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L'uomo più carino del mondo
14 mag 2016
Come Ranieri ha rimorchiato il pubblico inglese.
(articolo)
14 min
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Così come la stagione sportiva del Leicester, anche quella comunicativa di Claudio Ranieri ha seguito dinamiche talmente riuscite e perfette rispetto alle aspettative di inizio anno da sembrare orchestrata da qualche forza sovrannaturale dietro le quinte. In conferenza stampa Ranieri sembrava un personaggio di un film comico dei fratelli Coen, con la differenza che il mondo esterno su cui non sembrava avere potere faceva di tutto per portarlo al successo: qualunque cosa dicesse si trasformava in uno slogan di culto, qualunque cosa facesse rimaneva impressa sulla storia sportiva del Leicester.

Non so se mi spiego.

Visto da fuori, non direi che Ranieri abbia cambiato qualcosa rispetto all'inizio, semmai è cambiata la sua percezione attorno. All’improvviso la sua conoscenza imperfetta dell’inglese è diventata un punto di forza, perché dava al suo umorismo un irresistibile tocco surreal, i suoi modi dimessi un segno di distinzione, in una lega sfibrata dalla spacconeria di Mourinho e dall’arroganza di Van Gaal. Su YouTube c’è addirittura un video che si chiede se Ranieri non sia the nicest man in football.

E così, in un’unica stagione, Ranieri ha accumulato una quantità di gag, battute e modi dire iconici che certi allenatori riescono a raggiungere solo nell’arco di un’intera carriera. Adesso anche il tecnico romano rientra in quella cerchia ristretta di allenatori iper-carismatici, come Mourinho o Guardiola, che possono vantare dei propri video personalizzati su YouTube, come quelli “Best Goals&Skills” dei calciatori solo che con i momenti migliori in conferenza stampa al posto dei gesti tecnici. Il problema è che quelli di Ranieri assomigliano ad una compilation di bloopers.

Di seguito trovate quindi i migliori Ranieri-moments di questa stagione, divisi in una serie di temi chiave che si sono ripetuti ciclicamente durante tutta la stagione.

Eh?

Una buona fetta delle gag di Ranieri deriva dalla sua limitata capacità di capire ed esprimersi in inglese, che si è riflessa inizialmente in una limitata capacità da parte dei giornalisti britannici di interagire con lui e capirlo. All’inizio questo problema ha creato quell’imbarazzo che di solito c’è con le persone straniere di cui non conosciamo perfettamente la lingua, con gli interlocutori che capiscono una cosa per un’altra e fanno finta di intendersi perfettamente. Il problema è che l’effetto comico di tutto questo non veniva ancora sfruttato.

In un'intervista post-partita di dicembre, dopo aver pareggiato 0-0 col City, ad esempio, il giornalista gli chiede dove pensa di poter arrivare, visto che il Leicester è inaspettatamente in testa alla classifica. La risposta, tradotta dall’inglese in maniera letterale, è questa: «Abbiamo iniziato adesso a costruire la squadra. Ho detto ai miei giocatori che noi siamo il piano interrato e gli altri sono belle ville con piscina, le feste e tutto il resto». È un peccato che l’intervista venga tagliata proprio in quel momento perché sarebbe stato bello sentire la reazione del giornalista o anche solo vedere la sua faccia.

Ma questo esempio rientra ancora nella categoria “Frasi di cui si intuisce il senso ma che tradotte fanno ridere”. Poi ci sono le frasi che non hanno davvero alcun senso. In questo video prodotto da FATV, in cui si interroga Ranieri sulle possibilità del Leicester di vincere l’FA Cup, ad un certo punto gli viene chiesto un commento sulla carriera di Jamie Vardy. E Ranieri esordisce con: «Penso che questi sono i fiori del calcio», mimando anche con le mani un fiore che sboccia. Se voleva essere un’immagine poetica deve essere una di quelle emermetiche à-la-Ungaretti.

Ranieri non è stato bravo solo a superare quest’imbarazzo ma anche a sfruttare queste incomprensioni a proprio favore, dando l’impressione che in realtà fosse tutta una strategia studiata. In quest’intervista post-partita di febbraio, ad esempio, il giornalista gli ricorda di quando dichiarò di aver detto ai propri giocatori che questa era la stagione irripetibile per vincere il titolo. Ranieri, che fino a quel momento aveva parlato quasi sempre di punti salvezza, inizia allora a recitare la parte di quello che era stato frainteso: «L’ho detto io ai giocatori? Chi l’ha detto? Quando?», questa volta il giornalista capisce e scoppia in una fragorosa risata. «Ero pazzo!».

Ad un certo punto Ranieri si è ritrovato talmente a suo agio in questa strategia che ha iniziato ad utilizzarla sadicamente contro chi stava messo peggio di lui in tema di competenze linguistiche, come Okazaki. Ad aprile la platea gli chiede se la pressione stesse salendo sul giocatore giapponese e lui risponde così: «Okazaki ha finalmente superato il test di inglese! Ben fatto! Adesso può finalmente capirmi quando gli dico qualcosa. Prima mi diceva sempre: ‘Sì, sì, sì’, ma non capiva mai cosa gli dicessi».

Unbelievable

Come tutte le persone che non maneggiano alla perfezione una lingua, anche Ranieri si è appoggiato nell’arco di tutto l’anno ad una serie di parole ed espressioni pre-confezionate, come terrific, fantastic, amazing o well done, che ha utilizzato praticamente in ogni occasione. Ma se c’è una parola di cui ha davvero abusato quella è unbelievable, utilizzata con un’enfasi sempre crescente mano a mano che la stagione del Leicester diventava davvero sempre più incredibile. Praticamente Ranieri invece di cambiare le parole per esprimere idee diverse, per farsi capire cambiava l’intonazione di unbelievable.

Qui, ad esempio, siamo al 24 settembre e il titolo è ancora un miraggio impossibile. Il giornalista gli ricorda le partite che dovrà affrontare prima della fine dell’anno, United, Chelsea, Everton e Liverpool, e Ranieri utilizza l’unbelievable sconsolato.

Poi c’è l’unbelievable grato, speso per ringraziare il supporto dei tifosi.

Infine il più famoso, l’unbelievable stupito, usato per commentare l’assurdo gol di Jamie Vardy contro il Liverpool.

Il traduttore silenzioso

Per aiutare Ranieri nelle sue peripezie linguistiche, il Leicester gli ha affiancato per tutta la stagione un traduttore in conferenza stampa. Questo traduttore, che a quanto pare si chiama Anthony, equivale per me al cattivo dell’ispettore Gadget: nelle conferenze stampa non viene mai inquadrato, e, cosa ancor più ironica, non lo si sente mai aiutare Ranieri. Ogni volta che l’allenatore romano si girava verso di lui in cerca d’aiuto, lui rimaneva in silenzio, probabilmente con sguardo giudicante, costringendolo a sforzarsi per trovare l’esatta traduzione in inglese.

La mia teoria è che affiancare a Ranieri un traduttore costretto al silenzio fosse una strategia comica studiata fin dall’inizio dai responsabili comunicazione del Leicester: l’obiettivo era quello di dare all’allenatore romano la giusta tranquillità per tentare frasi complesse per poi vederlo arrampicarsi sugli specchi in cerca di traduzioni maccheroniche. Non è un caso che questa tecnica abbia prodotto alcuni dei migliori Ranieri-moments.

Il traduttore silenzioso appare per la prima volta il 18 settembre dell’anno scorso, in una conferenza pre-partita di uno Stoke-Leicester che finirà 2-2. In questo caso, Ranieri vorrebbe dire che vedrà la sua squadra nei momenti di difficoltà perché ogni uomo può cadere, l’importante è che sappia rialzarsi. Il problema è che non sa dire ‘cadere’ in inglese. All’inizio prova senza successo slow down, poi si gira alla sua sinistra con la faccia di chi sa già che non verrà aiutato. Alla fine si arrangia con un go to the ground.

Un altro esempio, utile allo staff del Leicester per rodare il meccanismo comico, sta in questa conferenza stampa del 21 settembre, in cui Ranieri parla di un ragazzo della primavera, Dodoo. Il tecnico romano non sa come dire ‘umile’ e chiede quindi al suo traduttore personale che, ovviamente, non dice una parola. Si dovrà quindi accontentare di quiet.

Ma questi due momenti, in realtà, non erano altro che lavori preparatori per due dei principali capolavori della stagione comunicativa di Ranieri. Il primo è quello nato nella conferenza stampa pre-partita di Leicester-West Ham dello scorso 17 aprile. Un giornalista gli chiede cosa ne pensa dell’iniziativa parlamentare di farlo diventare cavaliere. Qui Anthony si discosta leggermente dalla sua tecnica abituale, suggerendo la parola sir a Ranieri, che chiedeva cosa significasse knighted. Il risultato è di una genialità splendente: “Sor Claudio? I like it!”.

Il secondo avviene circa dieci giorni dopo. Qui l’asticella del surreal viene alzata in maniera esponenziale perché la giornalista ha il coraggio di chiedergli un’interpretazione di Dilly-Ding-Dilly-Dong (?!). Ranieri, se possibile, risponde in maniera ancora più incomprensibile dicendo che lui vorrebbe cantare una canzone ma non può perché è stonato come una campana. Si gira quindi verso Anthony, che in faccia ha probabilmente il ghigno di chi sa già cosa sta per succedere, per chiedergli come si dice ‘stonato’: “Intonation?”. Lui per protocollo non risponde e allora Ranieri si avventura in una traduzione letterale: “I’m a bell!”. Nessuno capisce. Pausa. “Hey! Non scrivete che Ranieri è una campana, eh!”. Risate. Cala il sipario.

Pizza

Chiunque sia andato all’estero e si sia ritrovato costretto a socializzare con persone che non conosceva prima, sa quanto possono essere utili gli stereotipi nazionali nel fornirci appiglio nelle prime conversazioni. Questo meccanismo ha inevitabilmente funzionato anche con Claudio Ranieri che, essendo italiano, non poteva che fare riferimento al cibo, essendo il calcio non disponibile per ovvi motivi.

Tutto è nato nel settembre dell’anno scorso quando Ranieri, che veniva da una serie di risultati positivi ottenuti però con diversi gol subiti, ha raccontato la famosa scommessa con i propri giocatori: avrebbe pagato una pizza a tutti se avessero mantenuto la porta inviolata. La scommessa, come probabilmente saprete, è stata poi mantenuta.

Ma Ranieri ha utilizzato la pizza anche come metafora universale, sia per descrivere il Leicester in particolare che per parlare del gioco del calcio in generale. «Ciò che stiamo facendo qui è come la pizza» ha dichiarato il 29 ottobre «Per fare le cose bene hai bisogno dei giusti ingredienti. Il primo è lo spirito di squadra. Il secondo è il divertimento durante l’allenamento. Infine, anche un po’ di fortuna è importante. La fortuna è come il sale: ce ne vuole un pizzico sopra per rendere la pizza buona». Usando questa metafora, Ranieri dice forse la cosa più profonda di tutta la sua stagione, nonostante ignori l’esistenza di pizze bianche: «I tifosi sono come il pomodoro: non esiste pizza senza pomodoro».

Ma, rimanendo in tema di stereotipi, non bisogna dimenticare che il rapporto tra italiani e inglesi in cucina non sia dei migliori. E Ranieri, da bravo italiano, disprezza il cibo inglese. In questo caso l’allenatore romano distrugge con il sorriso sulle labbra la trovata di marketing di un macellaio di Leicester, che aveva provato a fare fortuna intitolandogli una salsiccia.

Vendetta

Nella stagione del suo maggior trionfo, Ranieri ha rincontrato alcuni degli allenatori che avevano segnato le pagine più buie della sua decennale carriera in giro per l’Europa. Nonostante ciò, l’allenatore romano ha deciso quasi sempre di tenere un profilo decisamente basso, consono con l’immagine che aveva scelto di darsi fin dall’inizio della stagione, quella del saggio anziano che ha definitivamente sepolto l’ascia di guerra.

Questa strategia è stata resa esplicita a novembre del 2015 quando, in riferimento al suo buon score contro Van Gaal, Ranieri ha dichiarato: «Quello è il passato, io guardo avanti. Tutti dicono che quando sei vecchio ti ricordi di cose lontane. Io non ricordo niente perché sono giovane».

In questo modo Ranieri si è preso la rinvicita definitiva su Mourinho anche fuori dal campo, creando un modello alternativo a quello dell’allenatore portoghese, che pur di creare un clima di accerchiamento nei confronti della squadra ha finito per prendersela anche con la massaggiatrice. Anzi, Ranieri si è scrollato di dosso con un’incredibile naturalezza le potenziali polemiche con Mourinho, che l’allenatore romano ha addirittura invitato a casa sua per bere del «buon vino italiano».

Ranieri ha cancellato così anche tutta la retorica derivante dal suo incontro con Quique Sanchez Flores, l’allenatore che prese il suo posto a Valencia nel 1999, oggi tecnico del Watford. Al giornalista che gli chiedeva se rincontrarlo col Leicester potesse rappresentare un qualche tipo di vendetta lui ha risposto con una gestualità che in romano potrebbe essere tradotta in tre semplici parole: ma de che (sull’utilizzo della gestualità romana si potrebbe aprire un capitolo a parte: qui fa il gesto del naso che si allunga per far capire di non voler rispondere ad una domanda sul rinnovo del contratto di Vardy).

Anche nei momenti in cui è sembrato volersi togliere dei sassolini dalle scarpe, Ranieri ha sempre utilizzato l’autoironia per seppellire subito qualsiasi polemica. Quando ha ripreso Wenger per aver dimenticato di aver perso in casa contro il suo Chelsea in Champions League, ad esempio, ha chiuso la risposta dicendo: «Io ricordo quello che voglio». Come a dire: io sono il primo ad avere quel difetto.

Ed anche nel caso della battuta sui bookmarkers, cioè i bookmakers, che lo davano come favorito per il titolo dopo la vittoria contro il City quando ad inizio anno lo vedevano come primo allenatore ad essere esonerato, Ranieri conclude con placida tranquillità: «Speriamo che questa volta abbiano ragione».

Dilly-Ding-Dilly-Dong

Ma la vera punta di diamante della stagione comunicativa di Ranieri è il Dilly-Ding-Dilly-Dong, un motto talmente incastonato nel successo del Leicester da essere inserito persino in alcune false dichiarazioni del tecnico romano che sono molto girate alcuni giorni su Facebook. Una specie di battuta di culto di un comico di successo utilizzata come un interruttore per generare ironia e affetto.

Qui, ad esempio, la utilizza per far ridere i presenti nel tunnel del King Power Stadium poco prima della partita contro lo Swansea di aprile.

La conferenza stampa del Dilly-Ding-Dilly-Dong è il numero maestro del Ranieri di quest’anno perché include quasi tutti i meccanismi comici che ha utilizzato durante la stagione. Per cominciare, tutto inizia con un misunderstanding: il giornalista gli chiede dei tre giocatori del Leicester candidati ai Player of the Year Award per sottolineare l’incredibile stagione della squadra. Ranieri, non si sa bene per quale motivo, sembra scaldarsi per la prima volta ricordandogli il piazzamento aritmetico in Champions League. Fa molto ridere sentire il giornalista, mentre il tecnico romano si destreggia tra un ‘C’mon man!’ e un ‘Dilly-Ding-Dilly-Dong’, dire a sua discolpa: «Era esattamente questa la mia domanda!».

La risposta continua con le parole chiave della retorica di Ranieri: fantastic, terrific, well done e ovviamente unbelievable. I ringraziamenti successivi includono tutti: la dirigenza, lo staff, i giocatori e Anthony, che ovviamente non viene inquadrato e ovviamente non dice una parola. Infine, la risposta si chiude con il riferimento ironico ad un allenatore “rivale”, in questo caso Pochettino: “Mauricio, keep calm”.

Ranieri ha spiegato l’origine del Dilly-Ding-Dilly-Dong in una conferenza stampa dello scorso marzo. Il suono simil-campana era quello che faceva il tecnico del Leicester in allenamento ogni volta che vedeva i suoi giocatori particolarmente distratti. E a Natale Ranieri ha regalato a tutti i giocatori e allo staff un campanello: «Ma così, per scherzare».

E la cosa davvero impressionante è proprio la scarsa importanza data da Ranieri a tutto questo, nonostante i giornalisti si sforzino a trovargli un senso, ad appicicargli una sovrastruttura. Dilly-Ding-Dilly-Dong semplicemente non ha senso, così come la stagione del Leicester. Non è frutto di una strategia studiata o di una particolare tecnica comunicativa. Eppure, non si sa bene come, ha funzionato: ha allentato la pressione sulla squadra nei momenti più critici dando l’impressione che tutto quello che stava facendo il Leicester fosse assolutamente naturale, anzi che ci si potesse addirittura divertire nel farlo.

Ed è questo, penso, il motivo per cui abbiamo amato così tanto Ranieri quest’anno. Perché in un’epoca di professionalizzazione ai limiti della militarizzazione ha riportato il calcio alla sua dimensione primordiale: il gioco. In un tempo di controllo estremo su tutte le variabili possibili, in cui anche il minimo dettaglio può fare la differenza, ha vinto lasciando qualcosa al caso. Ci ha liberato dall’obbligo di analizzare, studiare, capire le sue mosse e ci ha ricordato quanto è liberatorio lasciarsi andare, ridere senza nessuna logica.

Dilly-Ding-Dilly-Dong è solo il suono del karma che ti fa girare tutto nel verso giusto e ti porta più in alto di tutti gli altri. E per una volta che succede è giusto che ti faccia una grossa risata.

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