Dopo 95 minuti di calcio di estrema qualità, con sette gol e altrettante occasioni mancate o quasi, i giocatori del Manchester City sono usciti dal campo senza sapere se fosse davvero il caso di essere felici. Guardiola - forse il più emotivo tra quelli in campo, incapace di nascondere le proprie emozioni - si è affrettato come sempre nel salutare Ancelotti e mentre il pubblico in piedi applaudiva per le emozioni provate, dalle casse dell’Ethiad è partita Wonderwall, forse la canzone più conosciuta degli Oasis, a loro volta i tifosi più conosciuti del Manchester City. Noel Gallagher prima ha detto che la canzone si riferiva a sua moglie e poi, dopo il divorzio, a un «amico immaginario che ti salva da te stesso» (Because maybe you’re gonna be the one that saves me). Ad ogni modo, non gli piace l’idea che sia la loro canzone simbolo e che venga considerata come una ballata rock, mentre in realtà è una canzone in cui ha detto di parlare della propria «vulnerabilità». Chissà, quindi, che non gli sia piaciuto il fatto che per una volta Wonderwall sia stata usata nel modo più giusto, come commento a una partita meravigliosa in cui però il Manchester City è sembrato a tratti sorprendentemente fragile. In cui la squadra di Guardiola, come spesso capita alle squadre di Guardiola, è sembrata aver bisogno di un amico immaginario che la salvasse da se stessa.
Because Maybe tra una settimana questo 4-3 darà alla squadra di Guardiola un vantaggio sufficiente per gestire meglio la partita al Bernabeu. Oppure maybe, i tifosi del City ricorderanno con amarezza la partita di andata, e invece della bellezza dei gol di De Bruyne o Bernardo Silva ripenseranno alle occasioni sprecate e alle sbavature difensive che hanno pagato carissimo. Si dice spesso che il calcio, a questi livelli, è una questione di millimetri, di frazioni di secondo, e al Manchester City non è bastata una prima mezz’ora schiacciante, che avrebbe messo sul lettino di uno psichiatra freudiano qualsiasi altra squadra, né un quarto d’ora a inizio secondo tempo in cui Foden e Mahrez sembravano pattinare sul ghiaccio, per piegare il Real Madrid alla propria volontà. Non è bastato un gol geniale di Bernardo Silva, di quelli che non si vedono frequentemente neanche in una semifinale di Champions League; non è bastato giocare così bene, creare così tanto che persino i due difensori del City hanno avuto occasione di segnare (Laporte ha calciato da un paio di metri di distanza su Courtois; Mahrez ha messo due volte la palla sul secondo palo per Ruben Dias, come aveva fatto per il primo gol di De Bruyne).
Una volta ricomposto, davanti ai microfoni, Guardiola si è detto felice al di là del risultato, orgoglioso, con un pizzico di paternalismo, della prova dei suoi giocatori. «È stata una delle più belle serate della mia vita». Come se fosse stato il regista della partita ha sottolineato il piacere di assistere a uno spettacolo calcistico così pregiato, quando però gli hanno chiesto per la terza volta se non avrebbe preferito vincere con più gol di scarto, perché no quattro a zero, ha commentato con un pizzico di polemica: «Certo, otto a zero. Otto a zero sarebbe stato meglio». Ma Guardiola ha detto anche una cosa che probabilmente sapeva già e che tutti tranne lui sottovalutano: con il Real Madrid non è mai abbastanza. Per il Chelsea non lo è stato andare sopra 3-0 al Bernabeu e in ogni caso il City non sarebbe stato tranquillo neanche con un due gol di scarto. Modric e Benzema, quando le cose si mettono male, non sono tipi da sdraiarsi e parlare del rapporto con la propria madre.
Il City crea in 7 secondi i presupposti per il primo gol di De Bruyne: il Madrid si concentra con cinque uomini nella zona della palla e lascia Valverde, Carvajal e Militao uno contro uno con De Bruyne, Foden e Gabriel Jesus. Pochi secondi prima del cross di Mahrez, Valverde si gira e indica De Bruyne a Carvajal, che però esita.
Quando le strade di City e Real si sono incrociate due anni fa, negli ottavi di finale giocati appena prima che il calcio si interrompesse per la pandemia, nella partita di andata Guardiola aveva sorpreso tutti schierando Bernardo Silva e De Bruyne come coppia d’attacco, due falsi nove con due “attaccanti ombra” ai lati, Sterling e Gabriel Jesus. Stavolta ha fatto le cose in maniera quasi scontata, giocando con una punta e due esterni classici a bloccare l’ampiezza sulla linea laterale, risolvendo il dubbio principale della vigilia, quello del terzino destro, come avrebbe fatto un allenatore più prudente di come immaginiamo Guardiola: mettendoci John Stones, un difensore centrale.
Dall’altra parte, Ancelotti doveva sostituire Casemiro, la cui importanza è spesso sottovalutata nel centrocampo madridista, e lo ha fatto in modo coraggioso: aggiungendo un attaccante, Rodrygo, in alto a destra, e abbassando Valverde a mezzala e Kroos davanti alla difesa. Non che l’atteggiamento del Real Madrid sia stato molto diverso dal solito: senza palla gli esterni si abbassavano e il recupero del pallone veniva dopo la difesa degli spazi, anche a costo di abbassarsi fino al limite della propria area.
E lo ha pagato subendo due gol in poco più di dieci minuti.
Alaba sbaglia l’anticipo, ma il City aveva creato la superiorità nell’area madridista (e forse De Bruyne sbaglia il cross che doveva andare sul secondo palo, anche se è difficile credere in suo errore tecnico). Militao era finito sull’esterno per coprire Carvajal, attratto da De Bruyne a inizio azione. Foden, che gli è scappato alle spalle, ha compiuto una grande giocata per controllare il lancio di Laporte sulla riga laterale ed evitare il contrasto con Militao.
Dopo ventitré minuti la vitalità del Real Madrid sembrava dipendere da quella di Benzema, che in pressione da dietro su Ruben Dias ruba palla e per poco non lo spinge all’autogol. In realtà, quando aveva provato a pressare, il Madrid qualcosa lo aveva già ottenuto. Il primo tiro di una partita vissuta in balia della circolazione della palla e delle verticalizzazioni improvvise del City, Vinicius Junior lo aveva trovato dopo che Ederson, pressato, aveva lanciato per Stones sul fallo laterale e Modric aveva vinto il duello aereo con Bernardo Silva. Anche il gol dell’2-1 nasce da un recupero feroce di Modric a centrocampo, che su una palla vagante anticipa di nuovo Bernardo Silva in scivolata. Poi, d’accordo, c’è l’ennesima finalizzazione sovrannaturale di Benzema su un cross tutto sommato telefonato, basso, lento. Neanche l’uomo alle spalle gli impedisce di schiacciare la palla sul secondo palo con una precisione difficile da avere anche usando le mani. Nel replay da dietro la porta si nota come Benzema faccia una specie di saltello prima, per arrivare sulla palla con il passo giusto per colpire di sinistro, e come poi calci senza guardare la porta: appunto, sovrannaturale.
Sarebbe ingiusto, e fin troppo facile, sottolineare gli errori dei difensori di entrambe le squadre - c’è sempre qualcuno che potrebbe fare meglio, o di più - ma non si può sorvolare sulla capacità quasi magica dei giocatori del Real Madrid di creare molto con poco. Non c’è aspetto che, nella partita di ieri, contrastasse di più con le qualità messe in campo dal Manchester City. Quando a inizio secondo tempo il City è partito di nuovo fortissimo, mandando in pezzi la solidità di Militao e Nacho (entrato al posto di Alaba non al meglio fisicamente, ma è evidente che ad Ancelotti servano centrali difensivi), prendendo un palo con Mahrez sulla cui respinta Foden è riuscito a malapena a mettere il piede, e subito dopo segnando il gol del 3-1, al Real Madrid è bastata un’intuizione di Vinicius Junior per rimettere tutto in discussione. Qui non si tratta neanche di saper leggere i momenti di una partita, quanto proprio di creare quei momenti in grado di cambiarla. Qualcuno parla di fortuna, ma c’è una sorta di autorevolezza nel modo in cui il Madrid sbatte il pugno sul tavolo quando si sente messo alle strette.
Non che avesse molta scelta, ma quando ha scelto di mettere Fernandinho al posto di Stones (che ha chiesto il cambio prima della fine del primo tempo), Guardiola è stato coraggioso. Ed è stato premiato dal gol di testa di Foden, nato da un anticipo pulito su una palla sciatta di Mendy e da un cross pennellato del centrocampista brasiliano. Un attimo dopo, però, il Madrid lo ha punito, o ha punito la hybris, la superbia, del City tutto, su una situazione praticamente uguale. Stavolta Vinicius ha fintato il movimento incontro e dribblato con un velo Fernandinho, che ha perso di vista la palla e se l’è fatta passare sotto le gambe. Ma la differenza l’ha fatta anche Ruben Dias, che nella prima occasione era rimasto a metà tra strada tra Modric e la copertura dello spazio alle spalle di Fernandinho e invece, nel gol del 3-2, ha seguito il croato fino alla trequarti di campo, lasciando scoperto il compagno e Laporte da solo con Benzema.
Le prime due immagini si riferiscono al gol di Foden, e si vede Ruben Dias coprire le spalle a Fernandinho; la terza immagine viene dal gol di Vinicius, con Ruben Dias evidenziato molto in alto sul campo). Quando Zinchenko arriva al raddoppio e Laporte potrebbe chiudere la corsa di Viny Jr è troppo tardi. Un pezzetto del gol lo ha fatto anche Benzema con la sua corsa.
C’è stato un momento, dopo il gol di Vinicius Junior, in cui il City sembrava aver accettato di giocare una partita pazza e verticale. E forse le occasioni che sarebbe stato capace di creare gli avrebbe garantito di segnare più di un altro gol, ma ha subito capito che avrebbe rischiato di prenderne altrettanti dal Real Madrid - e anche senza la regola dei gol fuori casa non è il massimo tornare negli spogliatoi avendo concesso quattro o cinque gol. All’ora esatta di gioco, cinque minuti dopo l’accelerata di Vini Jr, Modric ha recuperato una palla nella propria metà campo intercettando un passaggio di Fernandinho per Bernanrdo Silva, l’ha portata in quella avversaria e quando Bernardo Silva lo ha provato a chiudere sulla linea laterale, Modric lo ha saltato con un tunnel di esterno e poi ha servito Benzema con un filtrante (che per poco non ha messo la palla in testa a Vinicius Junior al centro dell’area piccola).
A quel punto i giocatori di Guardiola hanno rallentato, ricominciando a far circolare il pallone tra i difensori e Rodri, salendo il campo senza sbilanciarsi, aspettando che si creasse uno spazio o che uno dei propri talenti avesse l’intuizione giusta per inventarlo, lo spazio. Ed è arrivato il gol di Bernardo Silva, con una traiettoria talmente sorprendente che Courtois ha caricato per un attimo il peso sulle gambe ma poi, come capita anche ai più grandi portieri quando si accorgono di non poter fare nulla, si è ritrovato in ginocchio a guardare la palla che si infilava sotto l’incrocio. Proprio il portoghese - che ha giocato una partita sublime da playmaker a tutto campo, abbassandosi vicino a Rodri o alzandosi sulla linea di De Bruyne a seconda dei momenti, segnando un gol pazzesco in un momento fondamentale della gara - ha parlato di una migliore gestione del risultato. Eppure non è bastato neanche minimizzare i rischi, non concedere al Real Madrid le transizioni, per evitare di subire il 4-3.
Nel calcio contemporaneo tutto è relativo. Quello che è giusto un attimo prima diventa sbagliato quello dopo. Non esiste un dettaglio più importante di un altro ed è impossibile riprodurre la stessa identica situazione anche se è proprio allenando le situazioni che i giocatori trovano quella libertà di pensiero per agire quasi inconsciamente ed esprimere il proprio talento come fosse acqua che esce dal rubinetto. Ma in partite come quella di ieri sera il talento in campo è talmente tanto che persino il rigore del 4-3 finale, il “cucchiaio” di Benzema (che più di quelli di Totti ha ricordato quello di Zidane in finale del Mondiale 2006, anche se quello ha colpito la base della traversa e per un attimo ha lasciato il dubbio che potesse rimbalzare fuori dalla riga di porta) è stato eccezionale. Ancora più eccezionale se si pensa che contro l'Osasuna, una settimana fa, Benzema di rigori ne aveva sbagliati due.
Che avrebbe dovuto fare il Manchester City per avere due gol di scarto? Quando aveva spinto si era scoperto, quando ha rallentato ha creato le premesse per il fallo di mano di Laporte che ha causato il rigore. Mostrandosi, come dicevamo all’inizio, vulnerabile. Chi non lo sarebbe davanti al miglior Benzema mai visto, a Modric che in alcuni momenti sembrava fatto d’acqua? Come si difende un giocatore come Vinicius Junior, che se sbagli l’anticipo batte il record dei cinquanta metri piani ed entra in porta con la palla, ma se lo aspetti e ti fai puntare ti fa venire il mal di testa?
Alla vigilia Real e City facevano a gara a chi fosse davvero sfavorito. Guardiola sosteneva fosse già un onore per loro giocare partite così importanti con una squadra nobile come il Madrid, Ancelotti da parte sua ricordava che anche contro Paris Saint-Germain e Chelsea erano stati dati come perdenti e invece. Il vecchio potere contro il nuovo potere, che volevano unirsi nella Superlega per prendersi tutto il potere possible. Un concentrato di talento che, paradossalmente, dà un senso all’intera stagione di calcio internazionale così com’è ora, come se il resto delle partite, quelle “normali”, servissero a riempire l’attesa per quest’altro genere di partite, una specie di tributo al calcio stesso.
Come se il risultato, in effetti, fosse secondario. In finale però ci andrà una sola squadra e dopo la partita d’andata, a parte notare lapalissianamente che una delle due ha un gol di vantaggio e l’altra giocherà nello stadio di casa, è difficile dire quale delle due sia veramente favorita. Il Manchester City ha fatto il meglio che poteva. Il Real Madrid, però, ha fatto il Real Madrid. Sette gol non bastano per toglierci il dubbio di quale sia la squadra migliore.