad accumulare attaccanti e giocatori offensivi senza un piano strutturato, utile a trasformare una squadra dalle ottime potenzialità in una squadra davvero pericolosa (anche contro l’Islanda, pur tenendo palla per più del doppio del tempo e tirando più del doppio rispetto agli avversari, l’Inghilterra è riuscita a essere meno pericolosa degli islandesi). Ancora una volta Rooney non è stato in grado di trascinare l’Inghilterra, ma ancora una volta non è stata del tutto colpa sua.