Per introdurre lo straordinario caso di Mara Romero Borella, fighter italiana di origine hondureña che ha esordito a UFC 216 pochi giorni fa, devo fare una breve premessa.
La prima donna ad aver firmato un contratto con l’UFC è stata Ronda Rousey, alla fine del 2012. Appena cinque anni fa, cioè. Il presidente dell’organizzazione, Dana White, diceva che non gli interessavano le MMA femminili anzitutto perché non c’erano abbastanza fighter per creare un’intera categoria di peso (nonostante in altre organizzazioni le donne combattessero dagli anni ’90) ma che Ronda aveva qualcosa di diverso. Ronda era “bella fuori” ma era anche “cattiva”; sapeva combattere ma aveva anche “the it factor” che la rendeva, sottinteso, commercialmente appetibile.
Ronda, però, ha fatto bene all’intero movimento femminile: nel 2017 l’UFC ha creato la terza e la quarta categoria di peso e non c’è più bisogno di una singola star che giustifichi la presenza di due donne nell’ottagono. Oggi ci sono fighter di tutte le nazionalità in grado di dare vita a incontri molto tecnici e duri (Cris Cyborg, Joanna Jedrzejczyk, Amanda Nunes, Holly Holmes, Karolina Kowalkiewicz, Valentina Shevchenko).
Nonostante ciò, se in Italia il movimento della arti marziali miste (MMA) è ancora raccontato in maniera sensazionalistica e pregiudizievole, il combattimento tra donne è ancora un tabù piuttosto diffuso, o è viene semplicemente considerato uno spettacolo minore rispetto a quello offerto da due uomini. Per questo il fatto che il terzo atleta italiano a entrare a far parte della più prestigiosa organizzazione al mondo di MMA sia una donna, ha un valore doppio. Eppure, del suo incontro, non si trovano notizie sui quotidiani sportivi nazionali.
Mara Romero Borella ha esordito nella categoria Flyweight (57 kg), l’ultima nata, per cui non c’è ancora una campionessa (la cintura verrà assegnata al termine della 26esima edizione del reality Ultimate Fighter, in onda in questi mesi). La chiamata dell’UFC è arrivata con poco più di una settimana di preavviso dall’incontro con Kalindra Farla, per sostituire Andrea Lee (messa sotto contratto ignorando una regola dell’antidoping che la doveva tenere fuori per altro tempo).
Ha avuto, quindi, poco più di una settimana per prepararsi all’incontro più importante della sua carriera, per studiare un’avversaria più esperta (Faria arrivava con un record di 18 vittorie e 5 sconfitte) e per tagliare il peso. E ha vinto in poco meno di tre minuti della prima ripresa, portando Faria a terra e gestendo le transizioni con grande calma fino alla sottomissione, senza prendere neanche un colpo.
La sua immagine solare e femminile è lontanissima dagli stereotipi legati alla violenza delle MMA, ma Borella è anche un’atleta tra le migliori al mondo nella sua disciplina. Oggi il suo record è 12-4 (con un no-contest) e insieme ad Alessio Di Chirico (che combatterà a dicembre in UFC), Marvin Vettori (a cui l’UFC ha appena rinnovato il contratto) e Alessio Sakara (che combatterà a dicembre per la cintura dei pesi medi Bellator, la seconda organizzazione più importante al mondo) rappresenta l’eccellenza italiana in uno sport in rapidissima ascesa. La parte emersa dell’iceberg - di cui comunque si parla pochissimo fuori dai canali di nicchia - di un movimento con sempre più appassionati e praticanti in Italia.
Ci siamo sentiti a pochi giorni dall’incontro: “Non mi rendo ancora conto di quello che è successo in questa settimana, è tutto nuovo”. Mara è nata e cresciuta in Italia, nella provincia di Piacenza, ma è sempre rimasta in contatto con la sua famiglia materna in Honduras e negli USA, dove vive dallo scorso aprile.
Come hai cominciato?
Ho scoperto le MMA grazie al mio amico e istruttore Sasha Vukelic. Abbiamo fatto judo insieme, poi ci siamo persi di vista e ci siamo ritrovati cinque anni fa. Mi ha portato al palazzetto di Piacenza dove c’era una gara di MMA, e mi ha detto in amicizia: “Perché non vieni a provare a fare una garetta, così vedi un po’ com’è”. Lui sapeva che a me piacciono le arti marziali, ho detto sì, volentieri. E ho fatto la mia prima gara di MMA che non sapevo neanche da che parte ero girata, non sapevo niente.
Quanti anni avevi quando hai scoperto le MMA?
Ne ho 31, quindi… 26. Ho fatto una vita di judo, sempre comunque a livello agonistico. Ma le MMA non è molto tempo che le pratico. E sono fiera di questo, perché non avrei mai pensato di arrivare fin qui cinque anni fa.
Quindi cinque anni fa non sapevi cosa fossero le MMA e oggi sei al massimo livello professionistico?
Esatto.
Cosa ti ha fatto pensare che facesse al caso tuo?
Mi ha incuriosito. Mi è sembrata una cosa nuova ed emozionante. E poi con tutte le discipline che si mescolano hai sempre da lavorare su tutto. Quindi mi ha stimolato anche sul piano della fantasia, perché non puoi fare una cosa sola in gabbia.
La cerimonia del peso precedente all’esordio in UFC. Mara è visibilmente felice di essere lì, ma quando punta gli occhi in quelli della sua avversaria diventa di pietra.
Hai pensato potesse essere interessante anche come carriera?
No assolutamente. Anche perché non sapevo quanto potevo crescere. Le prime volte l’ho preso come uno sport agonistico nuovo, era tutto da imparare. E la penso così ancora adesso, devi sempre imparare. Però per i primi due anni non ho mai pensato che sarebbe diventato una carriera, anche perché in Italia ho sempre lavorato in palestra per riuscire ad allenami e gareggiare.
Quando hai capito che poteva diventare il tuo lavoro?
Da quando mi sono trasferita definitivamente qui in Florida, all’American Top Team di Coconut Creek (dove si allenano anche Amanda Nunes, campionessa UFC Bantamweight e Joanna Jedrzejczyk, campionessa UFC Strawweight, ndr). Anche perché qui è diversa la mentalità.
Quindi dall’aprile dell’anno scorso.
Prima, quando gareggiavo all’estero, pensavo potesse diventare un lavoro, però non ce n’era la possibilità. Anche per venire qua ad allenarmi, all’inizio, mi pagavo tutto da sola.
Oltre al judo, quanta esperienza avevi in discipline in cui fossero previsti dei colpi?
Avevo fatto un paio d’anni di kickboxing quando avevo più o meno vent’anni, poi quando ho cominciato con le MMA ho iniziato ad allenare bene la parte di striking a Milano, insieme a Omar Vergallo che mi ha seguito fino a un anno. A Brescia, Gianluigi Tedoldi mi seguiva per la parte dei takedown, e invece la parte a terra la facevo con Stefano Meneghel. Secondo me un solo istruttore non basta per le MMA. Serve un istruttore per ogni arte marziale e poi un head coach che mette insieme le cose.
Ora come ti trovi nelle fasi in piedi?
All’inizio ho avuto un po’ di problemi. Ma adesso se devo picchiare in piedi, picchio in piedi.
È stato difficile aggiungere questa seconda natura, considerando che a 26 anni eri un’atleta formata?
Nella lotta ho degli automatismi per cui non ho bisogno di pensare mentre combatto, mi vengono e basta. Lo striking è stata una novità, ma una volta che capisci il meccanismo è fantastico, perché colleghi le cose vecchie con le cose nuove.
Mi racconti come è andata con la chiamata improvvisa dell’UFC?
Dopo il match di luglio ho fatto tre settimane in Italia per staccare. Poi sono tornata in America a fine agosto e mi sono allenata normalmente. Lavoro. Poi una settimana prima dell’incontro mi hanno detto: “Ci hanno fatto questa proposta, tu che ne dici?”. Non avrei mai potuto dire di no, avrei dato il massimo comunque, lo dico indipendentemente dal fatto che poi ho vinto.
Il fatto che ti allenassi all’American Top Team, di essere non troppo lontana da Las Vegas dove si è combattuto, può aver influito sulla decisione dell’UFC?
Allenarsi qui è il massimo, ti alleni con i migliori e fai parte di una squadra con un livello molto alto. Diciamo che ha influito anche il fatto che ho combattuto e vinto a luglio contro una ex UFC (Milana Dudieva, con un record oggi di 11-6, ndr). Il fatto di essere già qui, pronta, ha influito, certo.
L’incontro dello scorso luglio contro Milana Dudieva.
Proprio per la varietà di stile nelle MMA conta moltissimo la strategia. Tu hai avuto pochissimo tempo per prepararti sulla tua avversaria, però l’incontro è stato così pulito che sembra avessi un piano preciso e che sia andato come volevi.
In una settimana ho preparato quello che si è visto nel match. Oltre al taglio del peso. È stata una settimana dura, ma è venuto alla perfezione. Forse per la voglia di far bene, la possibilità che non volevo farmi scappare. E finché Faria non ha battuto non ci credevo. Non ci credevo.
Il piano era tagliato su misura su di lei?
Sì, sapendo che tipo di fighter era. Il piano era quello. Magari pensavo di dover scambiare di più in piedi prima di portarla a terra, ma ho colto l’occasione appena si è presentata.
Qual è stato il trigger per il takedown?
Il suo essere aggressiva e venire avanti.
È stata impressionante anche la tua calma. Molti sottovalutano l’aspetto mentale delle MMA.
La testa è molto importante. In quella settimana io ho lavorato anche con due mental coach venuti dall’Italia, Andrea e Marina, che mi hanno aiutato tanto. Perché nel match come nella vita normale, la testa è quella che conta, che ti dà i comandi.
Cosa pensavi dopo averla portata a terra?
A restare calma. Sapevo che dovevo cercare di stabilizzare e vedere attimo per attimo cosa potevo fare. Ma la prima parte era stare tranquilla e stabilizzare.
Il tuo soprannome è “Kunoichici”, una donna ninja. In cosa ti rivedi nell’immagine della donna guerriera? Tu sei anche molto solare.
Il bello è proprio quello. È come sono fatta e sarà il sangue di mia madre, anche in lei vedo lo stesso carattere. Non l'ho mai vista triste, ma l’ho sempre vista combattiva. È vero, la donna samurai deve essere cattiva… cattiva, deve essere seria, nel momento in cui combatte. Ma quando non combatte, quando non è in guerra, deve essere solare, deve aver voglia di vivere, di fare, di essere positiva, di crescere.
Tra maggio e ottobre 2015 hai subìto tre sconfitte consecutive (dopodiché solo vittorie e un “no-contest”, ndr). È difficile uscire da quel periodo?
Quando ho preso il KO in Danimarca, contro Anna Elmose (che subito dopo è stata chiamata in UFC, ma ha perso i primi due incontri e poi si è ritirata, ndr). Mi ha cambiato il modo di pensare e di vedere l’allenamento, il percorso che porta all’incontro. Il KO l’ho sentito anche a livello di testa. Non proprio tristezza, però mi ha messo giù di morale. Dopo quell’incontro ho combattuto subito il match con Stephanie Egger, a Milano, che ho perso perché non c’ero con la testa. Ero presente sul ring, ma non con quella concentrazione necessaria. E lì c’è stata la svolta. Perché ho pensato che questo mi sarebbe servito per andare avanti.
Poi però hai perso di nuovo, in Cina contro Jin Tang, un mese dopo.
Sì, lì mi hanno chiamato all’ultimo, ma ho provato a cogliere l’occasione per rifarmi dopo le due sconfitte. Però non ho perso perché non c’ero, ho perso per una decisione arbitrale. Secondo me ho combattuto bene, in termini mentali mi sono ripresa. L’ho pubblicato anche sulla mia pagina. L’incontro è stato fermato troppo presto, ma vabbè ogni match serve per migliorarti e la prossima volta se sono sotto cercherò di essere più attiva (l’incontro è finito per KO tecnico, la sconfitta per “difesa inattiva”, ndr). Poi ho combattuto a dicembre e lì ero molto più concentrata, sapevo cosa volevo, cosa migliorare. E ho vinto.
In che modo le sconfitte ti hanno aiutato a migliorare?
Ho imparato a gestire determinate situazioni dentro la gabbia. So la paura che si può provare. Vincere o perdere sono capaci tutti. Il difficile è andare avanti ed essere consapevole di quello che è successo. Ti chiedi: cosa posso cambiare per non far più quell’errore? Devo fare questo, questo e questo. Ma deve venire da te la voglia di riscattarti, se invece pensi: “Ok ho sbagliato, mi siedo e speriamo che il prossimo va bene”. Lo stesso vale nella vittoria. Ok hai vinto, ma ci sarà sicuramente qualcosa da migliorare.
Nel tuo esordio in UFC hai trovato qualcosa da migliorare?
Non saprei, perché è stato veramente rapido, veramente veloce… bello.
Pensi che il prossimo match sarà più difficile?
Io affronto un match alla volta, ma negli ultimi due forse ha influito il fatto che non ero così conosciuta, che non avevo grandi riscontri. Che non mi conoscevano. Questo cambierà.
Nel mondo delle MMA c’è una grande disparità - mediatica e di pubblico - tra fighter uomini e fighter donne, pensi ci siano dei pregiudizi?
I pregiudizi rimarranno sempre, in Italia come in America non tutti capiscono la parte femminile. Però sta crescendo: il fatto che l’UFC ha aggiunto una nuova categoria significa che la mentalità si sta allargando e ci sono molte più possibilità adesso. Spero di avere la possibilità di parlarne anche a livello italiano perché non ci sono molte ragazze che praticano questo sport. Vorrei dire che anche le donne possono combattere.