Il cronometro indica 3:28 minuti da giocare nel quarto periodo e il punteggio dice 103-97 in favore dei Toronto Raptors. Kawhi Leonard ha appena imposto il suo totale controllo sulla partita, come ha fatto nel corso di tutta la serie, con una striscia di dieci punti travolgente, brutale, à-la-Michael Jordan, e sta mettendo il punto esclamativo sul primo titolo della storia della franchigia. Il primo in ventiquattro anni, il primo di una franchigia collocata all’esterno del territorio statunitense, il primo per un popolo talmente eccitato da assediare i cancelli del palazzo già da quaranta ore prima della palla a due
Ma mai, mai, sottovalutare il cuore dei campioni.
Perché i Golden State Warriors campioni lo sono per davvero, straordinari nel rifiutare un destino avverso, riuscendo a portarsi a casa una intensissima, pazza, drammatica e già indimenticabile gara-5, prolungando la serie e tornando a giocare in quella Oracle Arena dove avevano fatto troppo male nelle precedenti due partite per non provare in ogni modo di riscrivere un finale diverso. Perché è proprio questo quello che fanno i campioni: correggono la traiettoria della propria narrativa, aggirano le difficoltà e, alla fine, vincono. Anche quando tutto dice che dovrebbero perdere.
Una vittoria agrodolce e la gestione di Durant
Il record di 6-1 nelle elimination game sotto la gestione Steve Kerr la dice lunga sugli attributi degli Warriors, che non solo sono riusciti a interrompere il momentum positivo dei Raptors, ma lo hanno fatto nonostante il devastante infortunio occorso a Kevin Durant. In quella che doveva essere la sera del suo grande ritorno dopo un mese di inattività per un problema al polpaccio destro, infatti, KD ha giocato 12 dei primi 14 minuti ma dopo pochi secondi dall’inizio del secondo quarto qualcosa nella parte bassa della sua sottile gamba da fenicottero è sembrato staccarsi, rompersi brutalmente, costringendolo ad uscire. La prima diagnosi parla di una rottura del tendine d’Achille: una notizia devastante per gli Warriors, ma soprattutto per il giocatore.
Nel primo quarto gli Hamptons Five avevano mostrato tutta la loro potenza di fuoco, segnando 31 punti con Curry, Thompson e Durant: forse la serie con le squadre al completo sarebbe andata così, ma non lo sapremo mai.
Il suo infortunio rischia di incidere clamorosamente sul futuro stesso della NBA, a partire già dall’imminente free agency di luglio, ma al tempo stesso potrebbe stroncare una volta per tutte quella che per troppo tempo è stata un’epica stucchevole nei suoi confronti, di giocatore soft interessato solo a se stesso. La sua decisione di rientrare, di mettersi a disposizione della squadra nel momento di massimo bisogno, nonostante le già precarie condizioni fisiche, ne ha certificato l’attaccamento non solo agli Warriors ― coi quali ha vinto due titoli da MVP delle Finals, se qualcuno se lo fosse dimenticato ― ma alla competizione pura, alla voglia di misurarsi con sfide forse anche impossibili, di dimostrare il proprio reale valore. Le parole di Steph Curry e Klay Thompson nel post-partita ne sono l’ennesima riprova.
"Se dovete dare la colpa a qualcuno, date la colpa a me" ha commentato tra le lacrime Bob Meyers in uno dei momenti più surreali di queste Finals.
Solo una squadra speciale come gli Warriors poteva trovare il modo di non crollare dopo questa ennesima mazzata psicologica ― a cui va sommato anche il peggioramento delle condizioni di Kevon Looney, costretto a rimanere seduto per tutto il quarto periodo ― aggrappandosi con tutta la forza alle proprie migliori qualità.
Splash Brothers, ancora una volta
Steph Curry (31 punti con 5/14 da tre) e Klay Thompson (26 con 7/13) hanno tenuto letteralmente in piedi l’attacco degli Warriors da soli, fornendo una fenomenale prestazione balistica, fedele rifacimento della gara-6 strappata agli Oklahoma City Thunder nei playoff del 2016. Il loro movimento costante, la loro capacità di saper trovare il pertugio vincente nonostante tutte le attenzioni della difesa dei Raptors fossero su di loro, hanno permesso alla squadra di Kerr di sopravvivere ai momenti difficili.
Le tre triple con cui gli Splash Brothers hanno ribaltato l’inerzia della partita. Nella seconda tripla di Thompson, quella del decisivo sorpasso, tutta la bellezza della circolazione di uomini e pallone dell’attacco Warriors: da Curry dentro a Iguodala e poi fuori per Green e infine Klay.
Come successo in precedenza solo in gara-2, il supporting cast degli Warriors è riuscito quantomeno a essere dignitoso, con Looney, Quinn Cook, Shaun Livingston e DeMarcus Cousins che hanno regalato buoni minuti e soprattutto hanno saputo punire la difesa schierata dei Raptors, un problema insormontabile nelle prime quattro partite. La precisione al tiro da fuori ha finito col fare la differenza nell’economia della partita, con il 20/47 da tre che ha permesso a Golden State di tenersi avanti per gran parte della gara nonostante le continue spallate dei Raptors.
La squadra di Nick Nurse ha segnato appena 8 delle 32 triple tentate, ma non per questo non è riuscita a costruire buoni tiri. Quello che è riuscito meglio alla difesa degli Warriors è stato il decidere chi dovesse essere a prendersi quei tiri, come nel caso di Pascal Siakam (12 punti con 6/15 dal campo e 0/4 da tre), apparso molto sottotono rispetto alle uscite precedenti e costantemente battezzato dalla difesa. Marc Gasol e Kyle Lowry hanno offerto prestazioni da veterani, con lo spagnolo caldo in avvio (13 punti nel primo tempo) e il numero 7 bravo nell’aspettare la partita senza forzature e fornendo ai compagni quello di cui avevano bisogno, prendendosi soluzioni individuali solo per punire i cambi difensivi. Lo stesso Kawhi Leonard ha saputo attendere che la partita andasse verso di lui, ma nonostante il delirio di onnipotenza nel finale di partita, il lavoro fatto su di lui da Andre Iguodala è stato senza mezzi termini straordinario.
Tre delle migliori giocate difensive della partita di Iguodala, perfetto nella marcatura su Leonard con la specialità della casa: mettere le mani sul pallone dopo la raccolta del palleggio.
Iguodala è un altro dei campioni della dinastia Warriors e la sua interpretazione fisica e cerebrale nella metà campo difensiva di gara-5 resterà una delle migliori gemme di queste Finals, indipendentemente dall’esito finale. Così come la prestazione di Draymond Green, il quale ha chiuso con 10 punti, 10 rimbalzi, 8 assist e un trilione di piccole cose fondamentali come ruotare e aiutare su tutti in difesa, spingere in transizione per punire i cross-match (specialmente con Thompson in post) e fungere da hub per la conduzione di palla, permettendo agli Splash Brothers di uscire dai blocchi garantendo un minimo di spaziature). A questo ha poi aggiunto due triple di fondamentale importanza e la giocata difensiva della partita andando a toccare un pezzo dell’ultimo pallone uscito dalle mani di Lowry. Un tiro che avrebbe potuto chiudere la serie, la stagione e forse anche la Dinastia Warriors per come l’abbiamo conosciuta negli ultimi tre anni.
Nel tiro che poteva regalare il titolo a Toronto la difesa degli Warriors ha dato il proprio meglio. Prima con Iguodala, intelligente nello staccarsi dal diretto avversario per raddoppiare Leonard, costringendolo a scaricare; poi con i close out fulminanti di Livingston e Green, il quale mette riesce a sporcare il tiro di Lowry. Da segnalare però la mancata lettura di Gasol, che aveva l’area completamente libera e si è incaponito nel portare il blocco a Lowry, perdendo una chance gigantesca per chiudere la gara.
Toronto deve avere fiducia
Tra le mille emozioni diverse che ci lascia questa gara-5 c’è l’amaro rimasto in bocca ai Raptors. Il modo in cui avevano preso il sopravvento nel finale faceva pensare al raggiungimento dell’impresa ― tanto che, come riportato da Brian Windhorst di ESPN, il trofeo era già stato portato nel tunnel a ridosso del campo ― e invece Golden State hanno dimostrato per l'ennesima volta che le leggende non muoiono mai.
Il doppio timeout di coach Nurse a 3:05 dal termine, con i suoi sul +6 e in possesso della palla, ha già dato il via a uno strascico di polemiche che si prolungherà probabilmente nei prossimi giorni (c’è da dire che le cose dopo quel timeout sono andate piuttosto male per i Raptors, ma col senno di poi e senza conoscere le condizioni dei giocatori è sempre più facile giudicare), ma in ogni caso la squadra ha pagato a caro prezzo l’aver sentire la pressione. Niente di inconcepibile: chiudere il lavoro è sempre la parte più difficile delle serie di playoff.
Ma Toronto deve avere fiducia. Per quanto gli Warriors abbiano buttato cuore e tutto quello che avevano oltre l’ostacolo, i Raptors hanno dimostrato di appartenere a questo livello una volta di più, arrivando a un tiro dal vincere il titolo già ieri nonostante le pessime percentuali al tiro e la mancanza di freddezza nel finale. Hanno ancora il fattore campo dalla loro (in un’ipotetica gara-7) e hanno già fatto vedere come si fa a dominare, non solo vincere, in casa degli Warriors. La difesa a metà campo continua a rimanere un incubo per gli avversari e, infine, l’uscita di scena definitiva di Durant ha tolto ogni dubbio su chi sia il miglior giocatore nella serie.
Perché Kawhi Leonard sa già come si vincono questo genere di partite e Toronto resta comunque la squadra più forte. Non resta che mettersi comodi e aspettare una gara-6 che ha tutto il necessario per diventare un altro instant classic di queste bellissime Finali.