Un tratto che Pep Guardiola ha in comune con il suo maestro, l’uomo che più di tutti ha influito sulla sua carriera prima da giocatore e poi da allenatore, ovviamente Johan Cruijff, è il ragionare per paradossi. Le intuizioni di Guardiola, come quelle di Cruijff prima di lui, ribaltano il senso comune, a seconda della riuscita sono assurde o geniali, risolvono problemi comuni guardandoli da angoli nuovi e originali. Come Cruijff, anche Guardiola ha inseguito un’utopia, quella cioè di un calcio in cui il controllo del pallone assicura il controllo totale del contesto, in cui tutto ruota attorno all’abilità nel passare la palla. Ragionando per paradossi, è Guardiola che ha specificato il ruolo di falso nove dicendo che «il centravanti era lo spazio», ed è sempre a lui che si deve l’invenzione del falso terzino, che durante il possesso si sposta a giocare a centrocampo.
Forse però Guardiola non si era mai spinto in là con i paradossi come in questa stagione. Il suo Manchester City è di nuovo la miglior squadra in Inghilterra, ed è tornata a esserlo soprattutto perché non prende gol. Non è una novità per Guardiola. Barcellona e Bayern Monaco, in ogni stagione con il tecnico catalano, hanno registrato la miglior difesa del campionato. E anche il Manchester City, pur con qualche difficoltà in più e senza arrivare forse ai picchi di dominio toccati dalle versioni migliori di Barcellona e Bayern Monaco, con Guardiola ha sempre avuto una difesa tra le meno battute della Premier League.
Non c’è da stupirsi. Guardiola ha sempre allenato delle superpotenze, e intendendo l’equilibrio difensivo allo stesso modo di Cruijff, e cioè che a determinarlo è il controllo della palla, le sue squadre hanno limitato i gol subiti dominando il possesso, schiacciando gli avversari con la forza offensiva. Nei loro momenti migliori, le squadre di Guardiola sono state un riferimento non solo per quanto creavano con la palla ma anche per come riuscivano a recuperarla subito, e quindi a ridurre al minimo le fasi puramente difensive.
L’ultimo Manchester City è costruito sulle stesse basi. Il gioco ruota attorno al controllo del pallone e il dato sul possesso medio è sempre il più alto nei principali campionati europei. A essere cambiato è però il rapporto tra possesso ed equilibrio difensivo. Gli squilibri del City sono sempre partiti dalla sua manovra, che poteva sbilanciare la squadra e renderla fragile nelle transizioni a palla persa. Quest'anno il City ha invece avuto il problema opposto. Ha reso più stabili le transizioni difensive, ma per un certo periodo la sua manovra era diventata prevedibile, fin troppo conservativa, incapace di creare occasioni con regolarità. Insomma, per come gestiva il possesso a un certo punto della stagione il City non sembrava nemmeno una squadra di Guardiola. Dopo il derby con lo United di metà dicembre, il dato dei gol segnati dai “Citizens” era il più basso tra le prime nove squadre in Premier League. Una cosa impensabile, trattandosi di Guardiola.
Anche il tecnico catalano stava però facendo i conti con il dilemma della coperta corta. Aveva reso più stabile il City a livello difensivo - il derby con lo United era la sesta partita di fila finita senza subire gol - ma il prezzo pagato era una manovra prudente, che non riusciva a creare pericoli con la solita facilità. Il City non era ancora una squadra equilibrata - cioè con un buon equilibrio tra quanto creava e quanto concedeva - ma aveva risolto un problema, forse il più urgente per Guardiola. Finalmente non si faceva trovare sbilanciato sulle ripartenze avversarie.
Il problema era emerso in modo chiaro già alla seconda partita in Premier League, contro il Leicester. Va detto che è stata una giornata storta, la partita dei sogni per tutte quelle squadre che, come ha fatto quella di Brendan Rodgers, affrontano il City difendendo vicino all’area di rigore e attaccando solo in ripartenza. Il Leicester ha vinto infatti 5-2 con tre rigori e quattro tiri in tutto su azione. Con un’efficienza, insomma, difficile da eguagliare. Anche senza mai sbilanciarsi davvero, il City è però sembrato fragile, più per le brutte prestazioni dei singoli giocatori che per il suo piano o per i rischi presi durante il possesso.
Guardiola era stato infatti prudente, almeno per i suoi standard. Aveva schierato due centrocampisti difensivi, Rodri e Fernandinho, che si occupavano della costruzione e non si alzavano all’interno del blocco del Leicester, per garantire sempre un numero sufficiente di giocatori in copertura in caso di perdita della palla. I terzini poi si alzavano a occupare l’ampiezza solo a possesso consolidato, per poter rientrare velocemente in caso di errore nelle prime fasi dell’azione. Eppure, anche con questi accorgimenti, il City si è più volte trovato scoperto in mezzo al campo e impreparato sui tagli dietro la difesa dei suoi avversari. Tre difensori su quattro - Walker, Eric García e Mendy - hanno concesso un rigore commettendo un fallo su un giocatore che si era inserito alle loro spalle.
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Il primo fallo è di Walker su Vardy, il secondo è di Eric García ancora su Vardy, il terzo è di Mendy su Maddison.
Dopo la partita Guardiola aveva spiegato che ai suoi giocatori era mancata la fiducia: «Abbiamo giocato bene per mezz’ora, segnato un gol al quarto minuto, ma poi abbiamo iniziato a pensare che non stavamo giocando bene, quando invece era il contrario. Non siamo forti abbastanza per essere equilibrati e pazienti. Abbiamo iniziato a pensare che stavamo giocando male. Durante l’intervallo abbiamo detto loro che stavano giocando bene, di cercare di stare tranquilli e che il resto era nelle nostre mani».
Sono dichiarazioni illuminanti da diversi punti di vista. Da un lato rivelano insicurezze difficili da immaginare tra giocatori del livello del City, oltretutto abituati da anni a giocare in un certo modo con Guardiola, e quindi a riconoscere la qualità delle loro prestazioni. Dall’altro indicano la strada su cui il tecnico catalano stava cercando di portare la sua squadra fin dall’inizio della stagione: più pazienza, più equilibrio, anche a costo di perdere un po’ di brillantezza offensiva.
Questa ricerca è andata avanti per qualche mese ed è passata da un altra sconfitta, contro il Tottenham di José Mourinho, la squadra perfetta per far emergere i vecchi mali del City. Agli “Spurs” sono bastati due attacchi fulminei per vincere la partita. Prima un lancio di Ndombele per Son, a cercare il taglio del coreano dietro la linea difensiva, e poi un contropiede in cui effettivamente la squadra di Guardiola si è fatta trovare sbilanciata (a seguire l’inserimento di Lo Celso sulla sinistra è addirittura De Bruyne).
Un mese e mezzo dopo, al termine della partita contro il Chelsea vinta brillantemente 3-1, Guardiola aveva citato anche il Tottenham come riferimento di un certo stile che il City non poteva imitare: «Ci sono squadre che giocano transizioni incredibili, come lo United, il Liverpool e il Tottenham. Noi non possiamo giocare in quel modo, non siamo bravi. Non siamo lenti o pigri, ma dobbiamo giocare con un altro ritmo».
Secondo Guardiola la svolta per il City era arrivata nella partita del Boxing Day, quella contro il Newcastle. «Ricordo di aver avuto la sensazione che avevamo giocato come dovevamo giocare, che non si trattava di vincere o perdere per un’azione», aveva detto il tecnico catalano in un’intervista fatta sempre dopo la partita contro il Chelsea.
Come forse si può prevedere, a riportare il City ai suoi livelli è stata una diversa gestione del possesso, favorita da alcuni interventi di Guardiola. La sua squadra è tornata ad accerchiare gli avversari con una circolazione infinita, ipnotica, a portare molti uomini tra le linee, a creare facilmente spazi da attaccare e quindi occasioni, e lo ha fatto con alcuni stratagemmi usati tipicamente da Guardiola per rinforzare il possesso.
Uno di questi è il falso terzino, ruolo interpretato da Cancelo, che porta subito la circolazione al centro e aiuta ad avere sempre un uomo libero, in ogni momento dell’azione, e che dalla sua posizione interna può facilitare il recupero della palla in caso di errore, accorciando con più comodità nelle zone in cui si perde più spesso il pallone. Un altro è il falso nove, ruolo in cui invece si sono alternati De Bruyne, Mahrez e Bernardo Silva, ovvero giocatori abili a muoversi dietro il centrocampo avversario e ad appoggiare la manovra, che aumentano la presenza tra le linee e creano spazi al centro per gli inserimenti dei compagni.
In aggiunta, il City è tornato a occupare l’ampiezza con due esterni offensivi, di solito Foden a sinistra e Sterling a destra, non schierati quindi a piede invertito. Stando larghi fissano i terzini, disordinano le linee avversarie e agevolano il possesso in zona centrale, e poi offrono sempre soluzioni comode alla circolazione, con passaggi laterali e cambi di gioco. Quando però la palla si avvicina all’area stringono la posizione per rifinire da una zona che il City cerca con insistenza, e cioè i lati corti dell’area.
Sono interventi che magari hanno perso la carica innovatrice di un tempo ma che sono bastati per ritrovare il ritmo che cercava Guardiola. «Siamo una squadra che deve giocare con un certo ritmo, non possiamo giocare quando è tutto un su e giù, su e giù», aveva spiegato il tecnico catalano dopo aver battuto il Chelsea, «Dobbiamo giocare al nostro ritmo, mille passaggi e attaccare al momento giusto. È questo il motivo per cui abbiamo vinto la Premier League, con più pazienza, più calma. Ultimamente, per molte ragioni, ci era mancato un po’ questo ritmo, e oggi lo abbiamo avuto».
Il possesso è quindi tornato a scorrere fluido, impetuoso, ad accerchiare gli avversari senza dare loro la possibilità di modificarne il corso. La coperta si è allungata e il City ha di nuovo il suo equilibrio: crea e segna molto e non ha perso la stabilità difensiva che Guardiola aveva cercato pazientemente di consolidare. Il sistema disegnato in campo varia di continuo, passa dal 3-4-3 con il centrocampo a rombo e le ali aperte, ispirato chiaramente al Barcellona di Cruijff, al 4-3-3 con movimento in diagonale di Cancelo, che per un po’ fa il terzino, poi la mezzala destra e in pratica copre tutto il campo. Può iniziare l’azione, rifinirla sia al centro che sulla fascia o concluderla inserendosi in area dal corridoio interno.
In questo caso da mezzala destra Cancelo crea una grande occasione con uno splendido passaggio filtrante per De Bruyne.
Il passaggio tra i sistemi è fluido e naturale, e sul fronte offensivo gli scambi di posizione sono frequenti, sempre rispettando un certo schieramento, che prevede due giocatori sempre larghi in ampiezza e almeno tre uomini tra le linee. La circolazione è tornata brillante senza provocare sbilanciamenti, e a palla persa il City ha sempre abbastanza giocatori - di solito tre difensori e il mediano, Rodri o Fernandino - per stabilizzare le transizioni, o accorciando per tornare subito in possesso o recuperando velocemente le posizioni difensive.
È stato questo il vero passo in avanti. Il City si prende qualche rischio in più, ha ritrovato il suo ritmo e sa che è sempre abbastanza coperto da non subire contrattacchi pericolosi se perde la palla. Qui sotto c’è un esempio dalla partita contro il Chelsea. Prima c’è da sottolineare il modo in cui, con i movimenti delle mezzali e di De Bruyne, il City si è creato una situazione favorevole per costruire l’azione in mezzo al campo. Le sue mezzali (Gündogan e Bernardo Silva) tengono bassi i centrocampisti avversari (Kovacic e Kanté), De Bruyne, schierato da falso nove, accentua la superiorità numerica al centro abbassandosi.
Dias ha quindi spazio per avanzare, anche perché Rodri tiene impegnato Mount. In teoria è un’azione vantaggiosa per il City, visto che Dias ha il corridoio in verticale libero per servire De Bruyne. Zouma però è reattivo, legge in anticipo la giocata e recupera la palla, ribaltando quindi i presupposti iniziali. Ora è il Chelsea ad avere un vantaggio, visto che le linee del City sono disordinate e c’è spazio per una ripartenza veloce in verticale.
A questo punto è invece da sottolineare la reattività della squadra di Guardiola dopo la perdita del possesso. In pochi secondi la linea difensiva si ricompone ed è in superiorità numerica in area, Zinchenko affronta Ziyech, in possesso della palla sul lato corto dell’area, e Rodri chiude l’eventuale cross all’indietro. Alla fine la ripartenza del Chelsea non porta a nulla, Zinchenko non si fa saltare da Ziyech e recupera la palla.
Forse i più penalizzati dalla ritrovata brillantezza offensiva - un altro paradosso - sono gli attaccanti. O forse al contrario sono stati i loro problemi ad accelerare la transizione verso un gioco ancora più fluido e incentrato sul controllo della palla, in cui tutti partecipano all’azione in ogni zona del campo e lo spazio centrale in cui di solito sta la punta è occupato a turno da diversi giocatori. Agüero è sempre meno affidabile dal punto di vista fisico. Ha avuto diversi piccoli infortuni ed è pure risultato positivo al coronavirus, e quindi ha finito per giocare pochissimo. Anche Gabriel Jesus ha saltato qualche partita per infortuni e per la positività al coronavirus, e una volta che la squadra ha trovato il suo equilibrio senza un attaccante è diventato una riserva. Ora quando vuole un po’ più di profondità, con un attaccante che si occupi di allungare le difese e non partecipa troppo alla manovra, Guardiola può contare anche su Ferrán Torres, che oltre ad aver giocato da esterno è stato pure schierato da attaccante centrale.
Finora il più bravo ad adattarsi al nuovo contesto, che offre molte opportunità a chi ha un certo senso per gli inserimenti in area, è stato Gündogan. La sua influenza si è ormai estesa a ogni zona del campo e a ogni fase dell’azione. Gündogan appoggia sempre la manovra durante la costruzione, ma riesce anche a farsi trovare più avanti a concluderla. Con 9 gol è il miglior marcatore della squadra, insieme a Foden e Sterling, entrambi schierati prevalentemente da esterni.
A dare invece un grande contributo alla solidità difensiva è stato l’ingresso in squadra di Rúben Dias, il giocatore in assoluto più utilizzato da Guardiola. Doveva essere il compagno di difesa di Laporte sul centro-destra, e invece Dias ha trovato una grande intesa con Stones e ora gioca stabilmente sul centro-sinistra. Tutti e due partecipano al possesso con l’intraprendenza e la qualità richiesti da Guardiola ai suoi difensori, hanno senso della posizione e sono abili a recuperare la palla leggendo in anticipo le giocate avversarie, doti fondamentali ora che il City pressa meno e punta a non disunirsi, ad avere sempre una struttura solida.
Nella stagione più strana e complessa, che ha riequilibrato i rapporti di forza tra le squadre di vertice in Premier League, a emergere ancora una volta sono stati gli interventi di Guardiola, la sua meticolosità, l'eccezionale capacità di analizzare e risolvere problemi. Il catalano è partito dal basso, si è concentrato innanzitutto sulla stabilità difensiva, sulla necessità di non concedere contrattacchi, e ha continuato a insistere anche quando questo timore ha irrigidito il possesso e spento la brillantezza offensiva della sua squadra.
Ora il City viaggia a un passo da record (nella sua storia non aveva mai vinto dodici partite di fila), ha di gran lunga la miglior difesa della Premier League ed è di nuovo la squadra favorita per il titolo. Non solo, ora che è tornato a essere equilibrato, che ha allungato la coperta, ora che domina il possesso senza subire contropiedi, e che può vincere anche senza creare molto, il City è un avversario ancora più scomodo nelle grandi partite, e in particolare nelle sfide più difficili, quelle a eliminazione diretta in Champions League. Forse è l’obiettivo a cui puntava Guardiola fin dall’inizio, anche quando la sua squadra non girava come avrebbe voluto.