José Mourinho non ha superato lo scoglio della terza stagione anche al Manchester United. Era già capitato al suo ritorno al Chelsea, l’ultima esperienza prima di accettare la panchina dei “Red Devils”. E per uno strano scherzo del destino i due esoneri si sono consumati a una distanza quasi perfetta di tre anni: l’annuncio della rescissione del contratto col Chelsea era arrivato il 17 dicembre 2015, quello della separazione con lo United il 18 dicembre 2018.
Non è l’unico elemento che accomuna i due esoneri. Mourinho ha finito per scontrarsi con tutti anche a Manchester: con la società, per non aver soddisfatto le sue richieste sul mercato; con la stampa, che non ha mai perso l’occasione di criticare il gioco dello United; e infine con i giocatori, soprattutto con i più talentuosi come Pogba, spesso attaccati pubblicamente per le loro prestazioni.
I problemi di Mourinho
Mourinho ha mostrato a Manchester una versione di sé stesso ancora più cinica di quella che avevamo già visto a Madrid e a Londra, ed è sembrato poco disposto a scendere a patti col talento offensivo a disposizione, scegliendo piuttosto uno stile di gioco rigido e difensivo. Lo United ha avuto la miglior difesa della Premier League sommando i gol subiti nei due campionati conclusi da Mourinho (57 in tutto), ma sono state soprattutto le parate di David de Gea a premiare una fase difensiva meno solida di quanto lascia immaginare il dato dei gol concessi.
A confermare questa impressione è anche la frequenza con cui Mourinho cambiava la difesa, schierandola sia a tre che a quattro, e ruotava i centrali senza trovare riferimenti stabili, tanto che la scorsa estate il tecnico portoghese considerava tra le priorità l’acquisto di un difensore centrale. Alla fine però il reparto non è stato rinforzato, perché la società non pensava fosse migliorabile senza un investimento troppo grande, alimentando ulteriormente i contrasti tra Mourinho e la dirigenza.
I problemi erano ancora più evidenti quando lo United aveva la palla. Negli ultimi due campionati la squadra di Mourinho ha fatto registrare il peggior attacco tra le cosiddette "big six" della Premier (cioè Manchester City, Liverpool, Chelsea, Tottenham e Arsenal, oltre allo United) con 122 gol complessivi, oltre 60 in meno del City di Guardiola.
Con tre titoli vinti nella prima stagione e un secondo posto in Premier lo scorso anno, che dopo l’esonero Mourinho ha detto di considerare come uno dei migliori traguardi raggiunti nella sua carriera - lasciando intendere di aver spinto la squadra oltre le sue possibilità - i risultati hanno in qualche modo coperto gli squilibri tattici fino alla prima parte di questa stagione, quando il rendimento dello United è definitivamente precipitato.
Dopo aver incontrato Leicester e Brighton nelle prime due giornate di campionato, quella di Mourinho era la peggior squadra della Premier per percentuale di tocchi nell’area avversaria e tempo passato nell’ultimo terzo di campo, una statistica che da sola fotografa i grossi limiti offensivi dei "Red Devils". Oltre alle difficoltà a produrre attacchi efficaci, è quindi svanita anche l’illusione di avere una fase difensiva solida: con Mourinho, lo United aveva subito 29 gol in 17 giornate, uno in più di quelli concessi in tutto lo scorso campionato.
Una sintesi dei problemi l’aveva data l’ultima partita di Mourinho, una sconfitta per 3-1 ad Anfield contro il Liverpool. La squadra di Klopp aveva tirato 36 volte, mentre lo United era riuscito a calciare nell’area avversaria soltanto in due occasioni, una delle quali è il gol di Lingard. Spesso si dà a questo tipo di numeri un'accezione positiva, perché possono simboleggiare un cinismo che ad alti livelli è sempre necessario per arrivare al risultato, ma è difficile sostenere a lungo squilibri di questo tipo. Dopo quella partita il Manchester United si è ritrovato addirittura sesto in classifica a 11 punti dal quarto posto e la stagione sembrava ormai compromessa.
Il dominio del Liverpool in un’immagine.
Senza dubbio Mourinho è tra gli allenatori più influenti e di maggiore successo degli ultimi anni, ma il suo fallimento a Manchester forse non era così imprevedibile. Analizzando la prima stagione dello United di Mourinho due anni fa, Emiliano Battazzi sottolineava la lontananza tra lo stile del portoghese, abituato a restare in una squadra per periodi brevi e a esercitare il suo potere in modo sempre più cupo, e la filosofia dello United, abituato invece alla stabilità e con una bacheca riempita per la maggior parte da due allenatori rimasti in carica a lungo: Matt Busby e Alex Ferguson.
Gary Neville ha descritto bene questa filosofia, sottolineando in maniera indiretta quanto ne fosse distante Mourinho: «A nessuno dovrebbe essere permesso di arrivare al Manchester United e modellare la propria filosofia. La filosofia del Manchester United è qualcosa di profondo, come quella del Barcellona o dell’Ajax: devi giocare un calcio offensivo, veloce e divertente, dare fiducia ai giovani. E vincere».
Le soluzioni di Solskjaer
Non sorprende quindi che come allenatore ad interim fino al termine della stagione sia stato scelto Ole Gunnar Solskjaer, un protagonista forse minore ma molto amato dell’era Ferguson, soprattutto per i tanti gol segnati entrando dalla panchina. Solskjaer sta rispettando la tradizione dello United fin nei dettagli all’apparenza insignificanti, come il posto in cui si siede in panchina, lo stesso occupato da Ferguson. Sul campo il richiamo alla tradizione ha trasformato radicalmente il gioco dei “Red Devils”, tornati a proporre il calcio veloce e offensivo descritto da Gary Neville.
I risultati hanno superato ogni aspettativa: Solskjaer ha perso soltanto la gara d’andata degli ottavi di Champions League contro il Paris Saint-Germain, ha collezionato dieci vittorie e un pareggio nelle prime undici partite ed è l’unico allenatore nella storia dello United ad aver vinto le prime sei gare della propria gestione. In campionato ha raccolto più punti di tutti, 32 in 12 giornate, la miglior striscia iniziale per un nuovo allenatore in Premier, avendo la seconda miglior difesa (9 gol subiti, uno in più del Liverpool) e il miglior attacco (29 gol fatti).
In due mesi Solskjaer ha riportato lo United a lottare per la qualificazione alla prossima Champions, ribaltando i metodi utilizzati da Mourinho: ha unito l’ambiente evitando contrasti e polemiche, e ha stabilito buoni rapporti con i giocatori, rimettendo Pogba al centro della squadra e stimolando alcuni tra i più in difficoltà, come Rashford, Martial, Lingard e Lindelöf. Una trasformazione radicale come quella dello United con Solskjaer non può che essere il risultato di diversi fattori, e la gestione dello spogliatoio è sicuramente tra i principali. Ne ha parlato anche Ander Herrera: «Ole ha toccato le corde di alcuni giocatori che stanno dando il loro meglio. Sta tirando fuori il massimo da Rashford, da Pogba, da Martial, da Lingard. Non è facile. Quando parliamo di allenatori ci soffermiamo troppo sulla tattica, ma la cosa più difficile è riuscire a tirare fuori il meglio dai giocatori più forti, e questo allenatore ci sta riuscendo. Lo vediamo tutti».
Il modo in cui sta gestendo lo spogliatoio non è l’unico aspetto in cui Solskjaer si è allontanato da Mourinho. Anche tatticamente lo United è una squadra molto diversa, risale il campo in modo più ordinato con la palla e quando la perde prova a riconquistarla più in alto. Per una casualità, o forse per un calcolo preciso della dirigenza quando ha deciso di allontanare Mourinho, all’inizio Solskjaer ha avuto a disposizione una serie di partite contro avversarie meno attrezzate per accumulare vittorie e guadagnare fiducia lasciando subito la sua impronta sul gioco, più libero e orientato al possesso. Nelle prime cinque partite con Solskjaer lo United ha sfidato Cardiff, Huddersfield, Bournemouth, Newcastle e Reading: ha sempre vinto, segnando 16 gol e subendone 3.
Dopo questo ciclo di partite in cui lo United era spinto a controllare la palla e a manovrare con insistenza per aprire gli schieramenti avversari (con l’unica eccezione della sfida di FA Cup col Reading, affrontata da Solskjaer con diverse rotazioni nella formazione titolare e in cui il possesso dello United si è fermato al 40,5%), l’incrocio con il Tottenham di Mauricio Pochettino ha iniziato a definire in modo più preciso l’identità tattica dello United di Solskjaer.
Per quella partita il tecnico norvegese aveva infatti deciso di rinunciare al possesso, scegliendo invece di attaccare in transizione puntando soprattutto sugli spazi lasciati dalla salita dei terzini avversari. Schierato col centrocampo a rombo, il Tottenham faceva infatti avanzare Trippier e Davies a occupare l’ampiezza, e lo United poteva quindi risalire il campo alle loro spalle dopo aver recuperato la palla. Nei piani di Solskjaer quegli spazi dovevano essere attaccati da Rashford e Martial, lasciati alti e aperti proprio per allontanarli dai difensori centrali del Tottenham e farli scattare nei corridoi ai loro fianchi liberati dall’avanzata dei terzini.
La partita si era decisa proprio in questo modo: Lingard ha intercettato un passaggio orizzontale di Trippier, Pogba ha lanciato Rashford nello spazio alla sinistra di Vertonghen e il numero 10 dello United ha bruciato in velocità il centrale belga trovando l’angolino più lontano con un gran tiro.
Nonostante ciò, il Tottenham aveva comunque costretto lo United a lunghi momenti di sofferenza e ancora una volta erano state le parate di De Gea a conservare l’1-0. Battendo gli “Spurs”, e in trasferta allo United non capitava da quasi sette anni, quando c’era ancora Ferguson in panchina, Solskjaer ha così dimostrato di poter competere sul piano tattico con i migliori allenatori della Premier.
In particolare è sembrata decisiva la scelta di schierare il tridente offensivo con Martial e Rashford alti e decentrati come soluzioni in uscita dalla pressione dopo aver recuperato la palla, e Lingard in mezzo al campo in una posizione ibrida tra il centravanti e il trequartista, utile anche in fase di non possesso per marcare il mediano avversario (cioè Winks in quel caso). La flessibilità del tridente offensivo è una delle idee fondamentali per il gioco di Solskjaer: quando la squadra domina il possesso, i movimenti dei giocatori offensivi devono moltiplicare le linee di passaggio attorno alla palla; se invece la squadra punta ad attaccare in transizione i giocatori più avanzati sono dei riferimenti per risalire il campo nella maniera più veloce possibile.
In questo modo, lo United riesce a utilizzare strategie diverse in base alla forza degli avversari, gestendo i vari momenti di una partita senza perdere pericolosità. Per dire: nella vittoria per 3-0 sul Fulham il possesso è rimasto al di sotto del 50%; nella partita contro il Leicester invece lo United ha tenuto di più la palla, ma ha vinto 1-0 con un gol simile a quello fatto al Tottenham, cioè con un passaggio di Pogba per Rashford dopo aver recuperato la palla, partendo però da una zona di campo più vicina alla porta avversaria.
La disposizione del tridente e gli interpreti sono cambiati di volta in volta. Solskjaer ha alternato lo schieramento con un centravanti e due esterni, in cui comunque gli scambi di posizione sono frequenti, con uno più indefinito che prevede due attaccanti decentrati e un giocatore di raccordo al centro, che si occupa di marcare il mediano avversario e in fase offensiva ha compiti diversi a seconda delle caratteristiche di chi interpreta il ruolo.
La soluzione con Lingard dietro due attaccanti che partono larghi è quella che assicura maggiore fluidità posizionale, perché l’attaccante inglese non è un trequartista classico e non attira su di sé il pallone come un falso nove creando spazi per i tagli degli attaccanti. Lingard è però molto abile a trovare la ricezione negli spazi offerti dallo schieramento avversario e ama molto inserirsi senza palla. Oltre alla partita contro il Tottenham, Lingard ha giocato in posizione centrale in FA Cup contro l’Arsenal, avendo ai suoi fianchi Lukaku e Sánchez, che in ripartenza erano i riferimenti per risalire il campo. In quell'occasione lo United aveva vinto 3-1 e Lingard aveva segnato un gol su assist di Lukaku.
Lo schieramento dello United contro l’Arsenal.
Nella gara d’andata degli ottavi di Champions contro il PSG, Lingard era invece stato schierato da esterno destro, ma si accentrava spesso e lasciava la fascia ai tagli esterni di Rashford, che in partenza era il centravanti. Nella sfida successiva contro il Chelsea in FA Cup, l’assenza per infortunio di Lingard aveva spinto Solskjaer a schierare Mata in posizione centrale, mentre Rashford e Lukaku partivano più larghi. A differenza di Lingard, lo spagnolo è abituato a muoversi in appoggio nella zona della palla per agevolare la manovra e forse anche per questo Solskjaer aveva chiesto alle mezzali, Herrera e Pogba, di inserirsi più spesso, come aveva spiegato alla fine della partita. Ancora una volta il suo piano aveva funzionato e lo United aveva vinto 2-0 grazie a due inserimenti di Herrera e Pogba. Solskjaer ha cambiato spesso il tridente offensivo, accentrando anche Sánchez in mezzo a Rashford e Lukaku nella partita contro il Southampton e chiedendogli di ricevere da trequartista muovendosi dietro il centrocampo avversario.
L'importanza del centrocampo
In mezzo al campo, invece, il tecnico norvegese è sembrato meno disposto a toccare il trio formato da Matic, Herrera e Pogba. I tre centrocampisti sono forse i giocatori meno sostituibili tecnicamente, perché sono quelli che più di tutti sostengono il sistema di Solskjaer.
Pogba, ad esempio, si occupa soprattutto di definire la manovra, gestendo il palleggio in zone intermedie per poi dare l’ultimo o il penultimo passaggio. In fase offensiva lo United è solito sbilanciarsi proprio sul lato del centrocampista francese, creando attorno a lui una rete di compagni con cui può scambiare la palla per poi rifinire o concludere l’azione. Pogba è il giocatore più influente a livello creativo, con 9 assist e una media di 1,6 occasioni create e 1,9 dribbling riusciti per 90 minuti in Premier, ma è anche il principale tiratore della squadra (3,5 tiri p90) e sta riuscendo a segnare con una continuità mai avuta prima: i 14 gol segnati finora in stagione sono un record personale.
Le posizioni medie dalla partita contro il Leicester: lo United sovraccarica il lato sinistro, quello di Pogba, e isola Young sulla fascia opposta.
Matic controlla invece l’uscita della palla dalla difesa, distribuisce il gioco ed è affidabile sotto pressione, aggirando con la sua abilità nel difendere il pallone con il corpo il limite di poter giocare quasi esclusivamente con il piede sinistro (particolarmente svantaggioso quando si sposta verso destra). Senza la palla è il giocatore che dà stabilità alla struttura posizionale, coprendo le mezzali quando si alzano a pressare e scalando in difesa quando i centrali o i terzini dello United escono aggressivi in marcatura tra le linee.
Il vero equilibratore della squadra è però Herrera, e non solo per il fondamentale contributo difensivo. In Premier il centrocampista spagnolo è il miglior giocatore dello United per contrasti vinti (3,3 p90) e intercetti (2,7 p90), ma la sua influenza si estende a ogni fase di gioco.
Detta in maniera molto semplice: Herrera sostanzialmente risolve i problemi e fa funzionare il sistema. In campo fa di tutto e lo si trova ovunque ci sia bisogno, che si tratti di aiutare la risalita del campo, di portare la palla fuori dalla difesa o facilitare il palleggio nella metà campo avversaria, e sa scegliere quando restare a dare stabilità alle transizioni difensive e quando inserirsi in area. L’intelligenza con cui legge l’azione è evidente anche quando lo United non ha la palla. Herrera è uno dei giocatori più aggressivi ed è tra i più indicati a recuperare il possesso pressando in avanti, ma è molto bravo anche a difendere vicino all’area di rigore.
Il dettaglio più bello è forse l’insistenza con chiama la palla mentre scatta per andare in area.
Il centrocampista spagnolo è uno dei simboli più luminosi di come i giocatori adesso si sentano più liberi di esprimere il proprio talento. Certo, era impossibile immaginare che Solskjaer avrebbe avuto questo impatto, che sarebbe bastata una gestione meno dura dello spogliatoio per ottenere questi risultati. Eppure ha funzionato fin da subito e lo United è ora di nuovo tra le migliori squadre d’Inghilterra.
A gennaio i “Red Devils” hanno dominato i tradizionali premi mensili che la Premier assegna al miglior allenatore e al miglior giocatore: Solskjaer è stato ritenuto il miglior allenatore del mese e per la prima volta Rashford ha vinto invece il premio come miglior giocatore. Lo United è ben rappresentato anche nelle candidature per il mese di febbraio: Pogba e Shaw sono nella lista per il miglior giocatore, Solskjaer è di nuovo tra i candidati per il miglior allenatore.
I limiti delle novità
Il tecnico norvegese si è dimostrato abile a preparare le partite e a trovare accorgimenti tattici su misura degli avversari, ma va detto che le prestazioni dello United quasi mai sono state eccezionali come i risultati che ha messo in fila negli ultimi due mesi. I dati sui gol fatti e subiti descrivono una squadra che segna molto e subisce poco, ma in realtà la fase difensiva è meno solida di quanto possa sembrare e la tendenza ad allungarsi per attaccare soprattutto in transizione rischia sempre di scollegare i giocatori più avanzati.
Pur avendo spesso più qualità degli avversari e controllando di più la palla, Solskjaer sta provando a costruire una squadra in grado di risalire il campo in pochi secondi e tende a lasciare gli attaccanti in posizioni avanzate, per averli lucidi e pronti a ripartire dopo aver recuperato il possesso. Difensivamente il sistema si regge sulla capacità delle mezzali di coprire grandi porzioni di campo e di gestire l’inferiorità numerica che spesso si crea lateralmente, mentre ai difensori è richiesta una notevole aggressività per uscire dalla linea a marcare gli avversari che si muovono ai fianchi o dietro Matic.
Scegliendo di difendersi con una struttura posizionale che concede ampi spazi in cui avanzare, lo United ha quasi sempre lasciato ottime occasioni alle squadre che ha affrontato, sia a quelle più attrezzate e dalla manovra più elaborata, sia a quelle con meno talento ed è stato più volte salvato dalle imprecisioni degli avversari. Oppure, ovviamente, dalle parate di de Gea.
Di certo è un rischio calcolato che finora sta pagando. Il Manchester United per adesso subisce meno di quanto concede, ma non è detto che l’equilibrio che sta cercando Solskjaer sarà sempre così facile da raggiungere, soprattutto nelle partite contro grandi squadre. Il livello di aggressività e la precisione dei movimenti senza palla richiesti per sostenere una struttura difensiva poco equilibrata può diventare impossibile da sostenere contro squadre abili a manovrare e ad aprirsi spazi in cui far esaltare i propri giocatori, o contro talenti eccezionali capaci di creare superiorità in qualsiasi momento. Lo si è visto soprattutto nella netta sconfitta subita in casa dal PSG.
Kimpembé avanza palla al piede e si lascia dietro tre avversari, Mata si è abbassato a seguire Bernat, mentre Sánchez è rimasto più alto sulla linea di Rashford. Di fianco a Matic si libera Draxler e sullo sviluppo dell’azione il PSG conquista il calcio d’angolo che sblocca la partita.
Un’incognita per il finale di stagione sono poi gli infortuni. Nella gara d’andata contro il PSG si sono fatti male Martial e Lingard, importanti per la flessibilità dell’attacco e per la pericolosità in ripartenza, prima della sfida col Liverpool si è infortunato Matic e durante la partita contro i “Reds” Solskjaer ha perso anche Herrera, oltre a Mata e Lingard, che era rientrato dopo l’infortunio in Champions ma che si è fatto male di nuovo.
Solskjaer ha collegato la frequenza degli infortuni con l’intensità richiesta dal suo gioco, e a risentirne potrebbe essere appunto l’efficacia del sistema, che in assenza di alcuni dei giocatori più importanti, come Matic, Herrera, Lingard e Martial, ha dovuto trovare nuovi equilibri. Contro il Liverpool, il tecnico norvegese ha reagito all’emergenza schierando una squadra più prudente del solito, con McTominay e Andreas Pereira a centrocampo insieme a Pogba, e i due attaccanti esterni in posizione arretrata per rendere ancora più solida la struttura difensiva. E se è vero che lo United non ha concesso quasi nulla è anche vero che non ha creato molto di più.
Davanti a sé Solskjaer ha i mesi forse più decisivi della sua carriera. Per ora è ancora l’allenatore ad interim e teoricamente la sua gestione dovrebbe concludersi alla fine della stagione. I risultati raggiunti finora hanno però messo in discussione questo scenario e adesso la conferma di Solskjaer non è più così improbabile come sembrava all'inizio. Prima della partita contro lo United, anche Klopp si è schierato dalla sua parte dicendo di essere sicuro di ritrovare il tecnico norvegese in panchina anche l’anno prossimo.
Non sarà facile, ma se Solskjaer riuscisse a mantenere lo United a questi livelli, continuando a viaggiare al di sopra degli squilibri tattici lasciati intravedere in questi mesi, trovando nuovi accorgimenti di volta in volta, sarebbe davvero strano non vedere avverata la previsione di Klopp.