Sono nato a Bellinzona perché mio padre era muratore, mia madre operaia tessile. Poi sono tornati a casa, ci hanno fatto studiare e ci hanno insegnato che l'onestà e la serietà sono tutto. Un giorno mio fratello ha trovato un portafogli ben fornito accanto a un'auto, l'ha portato a casa e mio padre gli ha detto: bene, adesso lo portiamo ai carabinieri.
Marco Giampaolo, intervista a Repubblica del 14 novembre 2013
Ci sono alcune parole che si stanno lentamente svuotando di senso. Per esempio la parola “vergogna”, che in teoria dovrebbe essere un sentimento nobile, sussurrato, l'intima consapevolezza di doversi fermare e non guardare in nome del senso del pudore. Invece ormai viene sbraitata, abbaiata come un ordine impartito da un gerarca nazista che va ricevuto a capo chino, “vergognati!”, come se ci si dovesse vergognare di avere vergogna. Un mondo che non conosce più il significato delle parole molto velocemente smette di capire anche i gesti che nascono da quelle parole; chi li esegue viene frainteso, poi deriso, poi trattato come un pazzo o uno smidollato o entrambe le cose insieme. Fu esattamente quello che accadde a Marco Giampaolo nel settembre 2013, che stabilì il suo comportamento dopo aver sentito fortissimo, dentro di sé, un sentimento di vergogna. Di vergogna, e di dignità.
La parola “dignità” già compariva nel messaggio del dicembre 2007 con cui Giampaolo aveva rifiutato di tornare al servizio del mangiafuoco Cellino (che oggi, curiosamente ma forse no, è il proprietario del Brescia): “Dignità e orgoglio non hanno prezzo”, aveva scritto al suo avvocato, in risposta al telegramma del Cagliari che, in quanto stipendiato dal club, lo richiamava in panchina dopo le dimissioni di Sonetti. Poi c'erano state due buone stagioni a Siena, la seduzione e l'abbandono da parte di una Juventus in piena ricostruzione, un mezzo campionato a Catania dov'era poi stato esonerato con l'accusa di essere noioso (ed era stato sostituito da Simeone), un'esperienza fallimentare a Cesena durata nove partite.
Nell'estate del 2013 Giampaolo, fermo da quasi due anni, viene scelto da Gino Corioni come allenatore di un Brescia giovane e di buone ambizioni: l'anziano presidente gli propone un biennale in cui il primo anno sarà di consolidamento e una seconda stagione in cui si punterà al ritorno in Serie A. La piazza non gradisce molto: Giampaolo non conosce molto la categoria, ha stile e portamento un po' “da sfigato” e soprattutto non è Alessandro Calori, il tecnico che l'anno prima aveva portato il Brescia fino alla semifinale playoff persa contro il Livorno.
Giampaolo sceglie come suo vice Fabio Gallo, che era stato suo capitano nella primissima esperienza a Treviso nel 2003/'04, da allenatore-ombra del prestanome Adriano Buffoni: ma è una mossa che porta le cose a peggiorare ulteriormente, perché agli occhi degli ultras bresciani Gallo è soprattutto il giocatore che nel 1995 lascia il Brescia appena retrocesso in B per passare all'Atalanta appena promossa in A, rimanendoci per sei stagioni. Dopo pochissimi giorni di ritiro la Digos consiglia caldamente a Gallo di partecipare a un incontro con gli ultras locali, che gli illustrano altrettanto caldamente i motivi per cui non può e non deve lavorare a Brescia. E lui se ne va immediatamente.
L'amichevole più prestigiosa del pre-campionato del Brescia lo oppone ai campioni d'Europa del Bayern Monaco che ha appena scoperto la rivoluzione di Pep Guardiola, peraltro regista mai dimenticato del Brescia di Mazzone. In porta nel Brescia Alessio Cragno, che regala al Bayern il primo gol.
Il campionato inizia lentamente, con tre pareggi nelle prime giornate e tre gol tutti segnati dall'immancabile "Airone" Caracciolo, sempre più idolo locale dopo che in estate ha respinto i tentativi di seduzione del Norwich, Premier League, che gli offriva un biennale da un milione a stagione. Giampaolo è inquieto, sente i dirigenti che vanno nei club dei tifosi a promettere la Serie A, forse dubita anche di se stesso e lancia messaggi ai naviganti: «Se l'obiettivo è migliorare il sesto posto dell'anno scorso, ritengo necessari i rinforzi che ho chiesto», dice dopo lo sfortunato pareggio di Bari, dove i suoi colpiscono tre pali e una traversa.
Sui giornali locali inizia a circolare una statistica antipatica quanto incredibile, scovata chissà da chi: il 14 settembre 2013 sono esattamente mille giorni che non vince una partita ufficiale, esattamente dal 19 dicembre 2010, quando il suo Catania aveva battuto 1-0 proprio il Brescia con un gol di Maxi Lopez. Nella conferenza stampa precedente alla trasferta di Terni, che per molti è già ultima spiaggia, Giampaolo chiede rispetto: «Certe provocazioni e certe insinuazioni vogliono solo destabilizzare l'allenatore. È oggettivo parlare di mille giorni senza vittorie, quando la maggior parte di quei giorni li ho trascorsi a spasso con mia moglie o al mare?». Non lo è, ma per fortuna il discorso viene definitivamente archiviato con la prima sospirata vittoria, un 2-1 in rimonta propiziato anche da una mezza papera del portiere umbro Brignoli. I tifosi del Brescia sono più interessati ad azzuffarsi con quelli della Ternana, per via di uno storico gemellaggio con l'Atalanta, e per Giampaolo la settimana scorre finalmente tranquilla: l'ideale per prepararsi a una settimana da tre partite contro Crotone, Carpi e Latina, per cui Giampaolo avrà finalmente a disposizione il capitano Zambelli, fermo per infortunio da quattro mesi.
Godetevi lo splendido gol al Lanciano con cui Caracciolo fa esplodere il Rigamonti dopo soli quattro minuti della prima di campionato.
21 settembre, sabato
Ma il sabato successivo, in casa contro il Crotone dei giovani terribili, arriva la prima sconfitta in campionato: il guizzante Bernardeschi punisce un'uscita difettosa di Cragno, Pettinari segna lo 0-2 in contropiede, il gol di Di Cesare serve a poco. È fine settembre, fa ancora molto caldo, il sudore e l'ansia da prestazione fanno boccheggiare Giampaolo, più volte inquadrato a bordo campo in maniche di camicia, le mani sui fianchi, i denti che tormentano il labbro inferiore. Non aveva voluto rispondere alla fatidica domanda su quanti punti si aspettasse dalle tre partite in arrivo, ma il primo zero della stagione innesca la contestazione che covava da tempo.
I cori su Calori sono la colonna sonora del secondo tempo e l'antipasto di quel che succede dopo. Otto tra i principali capi della Curva Nord chiedono e ottengono un confronto con Giampaolo e Zambelli in uno stanzino accanto alla zona mista. Chi li ha autorizzati? Il vicepresidente Saleri sembra chiamarsi fuori: «Non possiamo più essere ostaggio degli ultrà. Queste cose non devono più succedere, già un vice-allenatore è andato via perché non piaceva alla tifoseria... ora non mandiamo via anche Giampaolo». L'allenatore non si aspettava un post-partita del genere e rifiuta di parlare ai giornalisti. Corioni lo rassicura pubblicamente, anche se «preferisco concentrarmi sulle sciocchezze che ha commesso oggi. Quali? Io una mia idea ce l'ho. Abbiamo delle punte di valore, ma in settimana le ammazziamo in allenamento».
Ok, Giampaolo non è propriamente dotato di una scorza alla Mourinho: ma perché fargliene una colpa? Il doppio uppercut subito da tifosi e presidente lo porta a gettare la spugna: dopo averle anticipate al DS Stefano Iaconi e a Fabio Corioni, l'unico maschio dei cinque figli del presidente, telefona a papà Gino e gli comunica le proprie dimissioni. Preso alla sprovvista, Corioni temporeggia: «Ne parliamo domani». E buonanotte.
22 settembre, domenica
Il Brescia deve tornare in campo già tre giorni dopo al Cabassi di Carpi, ma all'allenamento della mattina al San Filippo Giampaolo non si presenta – a quanto pare all'insaputa del suo stesso staff, così che a dirigere l'allenamento c'è il suo vice Fabio Micarelli. Informato dell'accaduto, Corioni alza il telefono, ma dall'altra parte c'è la voce metallica dell'operatore. È probabilmente Corioni stesso a informare puntualmente la stampa locale, che verso l'allenatore tiene toni tra lo sconcertato e il derisorio: questo insolente di Giampaolo come osa mancare di rispetto? Nei vent'anni di gestione Corioni, mai c'era stato un allenatore più apprezzato e tutelato! E infatti, con aria vagamente sciacallesca, iniziano a rincorrersi i primi nomi del possibile sostituto: Devis Mangia, Tesser, Gautieri, Iachini o addirittura Zeman, che pure a Brescia aveva combinato disastri nella parte finale della stagione 2005/'06 - ma non Calori, sul quale Corioni non ha mai speso parole particolarmente lusinghiere. Il sole tramonta e Giampaolo fa ancora rispondere la segreteria, e ormai sono passate ventiquattr'ore dall'ultima volta – come si dice nella cronaca nera – che qualcuno l'abbia visto di persona.
23 settembre, lunedì
A 24 ore dalla sesta giornata di campionato di Marco Giampaolo, ahinoi, nessun'altra notizia. I cronisti che si presentano sempre più numerosi al campo d'allenamento vengono accolti da Corioni in persona: «Eccomi, sono il nuovo allenatore!». Ma il temperamento del patron lo porta a drammatizzare un minuto dopo: «In quarant'anni di calcio è la prima volta che mi succede una cosa del genere! Ci ha lasciato senza dire nulla che giustificasse una scelta così pesante. Non so cosa gli sia successo», dando in pasto ai giornalisti l'avvincente parabola umana di un allenatore in fuga dalle responsabilità e dal suo stesso calcio, la suggestione alla Into The Wild di quest'uomo di 46 anni che invece di scappare verso l'Alaska dirige il suo furgoncino verso le montagne dell'Abruzzo.
Anche se a ben vedere, nella storia recente del Brescia non mancano altri casi di fughe estive: nel 1997, dopo la promozione in A, Edy Reja aveva piantato baracca e burattini per alcune incomprensioni di mercato, nel 1999 Silvio Baldini aveva salutato ad agosto prendendosela direttamente con la squadra («Pensavo di avere a che fare con uomini, ma erano solo calciatori»). Persino Carletto Mazzone se n'era andato ad agosto, nel 2001, in piena Baggio-mania, ferito dalle contestazioni dei soliti curvaroli dopo l'eliminazione dall'Intertoto per mano del PSG (che a leggerla oggi, una frase del genere...).
Le chiamate in entrata sul cellulare di Corioni, ad ogni modo, non fanno che aumentare: alla lista dei candidati alla successione si sono uniti Mario Somma e l'idolo locale Emanuele Filippini. Nel pomeriggio il Brescia decide che è ora di rilasciare un comunicato, e fa sapere che «la società Brescia Calcio, in considerazione dell’assenza temporanea agli allenamenti della Prima Squadra dell’allenatore Marco Giampaolo, affida momentaneamente al suo staff la conduzione tecnica, nella speranza che mister Giampaolo riprenda il più in fretta possibile l’attività effettiva. La società ribadisce la piena fiducia nel lavoro del mister e il totale gradimento che riscuote da parte dell’intera squadra, del Presidente e di tutto lo staff dirigenziale». Ma la risposta di Giampaolo è sempre la stessa: “TIM, informazione gratuita...”.
24 settembre, martedì
Di buon mattino arriva una bella notizia: il telefonino di Giampaolo ha ripreso a squillare, anche se ancora non risponde nessuno (qualche giorno dopo si saprà che, in realtà, aveva comunque risposto agli SMS di qualche giocatore, tra cui Zambelli). Si prova allora a contattare suo fratello Federico, ex calciatore di Serie A e B, e al momento allenatore della Primavera del Pescara: «Non riesco a parlargli, ma so che è ancora a Brescia e dovrebbe incontrare presto la società per discutere delle sue dimissioni. Marco è un tipo serio, anche troppo per com'è oggi il mondo del calcio». La pruderie ha ormai oltrepassato il livello di guardia e il caso Giampaolo ha fatto capolino anche sulle home page dei quotidiani generalisti, e non solo. A Roma persino la redazione di “Chi l'ha visto?” si sta interessando alla faccenda, subito stoppata dall'ufficio stampa del Brescia: «Ci hanno tranquillizzato e ci hanno detto che Giampaolo è sparito solo per loro» dichiara Federica Sciarelli all'Adnkronos. E difatti, dopo pranzo, il nome di Marco Giampaolo smette di essere cupamente accompagnato dalla famosa colonna sonora di Vangelis, quella che la Gialappa's utilizzava per scortare alla dogana i fenomeni parastatali.
Il mister manda un messaggio per interposta persona, il suo avvocato Luciano Malagnini: «Come va? La mia famiglia sta bene, grazie». Interviene ancora il fratello Federico, che dà una mano nella geolocalizzazione: «Mi ha chiamato per dirmi che è tutto a posto. È a casa al mare, a Giulianova». Ma è un tentativo di depistaggio involontariamente smentito dal DS Iaconi, suo vecchio amico: «Si è chiuso in casa e non voleva parlare con nessuno. L'ho sentito anche stamattina ed era amareggiato». Dove diavolo si è cacciato Giampaolo? Ma in fondo, ci importa davvero? O aspettiamo soltanto di vederlo contrito e sempre più mal rasato, esposto al pubblico ludibrio in qualche talk show di Sportitalia?
La sera il Brescia scende in campo a Carpi con una formazione completamente stravolta dallo spaesato Micarelli. Nel triste 0-0 che ne deriva si fa notare solo il giovane portierino bresciano che la stampa locale, con fantasia diversamente trascinante, ribattezza “l'uomo Cragno”. A stretto giro di posta Corioni consegna la guida tecnica al buon vecchio Gigi Maifredi, l'uomo per tutte le stagioni, ma già dalla giornata successiva si affiderà a Cristiano Bergodi – ma anche lui durerà solo fino a primavera, prima che tocchi a Ivo Iaconi raddrizzare il timone e approdare a un faticoso undicesimo posto.
Il 26 settembre Marco Giampaolo torna a parlare. Innanzitutto riassume all'ANSA la sua ultima settimana: «Lascio il Brescia e lo faccio con comprensibile amarezza. La mia decisione irrevocabile dipende da uno stravolgimento degli obiettivi della società, non più in linea con quelli programmati. Ho lasciato per non tradire il mio modo di fare calcio. Sono stato fatto passare per un pazzo, invece sono molto lucido: semplicemente, non mi riconosco in questo calcio selvaggio». Poi approfondisce con la Gazzetta dello Sport, utilizzando quella parola che è la chiave di tutto. «C'è un concetto che per me non ammette deroghe: la dignità. Viene prima di tutto. Andare a colloquio per rendere conto ai tifosi è stato umiliante, inaccettabile, e la società avrebbe dovuto tutelarmi. Mi sono dimesso la domenica e sono restato a casa a Brescia, ma il mio silenzio è stato manipolato dalla società per creare una sceneggiata». Una società verso cui Giampaolo spende parole durissime: «Ci sono cattive abitudini che il calcio italiano non riesce a estirpare. Ma la colpa non è dei tifosi. La colpa è dei club che hanno istituzionalizzato queste politiche e continuano a praticarle».
Due mesi dopo, intervistato da Gianni Mura per Repubblica, scenderà ancora più nei dettagli: «Quando andavano in visita nei club dei tifosi, i più alti dirigenti parlavano di promozione subito. Così hanno cominciato a fischiarmi dopo il secondo pareggio, a Bari. E a contestarmi più forte dopo la sconfitta interna col Crotone. Quel giorno l'addetto stampa della società si presenta con due uomini della Digos. Mi dicono che bisogna andare dai tifosi per un chiarimento. Chiarimento di che? chiedo. Bisogna andare per motivi di ordine pubblico, mi dicono, perché altrimenti di qui non fanno uscire nessuno». Io faccio un altro errore: li seguo. Passiamo davanti alla tribunetta dove ci sono le famiglie dei calciatori, entriamo in un locale sovrastato dalla scritta "Polizia di Stato". Ci sono lì otto o dieci ragazzi. Uno lo riconosco, dev'essere il capo, era venuto a mettermi una sciarpa al collo il giorno della presentazione ufficiale, e a dirmi che non volevano Gallo. Gli dico che con lui non parlo perché era già prevenuto. Un altro mi critica sul modulo di gioco. Se non sei soddisfatto, gli rispondo, vai da Corioni e digli di esonerarmi. Mi guardano storto ma non c'è nessuna minaccia, questo l'ho detto anche alla Digos quando mi ha chiesto informazioni, a distanza di tempo. Questa però è la classica goccia che fa traboccare il vaso. La vivo come un'umiliazione assurda e dico basta. Avviso Iaconi e Fabio Corioni. Allerto i miei collaboratori perché provvedano all'allenamento del giorno dopo. Mando un messaggio a Zambelli, il capitano. E non mi muovo da casa, a Brescia. Non parlo per non disturbare l'ambiente. Hanno cercato di farmi passare per uno squilibrato, hanno messo di mezzo Chi l'ha visto?, hanno cercato di farmi cambiare idea ma non l'ho cambiata. È una questione di dignità».
Ce ne sarebbe abbastanza per diventare un paria: ma Giampaolo dopotutto è un quiet man che vuole solo allenare. Si ricordano di lui a Cremona, in una normale Serie C: subentra a novembre, conquista un tranquillo ottavo posto e valorizza qualche giovane, come il figlio d'arte Federico Di Francesco. A fine stagione, una bella sorpresa: prima di salpare verso Napoli, Maurizio Sarri ha consigliato al presidente dell'Empoli Fabrizio Corsi di fare uno squillo a quest'uomo ombroso e di talento, dalle convinzioni inderogabili, che ha raccolto molto meno di quanto meritasse. E Marco Giampaolo, questa volta, il telefono l'avrà prudentemente lasciato acceso.