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Diario tragico dei tre mesi di Giampaolo al Milan
10 ott 2019
Il declino di Giampaolo attraverso le sue facce.
(articolo)
14 min
(copertina)
Foto di Valerio Pennicino / Getty Images
(copertina) Foto di Valerio Pennicino / Getty Images
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Da martedì mattina Marco Giampaolo non è più l’allenatore del Milan. Esonerato in fretta e furia nonostante la vittoria contro il Genoa, per mettere la parola ‘fine’ a un’esperienza disastrosa, sia in campo che fuori.

Nell’ennesimo nuovo Milan, Giampaolo era stato chiamato per riprendere quel percorso abbandonato ormai da troppo tempo e che i tifosi del rossoneri sentono proprio: estetica e risultati. «La mission, la visione deve essere quella di giocare un calcio appetibile e affascinante e poi, attraverso quel calcio, arrivare a vincere le partite», sono state queste le prime parole da allenatore del Milan di Giampaolo a Milan TV, ancora prima di arrivare effettivamente a Milano, mentre si godeva gli ultimi giorni di ferie a Giulianova, casa sua, sul litorale abruzzese. Camicia bianca, cielo azzurro alle spalle e il riverbero del sole che gli impediva di parlare con gli occhi aperti.

«Sono felice e motivato» diceva alla telecamera, ma Giampaolo ha una faccia triste e sfortunata che sovrasta quelle che allora suonano come parole di circostanza. Giampaolo ha l’aria disillusa di chi non può sostenere la retorica aziendale. Per questo non è mai stato credibile nel ruolo di messia, perché gli eroi - lo sappiamo - sono tutti giovani e belli, ma soprattutto risoluti, gravi, tumultuosi. Giampaolo invece è il tipo di persona che scompare, roso dal dubbio, che si fa fotografare mentre legge Sepulveda, che cerca di appigliarsi a concetti vaghi di dignità e valori con frasi meste e occhi spenti. Una persona a cui voler bene, ma solo usando una buona dose d’empatia.

Non è mai giusto giudicare un libro dalla copertina, un monaco dall'abito, un allenatore dalla faccia, eppure la faccia di Giampaolo è diventata, forse lo è sempre stata, l’espressione di questa inadeguatezza. Nel tempo ha fornito tantissimo materiale al mondo dei meme, che oggi racconta meglio la realtà di tante altre forme di comunicazione. Giampaolo è una brava persona che ha passato tre mesi sfortunati, come accade a tutti a un certo punto della propria vita. Ma a lui è successo sotto i riflettori, ripreso e annotato tutti i giorni, e questo è quello che è venuto fuori, un diario tragico di un uomo per bene.

«Testa alta e giocare a calcio»

Foto LaPresse / Spada.

Tre mesi, perché Giampaolo viene presentato ufficialmente alla stampa l’8 luglio, anche se il suo ingaggio viene comunicato già il 19 giugno. In conferenza, il mister non trattiene l’eccitazione, «sono motivatissimo per questa grande opportunità», dice di aver ricevuto la chiamata di Maldini mentre stava salpando per la Croazia, viaggio a cui rinuncia per finire in una calda mattina estiva tra Paolo Maldini e Zvonimir Boban a dire al mondo che il suo motto sarà «Testa alta e giocare a calcio», in contrapposizione alle parole del giorno prima di Antonio Conte, che aveva parlato di testa bassa e pedalare.

E insomma - a essere lungimiranti - si poteva già leggere in questa dichiarazione il disastro annunciato, o anche meglio nella successiva frase «È stato un percorso di up and down, di cadute e risalite», e se la Sampdoria era stata la salita, anche se di questo possiamo dubitare, cosa poteva essere il Milan? Tuttavia è proprio la faccia di Giampaolo che più di tutti lo frega, ti fa percepire il disagio, il motivo per cui gli Antonio Conte allenano le grandi squadre con profitto, mentre quelli come lui possono sperare di fare la squadra di provincia dei miracoli una volta nella vita, se gli va bene.

Giampaolo, sempre stretto tra Boban e Maldini come Cristo tra i ladroni (ma al contrario verrebbe da dire), la barba perfettamente rasata, il capello appena tagliato, fresco, la camicia sbottonata, senza cravatta per “differenziarsi” (parole di Boban, da chi poi, chi lo sa) sembra un uomo che sta affrontando un colloquio per un posto di lavoro più grande di lui, che neanche vuole. Le rughe strette intorno agli occhi, il sorriso che è una smorfia: è in questo momento che Giampaolo capisce il guaio in cui si è cacciato?

«Sono innamorato, mi fa impazzire»

I sottotitoli automatici di YouTube, ancora da migliorare.

Il Milan pareggia la prima amichevole con il Novara, poi perde tre partite di seguito durante la International Champions Cup contro Bayern Monaco, Benfica e Manchester United ai rigori. Sono ovviamente sconfitte indolore, con rose sparpagliate e avversari di livello, che anzi mettono in mostra un Milan coraggioso e che sembra aver già assimilato alcuni dei principi del nuovo allenatore e del suo 4-3-1-2.

Mentre il mercato è in divenire, tutta l’attenzione è rivolta verso Suso, il giocatore più determinante della squadra teoricamente tagliato fuori dal gioco di Giampaolo, essendo l’ala forse più ala di tutte in un sistema che non ne prevede. Il tecnico lo impiega subito come trequartista, mentre Roma e altre squadre lo cercano e la sua partenza sembra ogni giorno più vicina.

«Suso è ok da trequartista» è la prima tiepida forma di accettazione da parte di Giampaolo, dopo la prima amichevole col Novara. Contro il Benfica lo spagnolo mostra lampi di possibilità che bastano a convincere Giampaolo, che dopo la gara con il Manchester United, in cui Suso fa gol e assist, lo blinda, fa di lui il prescelto: «È un fuoriclasse, è un giocatore forte e noi i giocatori forti dobbiamo tenerli. L'ho detto anche alla società e a lui. Non è un problema». Non si limita a toglierlo dal mercato, lo santifica, lo osanna, affida alle sue spalle strette una dichiarazione d’amore: «Sono innamorato, mi fa impazzire ed è uno che può determinare».

In questo momento il Milan ha vinto zero partite, ma è il picco dell’esperienza di Giampaolo, forse della vita di Giampaolo. La squadra ha mostrato spirito, dice lui, «fede». Se tutto sta andando bene, avrà pensato, anche Suso trequartista andrà bene. E allora proprio mentre comunica a tutti il suo amore per il trequartista più atipico del mondo, Giampaolo sorride, come sorridono gli innamorati.

«Il 4-3-1-2 non è adatto ai nostri attaccanti»

Foto di Alessandro Sabattini / Getty Images.

Arriva la prima giornata di campionato, e il Milan è una sciagura. Giampaolo schiera un numero impressionante di giocatori fuori ruolo, tra cui Borini mezzala, Castillejo seconda punta e Suso trequartista, per produrre zero tiri. Una prestazione offensivamente sterile viene punita da un colpo di testa di Rodrigo Becao, con l’Udinese che vince per 1-0.

Giampaolo sembra già un’altra persona rispetto alla versione innamorata di Suso: la barba di un paio di giorni tagliata in maniera frettolosa, i capelli spettinati e più grigi; il viso ha perso tutta l’abbronzatura ed è tornato pallido, quasi terreo. Gli occhi tornano ad essere spenti, lo sguardo vacuo. Davanti ai microfoni succede l’imponderabile: il tecnico ortodosso abiura: «Suso è un giocatore straordinario tecnicamente, può giocare anche lì, ma forse ci metteremo in modo diverso, anche per Piatek. 4-3-3? Bisogna lavorarci, ma può essere dalla prossima».

«Non sono un tecnico asimmetrico, resto un talebano»

La vittoria con il Brescia, ottenuta di misura schierando l’improbabile trio d’attacco Castillejo, Andrè Silva, Suso, non elimina i dubbi dell’opinione pubblica. Giampaolo veste la maschera da filosofo davanti ai microfoni: Piatek se non gioca «non finisce il mondo», il trequartista è «un finto attaccante». A lui - dice -«non piace improvvisare». Il Milan cambia modulo, ma rimane uguale «sono un allenatore simmetrico e non assimetrico. Ho cambiato la posizione di un giocatore rispetto a prima. L’ho portato di qua e l’altro l’ho portato in mezzo. Non ho cambiato modulo, ho lavorato sugli stessi principi. Ma sono sempre un talebano».

Una dichiarazione che evidenzia i primi accenni di confusione, con l’allenatore che usa parole dolci per quasi tutti i suoi giocatori, tranne che per Paquetà, che però è il talento con più prospettive della rosa. Per il tecnico deve essere «meno brasiliano», «più concreto e meno giocherellone». Poco dopo il giocatore risponderà piccato con una storia su Instagram, in cui a una foto di un dribbling eseguito appone la didascalia “Orgoglioso di essere brasiliano”. Una subordinazione che gli costerà l’iniziale panchina nella sfida contro il Verona, dopo un confronto con lo stesso Giampaolo.

«Mi pare un po’ esagerata la sua analisi»

Il Milan centra la seconda vittoria consecutiva in Serie A contro un Verona gagliardo e propositivo, che gioca quasi tutta la partita in 10. Oltre ai tre punti, però, non sembra esserci nulla. Quella di Giampaolo è una squadra lenta e prevedibile, le scelte tattiche sono confuse e i giocatori mancano di riferimenti.

Dopo la partita un giornalista sottolinea come la prova del Milan nel primo tempo sia stata “imbarazzante”, Giampaolo a quel punto si pulisce il volto con un fazzoletto, guarda un attimo verso destra e poi sibila, lui sì davvero imbarazzato, «mi pare un po’ esagerata la sua analisi».

Nonostante i punti che in questo momento sono 6 in tre partite, Giampaolo è costretto a giustificarsi: «non ci sono squadre perfette al 10 di settembre, tantomeno il Milan», dimenticandosi che di settembre è il giorno 15.

«Noi lavoriamo per fare meglio dello Slavia»

Foto LaPresse / Spada.

A quel punto arriva il Derby. L’Inter appare un ostacolo insormontabile, una squadra che se è sempre stata leggermente più avanti del Milan negli ultimi anni, in quel momento sembra di un’altra categoria. Lo spirito con cui i tifosi si avvicinano alla sfida più sentita è drammatico, da patibolo. Giampaolo è costretto però a predicare fiducia: se da una parte ammette il ritardo «Servirà da parte nostra un atteggiamento collettivo di alto livello», dall’altra prova a mostrarsi sfrontato «Noi lavoriamo per fare meglio dello Slavia» (qualche giorno prima l’Inter ha sofferto molto l’intensità della squadra ceca, finendo per pareggiare), «D’incanto arriva la partita nella quale applichi bene tutto quello per cui hai lavorato da settimane».

Eppure la sua espressione non asseconda le parole, lo sguardo è perso nel vuoto, l’occhio è vacuo, acquoso. Il Milan finirà per perdere 2-0. Non giocherà la sua peggior partita, ma darà comunque mai l’impressione di essere lì dove tifosi e dirigenza lo vorrebbero.

«Sembrava la prima volta che giocavamo insieme»

Foto di Emilio Andreoli / Getty Images.

Contro Torino e Fiorentina arrivano altre due sconfitte. E se contro i granata «è stata la miglior partita giocata fin qui dal Milan» e la rimonta con i due gol di Belotti un leggero danno collaterale verso la definitiva assimilazione dei concetti di Giampaolo, la sconfitta contro la Fiorentina, in casa, è senza appello.

Distrutto da Montella, affettato da Ribery, Chiesa e Castrovilli, Giampaolo è ormai in preda al suo destino, abbandonato anche dai tifosi che fischiano la squadra e la curva che esce dallo stadio prima della fine. Le sue foto in panchina trasmettono un grande senso di pietà. Per farsi la barba deve essersi irritato tutto il collo, che è arrossato (qualcuno ha provato a strozzarlo?),ai fotografi rivolge una smorfia inquietante.

Dopo la partita va in televisione e, come se fosse normale, dice «Sembrava la prima volta che giocavamo insieme», poi in conferenza stampa corregge il tiro e dice «no, ho detto che la squadra ha giocato una partita come se non fosse mai stata allenata», buttandosi la croce addosso. A parole prova a dimostrare che ha ancora il controllo della situazione, che il problema - forse - è stato voler fare troppo bene: «Se non riuscirò a esprimere lo stile Milan in quanto a bellezza allora mi affiderò a più quantità».

Anche il modo in cui la società lo conferma è confuso: «L’allenatore lo difenderemo sempre. Speravamo di fare meglio, questo è certo».

«Non bisogna ragionare con l'io, ma con il noi»

La partita contro il Genoa diventa necessariamente decisiva per Giampaolo, con i possibili sostituti già fuori alla porta di Milanello. Addirittura il figlio di Boban lo accusa di essere lui “il problema del Milan” in una storia su Instagram. Giampaolo come al solito non può fare molto, lavora e affida la sua visione alla conferenza stampa pre partita: «Non è semplice dover vincere per forza una partita», il modo giusto per farlo è che «Non bisogna ragionare con l'io, ma con il noi».

Giampaolo si appella quindi al senso della comunità per salvare il suo posto di lavoro, scartabella i suoi appunti per trovare giustificazioni statistiche: «Posso portare dei dati statistici. Nel possesso palla in questo campionato siamo secondi solo al Napoli. Nella supremazia territoriale siamo primi». Ha ragione ma dimentica un’altra statistica, e cioè che in quel momento il Milan è ultima come numero di tiri in porta a partita.

Si congeda con un monito «Continuerò a fare le cose che ho sempre fatto nel bene e nel male e che mi hanno comunque portato ad allenare il Milan» e appena fuori Milanello incontra gli inviati de Le Iene a cui lascia una previsione: «lavoriamo per mangiare il panettone». Sono tre minuti un po’ tristi, in cui Giampaolo è costretto a mostrarsi positivo, sta al gioco, ride e scherza, ma come se fosse costretto.

«Chi fa la cacca sulla neve prima o poi si scopre»

Foto di Paolo Rattini / Getty Images.

Arrivato a Marassi insieme all’autunno, Giampaolo ha completamente smarrito il look da stella nascente del centro-sinistra. Ora sembra un anziano che ha vestiti di merceria di 40 anni fa: sopra la camicia un golf grigio che gli mette in evidenza l’accenno di pancia e dal cui collo a V sembra spuntare una penna; la barba è tornata a crescere ispida e grigia (ton sur ton con il maglione). Addirittura i denti sono diversi, più gialli, trascurati.

Per la prima volta ci appare veramente per quello che è e non per la sua versione allenatore del Milan. La squadra riesce anche a vincere, è una partita abbastanza assurda con 4 espulsi (2 in campo e due fuori), con Reina che para un rigore all’ultimo minuto, ma il dopo gara per Giampaolo è abbastanza esplicativo del suo stato emotivo. Ai microfoni gli chiedono se era soddisfatto della gestione della partita nel momento in cui era in vantaggio di un gol e di un uomo. Lui tentenna per qualche secondo e poi con gli occhi sgranati azzarda un «erano in vantaggio loro di un uomo». A quel punto cala il gelo, Giampaolo si porta la mano all’auricolare come se questo potesse rompere il silenzio, che a questo punto è lunghissimo. Il giornalista che tiene il microfono prende coraggio e gli fa notare come si stessero riferendo al momento dell’espulsione di Biraschi. Giampaolo non può che annuire e continuare come se niente fosse.

Ma il momento che rimarrà immortalato per sempre - e che finiranno per essere le ultime frasi di Giampaolo da allenatore del Milan - è un altro. Ai microfoni amici di Milan TV, l’allenatore, forse immaginando di aver guadagnato due settimane di tempo, si sbottona: «Perché sono lucido, razionale, perché cerco di stabilire un rapporto cerebrale con i miei calciatori. Urlo poco, ma cerco di entrare nella testa di ognuno e quindi gestisco le emozioni in questo modo. E poi, se vinci vengono veicolate in una maniera, se perdi in un'altra. Bisogna essere sempre sé stessi: chi fa la cacca sulla neve, prima o poi si scopre»

Un finale amaro, giampaolesco verrebbe da dire, se solo Giampaolo avesse fatto abbastanza da diventare aggettivo. Fa tenerezza perché la sua sensibilità non si è adattata alle pressioni, che lo hanno massacrato. La sua storia quindi somiglia ad altri allenatori molto preparati che in questi anni a un certo punto sono sembrati divorati dal ciclo spietato del calcio contemporaneo, come Gary Neville al Valencia o Julen Lopetegui al Real Madrid.

Nei suoi tre mesi al Milan, Giampaolo ha commesso tanti errori, forse tutti quelli possibili. Una gestione tattica confusa, rimbalzando tra la dogmatica dei suoi principi e la ricerca della zona di comfort per i suoi giocatori; un’arrendevolezza preoccupante nella gestione di Suso e Piatek e una severità forse ingiusta verso Paquetà e Leao, che in questo momento sembrano il futuro del Milan. Ha commesso anche tanti errori a livello di comunicazione, cercando di snaturare la sua figura da uomo quieto per sembrare più forte ma finendo per diventare solo inquieto.

Eppure, vale la pena dirlo, farne l’unico colpevole della situazione del Milan sarebbe ingiusto. Fin dal primo giorno è sembrato che il Milan non credesse davvero in lui. In sede di mercato, nel pensare le scelte, nell’appoggiare le decisioni. Giampaolo non ha mai alzato la voce, né quando il mercato non dava risposte ai suoi problemi, né quando Boban e Maldini sembravano andare uno a sinistra e l’altro a destra. Anche l’esonero dopo la vittoria è sintomo che la confusione regna su tutta Milanello.

Sarà difficile rivedere Giampaolo in una squadra di alto livello, dopotutto il suo fallimento è stato totale, ma bisogna mettere le cose in prospettiva. Qualche tempo fa Mourinho disse che «i poeti non vincono i titoli», un'affermazione cinica e sbagliata. Tuttavia, guardando Giampaolo, possiamo dire che è vero che ogni tanto i poeti scrivono qualche brutta poesia.

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