La partita dell’Old Trafford tra Man United e Paris Saint-Germain era una delle più imprevedibili tra quelle in programma per gli ottavi di finale di questa Champions League. Oltre al fatto che l’ex squadra di Mourinho, rinata nelle mani di Solskjaer, arrivava all’incontro con una striscia di risultati positivi impressionanti, c’era più di un dubbio sullo stato di forma del Paris Saint Germain, deludente nelle passate campagne europee, non infallibile in campionato (la sconfitta con il Lione è di poco più di una settimana fa) e privo di Neymar e Cavani. Ma i dubbi sul PSG erano soprattutto di natura tattica.
Nonostante avesse segnato un numero di goal maggiore di qualsiasi altra durante la fase a gironi (17), il Paris Saint-Germain aveva mostrato qualche incertezza di troppo nella gestione delle partite, dando modo di credere che, al di là delle giocate clamorose delle sue stelle, la squadra di Tuchel partisse su un gradino decisamente al di sotto delle altre corazzate del torneo. La partita di ritorno col Napoli, ad esempio, era stata una fotografia emblematica della difficoltà dei parigini nell’assorbire una reazione organizzata e intensa dell’avversario. È proprio tenendo presente queste premesse, che la trama del match di andata contro il Manchester United, finito 2-0 per il PSG, può risultare sorprendente.
Il controllo del centro: la grande partita di Verratti e Marquinhos
Lo United di Solskjaer ha iniziato la gara adottando un approccio molto intenso, pressando alto la costruzione dei francesi con diversi uomini e organizzando la difesa posizionale con un 4-5-1 / 4-1-4-1 molto compatto, che garantiva buona copertura dell’ampiezza (con una menzione d’onore all’applicazione di Lingard sui raddoppi) e relativa tranquillità nel controllo del centro del campo. Di conseguenza, il PSG ha trovato non poche difficoltà nel costruire l’azione palla a terra da dietro. Ha influito anche la volontà di non concedere allo United l’attacco in transizione, il PSG ha adottato un atteggiamento prudente, eccessivamente statico, con pochi movimenti senza palla intorno al portatore e qualche goccia di sudore di troppo nell’accettare il ritmo imposto dai padroni di casa.
Per le stesse ragioni anche il pressing alto del PSG sulla metà campo avversaria non è stato, almeno inizialmente, attuato in maniera troppo diretta: Mbappé e Draxler, aiutati a turno da Di Maria o Dani Alves, cercavano di orientare la circolazione verso l’esterno, ma sempre stando attenti a non scoprire il centro. E per limitare le occasioni del Manchester sono state decisive le letture difensive di Verratti e Marquinhos.
Il centrocampo del PSG è, anche in questa stagione, il reparto che ha destato più preoccupazione a tutto l’ambiente, soprattutto dopo l’estromissione di Rabiot, che si è aggiunta alla precedente cessione di Lo Celso. Complici anche i soliti infortuni, Tuchel si è ritrovato spesso senza Verratti nel corso dei mesi, per questo la dirigenza ha investito senza pensarci due volte su Leandro Paredes nella sessione di gennaio. In molti si aspettavano l’impiego dell’argentino dal primo minuto, ma Tuchel ha deciso di puntare tutto sulla coppia Verratti-Marquinhos, non nuovo al riadattamento da mediano.
Una scelta che ha pagato: i due sono stati protagonisti di una partita monumentale, anche se in maniera differente.
La grande influenza di Verratti.
Marco Verratti è stato più appariscente del brasiliano: ha chiuso la partita come miglior passatore sia in generale (70 passaggi riusciti su 75) che sulla trequarti offensiva (15 su 17), con 3 tackle e 3 palloni recuperati; ma a risaltare sono state soprattutto le sue scelte tattiche difensive, rimanendo in copertura di Marquinhos che si muoveva di più per seguire Pogba, accorciando con puntualità quando necessario.
Il PSG, soprattutto durante la prima fase, lasciava Matic libero alle spalle della prima linea di pressing, attivando la pressione individuale su di lui solo quando il pallone si staccava dai piedi dei difensori centrali. Verratti ha mostrato reattività ed aggressività determinanti per rallentare il gioco al serbo in alcuni frangenti, riuscendo anche a scalare verso Herrera o raddoppiare sugli esterni. Emblema della sua serata di grazia è stata una transizione negativa in campo aperto, alla fine del primo tempo, quasi da terzino destro, contro Martial: il francese aveva l’attenuante del principio di infortunio (che avrebbe costretto Solskjaer a cambiarlo a fine primo tempo), ma Verratti lo ha aggredito in scivolata con un margine di errore praticamente nullo, riuscendo a recuperare il possesso in maniera pulita.
Anche Marquinhos ha collezionato buoni numeri difensivi (6 palle recuperate e 2 anticipi) ma la sua prestazione è stata rilevante soprattutto per il contributo intangibile dei movimenti senza palla e dei contatti diretti per disturbare Paul Pogba, principale risorsa di Solskjaer per la risalita del campo, le seconde palle e lo sfruttamento delle transizioni offensive.
Il difensore brasiliano si è calato - ancora una volta con estrema naturalezza - in questa interpretazione conservativa del ruolo di mediano, riuscendo ad imprimere uno stress, anche psicologico, notevole sulla stella dei Red Devils, che difatti ha disputato la peggior prestazione dal cambio di guida tecnica.
A questo va aggiunta l’intelligenza tattica di Dani Alves e Bernat ai lati dei mediani, capaci di stringere la loro posizione fin dentro il cuore del campo quando necessario, ma anche di dare ampiezza con puntualità in entrambe le fasi.
In generale, la prestazione di tutti gli uomini del PSG è stata comunque degna di elogio; l’unico anello debole, soprattutto nel primo tempo, è stato Kimpembé, abbastanza incerto sia col pallone tra i piedi che nelle situazioni difensive. Rashford ha spesso tentato di sfruttare questo bug tagliando alle spalle di Thiago Silva per attaccare lo spazio in profondità, ma la difesa collettiva del PSG è riuscita a tenere botta.
Il cambio di spartito?
Il primo tempo si è concluso 0-0 con un sostanziale equilibrio (con solo una grande occasione per il PSG, fallita da Mbappé, servito da Draxler) ma dall’inizio del secondo tempo lo United ha dovuto fare a meno sia di Lingard che di Martial (l’altro giocatore più in forma in questo periodo), sostituiti da Mata e Alexis Sanchez. Rashford è rimasto al centro dell’attacco con i due nuovi entrati che si sono posizionati sulle ali, anche se è stato chiaro sin da subito che il loro contributo difensivo avrebbe lasciato a desiderare.
È difficile stabilire se la conquista del campo da parte del PSG nel secondo tempo sia stata dovuta a questa sostituzione o piuttosto a un timore più generale della squadra di Solskjaer; tuttavia sono stati evidenti proprio le difficoltà di Mata e di Sanchez nel provare ad arginare l’ondata francese sulla trequarti.
Dopo un primo tempo un po’ impreciso, Draxler è riuscito a prendersi qualche responsabilità in più tra le linee, sostenuto meglio anche da Di Maria e Mbappé nei movimenti incontro, e anche gli esterni del PSG hanno avuto più facilità nelle sovrapposizioni.
La linea difensiva del Manchester si è abbassata inesorabilmente, senza però aumentare il proprio livello di aggressività: così, il PSG è riuscito ad arrivare in area e concludere con troppa facilità, e il corner da cui è nato il vantaggio degli ospiti è figlio di una lunga e paziente circolazione offensiva nella metà campo avversaria.
Dopo il vantaggio la gara si è messa in discesa per il PSG, e sono emerse le differenze sia tattiche che psicologiche delle due squadre: lo United ha iniziato a sfaldarsi ed innervosirsi sempre di più, provando a ripristinare una pressione alta adeguata e a riacciuffare il risultato al più presto, mentre i francesi hanno mantenuto il sangue freddo e un’organizzazione sufficiente ad assorbire la reazione da animale ferito della squadra di casa, mettendo in fila due occasioni da gol in campo lungo da manuale, entrambe finite sui piedi di Mbappé.
La prima, trasformatasi nel gol del 2-0, è arrivata dopo un palleggio consolidato in parità numerica nella propria metà campo, con Bernat in posizione di mediano centrale mentre Di Maria (fin troppo facile ironizzare dicendo che si è trattato della “migliore prestazione all’Old Trafford”, per l’ex di turno) e Mbappé hanno messo in ginocchio la linea difensiva attaccando la profondità.
L’argentino ha rifinito con un traversone rasoterra millimetrico, ma a fare la differenza ancora una volta è stata l’accelerazione spaventosa con cui Mbappé è entrato fra le maglie dei difensori riuscendo a prendere il vantaggio per colpire, con ludicità, sottoporta.
Considerando i precedenti storici del PSG in Champions League e l’orgoglio dimostrato dai ragazzi di Solskjaer, dare per scontata la partita di ritorno sarebbe un peccato di superficialità.
E però, va rimarcata la prova di maturità della squadra di Tuchel, che nonostante una rosa abbastanza disfunzionale nella sua composizione, portata quasi innatamente ad essere squilibrata in campo, dopo diversi mesi sta finalmente riuscendo a schierare una versione efficace, compatta, difficile da gestire per gli avversari, del PSG. Soprattutto: non soffrire le assenze di due leader tecnici come Cavani e Neymar, e anche di una certezza come Meunier, in una partita così delicata in uno stadio come l’Old Trafford, è un segnale di credibilità del progetto tattico e di coesione del gruppo.
Il Manchester United, invece, ha reagito alle difficoltà in maniera diametralmente opposta, mostrando un nervosismo eccessivo (culminato poi con l’espulsione di Pogba) e una mancanza di serenità nell’accettare i momenti differenti della partita. L’impeto giovanile e verticale di Martial, Pogba, Lingard e Rashford è stato il valore aggiunto per la rivoluzione di Ole Gunnar Solskjaer, ma il rovescio della medaglia è sembrato essere un coinvolgimento emotivo sopra le righe, almeno ieri sera.
In generale lo stile dello United sembra ancora troppo dipendente da una manovra offensiva incentrata sulla rapidità di verticalizzazione, con conseguente aumento delle difficoltà per i suoi attori. Le basi per far bene non mancano, e partite come quella dell’Old Trafford possono persino trasformarsi in trampolini per affrancarsi dai propri difetti, spingendo tutti a migliorarsi.
Magari iniziando proprio dalla gara di ritorno: senza Pogba, in uno stadio ostico, con un 2-0 casalingo da recuperare. Troppo?