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Manchester City-Real Madrid senza luoghi comuni
18 apr 2024
Un altro capitolo di un classico recente del calcio europeo.
(articolo)
9 min
(copertina)
Foto di Conor Molloy / Imago
(copertina) Foto di Conor Molloy / Imago
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Ancora una volta ci ritroviamo a parlare di un altro passaggio di turno in Champions del Real Madrid di Ancelotti, di nuovo ai danni di Guardiola. Ancora ci ritroviamo a commentare un doppio confronto ambiguo e per certi aspetti indecifrabile. Ieri sera il City è sembrato andare molto vicino al massimo delle proprio possibilità offensive, e il Real Madrid è riuscito a trascinarlo fino ai rigori per poi spuntarla.

In queste ore si parla molto dell'atteggiamento difensivo del Real Madrid di Ancelotti, che ieri nel secondo tempo del match ha avuto meno del 30% di possesso palla. Eppure sarebbe ingeneroso pensare che Ancelotti si sia presentato a Manchester senza velleità offensive. Stiamo parlando del Real Madrid.

All'inizio della partita la squadra di Ancelotti, anzi, è stata piuttosto temibile, e ha trovato anche il gol del vantaggio con una transizione folgorante al 12'. Non certo la prima di questo ciclo, confezionata dal duo brasiliano Vinicius Jr.-Rodrygo. Col tempo il City ha preso il controllo del campo in modo sempre più asfissiante, trovando il gol del pareggio e sfiorando il 2-1 con un altro tiro di De Bruyne da dentro l'area di rigore. Un tiro finito stranamente alto - se consideriamo le qualità balistiche del belga.

Partiamo dall’inizio, però. Il vantaggio del Real nei primi minuti di gioco non è stato casuale. È arrivato in un buon momento per la squadra di Ancelotti, che aveva iniziato la partita riuscendo a contendere il pallone al City più a lungo rispetto al resto della gara. Lo ha fatto sia sfruttando la capacità di ribaltare il campo rapidamente in ripartenza, sia sviluppando i propri possessi in maniera più fluida e ragionata. L’assetto scelto da Ancelotti era identico a quello della partita di andata: Rodrygo utilizzato come esterno di sinistra sullo stesso lato di Vinicius; Bellingham era schierato più come punta vera e propria che come “attaccante ombra”.

Nei primi 20 minuti il Madrid ha risalito il campo con convinzione ed efficacia. Le situazioni e le dinamiche usate erano diverse. Per esempio la rotazione sulla destra tra Rudiger (che si allargava) Carvajal che si muoveva verso l’interno e Valverde alto e aperto. Da qui non sono nate grandi combinazioni palla a terra, ma il City ha dovuto gestire più di qualche verticalizzazione in campo aperto. In generale le costruzioni del Real Madrid hanno sfruttato molto i passaggi diretti verso gli esterni, cercando di girare intorno al pressing del City; ed è stato proprio da una di queste situazioni che è nato il gol di Rodrygo. In quel caso, Carvajal ha giocato una palla alta in diagonale di sinistro verso l’inserimento in profondità di Bellingham, eccellente nel controllo al volo e nell’evitare il difensore prima di allargare il pallone sull’esterno.

Nei primi 15-20 minuti a livello offensivo il City ha combinato poco. Col suo 4-4-2/4-2-3-1 in blocco medio il Real Madrid ha evitato le progressioni semplici del 3+2 (tre difensori più due centrocampisti) di Guardiola. Il City però non si è fatto intimorire, ha impiegato del tempo ma ha infine consolidato i possessi e trovato le proprie giocate preferiti. Dopo quei primi venti minuti il City si è messo a palleggiare sulla trequarti del Real Madrid, senza più andarsene.

Inizialmente, le combinazioni più efficaci per il City sono state quelle sul centro-destra offensivo, dove si ritrovavano ad associarsi Foden in posizione esterna, De Bruyne pronto a correre in profondità internamente, e Akanji o Rodri a supporto, soprattutto il primo.

Da queste combinazioni sono nate le prime importanti palle gol, entrambe su cross a mezza altezza di De Bruyne. Dall’altro lato del campo, invece, Grealish e Bernardo hanno fatto più fatica a trovare progressioni in avanti, per il buon assortimento difensivo del Real ma anche forse perché il City li ha serviti tardi, rispetto a quanto chiedesse Guardiola.

Nel secondo tempo Guardiola ha spostato Bernardo Silva a destra al posto di Foden, portando l’inglese al centro insieme a De Bruyne, con i due a scambiarsi di posizione costantemente. A questo punto la produttività offensiva del City si è spostata da quel lato, dove si aggiungeva Akanji. Lo svizzero partiva centrale ma sempre più spesso ce lo siamo ritrovato dentro l'area, oppure fuori a combinare in spazi stretti. Un poco alla volta il City ha picconato la tenuta fisica e nervosa di Dani Carvajal. A dare il colpo di grazia è stato poi l’ingresso del freak del dribbling Jeremy Doku.

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Dopo pochi minuti dal suo ingresso in campo, il belga ha iniziato a sfondare in area. Da lui partono le due azioni più pericolose del City: il gol del pareggio, su cui Rudiger è stato per una volta impreciso, e poi l'occasione su cui si annidano i rimpianti del City, quel tiro di piatto di De Bruyne finito alto dopo un passaggio in cut-back. Oltre alle differenze di stile nell’uno contro uno rispetto a Grealish, la tendenza di Doku di riuscire a prendere il fondo andando più decisamente sul sinistro è stata difficile da gestire per la difesa del Real Madrid, che ha attraversato così il suo peggior momento.

Se il City nonostante il dominio non è riuscito a trovare prima il gol del pareggio, e poi a raddoppiare, è stato anche grazie all’ennesima grande prestazione dei difensori centrali del Real Madrid, che dentro l’assedio asfissiante dei dieci giocatori di movimento avversari tutti intorno e dentro l’area, sono riusciti innanzitutto a tenere fuori dai giochi Haaland, e poi a sporcare, direttamente e indirettamente, alcune situazioni molto promettenti per gli attaccanti di Guardiola.

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Alcune delle grandi azioni difensive di Nacho e Rudiger.

Anche se il City, a conti fatti, è riuscito a continuare le sue progressioni fin dentro l’area, alzando gradualmente il ritmo del palleggio e l’intensità delle riaggressioni, bisogna dare ai giocatori del Real il merito di non essersi lasciati sopraffare, guidati dal grande sacrificio di qualità di Kroos e dall’ennesimo ingresso incredibile di Modric. Entrato alla soglia dei quarant’anni, il croato è stato pronto a tirare spallate e a conquistare centimetri vitali di controllo del pallone che, man mano che il cronometro galoppava verso la fine, acquisivano sempre più importanza.

I rigori hanno premiato il Real Madrid, e Guardiola si è ritrovato ancora una volta in conferenza a parlare dei dettagli diabolici del calcio. La sua squadra ha fatto di tutto per segnare, ma non ci è riuscita, perché a volte nel calcio va così. Non ha comunque rinunciato a una buona dose di determinismo nella sua rassegnazione: «Johan Cruyff diceva che la fortuna non esiste».

City-Real, Ancelotti-Guardiola, è un classico di questi anni. Non stiamo parlando di due delle migliori squadre al mondo, ma anche di un confronto di stili e ideologie che hanno spesso alimentato il dibattito.

Un dualismo che può essere ammuffito - Catenaccio contro Possesso - o più aggiornato - Calcio Posizionale contro Calcio Relazionale. Queste partite sembrano fatte apposta per lasciarci scannare sui social, nei bar, negli studi televisivi: cosa è meglio, qual è la migliore strategia per giocare oggi a calcio? Dov'è il limite tra merito e fortuna? Le domande archetipiche dello sport. Negli ultimi tre anni Madrid e City si sono incontrate tre volte nella fase a eliminazione diretta nella Champions. Il successo dello scorso anno aveva permesso a Guardiola di pareggiare i conti, mentre oggi Ancelotti sembra di nuovo il custode della ricetta definitiva per avere successo in Europa.

La realtà pratica del gioco però è molto più sfumata di così, e le categorie con cui leggiamo gli avvenimenti possono ribaltarsi. Il Real ha fatto davvero la partita che voleva fare o si è adeguato bene alla capacità del City di imporsi? C’è stato più relazionismo negli sviluppi offensivi della squadra di Ancelotti, arrivati nel corso di azioni affrontate con un’occupazione degli spazi abbastanza leggibile e reiterata, o nelle continue rotazioni e scambi di posizione di De Bruyne e compagni? È più difensivo Ancelotti che si ritrova a controllare l’avversario nella propria area con una squadra ricca di giocatori offensivi, o Guardiola che per avere più efficacia nelle riaggressioni ha scelto di sviluppare le letture offensive dei suoi giocatori difensivi (Stones, Akanji) presentandosi sempre più spesso con 4-5 difensori in campo? È stato fortunato Ancelotti a passare il turno nonostante la sua squadra non sia certo riuscita a neutralizzare gli sviluppi offensivi del City, oppure arrivare a questo punto nonostante gli importanti infortuni di Courtois, Alaba, Militao e, in questo caso, anche la squalifica di Tchouameni, è l’ennesima certificazione della sua capacità di adattamento?

Trarre conclusioni assolute sulla scorta del risultato di un’eliminazione o di una vittoria - specie se arrivata ai rigori - rischia di portarci fuori strada rispetto alla ricchezza di intrecci e contenuti pratici. Il City ha fatto quello che poteva, meno che riuscire a convertire le proprie occasioni; il Real ha difeso come poteva contro una delle squadre più forti del mondo, senza limitarla del tutto, e questo lo ha portato a rischiare grosso fino agli ultimi minuti, e perdendo via via la capacità di incidere di Bellingham e compagni. Combattere per stabilire chi meritava di più è una lotta sterile, perché per sua stessa natura il calcio, soprattutto nella gara secca o nel doppio confronto, è uno sport in cui l’imponderabilità prende spesso il sopravvento sulla probabilità.

È stato un doppio confronto spettacolare, in cui le due squadre hanno segnato quattro gol a testa e dato prova di efficacia offensiva e difensiva in modo diversi. Eppure possiamo trarne poche conclusioni. Come sempre l'efficacia di una squadra passa dalla sua capacità di adattamento; da come riesce a risolvere problemi sempre nuovi che il gioco le mette dinanzi. Individualmente o collettivamente. Le reazioni degli allenatori, le loro mosse tattiche, e poi le reazioni dei giocatori, con la loro tecnica, le loro letture singolari. Guardiola che cambia l’assortimento offensivo nel secondo tempo, Kevin De Bruyne che prova per tre volte a segnare da calcio d’angolo nel primo tempo, Toni Kroos e Nacho che captano le micro-vibrazioni dei diretti avversari, leggono le traiettorie, si adeguano alle conseguenze di un duello perso da un compagno. Quel tiro di De Bruyne che magari sarebbe entrato otto volte su dieci, quella palla, al 12' che dopo la parata di Ederson torna esattamente sui piedi di Rodrygo.

Il Real Madrid non voleva per forza di cose fare una partita così difensiva, ci si è ritrovato. E in quel contesto, strozzato dalla squadra più dominante che c'è oggi in Europa, ha trovato risorse speciali per uscire vincitore da una situazione scomoda. Il risultato finale è stato la somma di tutti questi aggiustamenti, e di cose che non sono del tutto misurabili. A costo di sembrare banale: è il bello del gioco.

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