In uno Stadio Olimpico stracolmo come non si vedeva da tempo, la Roma ha scritto una delle pagine più belle della sua storia, sicuramente la più bella della sua storia europea. Ribaltando la propria narrazione, la squadra di Di Francesco ha completato una rimonta che all’indomani della partita d'andata sembrava quasi impossibile. Il Barcellona aveva un vantaggio enorme: per via del risultato dell’andata (4-1), ma anche perché più abituata a giocare a questi livelli, con a disposizione una rosa tecnicamente più forte e il giocatore più forte del mondo. Ma in campo per tutto il tempo a dominare è stata la squadra di casa, che non ha mai realmente corso il rischio di perdere quanto costruito, se non per un tiro quasi da centrocampo all’ultimo momento di Dembélé, nato in maniera casuale.
Il piano gara per l’impresa è stato pensato bene da Di Francesco ed eseguito benissimo dai giocatori in campo. In una notte perfetta c’è stato anche lo spazio per le rivincite personali, visto che a segnare due dei tre gol della vittoria sono stati i due autori delle sfortunate autoreti dell’andata, che sembravano condannare la Roma per l’ennesima volta al proprio DNA autolesionista: De Rossi ha segnato il rigore più importante della sua carriera con la Roma ed è andato subito a prendere la palla dalla porta per rimetterla al centro e ricominciare a giocare; e Manolas ha sigillato l’impresa nell’immaginario con la sua esultanza alla Tardelli.
Per dare un'idea della portata dell'impresa diciamo che la Roma è la terza squadra della storia a rimontare uno svantaggio di tre reti in Champions League. È la prima volta nella storia del Barcellona nelle coppe europee che la squadra viene eliminata dopo aver maturato un vantaggio di 3 gol nella partita d'andata. Il Barcellona non subiva tre gol nella stessa partita dalla finale di Coppa del Re di agosto contro il Real Madrid. Secondo l'algoritmo di FiveThirtyEight la Roma aveva il 2% di possibilità di passare il turno (anche meno di quelle che gli concedevamo noi ieri).
La rimonta della Roma non è stata però frutto del caso, né un crescendo di emozioni improvvise. I gol sono stati distribuiti su tutto l’arco temporale della partita (uno all’inizio, uno all’ora di gioco e uno per chiudere la gara) e il controllo è stato tale che i gol sono sembrati la sua naturale conseguenza: la Roma ha tirato 17 volte di cui 6 nello specchio e quando non ha creato occasioni non ha comunque mai realmente subito gli avversari.
I gol dell’impresa. L’esultanza a braccia aperte di Manolas che entra nella storia della Roma.
La Roma ha preso il Minotauro per le corna dal primo istante e l’ha trascinato fuori dal labirinto con la consapevolezza di chi sa perfettamente come farlo. La squadra di Di Francesco ha dominato il Barça lasciandogli solo una sensazione di impotenza, affogandolo con l’intensità e l’organizzazione. Ha spinto dal primo minuto sul suo piano gara, ha imposto il suo contesto e su questo contesto ha costruito la rimonta. Non ha sofferto gli avversari neanche una volta, non ha mai dubitato di potere uscir male dal confronto tecnico sfavorevole. La Roma si è comportata da grande squadra, come si dice.
Il Barça non aveva mai subito più di un gol a partita in questa edizione della Champions League e anche gli Expected Goals mostrano come sia stata la Roma a mettersi nella condizione di poter fare la rimonta, creando finalmente una grande quantità di occasioni da gol (ci sono anche due super parate di Ter Stegen, rappresentate nel grafico degli Expected Goals dai due cerchi più grandi, di cui uno in area piccola sul colpo di testa di Dzeko a fine primo tempo). Il Barça ha tirato nello specchio solo 3 volte, e tra l’altro in modo innocuo. La sua occasione più importante è un’invenzione di Messi già sul 3-0, che ha permesso al campione argentino di arrivare finalmente al tiro in area. Messi però, fuori equilibrio, ha sbucciato il pallone con la punta e ha trovato il facile controllo di Alisson.
Come la Roma ha affogato il Barça
La Roma ha giocato il suo calcio, distruggendo quello del Barça: ha esposto Piqué, reso inutile Busquets, controllato senza problemi Messi e cancellato dal campo Iniesta, trasformando in un incubo quella che ha dichiarato essere, forse, la sua ultima partita in Champions League. Iniesta ha completato 26 passaggi nell'intera partita, appena 1 più di Suarez. L’idea di Di Francesco ha puntato sulla sua identità, pressando alto per 90 minuti, e alzando la linea difensiva a centrocampo, modificando per la prima volta in stagione il modulo. Rispetto all’andata la Roma si è schierata con un inedito 3-4-2-1 (o 3-4-3 se preferite), aggiungendo un difensore in più per avere la possibilità di essere maggiormente aggressivi in fase di pressione e indirizzare l’uscita del pallone del Barça. Avere tre centrali ha permesso alla Roma di occupare il campo in modo tale da avere ampiezza, avvicinando Nainggolan a Dzeko e Schick, e adattando il pressing all’uscita del pallone degli avversari.
Quando la palla veniva gestita da Ter Stegen, Nainggolan si muoveva dal centro all’esterno del campo insieme a Schick dalla parte opposta per marcare le ali del Barça. Ma era quando scattava il meccanismo di uscita del pallone degli avversari, con la discesa di Busquets tra i centrali, che si vedeva realmente l’adattamento della Roma pensato da Di Francesco: Dzeko rimaneva fisso al centro per rimanere sul centrocampista catalano, togliendolo come opzione di passaggio per il portiere. Ter Stegen era quindi costretto a giocare la palla verso uno dei due centrali larghi per giocarlo a terra. Facendo uscire uno tra Schick e Nainggolan (a seconda del lato in cui si trova la palla) verso il centrale in possesso, lo scopo della Roma era quello di portare il centrale a giocare il pallone sul terzino davanti a lui, l’unico lasciato libero dalle marcature. Una volta che la palla arrivava al terzino scattava il raddoppio per rubare il pallone, con gli esterni della Roma (Florenzi e Kolarov) che scattavano in pressing e uno tra Nainggolan e Schick lasciava il centrale di riferimento per andargli alle spalle in raddoppio.
La Roma accorciava con tutti i giocatori, alzando anche in modo aggressivo il centrale in zona palla e si disinteressava della fascia opposta, lasciandola completamente libera, per chiudere le linee di passaggio verso il centro del campo: quando scattava la trappola del pressing uno tra Strootman e De Rossi andava a schermare la linea di passaggio verso Iniesta e Rakitic, mentre Dzeko si occupava di quella verso il centrale di riferimento e l’altro mediano di quella verso Busquets.
La Roma non ha lasciato nulla al caso e si è aggiustata anche al fatto che il Barça attaccava ieri in modo asimmetrico, alzando in modo più aggressivo nel raddoppio Fazio a destra per dar fastidio a Iniesta, e bloccando invece Jesus a sinistra per rimanere nella zona di Messi (invece di salire aggressivo su Sergi Roberto).
Come si può vedere da questo grafico, il pressing della Roma indirizza la circolazione del Barcellona: il pattern più cercato dai catalani sta nel passaggio da Piqué a Semedo, per poi arrivare a Rakitic e da lì alla zona di Messi. Umtiti e Jordi Alba, invece, non sono riusciti ad associarsi con Iniesta. La scelta di avere Semedo invece del più abituato Sergi Roberto in quel ruolo, come fondamentale valvola per l’uscita del pallone, ha punito Valverde.
Iniesta è stato quindi escluso dal gioco e Messi, quando riceveva, era sempre marcato in maniera aggressiva da uno dei tre centrali della Roma. Il 10 argentino per ricevere senza marcatura doveva necessariamente infilarsi in uno spazio nella zona della palla, circondato dai giocatori della Roma, in una porzione di campo in cui non poteva partire in conduzione.
I terzini blaugrana erano costretti o ad un passaggio verso l’affollatissima zona centrale oppure a ripartire da dietro, facendo salire ulteriormente il baricentro della Roma. Questa impossibilità di giocare il pallone senza essere costantemente pressati e soprattutto di non poter uscire in maniera pulita dalla difesa ha spinto il Barcellona a giocare il pallone lanciando lungo direttamente dal portiere. Il lancio lungo di Ter Stegen che si perde da qualche parte a centrocampo è la vittoria del piano di Di Francesco perché lanciare lungo significa accettare che il pallone non arrivi a Iniesta o Messi pulito. In altre parole, questo significa non mettere mai il Barça nella condizione di poter attaccare come vuole.
Solo 4 dei 27 lanci di Ter Stegen sono andati a buon fine. Iniesta ha completato solo 9 passaggi in tutto il primo tempo, 23 in totale.
Mai in questa edizione della Champions League il Barcellona ha tentato il lancio lungo per giocare il pallone (17% dei suoi passaggi sono stati lunghi rispetto al 7% dell’andata e delle due partite degli ottavi contro il Chelsea) e mai come in questa partita la percentuale di passaggi riuscita è stata così bassa (76%, cioè dieci punti sotto il minimo stagionale in Champions League dell’86% contro lo Sporting). Togliere l’accuratezza nel palleggio al Barcellona significa renderla vulnerabile perché incapace di recuperare il pallone dopo la perdita, con due attaccanti staccati dal resto della squadra per andare sui lanci in profondità. Il Barça non è mai stato in condizione di raggiungere i lanci lunghi e per la Roma è diventato facile vincere i palloni contesi, recuperando palla facilmente a centrocampo.
Da questo grafico, si nota che la Roma ha recuperato il possesso (per 62 volte, esclusi i contrasti vinti) proprio dove puntava a vincere la contesa la pressione: cioè all’altezza del terzino del Barça e a centrocampo, sui rilanci di Ter Stegen.
Quando la Roma ha recuperato palla si è trovata nelle condizioni perfette per fare male ad una squadra dai reparti troppo larghi e vulnerabile alle verticalizzazioni, che siano dalla fascia o direttamente dal centro. Dopo ogni palla recuperata la Roma aveva la possibilità di verticalizzare subito per Dzeko, anche direttamente dai difensori, o di passare dall’esterno, per dare la possibilità all’attaccante bosniaco di trovare la posizione migliore per ricevere. Nonostante ciò, la Roma è riuscita a giocare anche partendo da situazioni statiche: De Rossi è stato il vero e proprio fulcro del gioco e i due esterni che a loro volta si sono aggiunti come registi occulti. La loro influenza sulla manovra della Roma ha determinato come la palla arrivava a Dzeko.
Questo grafico di passaggi della Roma mostra come a tutti viene chiesta la possibilità di giocare la palla in verticale per Dzeko, dal centro come dall’esterno. Il pattern preferito è stato quello di De Rossi per Florenzi e da Florenzi per Dzeko. Risalire il campo dal centro all’esterno e dall’esterno nuovamente al centro, esattamente come vuole Di Francesco.
Quando a metà secondo tempo, con un solo gol da fare per completare la rimonta, le energie sembravano esaurirsi, i cambi di Di Francesco sono riusciti a tenere in piedi l’intensità della pressione alta. Il tecnico ha inserito prima Ünder per Schick e poi El Shaarawy per Nainggolan, rafforzando il piano iniziale per non far perdere lucidità alla squadra. Il modo in cui entrambi sono entrati e si sono fiondati subito su ogni pallone ha aiutato la Roma a non lasciarsi sfuggire questa grande occasione.
Ad aiutare la Roma, però, ci ha pensato anche Valverde. L’allenatore del Barcellona è sembrato in difficoltà per tutti i 90 minuti, non modificando nulla della sua squadra per rispondere ai nuovi entrati. La mossa della disperazione, il cambio di Dembélé per Semedo e di Paco Alcácer per Sergio Busquets, quella che porta il Barça a provare finalmente a segnare un gol, arriva già sul 3-0 e a soli cinque minuti dalla fine. Il piano gara del Barcellona senza esterni, già messo in crisi dalla Roma all’andata, non è stato ritoccato quindi se non a risultato già deciso e con pochissimo tempo a disposizione . Il tiro della disperazione di Dembélé ha spaventato l’Olimpico. Il francese aveva raccolto una palla respinta da Alisson, uscito alla disperata su Piqué dopo un lancio confuso: un'occasione che aveva i contorni tipici dell'epica negativa romanista, mail pallone è finito alto. In ogni caso troppo poco per poter dire che il Barcellona abbia cambiato realmente l’inerzia della gara nel finale. Anche nei minuti di sofferenza la Roma è stata in controllo del proprio destino.
Le partite di Manolas e Dzeko
Kostas Manolas è stato il volto, l'icona della partita. Non solo in occasione della sua esultanza con le braccia spalancate, gli occhi da autentico pazzo, ma anche per le lacrime di fine partita, stropicciandosi gli occhi mentre lo stadio intonava Grazie Roma. L'immagine perfetta di un giocatore emotivo, sia fuori che dentro al campo, dove le sue prestazioni risentono sempre della tensione nervosa che riesce a generare. Più una partita è tesa e importante, più Manolas riesce a far valere le qualità che lo rendono un difensore quasi unico in Europa.
Manolas ieri è stato uno dei migliori in campo. È stato perfetto nell’interpretazione aggressiva del ruolo di centrale della linea a tre, un ruolo che gli chiedeva tanta attenzione senza palla. Manolas non poteva sbagliare una marcatura sui tentativi del Barça di trovare Suárez oltre la linea alta della Roma. Manolas ha dominato fisicamente il centravanti uruguaiano, non concedendogli nemmeno un metro e trovando anche il tempo per uscire in anticipo quando serviva.
L'altro gigante della Roma ieri è stato Edin Dzeko. Il centravanti si è esibito nell’ennesima partita enciclopedica di questa sua grandissima edizione della Champions League. Dzeko si è espresso in tutti quei dettagli e le piccole cose che hanno permesso alla Roma di avere sempre un riferimento sicuro davanti. Dzeko ha giocato spalle alla porta con una padronanza del corpo e una tecnica che non ha eguali, giocando il pallone con una calma che lo ha fatto brillare come un eroe classico. Non ha perso neanche un contrasto aereo e ha messo in crisi una coppia di centrali fisica come quella formata da Umtiti e Piqué, umiliando prima il francese - bruciato sull’allungo sul gol del vantaggio- e poi costringendo il catalano a buttarlo a terra nell’occasione del rigore. In entrambi i casi ha ricevuto lanci solo contro il mondo, caricandoselo sulle spalle.
Da una parte i recuperi aggressivi di Manolas, dall’altra il dominio sulle palle alte di Dzeko.
Il primo gol è forse la fotografia perfetta del capolavoro di Dzeko di ieri sera. L’attaccante bosniaco ha dato vita all’azione addomesticando una spazzata di Kolarov dalla propria area mentre era marcato da Piqué all’altezza del centrocampo. Poi ha capito che Schick stava andando in profondità e si è quindi appoggiato a Florenzi sull’esterno per far salire la squadra. Dzeko ha aspettato la sovrapposizione di Florenzi per poi riciclare ancora il pallone dietro, così da guadagnare il tempo necessario ad andare lui in profondità e raccogliere quindi il lancio perfetto di De Rossi nell’area del Barça. Il resto è ancora nei nostri occhi: Dzeko ha aggiustato il pallone sfuggendo alla morsa di Alba e Umtiti e ha tirato in maniera sporca di sinistro, cadendo. Dzeko, insomma, ha prima ordinato la sua squadra e ha poi trafitto il Barcellona. Ricorderemo l'immagine del tiro, ma è tutto il lavoro precedente la vera ricchezza che Dzeko porta in dote alla sua squadra.
Ecco rappresentata l’azione di Dzeko, dalla palla addomesticata (la crocetta) al tiro in porta sul lancio di De Rossi (la doppia freccia gialla). All’interno ci sono i suoi i due passaggi indietro per far avanzare l’azione.
È comunque difficile mettere in luce un singolo giocatore. Abbiamo già parlato di De Rossi, ma non bisogna dimenticare nemmeno l’aggressività di Strootman e l’influenza di Kolarov (ieri il giocatore che ha realizzato più dribbling, 7, e quello con più tocchi dietro solo a Rakitic, 73).
Cosa significa questa impresa
Da contraltare alla grande prestazione della Roma c’è quella opaca del Barcellona. La sensazione di mancanza d’aria, di incapacità di trovare anche le soluzioni più facili, i passaggi elementari ha pervaso l’aria intorno ai giocatori di Valverde per tutti i 90 minuti di gioco. «La Roma ci ha costretto spesso a lanciare, non siamo mai riusciti nella seconda giocata. Ci hanno impedito di fare il nostro gioco, abbiamo sofferto la loro aggressione. La Roma ci ha spesso preso dal basso, costringendoci a tutti uno contro uno. Alla fine l’unico giocatore libero era Ter Stegen, costretto sempre a lanciare» ha dichiarato con amarezza Valverde.
Questa sensazione di soffocamento era stata provata nell’umiliazione contro il Bayern sotto Tito Vilanova, che aveva chiuso l’epoca guardioliana, ed era stata provata la scorsa stagione sotto Luis Enrique, chiudendo quella della MSN. Adesso, prima ancora che si compia un anno dall’arrivo di Valverde, il Barcellona esce fuori dalla Champions League umiliata dall’avversario. Busquets ha definito la sconfitta "il colpo più duro da quando sono al Barcellona". Ma se nel caso di Bayern e Juventus la giustificazione della forza dell’avversario ha addolcito la pillola, il modo in cui ha dominato la Roma deve porre delle serie domande sullo stato del progetto del Barça.
La squadra di Valverde ha costruito la sua forza sul pragmatismo, ma in questo modo si è condannata ad arrivare fin dove la portava Messi. La situazione atletica precaria del numero 10, che oggi cammina dopo mesi in cui era stato spremuto, rende la vita facile agli avversari. E se Messi diventa innocuo, il Barcellona non ha altre idee per creare pericoli offensivi. La squadra di Valverde ieri è rimasta impotente, sperando di reggere alla mareggiata. Il Barça però non è abituato a vedere le onde abbattersi su di sé e a resistere all’apnea.
Il Barcellona, ancora di più alla luce della brutta sconfitta di ieri, sembra essere un gruppo logoro che ha perso il proprio vantaggio comparato nel gioco a favore di quello mentale e tecnico di alcuni suoi giocatori. Le parole di Valverde sono l’epitaffio perfetto: «È stata una partita in cui non siamo riusciti ad imporre il nostro stile».
Proprio queste parole devono rendere ancora più orgogliosa la Roma, perché per un Golia a terra stanco e battuto c’è un Davide che deve fare festa. A detta dello stesso Di Francesco a fine gara, la forza della Roma è stata quella di crederci. Non che potesse accadere l’impresa in sé, ma il lavoro dei giorni precedenti ponesse le condizioni di fare l’impresa. Il piano della Roma non era basato sull’entusiasmo, sulla spregiudicatezza o sulla sofferenza, ma sull’attenzione dal punto di vista tattico. È prima dei 90 minuti che la Roma ha capito dove e come neutralizzare il Barcellona: «non ho dormito per dare qualcosa in più alla squadra» ha dichiarato Di Francesco.
La Roma ha confermato di adattare (fin troppo) il proprio livello a quello degli avversari. La differenza tra l'incredibile percorso in Champions League e quello compassato in campionato è stata sottolineata anche da Di Francesco, che a fine gara ha parlato di come inconsciamente il gruppo stia tirando fuori qualcosa di diverso nella competizione europea più importante.
Quello che viene dopo una partita del genere può comunque aspettare, anche se si chiama derby e vale buona fetta della maratona per la prossima Champions League. Perché la notte vissuta dai tifosi romanisti allo stadio e davanti alla televisione è tanto memorabile da non meritare di essere lasciata da parte per la quotidianità, quello è il mestiere di chi va in campo. Chi tifa può cullarsi con le immagini dell’esultanza di Manolas ancora a lungo perché quando si fa la storia, quando si modifica una dinamica che sembrava marchiare a fuoco il DNA del club, non è neanche giusto far finta che sia una vittoria come le altre.