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Manchester City e Liverpool: così vicine, così lontane
04 gen 2019
La squadra di Guardiola e quella di Klopp non sono mai state così simili.
(articolo)
13 min
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Sono esattamente 11,2 i millimetri (o, se preferite, 1,12 cm) che non hanno permesso al pallone calciato da John Stones sulla testa di Ederson, dopo 18 minuti del primo tempo, di varcare totalmente la linea della porta. L’intervento disperato di Stones è riuscito a salvare una situazione drammatica e ridicola al tempo stesso, con un margine talmente sottile da risultare impercettibile ad occhio nudo. E questa giocata di Stones, che crea e disfa un autogol che sarebbe stato clamoroso, è il momento chiave della partita più importante di questa stagione di Premier League.

Il salvataggio sulla riga (insomma, almeno in parte) arriva in un momento in cui il Liverpool è ampiamente in controllo della situazione, culminato nell’azione più bella con cui la squadra di Klopp è riuscita ad arrivare in porta fino a quel momento: costruita da dietro, invitando la pressione del City, e portata avanti con una serie di passaggi progressivi fino ad arrivare a Salah, che si libera dalla marcatura in mezzo al campo e triangola con Firmino, per poi servire un filtrante per Mané lanciato in porta.

Un’azione che avremmo potuto veder rifare uguale dalla squadra di Guardiola, e che dimostra ancora una volta quanto i princìpi del gioco di posizione siano ormai stati assorbiti anche dal Liverpool di Klopp.

Il palo di Mané e il salvataggio di Stones vanificano l’azione e aprono le porte ad una partita che non ha avuto un vero padrone, una partita aperta sia nel gioco che nel risultato, proprio come speravamo alla vigilia. Una bella partita, va da sé, in cui di fatto il City è stato più bravo del Liverpool ha finalizzato le proprie occasioni da gol.

Una conferma, anche, del fatto che a un livello così alto il margine di errore è minimo per tutti.

Partita equilibrata, con due squadre che si contendono il possesso e lo stesso numero di tiri nello specchio. Il Liverpool ha avuto conclusioni migliori in termini di xG e un autogol salvato sulla linea, ma a vincere è stato il City con due gol da due conclusioni difficili.

Liverpool e City si influenzano a vicenda

L’azione sopracitata che ha portato al palo di Mané è solo uno degli esempi di quanto i due allenatori si stiano influenzando a vicenda, durante questa loro rivalità: il Liverpool è ormai una squadra che sa attaccare come il City, e il City, a sua volta, ha imparato ad attaccare gli spazi come il Liverpool.

Quanto sia sottile la differenza tra le due squadre si vede anche da come interpretano bene l’una lo spartito dell’altra. Prendiamo il gol del vantaggio del City, per fare un esempio diverso. L’azione nasce da un passaggio taglia linee in diagonale che Kompany recapita a Sané. Il tedesco, marcato dal terzino avversario Alexander-Arnold, appoggia di prima all’indietro per Laporte, che stoppa per dare il tempo a Sané di scattare e poi lo lancia lungo la fascia, in un uno contro uno in velocità con il centrale Lovren.

Da lì, il City sale compatto e si riversa in area, che comincia a bombardare di cross riconquistando sempre la seconda palla, fino al terzo tentativo consecutivo in cui viene pescato Agüero.

In quell’azione, quindi, il City ha saltato il centrocampo, attaccando sull’esterno per risalire il campo in velocità e arrivare il prima possibile in area, approfittando di una difesa che ancora non ha fatto in tempo a sistemarsi. Un gioco ancora più verticale e ancora più improntato al gegenpressing del solito, per il City.

Se era prevedibile che Guardiola calibrasse un piano gara adatto per trovare il modo di attaccare questo Liverpool, lo era meno che decidesse di utilizzare le sue stesse armi. Il City ha rivaleggiato con il Liverpool proprio in quegli aspetti in cui il Liverpool eccelle, soprattutto nel recupero del pallone. Per l’occasione Guardiola ha pensato un meccanismo che impegnava moltissimo i suoi centrocampisti: la mezzala sinistra, David Silva, salire fino al centrale destro avversario, Lovren, mentre la mezzala destra, Bernardo Silva, scalava sul regista Henderson per rendergli difficile l’eventuale ricezione.

Fernandinho, così, restava da solo a fronteggiare le due mezzali avversarie, Wijnaldum e Milner, con Bernardo Silva che doveva scalare velocemente all’indietro se la pressione iniziale andava a vuoto. Un compito delicato che Bernardo Silva ha svolto alla perfezione, e che lo porta ad essere il giocatore con il maggior numero di chilometri percorsi, ben 13.7, come nessun altro in questa Premier League.

L’importanza di Laporte

Ma il piano di Guardiola non si è fermato al modo di pressare: invece di attaccare in modo asimmetrico, con un terzino più alto e uno più basso, ha chiesto Laporte (un centrale adattato a sinistra) di salire con naturalezza. Laporte si è comportato da terzino vero e proprio (non si è mosso verso il centro, come Delph, e come i “falsi terzini” che Guardiola ha introdotto anni fa al Bayern Monaco; non è rimasto bloccato vicino ai centrali per formare una difesa a 3), e anche se è più difensivo di Danilo dalla parte opposta, e raramente è arrivato fino sulla trequarti, è rimasto comunque sempre largo.

La partita di Laporte è stata fondamentale per la riuscita del piano gara di Guardiola, anzitutto perché il francese è stato attento a marcare stretto Salah e uscire in anticipo ogni volta che poteva. La sua prestazione in tal senso ha rasentato la perfezione, con Salah che ha toccato soltanto 32 palloni in tutta la partita e nel primo tempo è riuscito a creare soltanto spostandosi al centro. Ma Laporte è stato fondamentale anche per il meccanismo con cui Guardiola ha voluto attaccare il Liverpool.

Guardiola, conoscendo bene la pericolosità e l’importanza dei terzini del Liverpool nello sviluppo della manovra (non solo perché garantiscono sempre l’ampiezza, ma anche perché atleticamente riescono a coprire egregiamente tutta la lunghezza del campo), sapeva anche che proprio un lavoro del genere costringe Robertson che Alexander-Arnold ad un lavoro di ripiegamento in transizione difensiva logorante, per evitare di lasciare in uno contro uno i centrali difensivi.

E se a sinistra Van Dijk potrebbe difendere anche per una partita intera contro Sterling senza correre rischi, a destra Lovren è andato spesso in difficoltà nel seguire i movimenti di Agüero e nell’uscire su Sané. Puntando ad allargare il gioco velocemente verso sinistra per cercare l’uno contro uno, e affidandosi alla grande intelligenza tattica nei movimenti senza palla di Agüero, il City aveva una zona dove attaccare con continuità gli avversari.

Alexander-Arnold si sta già dimostrando come uno dei terzini più forti della Premier League, ma non poteva coprire tutto il campo all’indietro in tempo per evitare che Sané ricevesse alle sue spalle e puntasse Lovren. Inoltre, lo stato di assedio continuo vissuto dal Liverpool in alcuni momenti (tipo quello del gol del vantaggio del City) ha minato profondamente la serenità del centrale croato ed è forse una delle spiegazioni della sua partita disastrosa anche in area di rigore.

Da questo grafico di passaggi e posizioni medie si vedono benissimo sia il peso di Laporte sia il meccanismo del City per cercare Sané alle spalle del terzino avversario. Si nota anche quanto i movimenti di Agüero convergessero verso Lovren, per distrarlo prima dell’arrivo in corsa di Sané. Anche la mezzala sinistra, David Silva, è andato a ricevere nel mezzo spazio molto in alto proprio per poter dialogare più facilmente con Sané e Agüero.

L’importanza di Agüero

La partita dell’attaccante del City è stata epica. Ha fatto da vertice alto contro la difesa migliore della Premier League, e l’ha fatto dando profondità centrale ad una manovra che voleva passare per l’esterno e aveva un bisogno disperato dei suoi movimenti per creare spazio tra le due linee del Liverpool.

Una prestazione resa forse addirittura più bella dagli errori commessi in ricezione, e da quel gol che Alisson gli ha negato (sul 2-1, con un’uscita eccezionale) con cui avrebbe potuto chiudere la partita, perché ogni volta Agüero si è rialzato e ha ripreso a fare il suo lavoro per la squadra, sapendo benissimo quanto ingrato sia il compito di una punta che deve fare quello che serve e non può pensare solo a segnare.

Il gol segnato, ovviamente, è l’immagine più luminosa della sua partita: un controllo di destro seguito da un tiro di sinistro con angolo strettissimo, che ha sorpreso il portiere ex-Roma sia per la traiettoria che per la potenza. Un gol che probabilmente avrebbe potuto segnare solo un fenomeno come Romario, l’unico che nella storia recente del calcio condivide con Agüero un fisico dal baricentro così basso e una tecnica in grado di sfruttarlo appieno in area piccola, sia nei controlli che nei tiri potenti e precisi. Un gol, quindi, che ci ricorda l’unicità di questo giocatore nel panorama contemporaneo.

Alla vigilia, si era parlato del solito vantaggio tattico che il Liverpool sembra avere quando affronta il City, anche dato dall’incapacità della squadra di Guardiola di giocare le partite di cartello alzando il proprio livello emotivo, andando oltre la ricerca della perfezione nel proprio gioco. Questa volta, invece, giocatori come Agüero, Bernardo Silva, Kompany, Laporte e Fernandinho sono andati ben oltre il loro spartito. D’altra parte, era l’unico modo per affrontare a viso aperto una squadra come il Liverpool, che aveva iniziato meglio la gara e ha avuto il controllo su almeno 20 minuti del primo tempo, quelli attorno all’azione del palo di Mané e al quasi autogol di Stones.

La duttilità del Liverpool

Il City insomma non ha soltanto giocato ad armi pari dal punto di vista tattico, ma ha anche retto mentalmente il livello di determinazione e intensità del Liverpool. Nei minuti iniziali il piano gara di Klopp sembrava ancora una volta quello vincente: per l’occasione era tornato al 4-3-3 che in Premier League ha abbandonato da un po’ (in favore del 4-2-3-1), con Milner mezzala sinistra, forse per mettersi a specchio contro il City e giocare sul maggiore atletismo del proprio centrocampo.

Per pressare meglio, cioè, giocatori sguscianti come David e Bernardo Silva. Rispetto al solito, Klopp ha provato a sfruttare maggiormente la pressione del City, utilizzando Lovren come esca, invitando la squadra di Guardiola a salire fino ad Alisson per poi usare il talento con i piedi del brasiliano per allargare il gioco sul terzino sul lato debole. Il terzino, poi, con un passaggio in diagonale poteva tagliare il centrocampo in due e far arrivare il pallone direttamente al tridente.

Una volta saltata la pressione, il giocatore dell’attacco del Liverpool in possesso poteva scegliere se passare la palla ad uno dei compagni d’attacco che nel frattempo tagliavano alle spalle della difesa, oppure al terzino che arrivava da dietro, e che poteva far arrivare il pallone in area con un cross.

Il livello di dettaglio a cui è arrivata la manovra del Liverpool in uscita del pallone viene spesso sottovalutato dalla capacità che ha la squadra di Klopp di giocare sulle palle recuperate. Eppure la differenza tra una squadra ben allenata e una squadra allenata quasi alla perfezione sta proprio nella capacità di avere diversi meccanismi di gioco che mettono i propri attaccanti nella migliore condizione possibile: giocare in velocità, con almeno tre giocatori che finiscono in area, contro una squadra in ripiegamento che scappa all’indietro. E non solo come conseguenza di una palla recuperata, ma anche come sviluppo di un’azione costruita da dietro, sfruttando la pressione avversaria andata a vuoto.

Il 4-3-3 del Liverpool riconoscibile nel lavoro di raccordo di Firmino e nel livello di coinvolgimento nella manovra dei due terzini: Alexander-Arnold sul lato forte e Robertson sul lato debole.

A mancare al Liverpool è stato solo l’ultimo passo, la voglia di rischiare un po’ di più per trovare un gol nel momento in cui la partita è restata in bilico, cioè dopo i minuti iniziali in cui il controllo era loro. Quando è diventato chiaro che il tridente faticava a crearsi da solo occasioni da gol contro la difesa del City sarebbe stato necessario arrivare con più giocatori in area.

Il cambio tattico di Klopp, dopo un’ora di gioco, con l’entrata di Fabinho per Milner, ha riportato il Liverpool al 4-2-3-1, con Salah unica punta e Firmino alle sue spalle, si spiega forse con queste motivazioni. E non a caso 5 minuti dopo è arrivato il gol del pareggio.

Il gol del Liverpool è partito ancora una volta dalla metà campo difensiva, con un’azione impostata secondo i princìpi del gioco di posizione, con passaggi corti avanti e indietro tra giocatori posizionati in triangoli, così da resistere alla pressione avversaria mentre la squadra avanzava compatta, e con cambi di campo tra che mirano a manipolare la struttura avversaria.

Alexander-Arnold effettua due cambi di gioco su Robertson in quella stessa azione: il terzino scozzese riceve il primo lancio e rigioca la palla indietro, poi taglia in area di rigore e Alexander-Arnold, che nel frattempo è tornato in possesso del pallone, lo pesca con un cross perfetto, che il terzino sinistro appoggia di testa al centro dell’area piccola, per Firmino.

Un terzino fa l’hockey pass e l’altro l’assist, mentre altri 3 giocatori si muovono al centro dell’area per mettere pressione alla linea difensiva e schiacciarla verso la porta.

Così lontane, così vicine

Il Liverpool ha segnato un gol con la difesa del City schierata e l’ha fatto facendolo sembrare un gol che farebbe una squadra di Guardiola. Ma anche il gol della vittoria del City sembra un gol che avrebbe potuto segnare una squadra di Klopp.

L’azione comincia dal portiere, Ederson, che è uscito su Salah fuori dall’area e ha passato la palla a Danilo, che secondo il piano gara la passa in verticale a Sterling, isolato con Robertson. Sterling taglia il campo in diagonale in conduzione, mentre la linea difensiva del Liverpool scappa all’indietro per seguire il movimento in verticale di Agüero e Sané. Lovren sceglie di uscire a contrastare Sterling, lasciando Alexander-Arnold contro Agüero e Sané: l’argentino è abile a fare il movimento per portarlo via, lasciando lo spazio per la corsa di Sané, che può ricevere da Sterling e calciare in porta prima dell’intervento in chiusura di Alexander-Arnold.

Da area ad area con un’azione di tre passaggi e due conduzioni palla.

Agüero indica a Sterling che farà il movimento e si porta via l’avversario diretto lasciando a Sané la strada spianata.

Esattamente una stagione fa, il Liverpool ha vinto in casa contro il City primo in classifica, infliggendo loro la prima sconfitta stagionale. Oggi è il turno del City, che in casa ha rotto l’imbattibilità del Liverpool primo in classifica. E lo ha fatto con una partita in cui finalmente si è scrollato di dosso la paura per il gioco del Liverpool, che sembrava essergli entrato sotto pelle, abbracciandone anzi alcuni principi.

Se nella partita di andata Guardiola aveva provato a contenere il suo peggior avversario (su 16 scontri con Klopp in carriera, Guardiola ha perso 8 volte e pareggiato 2), ottenendo una partita bloccata, in questa ha deciso di affrontarlo con le stesse armi ed è riuscito a vincere. La scorsa stagione, il City è arrivato comunque fino al titolo pur perdendo con il Liverpool, anche perché mancava una rivale in grado di stargli veramente dietro settimana dopo settimana.

In questa stagione, invece, il Liverpool sembra avere quel rivale che può mettergli il bastone fra le ruote. Ma, come detto da Bernardo Silva prima della partita, è più logorante per il City stare dietro a rincorrere che per il Liverpool stare davanti a gestire il vantaggio. La vittoria del City ha sì riaperto il campionato, ma è ancora a due partite di distanza dal Liverpool di Klopp.

Klopp ha sempre detto che preferisce battere la squadra più forte che ambire ad esserlo, ma adesso che i ruoli tra City e Liverpool sembrano invertiti sarà la sua capacità di gestione del vantaggio a fare la differenza. È stata la prova di maturità per il Liverpool, e per Klopp. Per com’è maturata, la sconfitta di ieri può persino aiutarli ad aumentare la consapevolezza del Liverpool di essere diventata la squadra da battere in Premier League.

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