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L'estate '89 di Diego Armando Maradona
04 set 2019
Racconto dei 3 mesi in cui il numero 10 del Napoli sembrò vicinissimo al Marsiglia.
(articolo)
24 min
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I capelli sempre perfettamente in ordine, lo sguardo di chi sa come si sta al mondo, l’incedere sprezzante. Siamo nell’estate del 1989 e Bernard Tapie non è un uomo abituato a sentirsi dire di no. È sfrontato, ha il gusto della sfida, è costantemente in bilico sul filo della legalità. Ha inciso dischi, venduto televisori, rilevato aziende sull’orlo del baratro per renderle floride grazie al suo tocco magico.

Nello sport mette le mani nel ciclismo, dando vita insieme a Bernard Hinault alla squadra “La Vie Claire”, che foraggiata dai suoi milioni è in grado di vincere il Tour nel 1985 (con Hinault) e nel 1986 (con Greg LeMond), con la spinta in più dell’invenzione del pedale automatico, l’ennesimo colpo di genio di una carriera da uomo larger than life.

Più o meno in contemporanea Tapie aveva messo le mani sull’Olympique Marsiglia, con l’obiettivo di renderlo il club più forte del mondo. Per farlo si mette in testa l’idea meravigliosa di portare a Marsiglia Diego Armando Maradona, dopo aver vinto il primo titolo nazionale, trascinato da un attaccante sublime come Jean-Pierre Papin. In quel mercato strappa Tigana al Bordeaux, Francescoli al Racing Parigi e Waddle al Tottenham. Ma Maradona è un’altra cosa, Maradona è il sogno, è il feticcio, è l’ossessione, è il modo per urlare al mondo che l’OM vuole guardare tutti dall’alto in basso, e chi se ne frega del Milan, del Real Madrid, dell’ordine costituito.

Maradona subisce il fascino di un uomo diverso come Tapie, sembra stufo di Napoli, ha in tasca una mezza promessa di Ferlaino: Diego ha portato a Napoli la Coppa Uefa 1988/'89 ed è convinto che il suo ciclo azzurro sia finito. La 10 dell’OM sulle spalle del calciatore più forte del mondo sarebbe la ciliegina sulla torta della scalata di Tapie eppure, per una volta, l’egocentrico Bernard deve accettare un no come risposta, perché Ferlaino tiene duro, dando vita a un braccio di ferro epocale con l’argentino, che probabilmente farà male a entrambi.

Tapie, nel breve, si consolerà buttandosi in politica: nel giro di qualche mese arriverà a sfidare in un duello televisivo Jean-Marie Le Pen, il leader del Front National, assurgendo a fama mondiale per la tenacia mostrata nelle argomentazioni sul tema dell’immigrazione. Diventerà il nemico giurato del FN, salendo ulteriormente in graduatoria una volta accettato l’invito di Bruno Gollnisch, membro del Front National, a salire sul palco durante un comizio a Orange. Sfrontato, con i capelli mai fuori posto e lo sguardo di chi sa stare al mondo, Tapie arringò così il popolo di Le Pen: «Bisogna prendere tutti gli immigrati, uomini, donne, bambini, metterli su dei battelli, e mandarli lontano da qui. E per essere sicuri che non torneranno, bisogna affondarli!».

Uno slancio improvviso, accolto dagli applausi scroscianti da parte dei sostenitori del FN. Esaurito il delirio, Tapie riprese il microfono, stavolta con l’occhio torvo, incendiato: «Non mi ero sbagliato su di voi. Ho parlato di un massacro, di ammazzare uomini, donne e bambini, e voi avete applaudito. Domattina, mentre vi fate la barba o vi truccate, guardatevi allo specchio e vomitatevi addosso».

La trattativa

È pressoché impossibile rintracciare le origini profonde del malessere di Diego Armando Maradona, ma non c’è dubbio che già dall’inizio del 1989 Napoli gli stesse stretta. Più semplice rintracciare il giorno in cui tutto questo malcontento è venuto fuori. Un’esplosione prepotente, arrivata un paio di settimane dopo la notte più bella della storia del Napoli, almeno per bocca di Corrado Ferlaino: la vittoria della Coppa Uefa a Stoccarda. «Dal campo di calcio fino all’aeroporto era un passaggio trionfale. Sono ancora emozionato quando penso a quella serata e quella nottata. A Stoccarda, il Napoli disputò una delle più belle partite di sempre della sua storia. Ma poi era anche per la felicità dei napoletani che vivevano a Stoccarda, che erano mal visti dai tedeschi. E fu una grande soddisfazione per loro vedere il Napoli trionfare proprio lì», è la versione del patron.

Si è vociferato a lungo di un accordo verbale tra Ferlaino e Maradona, la Coppa Uefa doveva essere il regalo d’addio, il modo migliore per salutare una piazza a cui Diego aveva dato tantissimo, forse tutto. Ma qualcosa era andato storto, ed è proprio l’argentino a raccontarlo: «Non voleva lasciarmi andare via. Mentre sul campo tenevo ancora in mano la coppa mi si avvicinò e mi disse nell'orecchio: "Non ti vendo, te l'ho detto solo per motivarti di più". In quel momento gli avrei voluto spaccare la coppa in testa». Il rifiuto di Ferlaino aveva fatto inalberare l’argentino, ferito mortalmente dai fischi piovuti dal San Paolo il 18 giugno 1989, Napoli-Pisa, inutile trentatreesima giornata di un campionato dominato dall’Inter dei record.

Diego, che aveva già saltato la trasferta di Ascoli per una discussa colica, si stira dopo 17 minuti e alza bandiera bianca. Per il pubblico è la resa di chi ha già deciso di lasciare Napoli: Maradona incassa insulti (si va da pagliaccio a buffone, almeno per quanto riguarda quelli riportabili), il manager Coppola abbandona la tribuna d’onore per raggiungerlo nella pancia del San Paolo dove Diego mette il timbro alla scelta di andarsene. Ci sarebbe ancora una finale di ritorno di Coppa Italia da giocare, con il Napoli forte dell’1-0 dell’andata, ma la Sampdoria finirà per passeggiare sui resti di una squadra già virtualmente in vacanza e con un allenatore ormai sfiduciato dal gruppo come Ottavio Bianchi, al quale non è mai stato riconosciuto fino in fondo il merito di aver saputo tenere le redini di una formazione vincente.

Maradona è fuori di sé, lascia il San Paolo mentre il secondo tempo è ancora in corso, nell’androne dello stadio gli si fa incontro un agente della Guardia di Finanza. I due sbraitano, Diego esagera come da dna e rischia di finire in manette per oltraggio a pubblico ufficiale. Se la gente di Napoli si è rivoltata contro il proprio idolo, c’è una ragione.

Dobbiamo riavvolgere il nastro di poco, fino al 2 giugno. Da Marignane, periferia di Marsiglia, decolla un aereo intorno alle ore 14. È diretto a Nizza, a bordo c’è Michel Hidalgo, ex c.t. della Francia e uomo di fiducia di Tapie: il patron dell’OM gli ha affidato il ruolo di direttore sportivo. Lo scalo nizzardo serve per far salire Michel Basilevitch, intermediario jugoslavo, bizzarra figura che aveva già incrociato la vita di Cruijff a Barcellona, per poi andare dritti verso Capodichino. Hanno un appuntamento con Diego: quando Tapie ha saputo di avere una minima chance di mettere le mani sull’argentino è impazzito, mantenendo soltanto un briciolo di lucidità nella scelta di non partire in prima persona per non esporsi più di tanto.

E così, mentre gli italiani corrono al cinema per vedere L’attimo fuggente, uscito nelle sale proprio in quelle ore, Diego apre le porte della sua casa alla strana coppia Hidalgo-Basilevitch: di lì a qualche ora, saranno in pochi quelli pronti a salire su un banco per lui urlando «O Capitano! Mio capitano!». L’offerta, per Maradona, è da far girare la testa: 560 milioni di lire al mese, ancorché lordi, contro i 2 miliardi annuali netti percepiti dall’argentino fino al 1993. Il Napoli, per dare conferma della propria solidità a uno scettico Diego, aveva già versato tutti gli emolumenti previsti fino al 1991, garantendogli inoltre il 25% del cachet percepito dalla società per ogni amichevole.

Maradona, Hidalgo e Basilevitch si salutano con la promessa di un nuovo incontro, stavolta a Marsiglia, direttamente con Tapie. La notizia è troppo grossa per scivolare via in silenzio. Forse è Hidalgo a spiattellare tutto, forse Basilevitch, sta di fatto che le edicole francesi, il 3 giugno, fanno fatica a smaltire i clienti. L’Equipe titola Maradona à Marseille, con la foto dell’argentino a tutta pagina. Tapie va su tutte le furie ma l’affare sembra comunque alla portata dell’OM. Nel frattempo, ci sono due città in tilt. Da una parte Marsiglia, con la gente che assedia telefonicamente le radio locali inneggiando a Bernard Tapie; dall’altra Napoli, infuriata con l’idolo di sempre. Maradona si sveglia con comodo, nel pomeriggio, ed è costretto a intervenire con un goffo comunicato: «Ho ricevuto Hidalgo per cortesia, credevo fosse un allenatore, non sapevo neanche facesse il manager per l’OM. Mi hanno detto che il Marsiglia è interessato a me, ma non sarà l’ultima volta che della gente viene a dirmi che si interessa a me. I tifosi stiano tranquilli, intendo rispettare il mio contratto fino alla fine».

Hidalgo non ci sta a passare per scemo: «Deve avere ricevuto pressioni, l’altra sera non ragionava così». È Maradona a mentire: nel colloquio ha chiesto tutto, da informazioni sull’organico dell’OM alla possibilità di avere una villa a Cassis, a una ventina di chilometri da Marsiglia. Tapie è pronto a coprire di soldi Maradona ma non Ferlaino, ed è un ben problema. La prima offerta è intorno ai 9 miliardi di lire. L’estate del Napoli, già sufficientemente rovente per la scelta del dopo-Bianchi, diventa un giallo che accompagna gli italiani nelle prime uscite in spiaggia. I nomi sul tavolo sono tanti, quelli molto cari a Maradona soltanto tre: Rino Marchesi, il primo tecnico italiano avuto dall’argentino, Carlos Bilardo, c.t. dell’Albiceleste, e Giovanni Galeone, l’artefice del miracolo Pescara.

Per Bilardo, però, c’è il problema legato al contratto con l’Argentina: arriverebbe soltanto dopo il Mondiale del 1990. Serve quindi un tappabuchi, un allenatore a tempo, che possa accettare un annuale con la speranza di convincere Bilardo e, di conseguenza, Maradona. Mentre si fa strada il nome di Albertino Bigon, Diego esce ufficialmente allo scoperto. El Pibe de Oro è in Nazionale per la Coppa America, parla con alcuni giornalisti, sgancia la bomba: «A questo punto posso anche andarmene, e a Ferlaino do un consiglio: venda Maradona e si tenga ben stretti Alemao e Careca. Effettivamente ci sono delle possibilità concrete che nel prossimo campionato io giochi con l’Olympique Marsiglia. Non ho dimenticato i fischi della gente di Napoli, se i miei tifosi non mi vogliono più io sono prontissimo a fare le valigie». Dichiarazioni smentite da lì a qualche ora, ma sufficienti per prendere le prime pagine dei giornali italiani e francesi.

Ferlaino apre all’OM, ma è un’apertura per modo di dire: chiede 35 miliardi di lire, una cifra che neanche un uomo del calibro di Tapie sarebbe disposto a spendere. I due presidenti si danno appuntamento per il 6 luglio a Rapallo, c’è una stanza a nome Ferlaino, ma l’Ingegnere diserta. Non si presenta nessuno neanche in uno dei ristoranti più esclusivi di Portofino, dove Tapie è arrivato con uno dei suoi yacht da sogno. Il proprietario dell’OM ha un accordo di ferro con Maradona, gli ha promesso anche un incarico dirigenziale a fine carriera in un’attività extrasportiva appena avviata in Argentina. Sembra ormai evidente che da parte di Ferlaino non ci sia la minima intenzione di mollare Diego, che sbotta all’improvviso, dall’altra parte del mondo, in Brasile.

«Voglio lasciare Napoli»

I toni concilianti dei “consigli” dati a Ferlaino vengono riposti in soffitta. Maradona odia i giornali italiani ma ha buonissimi rapporti con quelli argentini e l’11 luglio convoca Aldo Proietto, vicedirettore del Gráfico, per fargli stilare un comunicato di guerra. Più che un’intervista, sembra il bollettino di un gruppo di terroristi che dettano condizioni per liberare un ostaggio: «Voglio lasciare Napoli perché non sopporto più la vita che sono costretto a fare in Italia. Forse sto diventando vecchio, ma sento che è arrivato il momento di cambiare. La mia famiglia non può vivere soffocata, senza poter uscire di casa. E io voglio essere libero di poter portare, come tutti i padri del mondo, le mie figlie in un parco di divertimenti, cosa che a Napoli è assolutamente impossibile. Per godermi la mia famiglia ho bisogno di un ambiente più tranquillo, di poter passare insieme con i miei cari Natale, Capodanno e le altre feste. Sono stanco di sacrificare la vita privata in nome degli impegni. Non ce la faccio più, sinceramente, ad andare avanti così».

Non ha neanche più senso nascondere l’accordo con Tapie: «A Marsiglia avrò a disposizione ampie ferie e le mie figlie giocheranno in un parco di seimila metri intorno alla villa che mi ha promesso il presidente Tapie. Ferlaino mi ha offeso mettendo in dubbio il mio mal di schiena. Invece sapeva bene che non era un acciacco di comodo. Ne soffro da quando giocavo nell'Argentinos Juniors e purtroppo ogni tanto riaffiora, senza preavviso. Quando si riferisce a me, Ferlaino non deve dimenticare che mi pagò 11 milioni di dollari e che grazie al mio acquisto ne ha già incassati oltre cento».

Segue un ultimatum in piena regola: «Se dovessi restare mi impegnerei al massimo per rivincere lo scudetto. Sopporterei ancora per un'altra stagione ciò che ho già sopportato, e sempre in silenzio. Ma sia chiaro: me ne voglio andare. A Napoli ho fatto il mio tempo, con la società si è incrinato il rapporto e la mia famiglia, oggi più numerosa, mi impone un'attenzione ancora maggiore. Ma imporrò le mie ribellioni al Napoli: si sono messi a ballare con me e adesso balleranno». Inizia da subito, imponendo un calendario per il rientro agli ordini di Bigon, l’uomo che ha sostituito Ottavio Bianchi: non tornerà in Italia prima del 18 agosto, tra ferie in Polinesia e una vacanza-allenamento nella clinica del professor Chenot, a Merano, oltre a chiedere un ulteriore permesso per le nozze con Claudia Villafañe, fissate per metà novembre a Buenos Aires. Ferlaino, spalle al muro, inizia a valutare alternative: prova a sondare il brasiliano Müller per una coppia tutta verdeoro con Careca e valuta la proposta di Bernd Schuster, in rotta con il Real Madrid.

Passano pochi giorni e Maradona opta per la marcia indietro, tornando a blandire Ferlaino: «Gli chiedo per favore di cedermi. Non voglio andare via per soldi ma esclusivamente per motivi familiari. Napoli mi ha dato tutto, adesso vorrei che mi accontentasse ancora una volta. Cedendomi Ferlaino ha la possibilità di costruire una grande squadra attorno a Careca. Non vorrei parlare troppo del mio trasferimento perché non so come la gente sta prendendo questa storia. Tuttavia, faccio un appello: a me si può fare di tutto, ma la mia famiglia deve essere lasciata in pace». Non ha ancora la forza per dirlo, ma dietro questo comportamento apparentemente bipolare si celano diverse minacce ricevute in quelle ore. Lo farà soltanto a distanza di un mese, nell’ennesimo tentativo di vincere il braccio di ferro con Ferlaino.

La soap opera prosegue, è di gran lunga la più seguita dell’estate 1989, non c’è Dallas che tenga. A SWG viene addirittura commissionato un sondaggio per tastare il polso dei napoletani, con l’obiettivo di capire quali siano le fasce di tifosi che non intendono rivedere l’argentino in azzurro. Agosto si apre con l’annuncio di Luciano Moggi, general manager del Napoli: Maradona tornerà in gruppo il 16 agosto, addio Marsiglia, addio miliardi. Nessun contatto con Maradona ma soltanto con Coppola, il suo manager, e una data prevista per il rientro: niente cura dimagrante da Chenot, almeno non ad agosto. Diego dà spettacolo in vacanza, scia sulle piste di Las Lenas seguito dal maestro Roberto Thonstrup, i giornali italiani mandano inviati al seguito delle ferie del Dies, neanche fosse un evento sportivo.

Si arriva al fatidico 16 agosto. A Capodichino, di Diego, non c’è traccia. Il Napoli è nel panico, valuta l’ipotesi del deferimento: può arrivare a ottenere una multa di 800 milioni di lire sfruttando le pieghe dei regolamenti. In piena prima Repubblica, le crisi di Governo non si organizzano a Ferragosto ma i politici si spaccano sul comportamento da tenere nei confronti di Maradona: Marco Pannella è dalla parte dell’argentino, la pensa diversamente il Ministro del bilancio e della programmazione economica, Paolo Cirino Pomicino, napoletano di ferro, per tutti ‘O Ministro. «Diego sta facendo di tutto per perdere quell’immensa popolarità che aveva trovato a Napoli, fossi in Ferlaino mi atterrei a una regola ferrea: primo, non drammatizzare. Secondo, non sottovalutare».

Anche l’opinione calcistica è divisa in due: da una parte i maradoniani Liedholm - «Il problema non esiste. Diego è diverso dagli altri e per questo si comporta differentemente, in questi giorni sta ricercando la gioia di giocare» - e Franco Scoglio - «Diego è l’unico per cui pagherei il doppio del biglietto» - e dall’altra il rigore di Tarcisio Burgnich - «Io non capisco i suoi compagni che mandano giù tutto. Avessi un compagno così, lo attaccherei al muro» - e Gigi Radice: «Siamo al culto della personalità. Dicono che i popoli hanno bisogno di eroi, io non ci credo, c’è bisogno di umiltà e lavoro».

Maradona è un’icona pop, ne parlano tutti. De Crescenzo: «Ferlaino ha sbagliato a non venderlo, a Maradona non importa assolutamente niente del Napoli, pensa solo ai Mondiali». Bennato: «Sono convinto che ci sia qualcuno che lo manovra. Forse il Marsiglia, oppure chissà, gli americani». Carosone: «Maradona non è serio, un cantante che si è fatto pagare una tournée anticipata e non rispetta le date fissate». Boniperti: «Se fuori dal campo fa certe cose è perché ha un contratto che glielo permette». L’unico che non parla, almeno per il momento, è Maradona. I giornalisti devono lavorare tenendo d’occhio le prenotazioni sui voli da Buenos Aires a Roma, anche Coppola fa melina. Napoli è una pentola a pressione che fatica a non esplodere, Moggi e Ferlaino rientrano dalle vacanze per capire cosa fare e si trincerano dietro i no comment di rito.

L’Ingegnere sa che Maradona è una controparte difficile con cui trattare nel momento in cui decide di andar via, è anche grazie alle sue bizze che riuscì a portare a termine la trattativa con il Barcellona. Gli inviati dei giornali italiani ripartono, stavolta direzione Esquina, 600 chilometri da Buenos Aires, per andare a vedere “el Pibe” pescare sulle rive del Paranà. Rompe ancora una volta il silenzio in maniera deflagrante: è il 22 agosto.

«Temo per la mia sicurezza»

Il Buenos Aires-Roma di quel giorno avrebbe una prenotazione di famiglia a nome Maradona, rigorosamente in top class, ma Coppola disdice tutto all’ultimo minuto. Diego è ancora alla ricerca dei Dorados, giganteschi pesci di fiume che popolano quel tratto di Paranà. Intorno alle dieci di sera arriva il comunicato di fuoco. «Tempo fa la mia famiglia è stata oggetto di molestie, attraverso minacce telefoniche, inseguimenti stradali, fischi ed aggressioni, com'è accaduto nella partita del Napoli con il Pisa. Degli sconosciuti sono entrati in casa di mia sorella, hanno messo tutto sottosopra ma non hanno rubato nulla. Qualche giorno dopo sono andati in frantumi i vetri di casa mia. Li ho sostituiti e li hanno rotti di nuovo. Poi è stato il turno della mia macchina, che è stata danneggiata mentre era in garage».

Fin qui, una denuncia grave. Ma Maradona ci mette sopra il carico: « Tutto ciò mi fa ritenere che esiste realmente un complotto ordito contro di me e che ha come obiettivo mia moglie, le mie figlie, ed i miei genitori. Tutte queste persone sono esposte ad un reale pericolo. Ho segnalato più volte la mia intenzione di mantenere gli impegni contrattuali col Napoli, ma gli episodi cui ho accennato dimostrano che ci esporremmo tutti a dei pericoli». Ancora una volta il tasto della famiglia, quindi, stavolta messa in serio pericolo. La Questura in serata nega il coinvolgimento della camorra in questa vicenda, Coppola accusa i dirigenti del Napoli di aver sempre saputo dove fosse Diego, alimentando inutilmente le voci sul rientro.

Maradona finisce nel mirino della critica sportiva, un corsivo di Emanuela Audisio di Repubblica è forse il manifesto del momento: «L'uomo con i suoi slanci e le sue bugie sembra essere come molti di noi: incurabilmente mediocre. Soprattutto sugli argomenti più scottanti. Silenzio sulle Malvinas e sui ragazzi morti. Silenzio sul tema dei desaparecidos, in tempi in cui ogni parola voleva dire schierarsi. Felicitazione e applausi alla liberazione dalla dittatura. Grande solidarietà ad Alfonsin contro ogni tentativo golpista. [...] Con i suoi comportamenti più o meno irresponsabili Maradona ha inconsciamente scorporato il calcio dallo sport e lo ha inserito in un'ottica di puro divismo e spettacolo». I compagni di squadra sono tutti con Maradona, chiedono a Moggi di volare in Argentina. Il campionato inizia senza una delle sue stelle più splendenti, il primo Napoli di Bigon è tutto italiano vista anche l’assenza di Alemao e Careca e arrivano due vittorie di misura, 0-1 ad Ascoli con gol di Crippa, 1-0 al San Paolo contro l’Udinese, firma di Renica, e un pareggio a Cesena.

Anche il Marsiglia ha iniziato senza Diego, e prova a rifarsi sotto in ottica mercato di riparazione: 15 miliardi offerti al Napoli, per Ferlaino è l’ennesima presa in giro di Tapie. Il buon Bernard esce allo scoperto, prova l’ultima forzatura di un’estate interminabile: «Chiuderà qui la sua carriera europea, me l’ha detto lui». Gli fa eco Basilevitch: «Giocherà nell’OM già quest’anno, arriverà a settembre senza nemmeno passare da Napoli». Si pensa a una parziale contropartita, con Francescoli a Napoli oltre al conguaglio in denaro. Ma quello del Marsiglia è un bluff malaccorto, Tapie sta cercando di portare a casa il piatto senza avere nulla in mano. Maradona si ripresenta a Napoli sessantotto giorni dopo l’ultima volta. È il 5 settembre ed è un arrivo che fa discutere, perché il calcio italiano è ancora sotto shock per la prematura scomparsa di Gaetano Scirea e Diego si abbatte sul campionato come un uragano.

Giampiero Galeazzi intercetta Diego all’arrivo: «Il Napoli come società non ha mai difeso il patrimonio Maradona». Più confidenziale il dialogo con Salvatore Biazzo, Maradona scherza, afferma anche di aver dimenticato l’italiano. «La gente ha capito Maradona più dei giornali»

Il ritorno, l’ombra della camorra

Diego non è uno sprovveduto, sa che il suo rientro a Napoli ora prevede un passo obbligato: l’attacco nei confronti della società, cercando però di riconquistare il pubblico. «Io sono venuto qui a chiarire prima con Ferlaino e poi con la gente, sembra che la città mi abbia capito. Alla città hanno messo in testa quello che hanno voluto mettere. Giocare a calcio in questo momento sarebbe una mancanza di rispetto nei miei confronti e verso la mia famiglia, prima di tutto devo chiarire tutto quello che è successo per Dalma e per Giannina. La società non ha difeso Maradona. È più difficile che io torni in campo in questo momento, questa è la realtà, ma devo parlare con il presidente».

Salvatore Biazzo fa la fatidica domanda sul Marsiglia, anche se sono ore in cui la soluzione più probabile, nell’immediato, sembra la rescissione del contratto con il Napoli: «Quando dico che voglio smettere di giocare a calcio vale qui, a Marsiglia, in Giappone, in Cina, in tutto il mondo. La gente deve metterselo in testa, lo capiscano tutti quelli che hanno parlato in questi 15 giorni in cui non sono arrivato qui. Ho una squadra di avvocati per vederli tutti in tribunale, tutti quelli che hanno parlato di Maradona quando hanno fatto delle interviste a dei presunti miei amici di Napoli. Io non ho così tanti amici a Napoli. Ferlaino doveva difendermi da quello che veniva scritto sui giornali, è lui che mi paga, per questo devo parlare con lui». Passano poche ore, pochissime, e la stampa napoletana risponde a Maradona in maniera eclatante.

Il Mattino del 6 settembre pubblica 71 fotografie, molte delle quali ritraggono Diego in compagnia di Carmine Giuliano, uomo di spicco di uno dei clan che dominano la città da Forcella, del fratello di Carmine, Raffaele, e di altri pregiudicati. Maradona era perfettamente a conoscenza di queste foto, ne aveva addirittura parlato con i pm Lucio Di Pietro e Linda Gabriele in un interrogatorio del dicembre 1986, perché quelle foto, sbattute in prima pagina a poche ore dal ritorno di Diego in Italia, hanno più di 3 anni.

Stavolta è Maradona a essere spalle al muro. Chiede e ottiene il fatidico colloquio con Ferlaino, bastano 40 minuti per riportare una pace apparente. L’argentino pretende dalla società un comunicato per spiegare la questione delle fotografie, ha già parlato con i compagni di squadra scusandosi per il comportamento. Tra quei compagni c’è anche il suo erede designato, Gianfranco Zola, scovato da Luciano Moggi e scoppiettante nel precampionato, anche se nelle gare senza Diego in campo è stato Massimo Mauro a indossare la numero 10. Maradona raggiunge la squadra in ritiro a Vicenza prima di Verona-Napoli (1-2, prima partita con Alemao e Careca a disposizione) e si accomoda in panchina il 17 settembre, per Napoli-Fiorentina.

Entra in campo prima che inizi il match, con gli scarpini al collo, la barba sagomata, l’andatura meno convinta del solito. Ma lo sa già, che Napoli è pronta a traboccare nuovamente d’amore per lui. Saluta, ringrazia, si siede in panchina, si prende tutta quell’ondata di affetto di cui ha tremendamente bisogno, perché l’amore è il motore di tutto. È da lì, con una inconsueta numero 16 sulle spalle, che assiste allo show del 10 avversario. Roberto Baggio è il padrone assoluto della nuova Fiorentina e segna una delle reti più belle della storia del campionato italiano, trattando la difesa del Napoli come se fosse una schiera di bambini alle prese con i primi calci. Li salta tutti, uno dopo l’altro, con il passo e l’anima leggera del predestinato. È impressionante vedere la sicurezza con cui evita l’intervento di Renica e la scivolata disperata di Corradini, o la lucidità con cui scarta Giuliani prima di depositare nella porta sguarnita. Baggio danza lieve mentre Bigon, all’intervallo, sotto di due gol, mette in campo un Maradona forse mai così pesante, non nel fisico, ma nella testa. E Diego sbaglia il rigore del possibile 1-2, ma basta la sua presenza per rinforzare l’anima dei compagni, che portano a termine una rimonta clamorosa e mettono il primo mattone verso lo scudetto.

I problemi tra Maradona, Ferlaino e Moggi sono ben lontani dalla risoluzione, e Napoli se ne accorgerà di colpo a cavallo tra ottobre e novembre. Gli azzurri, dopo lo 0-0 in casa del Wettingen, rischiano la clamorosa eliminazione nel match di ritorno al San Paolo, con gli ospiti avanti all’intervallo, prima delle reti di Baroni e Mauro. Diego non c’è, ed è un’esclusione che lo porta a un nuovo faccia a faccia, durissimo, contro Ferlaino, che nel frattempo ha portato avanti la causa nei suoi confronti al Collegio di disciplina, scendendo comunque dalla cifra iniziale di 800 milioni di lire fino ad arrivare soltanto a 10.

Il 2 novembre c’è mezza stampa italiana ad attenderlo a Soccavo. Arriva poco dopo le 11, alla guida di una Ferrari nera, con lo stereo al massimo volume. Dalle casse esce la voce di Julio Iglesias che canta Non dimenticar che t’ho voluto tanto bene, e con Maradona non si capisce mai se sia il caso ad allinearsi ai suoi momenti dell’anima o se sia, molto più semplicemente, un astuto manipolatore. I giornalisti lo osservano mentre si allena con i compagni, torna nello spogliatoio, si riveste e se ne va. Le domande si sprecano ma Diego va via in dribbling, fischiettando, lasciando lì soltanto una frase all’affamato stuolo di penne e microfoni.

È l’ultimo atto di un’estate strana, in cui forse sono successe più cose di quelle che sappiamo e in cui il giocatore più forte di sempre è stato vicino a lasciare Napoli, cambiando per sempre la storia del secondo scudetto della società azzurra. Da quel momento, infatti, il numero 10 argentino è il trascinatore del Napoli (16 gol, miglior stagione realizzativa in Serie A), portandolo ancora una volta sul tetto d’Italia al termine di un campionato rocambolesco. In estate arriverà anche vicinissimo al titolo Mondiale, prendendo per mano un’Argentina sgangherata e segnando lo strappo definitivo con il pubblico italiano nella notte romana della finale, con i fischi all’inno nazionale e Diego che risponde a modo suo, lasciando tracimare la sua rabbia e il suo sdegno.

Maradona rimane un altro anno a Napoli, fino alla squalifica per doping di Bari, prima di trasferirsi al Siviglia. Non al Marsiglia quindi, che vedrà il suo presidente Bernard Tapie, prima campione di Francia per quattro stagioni di fila (cinque, senza la revoca del 1992-1993), poi proprietario dell’Adidas, e Ministro delle città agli ordini di François Mitterrand. Quindi campione d’Europa e campione di corruzione con lo scandalo OM-VA che trascinerà il Marsiglia dal titolo alla seconda divisione. E dopo ancora leader di Energie Radicale con cui avrebbe preso il 12% alle Europee del ’94, e poi attore, cinematografico e teatrale, sempre con quell’aria di chi sa come si sta al mondo, lo charme impossibile da contrastare, la capacità di bucare lo schermo anche soltanto facendo un nodo alla cravatta. E farà tutto senza Maradona, che arriverà a Marsiglia in altre vesti soltanto nel 2009, da commissario tecnico dell’Argentina per una sfida con la Francia di Domenech. E L’Equipe Magazine, in una splendida copertina, gli metterà addosso la maglia dell’OM, titolando “Enfin Marseillais”, quasi a voler scherzare sulla prima pagina di venti anni prima, che era stato l’atto di apertura di un’allucinazione collettiva durata più di tre mesi. Forse, a posteriori, il più grande punto di svolta della vita fuori dalle convenzioni di Diego Armando Maradona.

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