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Maro Itoje: Se sono rose...
27 feb 2016
Il futuro della Nazionale inglese di rugby è in un ragazzo di origini nigeriane che scrive poesie.
(articolo)
12 min
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“What is the difference between England and a tea bag? The tea bag stays longer in a cup”

È il 3 ottobre 2015, siamo allo stadio di Twickenham, Londra, e ci sono più di ottantamila spettatori urlanti. Sul campo un classico del rugby: Inghilterra contro Australia, ma è una partita speciale rispetto al solito. È ancora la fase eliminatoria del Mondiale e per l’Inghilterra, che gioca in casa, si tratta già di un dentro o fuori. Quella che doveva essere una cavalcata dritta alla finale contro la Nuova Zelanda è stata complicata dal Galles, da un calcio di punizione che ha fissato il punteggio sul 25 a 28 facendo sprofondare le certezze inglesi in un buco profondo come una miniera.

Dopo 80 minuti il risultato è uno shock nazionale: Inghilterra 13 – Australia 33. È il primo paese organizzatore ad essere eliminato senza raggiungere le fasi ad eliminazioni diretta ed è la più larga vittoria mai ottenuta dall’Australia sul suolo britannico contro la Nazionale di casa, con un gioco velocissimo, divertente, letale. Come in tutti i veri amori, l’eccessiva attesa, se tradita, viene vissuta con grande dolore.

Tra gli imputati della sconfitta, oltre all’allenatore Stuart Lancaster, c’è anche il capitano Chris Robshaw, reo, a detta dei commentatori, di non saper motivare i suoi compagni: nel Paese del leading by example la mancanza di leadership è un peccato mortale. Anche l’ultima, amara, consolazione di un’Australia vincitrice del Mondiale ( “Ok abbiamo perso, ma quelli sono i più forti”) svanisce quando i Wallabies trovano, come da copione, gli All Blacks ad attenderli in finale e, come da copione, la Nuova Zelanda demolisce gli avversari vincendo per la seconda volta consecutiva la Webb Ellis Cup dall’altra parte del mondo. Noblesse oblige.

L’onta viene lavata nel sangue: via lo staff tecnico di Stuart Lancaster, accusato di aver delegato tutte le decisioni più importanti ai suoi collaboratori, la rifondazione viene affidata a un guru come Eddie Jones, nippo-australiano che dopo aver vinto tutto nell’Emisfero Sud, e aver accarezzato nel 2003 la Coppa del Mondo come allenatore dell’Australia (in quel caso la Coppa andò proprio all’Inghilterra), ha ritenuto opportuno, alla guida del Giappone, battere il Sud Africa alla prima sfida degli ultimi mondiali. Chris Robshaw viene a sua volta detronizzato dal ruolo di capitano, al suo posto il badboy Dylan Hartley.

Jones è fautore di un freddo realismo, lontano anni luce dai romantici proclami di bravery di Lancaster, e rifondare vuol dire anche tagliare per far ricrescere. Rugby semplice, ma ben fatto, ripartendo dalla scuola inglese: set-pieces dominanti, potenza fisica, e poi si vedrà come germoglia il tutto. E tra i petali della Rosa che verrà ce n’è uno molto particolare.

Took a tube to Camden Town, walked down Park Way and settled down

Il nome Maro, derivante da Oghenemaro, significa “Dio è grande” in lingua Urhobo, parlata da alcune popolazioni del Delta del Niger, in Nigeria. Itoje, invece, è un nome molto diffuso nel paese africano.

Maro Itoje ha 21 anni, i dreadlocks in cima al suo metro e novantacinque, quando parla è ben educato e sorride spesso. Quando poteva, nel tempo libero scriveva poesie. Oggi, la “next big thing” del rugby inglese, ride del giorno che raccontò di questa sua passione: “Adesso tutti pensano che io sia Shakespeare”.

È nato a Camden, un quartiere di Londra, noto ai più per il mercato, le passeggiate sul Regent’s Canal e i finti punk che ti accolgono appena esci dalla metropolitana tentando di venderti cose, ma ama tornare in Nigeria a visitare i parenti. Da ragazzino frequenta la Harrow School, un college solo maschile molto prestigioso. Sfogliando vecchi numeri dell’Harrovian, il giornale della scuola, si vede la foto di un ragazzino in divisa, coi capelli rasati e la faccia molto seria. Canta nel coro scolastico ed è uno studente estremamente dotato. Nello sport ha mezzi fisici fuori dal comune: campione di lancio del peso, calcio, basket e rugby. Soprattutto rugby. Il suo allenatore a scuola, e i compagni ricordano quanto fosse duro, costante, fisico nel breakdown.

Finite le superiori viene riconosciuto come uno dei migliori prospetti tra i giovani giocatori inglesi, dopo una trafila in U17 e U18. Un predestinato, si dice. Lo mettono sotto contratto i Saracens, club con mezzi finanziari praticamente illimitati (per i parametri del rugby), una delle squadre di rugby a XV di Londra, fondata nel 1876 da studenti della Philological School di Marylebone, circa un miglio e mezzo da Camden. Anche se, oggi, la proprietà del club è per metà sudafricana.

Il 19enne Itoje, che nel frattempo entra nell’U20 inglese (come capitano, ovviamente) è già un personaggio particolare e sceglie di continuare gli studi, parallelamente alla carriera sportiva. Bachelor Degree in Politics, alla School of Oriental and African Studies (una delle più prestigiose università di Londra), full-time, obbligo di frequenza per almeno otto ore a settimana. Solo recentemente il rugby gli ha imposto il part-time accademico. Leggenda vuole che prima di partire per un’amichevole internazionale con la maglia degli England Saxons (l’anticamera della Nazionale maggiore), Maro abbia consegnato l’essay finale per l’esame di Storia della tratta atlantica.

“Studiando ho capito che i problemi dell'Africa non derivano da cent'anni di colonialismo, ma da circa quattrocento anni di tratta degli schiavi, che ha spopolato il continente facendo perdere importanti risorse intellettuali”, dice in un'intervista. E parla di Kwame Nkrumah, rivoluzionario padre dell’indipendenza ghanese, e di Nnamdi Azikiwe, primo presidente della Nigeria indipendente ed intellettuale del panafricanismo: “Loro hanno fatto cose che non erano la norma a quei tempi… ma io voglio solo diventare un bravo giocatore di rugby”.

Itoje il giocatore di rugby, sul campo, è un’ira di Dio. Nonostante i mezzi fisici ne facciano un uomo di mischia (gioca seconda o terza linea) è estremamente agile palla in mano, ha un’ottima tecnica di placcaggio in difesa così come sulle rimesse laterali. Spesso viene paragonato come stile a un’altra seconda linea inglese, Courtney Lawes, pilastro della Rosa e dei Northampton Saints, familiarmente ribattezzato “l’ammazza-aperture”.

Entrambi i giocatori sono molto forti fisicamente e ruvidi in difesa, entrambi giovani ed estremamente atletici. La differenza semmai sta in una maggiore confidenza col pallone di Itoje, che ne permette una maggiore versatilità anche in terza linea, ruolo in cui ha esordito con i Saracens in Anglo-Welsh Cup, una coppa tra squadre di club inglesi e gallesi, ad appena 19 anni.

Solo un anno dopo guiderà la Nazionale Under 20 inglese alla vittoria nel Mondiale di categoria in Nuova Zelanda, battendo in finale i super favoriti sudafricani. Partita vinta sul filo del rasoio, un 21-20 soffertissimo, ma di estremo valore se si pensa che la nazionale maggiore vive da qualche anno un’emorragia di successi enorme. “Joy and jubilation”, risponde Itoje a chi domanda come si sente dopo la vittoria. E il termine “jubilation” manda fuori di testa di giornalisti inglesi che commentano la partita, perché troppo ricercato per un giocatore di rugby di ventanni.

Dal trampolino dell’under 20 Itoje diventa, nel giro di un anno, un punto fermo della mischia dei Saracens, che lo nominano capitano in Anglo-Welsh Cup, nonostante la presenza nel roster di giocatori di grandissima esperienza. Lui, tranquillamente, leading by example, porta la squadra in finale contro gli Exeter Chiefs. I Saracens vincono e anche in Premiership, il campionato inglese, i minuti giocati aumentano, così come le nomine a Man of the Match e Player of the Month.

La ciliegina stagionale arriva con la vittoria nella finale contro Bath. Lui gioca titolare in terza linea a flanker e ha come diretto avversario Sam Burgess, stella del rugby a XIII in Australia. La giovane promessa contro la star mediatica. I Saracens vincono e delle due foto che Itoje pubblica sul suo profilo Instagram, una è quella ufficiale, l’altra è con il fratello maggiore, appena laureato. Rugby, studio e roots.

Float like a butterfly, sting like a bee

Il marketing intorno al rugby negli ultimi anni ha spesso fornito immagini che richiamano uno sport gladiatorio. Energumeni ipertrofici sporchi di fango che si battono contro rinoceronti, camioncini (indimenticabile lo spot con il compianto Jonah Lomu che salva un pesce), esplosioni, elementi naturali. La haka, danza tradizionale degli All Blacks neozelandesi, è un marchio globale che viene spesso svuotato del suo significato e sostituito con imitazioni da “duri”. Le pubblicità delle maggiori competizioni mostrano impatti mostruosi, placcaggi assassini e coraggio. Un’immagine senza dubbio utile per il marketing, ma stereotipata.

Itoje, fine studente oltre che rugbista, è una crepa nello stereotipo. Quando parla di sport, oltre al rugby, cita Michael Jordan e Shaquille O’Neal (è stato Nazionale U17 di basket, a tempo perso), Didier Drogba (idolo al college, anche se lui, nord londinese di Camden, tifa Arsenal), ma la figura più ricorrente è sicuramente quella di Mohammed Alì. E anche in questo caso ritorna il dualismo, la sua identità inglese e contemporaneamente quella nigeriana, che si rispecchia forse in Alì che recuperò le proprie origini africane con la conversione all’Islam.

Ma Itoje ha anche il coraggio di addentrarsi in questioni politiche complesse. In una recente intervista, ad esempio, ha affermato, tra una domanda sulla sua esclusione dalla Rugby World Cup e la curiosità per i suoi studi, che la sua educazione superiore era stata molto eurocentrica, sia nella storia che nella politica. L’università però gli ha permesso di riscoprire le sue radici e di argomentare accademicamente che “l'attuale stato dell'assistenza umanitaria crea più danni che benefici per i Paesi africani in via di sviluppo. Crea dipendenza. Favorisce inefficienze e non permette alle economie di diventare indipendenti o autosufficienti”.

In realtà, la differenza stridente tra lo stereotipo del rugbista e quello dello studente non è così inconsueta nel mondo del rubgy: per restare ai giocatori internazionali, il centro gallese Jamie Roberts, laureato in medicina, frequenta un Master in Philisophy all’Università di Cambridge, per la quale gioca anche il tradizionale Varsity Match contro Oxford. Thierry Dusautoir, ex-capitano e leader della Francia finalista ai Mondiali del 2011 è ingegnere, mentre David Pocock, terza linea australiana votato tra i migliori giocatori del recente Mondiale, oltre che in campo si spende anche per i diritti alle coppie omosessuali e la tutela dell’ambiente in Australia e nel suo Paese natio, lo Zimbabwe (di recente ha addirittura pensato di prendere un anno sabbatico dal rugby per studiare in Inghilterra).

Nel nome della Rosa

Ho cercato di rendere Maro Itoje per come è oggi, il giocatore e il ragazzo, ma sarà interessante sopratutto capire cosa gli riserverà il futuro. Per l’esordio dell’Inghilterra al Sei Nazioni, il tecnico di Eddie Jones inizialmente non lo ha convocato tra i 23. Hanno esordito in trasferta, contro la Scozia al Murrayfield Stadium di Edinburgo. Gli scozzesi chiamano da 145 anni questa partita la “caccia al pavone”, e i pavoni sarebbero gli inglesi, che però questa volta l’hanno fatta franca: l’Inghilterra ha vinto 15-9.

Jones ha spiegato le mancate convocazioni di MaroItoje e dell'altro enfant prodige Elliott Daly con un'immagine: "Pensate a due esordienti in uno stadio con 65mila scozzesi fuori di testa: e se non reggono la tensione? Jones ha aggiunto che il saper gestire anche questo tipo di rifiuti forma il giocatore ad avere carattere.

Maro, però, ha risposto alla domanda vincendo il premio come Man of the Match nella sfida tra Saracens e Bath di fine gennaio, propiziando una meta e guadagnando un calcio di punizione. Jones, a quel punto, lo ha convocato come riserva a Edinburgo, senza però farlo scendere in campo nei 23 tra titolari e riserve.

La vittoria inglese ha dato ragione in una certa misura al tecnico che, in seconda linea, ha potuto schierare George Kruis (andato in meta), Joe Lanchbury e il già citato Courtney Lawes. In terza la trimurti Robshaw-Vunipola-Haskell ha combinato potenza ed esperienza e, oggi, sembra intoccabile negli equilibri della squadra. D’altra parte allenatori, esperti e giornalisti giurano che il momento di Itoje si sta avvicinando per questa Inghilterra. Dal punto di vista tecnico sicuramente sarebbe un vantaggio: facendolo giocare in seconda linea hai la garanzia di avere un flanker aggiunto, affidandogli la maglia numero 6 (come nei Saracens) permetti una maggiore varietà di scelte nelle rimesse laterali senza perdere potenza di fuoco nel gioco aperto.

Allargando la prospettiva, se un tagliagole come Hartley può far comodo nel breve e una banda di pirati ti garantisce ricchi bottini o, al limite, ricorda agli scozzesi che il pavone è comunque una brutta bestia, la nuova Inghilterra che guarda alla Rugby World Cup del 2019 vuole altro. Lo vuole Eddie Jones, che pretende un livello più alto di atletismo dai suoi giocatori per poter esprimere un gioco più moderno. Lo vuole il pubblico inglese, perché la storia che il rugby l’hanno inventato loro comincia a essere un contraltare alla realtà dell’assenza di trofei.

Maro è stato convocato di nuovo per la trasferta a Roma, e stavolta è entrato nei 23, partendo dalla panchina. All’Olimpico ha ufficialmente esordito con la maglia della Rosa, a 25 minuti dal termine: ha corso, placcato, rubato due palloni guadagnando altrettante punizioni per l’Inghilterra, intercettato una rimessa laterale e ogni volta che è partito palla in mano ha superato la linea del vantaggio. Opinione diffusa, nelle scorse settimana, era che il ragazzo fosse definitivamente pronto per l’ultimo passo, quello che dalla panchina porta al XV titolare. Jones si è rivelato un personaggio difficilmente prevedibile, ma il 21enne di Camden è nel giro della Nazionale per restarci, e la prova del fuoco della prima partita sembra essere stata superata a pieni voti.

Sabato 27 febbraio l’Inghilterra gioca contro i campioni in carica dell’Irlanda, in quella che, in caso di vittoria, potrebbe essere la partita decisiva per una reale candidatura del XV di Jones al trofeo. La formazione resa pubblica giovedì mattina vede tra i titolari, con la numero 4, Maro Itoje, preferito al “fratello maggiore" Courtney Lawes dopo l’infortunio di Joe Lanchbury. Maro esordirà da titolare, cioè, in quella che potrebbe essere la partita più importante in questo 6 Nazioni.

Maro Itoje, cresciuto da Camden Town, ha vinto tutto quello che un rugbista della tua età può vincere ad alto livello, nella maggior parte dei casi da capitano, e con grande probabilità rappresenta il futuro della tua Nazionale. Ma ci arriverà con tanti, piccoli passi. Scontro dopo scontro, centimetro dopo centimetro. Come nel rugby.

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