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L'astinenza del Manchester United è finita
27 feb 2023
È arrivato il primo trofeo dell'era ten Hag.
(articolo)
7 min
(copertina)
Foto di Shaun Brooks / Imago
(copertina) Foto di Shaun Brooks / Imago
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Era più di una finale, quella di League Cup tra Manchester United e Newcastle, era un coacervo di storie. Storie collettive, di due fazioni che sembrano nazioni, per come convergono in massa nel punto della contesa in occasioni come questa, le facce dipinte dei colori sociali, le insegne del club tenute più in alto possibile. Storia di un Newcastle rinato, dopo un lungo anonimato e ad appena sedici mesi dalla cessione alla proprietà saudita, operazione prima osteggiata dagli organi di governo della Premier League e poi accettata con rassegnazione. Storia del Manchester United, con indosso il rosso vestigia del tempo che fu, che alza il primo trofeo dal 2017, il quinto nei dieci anni di storia post-Alex Ferguson.

Le storie da raccontare prima della partita erano anche quelle individuali. A partire dai due portieri: lo sciagurato Loris Karius, protagonista suo malgrado nel 2018 di una delle performance più scadenti nella storia delle finali di Champions League; David de Gea, che allo United ha vissuto annate da separato in casa e che ha superato ieri il record di clean sheet di un monumento del club come Peter Schmeichel. E poi ancora: Sven Botman, flirt dei milanisti per un’estate; Casemiro e Varane, che di finali così ne hanno vinte su una gamba sola; Rashford che ha trovato sedici gol negli ultimi trenta tiri in porta; Antony e Saint-Maximin, croce degli avversari, delizia talvolta dei propri tifosi.

Novanta minuti che sono stati, tra le altre cose, il terreno di sfida di due allenatori che hanno una visione del gioco diversa ma non contrapposta. Erik ten Hag è uscito dal braccio di ferro con Cristiano Ronaldo incredibilmente rinforzato. Il suo United gioca da squadra, alterna fasi in cui controlla la palla, ricercando anche il cesello, a fasi in cui fa quadrato intorno alla propria area di rigore. Non gioca ancora il calcio che vuole ten Hag, ma arriverà presto a giocarlo, il vertiginoso gioco associativo che ha caratterizzato la stagione più bella dell’Ajax degli ultimi anni. Eddie Howe aveva fatto faville con il piccolo Bournemouth, ma sembrava aver perso il treno diretto verso il calcio che conta. È stato invece scelto dalla nuova dirigenza del Newcastle per guidare il nuovo progetto. Da chi ha i soldi per mettere a libro paga un Guardiola o un Mourinho ci si aspettava di più, Howe doveva essere per forza un ripiego. Invece il suo Newcastle gioca bene, è a un passo da una clamorosa qualificazione in Champions League ed è arrivato a questa finale, che è la replica di un’altra, la FA Cup Final disputata nel 1999. Ventiquattro anni di distanza e a scorrere il tabellino da quella partita sembra passata un’era geologica: il bomber Alan Shearer e il povero Gary Speed da un lato; il centrocampo con Beckham, Keane, Scholes e Giggs dall’altro.

Dalle fiamme intense tipiche di ogni inizio partita tra squadre inglesi è uscito meglio il Newcastle, che è sembrato per un tempo potersi reggere sul talento di Bruno Guimaraes. Playmaker davanti alla difesa solo per posa, il talento brasiliano ha giocato davvero a tutto campo, alternando colpi d’interno e di esterno del piede destro ad accarezzare la palla. Un riferimento costante per i compagni, per chiudere i triangoli e guadagnare campo in avanti, per uscire dalla pressione lungo la linea laterale, per ravvivare le braci di un possesso che sembrava spegnersi. Lo United chiude bene le opzioni del Newcastle al centro del campo e lo costringe a cercare altri spazi lungo le due fasce. A sinistra Allan Saint-Maximin è lasciato in isolamento a vedersela con Dalot e con il raddoppio di Casemiro, raggiunto dai palloni in diagonale al laser di Bruno Guimaraes. A destra Almiron, più propenso ad associarsi con chi gli stava vicino, rientrava nel campo e creava lo spazio per l’overload di Trippier, terzino di buona gamba e buona tecnica, uno che si era perduto a metà carriera e che ora sta riguadagnando posizioni.

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Longstaff attira Bruno Fernandes e apre il canale tra Schär e Almiron. Poi, arrivato al piccolo trotto fino alla trequarti, accelera e suggerisce il filtrante alle spalle della difesa a Trippier.

L’azione più pericolosa, costruita intorno al trentesimo del primo tempo, è un manifesto dell’attuale Newcastle, un concentrato di buone intenzioni. Almiron entra nel campo e combina con Trippier largo. L’indecisione dei difensori dello United – coprire l’ampiezza, uscire forte in marcatura sugli uomini scaglionati nei mezzi spazi o restare a presidiare le proprie posizioni? – ha aperto un varco per l’inserimento del terzo uomo, la mezzala Longstaff. Cross rasoterra alle spalle della difesa e palla che arriva sui piedi di Saint-Maximin. Trick da strada a ubriacare Dalot e tiro salvato dal solito riflesso bionico di de Gea.

Man mano che passano i minuti la stella di Bruno Guimaraes si offusca e senza la sua luce il Newcastle smarrisce la strada. I gol che lo United trova in una manciata di minuti hanno i caratteri dell'ineluttabilità: Casemiro è l’uomo delle finali, doveva incornare una punizione battuta dalla sinistra e mettere il pallone sul palo lontano da Karius; Rashford è l’attaccante più in forma del pianeta, il suo tiro fiacco trova comunque il modo di scavalcare il portiere, grazie alla complice deviazione di Botman. Il doppio svantaggio mette fretta al Newcastle che inizia ad alzar palla e la partita per alcuni tratti prende la forma del batti e ribatti, tipica del tamburello da spiaggia più che del calcio su erba.

A inizio secondo tempo, Howe inserisce Alexander Isak a sovraccaricare con Almiron la zona ai lati di Casemiro. La partita si fa aspra, lo United riempie l’area di rigore di corpi, si difende così dal cannoneggiamento da fuori area, soprattutto da parte di Joelinton. Saint-Maximin sembra stordito dal suo stesso isolamento, stanco e ingobbito sulla palla non vede più i compagni e, circondato da avversari, sbaglia quasi tutte le scelte. Eppure è l’unico nella sua squadra che ha ancora il fuoco acceso dentro, il Newcastle è praticamente costretto ad aggrapparsi al suo talento.

Due uomini in area di porta, altri quattro subito davanti: sembra il Burnley di Sean Dyche, è invece il Manchester United di Erik ten Hag.

Il Manchester United accetta la partita per quel che è, finendo per giocare il calcio che adesso, in questa fase, è nelle sue corde. Un calcio verticale, in cui la palla deve arrivare presto nei piedi di Rashford o di Bruno Fernandes, che sono i centri di gravità del gioco offensivo. Dei recenti successi sotto porta di Rashford ho già detto, di Bruno Fernandes aggiungo che ha festeggiato le cento partecipazioni ai gol dello United, sommando insieme gol e assist. Tutti sono sostituibili tranne questi due, lo sa ten Hag che li tiene in campo il più possibile, cambiandoli di posizione quand’è costretto, costruendo il resto della squadra intorno.

I Diavoli Rossi provano anche a giocare dal basso, ma è come se si indispettissero per il pressing che ricevono, un disturbo, più di posizione che di impegno, dei giocatori del Newcastle nel secondo tempo. E così si inizia a lanciare lungo, il pallone parte più spesso dai piedi di Lisandro Martinez per raggiungere il terzetto alle spalle del centravanti, Weghorst, che è che un’esca per tirare fuori i difensori del Newcastle. L'olandese finirà la sua partita stremato e con soli ventitré palloni toccati. È uno United di lotta e di governo, che attacca con il 4-2-3-1 e difende con il 4-1-4-1, Bruno Fernandes si abbassa accanto a Fred, Casemiro fa schermo davanti alla difesa, Rashford e Antony scendono di una linea.​​ Negli ultimi venti minuti ten Hag si priva di Weghorst per rinforzare il centrocampo con Marcel Sabitzer. A due minuti dal novantesimo toglie anche Rashford per il redivivo Maguire. Cinque-cinque-zero recita lo scioglilingua dello schema, perché la sacralità del progetto tecnico, che costruisce le cattedrali delle squadre vincenti, non si tocca, è così che si acquisisce un’identità vincente, che si macinano vittorie con le quali si conquistano le finali. Ma le partite secche sono una storia a parte e ten Hag ieri ci ha detto che in queste non si fanno prigionieri.

Negli ultimi dieci minuti Howe ha gettato in campo tutto quello che di offensivo aveva ancora sulla sua panchina. Un colpo di testa di Joelinton stava per andare a togliere le ragnatele dal sette della porta di de Gea, ma il portiere spagnolo ci è arrivato bene con il braccio disteso. Un tiro di Murphy da trenta metri ha sibilato a pochi centimetri dal palo. Se fosse entrato avremmo avuto un’altra partita, forgiata nel fuoco, per gli ultimi cinque minuti di gioco. Invece la finale si è chiusa con il risultato forse più scontato, con le bandiere comunque sventolate dai tifosi del Newcastle, contenti di esserci. Con la speranza nel cuore di ritornare presto a Wembley per un’altra finale, di questo passo non dovranno certo aspettare altri ventiquattro anni.

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