
È uno di quei dilemmi aristotelici tipo è nato prima l’uovo o la gallina. È nata prima la capacità di Jude Bellingham di segnare gol negli minuti delle partite di calcio oppure è il Real Madrid ad avergli trasmesso questa abilità?
Ieri è successo di nuovo e a doverne parlare un’altra volta viene la nausea. Il Real Madrid ha di nuovo affrontato il Manchester City, di nuovo ha rimontato una partita negli ultimi dieci minuti, da 1-2 a 3-2, e di nuovo ha segnato Bellingham nei minuti di recupero. Da anni celebriamo il Real Madrid per essere una squadra imprevedibile e capace di recuperare anche le situazioni di punteggio più compromesse, dando alla Champions questa forma di intrattenimento estremo, in cui, come si dice, tutto può succedere.
Ma è davvero ancora così? Se qualcosa di imprevedibile continua a ripetersi con ostinata regolarità, possiamo davvero dirci sorpresi? Cosa succede quando l’impensabile diventa la norma?
Quando Erling Haaland ha spiazzato Courtois mancavano dieci minuti al novantesimo e il Manchester City sembrava aver vinto questo braccio di ferro storto tra due squadre piene di talento e disfunzionalità. Due ubriachi che si prendono a pugni, ma due ubriachi con pugni incredibilmente pesanti. Il Real Madrid aveva avuto diverse occasioni per segnare il 2-1, ma poi lo aveva subito - e per come conosciamo la grammatica delle partite sembrava finita. Di mezzo però c’era il Real Madrid e una parte di noi voleva vedere come ci sarebbero riusciti, questa volta, a ribaltare a Manchester una partita così mal messa.
Poi, a cinque minuti dalla fine, il Real Madrid ha segnato questo gol che possiamo considerare scemo, almeno in rapporto alla solennità del match. Brahim Diaz porta palla sulla trequarti e la difesa del City è tutta schierata.

Come si fa a prendere gol da questa situazione?
Il tiro di Vinicius è burocratico, centrale, ma Ederson - che è spesso stato un fattore negativo per il City in Champions - respinge corto di petto proprio sui piedi di Diaz, che segna il 2-2 e poi alza le mani per dire a tutti che non vuole esultare. È cresciuto nel Manchester City e poi se ne è voluto andare; Guardiola ha dichiarato di aver fatto di tutto per trattenerlo ma senza riuscirci. Il tecnico ha la faccia di quei tifosi pessimisti che si disperano di fronte a una tragedia che avevano comunque considerato come inevitabile. Si regge la testa con la mano per contenere i cattivi pensieri, come nel dipinto “Malinconia” di Munch.

Ederson aveva giocato una bella partita fino a quel momento; aveva fatto una grande parata con i piedi su Bellingham. Eppure ci è finito di nuovo in mezzo, come dopo la grottesca rimonta subita dal Feyenoord, come altre volte gli è successo nel passato e in particolare in questa stagione, dove a un certo punto ha persino perso il posto da titolare.
Era stata una partita così, con un gol di Haaland su una difesa sciatta del Real; con un gol di Mbappé in acrobazia ma storto, colpendo la palla con lo stinco. La versione goffa dell’epica che dovrebbe appartenere a queste notti europee.
Haaland chiede ai compagni di non perdere la testa, ma è già troppo tardi. Il Manchester City è in questa realtà abissale in cui un errore provoca quello successivo. Il Real Madrid non sembra nemmeno voler forzare, o cercare la vittoria in modo particolare. Courtois palleggia, si guarda intorno, Foden si lamenta della perdita di tempo. Ancelotti toglie Mbappé e inserisce il difensore Fran Garcia - uno dei tanti impiegati anonimi del ministero del Real Madrid. È una squadra che però diventa pericolosa proprio quando sembra più innocua, anche perché il City è di nuovo vicino al collasso psichico. È incerto se pressare, sbaglia i passaggi per paura. E poi nasce questo gol dalle frattaglie di un’azione qualunque. Un pallone lungo verso Bellingham, una sponda verso nessuno, Kovacic prova a passarla all’indietro e sbaglia la misura, e il Real Madrid spietato, sconfortante, che con Vinicius riesce a trasformare questa palla a metà in una chiara occasione da gol. Ederson esce, l’attaccante prova a fargli il pallonetto, ma gli esce male, ma ovviamente il Real Madrid di Ancelotti casca sempre in piedi, e quindi sul tiro sbagliato da Vinicius piomba ineluttabilmente Bellingham, spostato punta da Ancelotti dopo l’uscita di Mbappé (questo significa avere la mano d’oro: una mossa tattica difensiva si trasforma in quella decisiva per la vittoria). Per il Manchester City mezzo errore diventa una condanna, per il Real Madrid un errore diventa un’opportunità. C’è un’incertezza di Ederson nell’uscita, e prima quel passaggio mal eseguito da Kovacic, eppure entrambe le sbavature non sembravano abbastanza gravi per generare conseguenze del genere.
E così uno stato dei fatti raro e difficile da replicare, cioè una rimonta negli ultimi minuti in un’eliminatoria di Champions, continua a ripetersi per il Real Madrid - come un trucco narrativo che sceneggiatori poco fantasiosi continuano a somministrare a un pubblico poco in vena di novità. Come succedeva in Celebrity Deathmatch, dove le vittorie erano sempre in rimonta. Di nuovo segna Jude Bellingham, che in queste situazioni assume sempre le sembianze del deus-ex-machina pronto a eseguire il destino superiore del Real Madrid.
Bellingham aveva iniziato a segnare gol decisivi negli ultimi minuti appena arrivato a Madrid. Potremmo dire che sono stati proprio questi gol segnati all'ultimo a definire la sua grandezza negli ultimi due anni - a infilarlo nel discorso dei migliori al mondo. Contro il Getafe, una partita moscia bloccata sull’1-1, aveva segnato fiondandosi su un rimpallo al minuto numero 95. Poi aveva spalancato le braccia verso la folla. Avremmo imparato a conoscere quella esultanza.
Contro il Celta Vigo, a dieci minuti dalla fine, aveva risolto un 1-1 con un colpo di testa dopo una sponda su calcio d’angolo.
La cosa ha iniziato a diventare un abitudine: mentre le partite si avviano alla conclusione, le probabilità che Bellingham faccia gol aumentano. Gli eventi si aggiustano in modo pirotecnico per permettergli di essere decisivo, come contro l’Union Berlin in Champions League, in cui Bellingham si ritrova la palla solo da spingere sulla riga dopo un flipper di rimpalli.
Con la maglia del Real Madrid Bellingham ha segnato 12 gol nei primi tempi e 22 nei secondi tempi: quasi il doppio. La situazione è sempre la stessa. La partita è in bilico, il suo esito incerto, poi una palla in area, una traiettoria che si sporca, Bellingham che la butta dentro. Al primo Clasico giocato con la maglia del Real Madrid, dopo aver pareggiato la partita con un gran tiro da fuori al 69’, ha segnato al minuto 92 un altro gol paranormale. Uno stop sbagliato da Modric in area gli aggiusta il pallone proprio sulla corsa.
Chissà cosa passa per la sua testa quando il quarto uomo segnala i minuti di recupero. Un tempo che di solito va tra i due e i cinque minuti, che diventano quelli in cui Bellingham può segnare il gol che scrive la fine. Assorbe questa abitudine anche con la maglia della Nazionale, dove segna al 95’ in amichevole contro il Belgio. Per qualche ragione si dimenticano di marcarlo in area proprio quando c’è da tenere il vantaggio.
Qualche settimana dopo decide di nuovo il Clasico contro il Barcellona col suo marchio di fabbrica: il gol nei minuti di recupero dopo una giocata sbagliata da un compagno. In questo caso un tacco ciccato da Lucas Vazquez si trasforma in un velo su cui arriva Bellingham implacabile sul secondo palo. È probabile che Bellingham non abbia mai sbagliato un tiro in area durante i minuti di recupero.
All’Europeo ha continuato a ripetersi. Ancora e ancora. Proprio quando l’Inghilterra è sull’orlo della sconfitta arriva Bellingham, che d’altronde sembra avere un ego enorme, e coglie ogni occasione possibile per diventare un eroe. Contro la Slovacchia, a evitare un’eliminazione a quel punto certa, Bellingham segna in rovesciata quando manca poco più di un minuto.
Quest’anno le occasioni per segnare negli ultimi minuti sono diminuite, anche perché è cambiato il suo ruolo nel Real Madrid. Se la scorsa stagione agiva da trequartista-incursore, in questa l’inserimento di Mbappé lo ha costretto a un ruolo più mite da centrocampista. Ieri è partito da sinistra per associarsi con Vinicius, ma sempre con compiti da mezzala. Poi è stato spostato in avanti da Ancelotti solo negli ultimi minuti, e lì ha ritrovato la sua capacità mistica di segnare un gol vittoria in area con tempismo miracoloso. Ci è riuscito in Champions League, la competizione in cui non era ancora riuscito davvero a lasciare il segno con la maglia del Real Madrid.
Trovare le ragioni di questo fenomeno non è semplice, ma qualcosa che si ripete così spesso non può essere casuale.
Bellingham è l’ultima personificazione di quelle qualità immateriali che si definiscono con espressioni vaghe come “fiuto per il gol”, “istinto”. Di giocatori come Bellingham si dice che “vedono la porta”, come se avessero una visione aumentata, profonda, di come far gol; una conoscenza speciale del rapporto tra pallone, avversari gli e la porta. Un talento epifanico nel manifestarsi laddove serve. Nelle partite del Real Madrid il calcio sembra piegarsi in modo particolare verso una dimensione aleatoria, in cui la razionalità arriva fino a un certo punto; Bellingham sembra governare questa aleatorietà, riuscendo a leggere ciò che in teoria dovrebbe restare illeggibile, e cioè il caso.
Magari conta anche una sicurezza in se stesso estrema, talvolta patetica. I dissing agli avversari, le copiose “ravanate” ai testicoli per mostrare agli altri che lui ha più personalità degli altri. A vederlo così tronfio è difficile farselo stare simpatico, ma al contempo dobbiamo per forza associare questo carisma spigoloso alla frequenza con cui decide le partite.
Ci sono però anche dei talenti molto più tangibili e materiali. Bellingham che corre verso l’area di rigore è una minaccia difficile da gestire per le difese. Al tempismo abbina un fisico da un metro e 86 potente ed elastico; sa staccare in elevazione, è tecnico nel colpo di testa e in acrobazia; ha un istinto notevole per organizzare la migliore conclusione possibile in finestre strettissime di tempo.
Bellingham è un giocatore speciale perché è più della somma di queste qualità, però. Non si può ridurre a un’analisi, a una descrizione di abilità. Certo, è forte, tecnico nei duelli e nei tiri, fortissimo in conduzione, fenomenale nelle sue incursioni in area. Questo però non basterebbe a spiegare Bellingham, e la sua capacità di vincere partite, correre sull’ultima palla all’ultimo minuto, assecondando un istinto leggermente fuori da lui, e che gli dice che il suo compagno Vinicius sbaglierà il pallonetto e lui si ritroverà pronto sulla corsa, a spingerlo in scivolata, come a farci credere di essere stato preso alla sprovvista.