Forse associamo Marco Simone a un'epoca passata, ma in realtà era un attaccante molto più moderno di quanto non sembri. Il cosiddetto "fiuto del gol" è un'arte oscura e sfuggente, un istinto che è quasi impossibile spiegare a parole, e più ci si prova più il mistero sembra rimanere intatto. Abbiamo scelto 10 suoi gol, quindi, per provare a penetrare in questo aspetto del calcio, così decisivo eppure così ambiguo. Perché Marco Simone, come pochi altri, sembrava fatto per segnare.
Simone era un genio della coordinazione
“Se c’è Marco Simone, c’è gol” cantavano i tifosi del Milan al loro attaccante, sottolineando la sua confidenza con la porta avversaria. Per fisico e storia si pensa spesso a Simone come a un Inzaghi ante-litteram, uno che segnava da un metro, palle sporche, tap-in. La verità è che i gol gli riuscivano facili perché era un drago di coordinazione e tecnica di calcio. A Rijkaard basta buttare una palla morbida alle spalle della difesa, Simone sguscia oltre la linea avversaria e trova il modo di mettersi col corpo per calciare un pallone dietro la sua corsa. C’è un movimento impercettibile che fa, quasi un saltello, per arrivare con la gamba perfettamente estesa e calciare di mezzo collo sull’altro palo che è istintivo ma geniale, fisica teorica applicata al tiro al volo. Il portiere neanche si muove e se ascoltate con attenzione potete sentire il sibilo del pallone che gli passa accanto.
Simone viveva per ingannare l'avversario
In questo gol Simone e il pallone sembrano sparire da davanti ai difensori della Juventus per poi riapparire alle spalle, come in un cartone animato sulla magia. Una giocata forse estemporanea - Simone non era un genio del calcio, ci giocava insieme - ma che descrive bene come si sentisse a suo agio dentro l’area di rigore, come negli ultimi sedici metri riuscisse a costruire un universo proprio fatto di rimbalzi, anticipi, angoli. Per Simone ingannare il diretto avversario era il lavoro principale, viveva per questo. Per farlo spesso aveva bisogno di sterzate, tocchi, rimpalli, anticipi. Qui è più sottile, sintetizza tutti i trucchi del suo bagaglio di attaccante d’area di rigore in un trucco solo, fare finta invece di fare. Simone alza la gamba come per controllare il pallone spalle alla porta, ma all’improvviso si ritira, si gira sul piede perno e non c’è più, i due difensori a terra, come in un trucco di magia ben riuscito.
Marco Simone non è solo nostalgia per gli anni '90
È quasi impossibile scindere Marco Simone dalla nostalgia per gli anni Novanta e questo gol segnato al Salisburgo in Champions League sembra non fare altro che confermarcelo. Lo sponsor Opel, Albertini con la faccia da bambino, i capelli ricci vagamente cotonati, il brillante come orecchino, il pizzetto che si ricongiunge ai baffi con quella linea sottilissima di barba che per qualche ragione prima del 2000 andava molto di moda: tutto sembra rimandare a quel periodo e all’idea che in fondo Simone non sia altro che un attaccante datato. Anche le maglie ancora leggermente larghe, così come gli spazi in cui si difendeva e si attaccava ci fanno pensare a un calcio di un’altra epoca. Ma quando la palla finisce sui piedi di Simone questa sensazione viene squarciata dalla sua modernità: dalla reattività con cui si prepara al tiro, fintando di andare a sinistra per aprirsi la luce del tiro, alla forza che riesce a imprimere al pallone, forse ancora pesante esattamente come ci immaginiamo i palloni dell’epoca. Ecco, la forza con cui il pallone esce dal suo piede, la traiettoria levigata che scavalca il portiere, inginocchiato di fronte a questo splendido arcobaleno, rende Marco Simone più reale rispetto agli altri giocatori. Più vicino a noi.
Simone sapeva segnare gol complessi
È il giorno del quattordicesimo scudetto del Milan, vinto con due giornate di anticipo in una stagione che si concluderà con il trionfo in Champions League, battendo per 4-0 in finale il Barcellona di Johan Cruijff. Simone è schierato in attacco in coppia con Papin, che gioca pur avendo già trovato l’accordo per il trasferimento al Bayern Monaco, e segna il gol del momentaneo 2-1 (l’Udinese pareggerà poco dopo e la partita finirà 2-2). Simone riceve un passaggio in verticale direttamente da Baresi, girato spalle alla porta e senza compagni vicini a cui appoggiarsi. Non sembra una situazione pericolosa, ma con due tocchi il numero 11 rossonero ribalta questa percezione. Con il primo si gira spostando la palla abbastanza da impedire l’intervento del difensore, con il secondo calcia in porta infilando la palla vicino all’incrocio dei pali. Un gol complesso, costruito in un attimo, che è una buona sintesi della sua rapidità e della sua tecnica. Alla fine, dopo la festa in campo per lo scudetto, Simone fa una dedica particolare: «Avevo promesso che glielo avrei dedicato a Papin, purtroppo lo perdo perché va al Bayern e perdo un amico».
Simone sapeva creare pericolo dal nulla
Gli ultimi due anni al Milan, prima di un mesto ritorno dopo il 2000, Marco Simone li gioca con la maglia numero 23 accanto a George Weah. Insieme formano una coppia quasi mitologica, una prima punta potente e inafferrabile e una seconda punta instancabile e letale. Un feeling che si può notare in campo, in alcuni gol confezionati insieme dal nulla, ma anche fuori, per un periodo vivono addirittura nello stesso appartamento. Il primo anno vincono lo Scudetto, il secondo va meno bene, è il tramonto del grande Milan di Sacchi e Capello. In questo gol apparentemente Weah non fa nulla, ma è il suo taglio feroce appena Simone riceve palla tra le linee a liberare il campo al compagno, portargli via l’uomo come si dice. Creato lo spazio, Simone salta il difensore accorso in aiuto con una sterzata, una giocata che fa benissimo, con una rapidità evidente, prima di liberarsi anche di un altro avversario con un tocco in anticipo, con un tunnel che è solo a una prima occhiata casuale, prima di inchiodare il portiere al suo destino con un tiro non forte, ma immediato e preciso di interno, che lo lascia fermo. Sarà uno degli ultimi gol con la maglia del Milan, la maglia che ha segnato la sua carriera.
Simone sapeva dare spettacolo
Se al Milan Simone ha dovuto combattere duramente contro la concorrenza, a Parigi diventa un re. Comprato dai francesi per 10 miliardi, record per la Ligue 1, segna 22 gol al primo anno vincendo Coppa e Supercoppa di Francia e il premio di miglior calciatore agli Oscar del calcio francesi. Con la maglia del Paris Saint Germain, Simone segna alcuni dei gol più spettacolari della carriera. Se al Milan era sempre l’attaccante che chiudeva il gioco altrui, in Francia diventa un giocatore più autosufficiente. Può ricevere palla a metà campo e attaccare la difesa, passare in mezzo a due avversari umiliandoli con una serie di tocchi sempre in anticipo per poi fare gol prima del recupero del terzo, con un diagonale secco e preciso. Un gol bellissimo, ma soprattutto inaspettato che ci fa chiedere quanto avrebbe potuto fare Simone in un contesto meno rigido di quello del Milan fortissimo di quegli anni.
Simone era un attaccante elettrico
Dietro questa immagine screpolata dal tempo c’è tutto quello di cui abbiamo bisogno: gli sponsor della Champions League di fine anni ‘90, la maglia oversize del PSG con i colori sparati, il collo gigante da prete e lo sponsor OPEL. Il campo è rotto in varie zone, le zolle si alzano come fosse abitato da talpe. Il PSG deve rimontare e anche se non possiamo vedere niente percepiamo l’ansia e l’elettricità nell’aria, e Simone che rimane freddo e lucidissimo nello smarcare il portiere e depositare la palla in rete. Aveva l’estro e la classe dei finalizzatori brevilinei, capaci di vedere spazi per far gol a cui i centravanti più grossi non hanno accesso.
Simone aveva grande intuito
Pur vivendo in un mondo in cui passare al PSG non significava ancora giocare per un top club europeo ed essere pagato decine di milioni di euro, Marco Simone divenne comunque il giocatore straniero più costoso della storia del campionato francese fino a quel momento. In questo gol segnato al Lione nella stagione 1997/98 lo vediamo con i capelli lunghi di un archetipico attaccante sudamericano - lo potremmo quasi scambiare per una versione Virtua Striker di Edinson Cavani. Simone aspetta che un campanile altissimo partito dalla fascia sinistra gli cada sul piede destro, come un tiratore al piattello con il fucile puntato - ma lo fa in corsa, dopo essere scattato alle spalle del diretto marcatore, che era convinto di non aver perso il contatto. Effettivamente non è così logico il suo movimento: ci vuole un bell’intuito per scattare in quello spazio e ci vuole anche una sensibilità tecnica notevole, o una notevole fortuna, per colpire il pallone non di collo pieno per incrociarlo, ma di leggero esterno, per dargli quello spin che lo fa finire sul primo palo, sorprendendo il portiere.
Simone sapeva segnare in qualsiasi modo
Nel 2000, a 31 anni, Marco Simone si è platinato i capelli come fanno i giocatori di oggi e sembra semplicemente una persona diversa. Se aprite questo video senza un minimo di contesto vi sembrerà un altro giocatore senza lo sciabordio dei suoi capelli sulla nuca. Anche il suo tocco di palla, la sua corsa, sembra diversa. Questo gol fa quasi ridere perché Simone va dritto, entra in area, si dimentica la palla e torna indietro come riavvolgendo il nastro. Sembra quasi voler tornare verso la propria porta, poi si mette la palla sul destro e tira di interno forte una bastonata senza alcuna dolcezza dritta sul secondo palo.
Simone segnava gol che non sembravano gol
Marco Simone con i capelli corti e biondo platino, insomma, come il batterista di un gruppo skate punk. Marco Simone non sembrava Marco Simone, e dalle riprese vecchie e rovinate questo gol al Nancy non sembra nemmeno segnato su un campo di calcio ma sul tappeto di velluto verde acido di un biliardo. In realtà non sembra nemmeno un’azione pericolosa fino a quando il pallone non supera il portiere, che sembra accasciarsi al suolo più per convenzione che per cercare davvero di parare il tiro. Un tiro che, allo stesso modo, non sembra nemmeno un tiro a un primo sguardo. Più un controllo sbagliato di parecchi metri, o un semplice appoggio all’indietro, se solo quello fosse il portiere del Monaco. Eppure nessuno sembra sorpreso che la palla sia entrata in porta, come se non fosse un vero gol ma un gol inscenato. Subito dopo aver segnato Simone alza un pugno al cielo come facevano gli attaccanti diversi anni prima del 1999, poi si lascia abbracciare dai compagni senza alcun entusiasmo. Forse segnare era diventato troppo semplice.
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