
«Mia madre stamattina mi ha telefonato e mi ha detto ma che è successo, che hai fatto?».
Trovatemi un altro allenatore che possa dire una cosa del genere in conferenza stampa.
«Mi fate passare come un criminale, un delinquente. Ma io nella vita ho deciso di fare calcio, non di essere un criminale».
No, aspettate. In effetti gli allenatori sono soliti usare iperboli di questo tipo. Gli allenatori di calcio, soprattutto gli allenatori di calcio italiani, sono soliti esagerare. La cosa che distingue Roberto De Zerbi, semmai, è che lui dà l’impressione di voler essere preso alla lettera. Solo quando Roberto De Zerbi racconta una cosa del genere viene da immaginarlo al telefono, in una cucina buia alle prime luci dell’alba, mentre spiega alla madre che lo chiama da Brescia che sta solo cercando di fare calcio a Marsiglia, come ha sempre fatto d’altra parte, che non è diventato improvvisamente un delinquente. L’Equipe lo chiama «management emotivo».
Questo succedeva tre settimane fa, dopo che l’Olympique di Marsiglia aveva perso 3-1 contro il Reims. Una delle loro peggiori partite stagionali - la terza consecutiva in campionato, la quarta nelle ultime cinque giornate - che era costata all’OM il secondo posto momentaneo in classifica. E se ad esempio contro il PSG (un’altra sconfitta per 3-1) De Zerbi riteneva ci fosse stata almeno in parte una buona prestazione, stavolta - come altre volte, come quando un mese prima hanno perso contro l’Auxerre - non c’erano scuse.
Secondo la stampa francese De Zerbi era ai ferri corti con la squadra: «Volete farmi fallire? Allora falliremo tutti insieme». A fine primo tempo della partita con il Reims avrebbe preso di punta Pol Lirola - che ha fatto venire lui da Frosinone nello scorso mercato estivo - dicendogli: «Nessuno ti voleva a Marsiglia, sono stato l’unico a credere in te e questo è il modo in cui mi ringrazi?». Lirola aveva giocato come “braccetto” destro e L’Equipe il giorno dopo gli ha dato “3” in pagella.
Se volete qui c’è Raymond Domenech, forse il peggior allenatore della storia della nazionale francese, che commenta con il sorriso sulle labbra quel momento difficile dell’OM.
In quello stesso periodo dall’Italia arrivavano voci secondo cui Roberto De Zerbi interesserebbe al Milan - al “suo” Milan, dove ha fatto le giovanili da giocatore - per la prossima stagione, che facevano scopa con un’altra dichiarazione di De Zerbi: «Chiedetevi perché nessun allenatore resta a Marsiglia più di due anni» (a un giornalista che gli ha chiesto di specificare se ce l’aveva con le pressioni dell’ambiente marsigliese o con qualcos’altro ancora lui non ha dato una risposta chiara).
Una volta tornati a Marsiglia, De Zerbi non ha fatto tornare i giocatori nelle proprie case come al solito ma li ha portati direttamente alla Commanderie, al centro di allenamento. E ce li ha fatti restare anche tutto il giorno dopo, il 30 marzo fino all’ora di cena, anche se molti di loro avrebbero voluto festeggiare la fine del Ramadan in famiglia.
Il giorno dopo, lunedì, dopo aver fatto dormire in ritiro la squadra, De Zerbi ha deciso di far svolgere l’allenamento al suo staff - poi dirà che lui ha seguito dal campo ma ha preferito non parlare perché altrimenti ai giocatori sarebbe venuta a noia la sua voce - e per un attimo i suoi giocatori hanno pensato alla possibilità di rifiutare di allenarsi. A quanto hanno raccontato i giornali, c’è voluto l’intervento del direttore sportivo Mehdi Benatia per evitare l’ammutinamento.
La scorsa stagione, quando è diventato via via sempre più chiaro che De Zerbi aveva finito il suo percorso al Brighton - per delle «differenze inconciliabili» con il presidente Tony Bloom, secondo The Athletic - ci si chiedeva quale sarebbe stata la sua prossima squadra.
Dopo il sesto posto della stagione ancora precedente (miglior piazzamento nella storia del Brighton e prima qualificazione in una coppa Europea) si era parlato di lui per la panchina del Manchester United. Poi anche per il Chelsea, il Bayern Monaco e, già allora, il Milan.
La seconda stagione, meno brillante, e le frizioni con il presidente, avevano fatto alzare qualche sopracciglio ma si può dire che, a parte forse Amorim, gli allenatori che si sono seduti su quelle panchine - Fonseca, Maresca e Kompany (retrocesso alla fine della scorsa stagione con il Burnley, con la metà esatta dei punti del Brighton di De Zerbi undicesimo) - godessero tutti di un fascino minore rispetto a De Zerbi un’estate fa.
Ci si chiedeva cosa stesse aspettando, a cosa puntasse veramente. Ed è stato a dir poco sorprendente quando alla fine ha scelto il Marsiglia. Furbo, ha pensato qualcuno, così se riesce a risollevarlo è tutto merito suo, e se invece fallisce sarà solo un’altra vittima del calore del Velodrome. Neanche una stagione intera dopo, invece, sembra che sia De Zerbi ad essere troppo caldo per Marsiglia. Troppo vero, autentico, intenso, persino per la città che ha conosciuto Bielsa e Sampaoli.
A questo punto però serve un breve riassunto della situazione che ha trovato De Zerbi. L’OM ha iniziato la stagione 2023/24, quella precedente al suo arrivo, con Marcelino in panchina. A metà agosto viene eliminato dai preliminari di Champions con il Panathinaikos e un mese dopo la dirigenza è costretta a una prima riunione con dei rappresentanti dei gruppi ultras marsigliesi. I dirigenti, a quanto hanno raccontato i tifosi dopo, non hanno potuto dire praticamente niente: «Appena uno dei quattro provava a dire qualcosa c’era uno di noi che li interrompeva per esprimere la propria rabbia».
Senza minacce, a loro dire, al massimo qualcuno ha proposto a Longoria di «fare le valigie» e andarsene. Per i tifosi si era oltrepassato «il punto di non ritorno» con una dirigenza a cui rinfacciavano il trattamento disonorevole di una leggenda del club come Mandanda, oltre alle cessioni di Guendouzi e Payet. Invece di andarsene lui, due giorni dopo quella riunione Longoria ha esonerato Marcelino e sulla panchina del Marsiglia si è seduto Rino Gattuso.
Pablo Longoria che chiama la Ligue 1 un «campionato di merda», grida alla corruzione e dice «porca troia», in italiano. Questo è di un mese fa, dopo la sconfitta con il Paris Saint-Germain.
Gattuso è durato fino allo scorso febbraio, fino a un’altra riunione con i tifosi scontenti - a cui stavolta hanno partecipato anche i giocatori, con i tifosi che sempre «senza aggressività» dicono di avergli spiegato cosa significa portare la maglia dell’OM.
Dopo Gattuso è arrivato Jean-Luis Gasset, il tecnico che poche settimane prima aveva lasciato la Costa d’Avorio in piena Coppa d’Africa, dopo la sconfitta 4-0 con la Guinea Equatoriale, quando sembrava praticamente certo che non superasse il girone (poi, invece, come sappiamo, quella coppa la Costa d’Avorio l’ha vinta con uno dei suoi assistenti in panchina, Emerson Faé).
Gasset ha vinto le prime gare ma a fine stagione l’OM è arrivato ottavo in classifica, lontano da un piazzamento europeo. Paradossalmente, al termine di una stagione così tremenda, Longoria - la cui scalata al vertice di uno dei club più prestigiosi d’Europa, partendo come blogger e poi scout di Atalanta (ai tempi in Serie B) e Sassuolo, merita un trattamento a parte - ne è uscito rafforzato grazie al sostegno del proprietario americano Franck McCourt, vincendo la guerra di potere con quello che avrebbe dovuto prendere il suo posto come presidente, l’allora direttore generale Stephane Tessier.
In questo contesto febbricitante, l’arrivo di Roberto De Zerbi è una specie di trucco magico. L’asso di picche che Pablo Longoria ha tirato fuori da dietro l’orecchio dei tifosi. Così si è guadagnato altro tempo, ma al tempo stesso ha scommesso tutto quello che aveva su De Zerbi - sul suo «carisma insolente», come lo ha definito Barney Ronay sul Guardian: «De Zerbi è come gli Strokes se gli Strokes fossero allenatori di calcio».
La prima crisi di De Zerbi è arrivata dopo dieci partite di campionato. Dopo che l’OM ha perso la sua terza partita, in casa contro l’Auxerre (0-3), lui parla già come un allenatore a fine ciclo. «Se il problema sono io me ne vado via e lascio i soldi sul banco, dopo che lascio il cuore sul banco, dopo che lascio il cervello sul banco».
A un giornalista che gli chiede se bisogna preoccuparsi per il secondo posto in classifica, lui risponde: «Ma io non vivo per il secondo posto in classifica. A me del secondo posto in classifica non me ne frega un cazzo». De Zerbi sottolinea, come farà sempre, la sola ragione per cui ha scelto Marsiglia: per giocare al Velodrome. Se facciamo un salto in avanti a questi ultimi giorni, dopo la vittoria con il Montpellier, De Zerbi ha detto che giocare al Velodrome è «un altro sport». E, ancora una volta, non sembra solo voler esagerare.
Quando De Zerbi dice che «non sono venuto qua per il secondo posto, né per il terzo né per il quarto» (siamo tornati alla sconfitta con l’Auxerre dello scorso metà novembre), ha lo sguardo di chi vuole essere preso alla lettera: «Sono venuto qua per far cadere lo stadio».
Quella successiva alla sconfitta con l’Auxerre è stata la conferenza stampa in cui De Zerbi ha detto che a lui dei soldi non interessa, che «non mi cambiano la vita», quanto piuttosto gliela cambia «sentirmi gratificato tutti i giorni per quello che faccio». Ha detto di venire dalla strada, di non volere scorciatoie. Insomma ha rafforzato - come se ce ne fosse stato bisogno - quell’immagine di allenatore passionale e intransigente, il contrario del “filosofo” che fino a qualche tempo fa si diceva fosse - e che lui, già cinque anni fa in un’intervista La Repubblica, negava definendosi, invece, «un martello».
L’Equipe - con cui De Zerbi si è complimentato per avere sempre degli scoop in anteprima, lamentandosi del fatto che quello che in altre squadre resta nello spogliatoio a Marsiglia finisce nei giornali - ha raccontato che, dopo la sconfitta con l’Auxerre, De Zerbi ha detto ai suoi: «Mi avete umiliato e avete umiliato il club. Non avete le palle». E poi, rivolgendosi al difensore centrale argentino Leonardo Balerdi, capitano: «Tu hai meno palle di tutti».
Dopo quella partita De Zerbi ha portato i suoi giocatori in ritiro a Mallemort, un paesino tra Marsiglia e Avignone. Lì, per tre volte, ha fatto allenare la squadra alle cinque e mezza del mattino. Ma, ha detto, «non era una punizione, io non punisco neanche i miei figli! Però so quando è il momento di abbracciare i miei giocatori come un padre, e quando devo essere più duro. Altri allenatori hanno paura di farlo. Io non ho paura».
Quando De Zerbi è arrivato a Marsiglia serviva «un cambiamento radicale». Per questo ha fatto fuori giocatori come Veretout, Pau Lopez, Jonathan Clauss, de la Fuente, Amavi, e anche Chancel Mbemba, tenuto fuori squadra anche quando De Zerbi aveva disperatamente bisogno di difensori.
Dal mercato sono arrivati Hojbjerg dal Tottenham, Elye Whai dal Lens e soprattutto Mason Greenwood dal Manchester United (19 gol per ora in stagione, di gran lunga il giocatore più forte in rosa). oltre ad alcuni altri pezzi meno pregiati come il portiere Rulli dall’Ajax, Pol Lirola dal Frosinone, Neal Maupay dall’Everton e Jonathan Rowe dal Norwich. Poi a metà settembre, è arrivato anche lo svincolato Rabiot. A gennaio, per sostituire Elye Wahi spedito al Francoforte dopo appena quattro mesi fallimentari, è arrivato anche Amine Gouiri.
Ma De Zerbi ha continuato a fare scelte “radicali” anche dopo il mercato estivo. Nella famosa partita con l’Auxerre il primo gol è arrivato per un errore grossolano del difensore centrale Lilian Brassier, arrivato in prestito dal Rennes, che provando a colpire al volo un pallone piuttosto comodo su lancio del portiere avversario, lo liscia e finisce a terra, lasciando l’attaccante, Sinayoko, da solo davanti a Rulli. Dopo quella partita Brassier non ha praticamente più giocato e a gennaio è tornato al Rennes, mentre il Marsiglia è passato alla difesa a tre.
Criticato anche per il modulo, De Zerbi ha detto che senza centrali di difesa (anche Luiz Felipe, arrivato a gennaio, ha giocato appena due partite per via degli infortuni) si è dovuto adattare, anche se lui in dodici stagioni da allenatore ha quasi sempre giocato con i quattro difensori e due esterni a piede invertito. E si sono dovuti adattare anche il terzino panamense Murillo, come interno destro, e Kondogbia, che ha giocato una stagione intera in difesa. In casi estremi sono scalati di una linea anche i centrocampisti Hojbjerg e Rongier (o Lirola, come detto).
Quando le cose vanno male l’OM è una squadra goffa e impacciata, capace di prendere gol al limite con la comicità slapstick. Che nel tentativo di coprire tutto il campo e difendere in modo aggressivo si stira e strappa come un vecchio lenzuolo lasciando buchi giganteschi. Una settimana fa, nella sconfitta contro il Monaco che gli è costato momentaneamente il secondo posto, il primo gol è nato da passaggio dritto per dritto da Singo a Embolo, che ha attraversato il centrocampo vuoto.
Kondgobia ha perso il duello, Embolo si è girato e ha servito Mika Biereth (forse non lo ricordate già più, ma è quel giocatore che, arrivato a gennaio, ha segnato tre triplette nel suo primo mese in Ligue 1) con una palla che è filtrata con un mezzo rimpallo. In area di rigore Biereth ha provato a girarsi, è incespicato, e poi ha calciato due volte addosso a Rulli. Poi è arrivato Vanderson, il terzino destro monegasco, che in scivolata è riuscito a passarla a Minamino, che ha messo dentro a porta vuota. In tutto questo la difesa del Marsiglia è stata a guardare impotente. De Zerbi ha detto che si è trattato di un gol «stupido», uno di quelli che all’OM capita di prendere un po’ troppo spesso, ha aggiunto.
Certo c’è anche una buona dose di sfortuna. Poco dopo l’1-0, l’OM ha avuto l’occasione per rimettere la partita in equilibrio. Una bellissima azione comincia, in realtà, con un errore in costruzione di Rulli che, sotto pressione, ha passato di nuovo a Minamino poco oltre il limite dell’area di rigore. Mason Greenwood e Rongier, però, l’hanno recuperata subito.
Dopo una veloce circolazione a destra Greenwood ha cambiato campo per Merlin, l’esterno dal lato opposto, che ha controllato quasi sulla riga laterale aspettando l’inserimento in area di rigore di Ulisses Garcia, centrale sinistro di difesa. Garcia è arrivato quasi sul fondo e ha messo dentro un pallone teso sul secondo palo: Luis Henrique, l’esterno destro, ci è arrivato in corsa ma incredibilmente ha stretto troppo l’angolo incrociando il tiro, mandandolo al lato del secondo palo.
«Non è un’occasione», ha detto a fine partita De Zerbi riferendosi a questa di Luis Henrique. «È un’occasione clamorosa». Dopo dieci minuti del secondo tempo il Monaco ha segnato il secondo gol - al termine, di nuovo, di un’azione in cui il Marsiglia non è riuscito né a gestire il possesso né ad allontanare la palla dalla propria trequarti - e poi a dieci dalla fine ha preso il terzo gol, su rigore causato da un’uscita goffa di Rulli.
Il 3-0 finale è stato eccessivamente punitivo e stavolta De Zerbi non è stato catastrofico in conferenza stampa. Si trattava, comunque, della quinta sconfitta nelle ultime sette partite.
«Io posso cambiare tutto. Ma penso che siano il cervello e il cuore che fanno cambiare le cose. Non l’aspetto tattico». De Zerbi è arrivato alla partita con il Montpellier di sabato scorso con la tranquillità apparente di chi sapeva che, vincendo con l’ultima in classifica (già retrocessa con 15 punti appena) a quattro giornate dalla fine, avrebbe potuto conquistare un pezzo consistente della qualificazione in Champions League.
L’OM ha giocato un primo tempo contratto, «frenato» ha detto De Zerbi, ma poi si è lasciato andare nel secondo. I primi quattro gol sono stati causati dagli inserimenti dei “braccetti”: Ulisses Garcia (anche lui rilanciato da De Zerbi, come l’esterno destro Luis Henrique, uno dei migliori in stagione) ha procurato il rigore per il gol del vantaggio e poi ha fatto l’assist per il quarto gol di Rowe. Murillo ha fatto quelli per il secondo e il terzo gol. Questo, a testimonianza della brillantezza di cui è capace l’OM di De Zerbi quando è sufficientemente intenso e alto sul campo.
Dopo la vittoria netta (5-1) l’OM è tornato secondo in classifica. In Champions vanno le prime tre ma il Lille, con cui il Marsiglia gioca tra due settimane, è quarto in classifica e ha appena due punti di distacco. È tornata un po’ di serenità ma è comunque un momento complicato, al punto che De Zerbi, come ha rivelato sempre L’Equipe, ha pensato di far allenare la squadra lontana da Marsiglia, forse proprio in Italia, per restare concentrati.
Un’altra scelta estrema di De Zerbi, persino per gli standard di una città come Marsiglia. «A volte è eccessivo», ha detto Benatia durante la crisi di novembre, «ma è perfetto per noi». Jean-Claude Izzo, uno degli scrittori che ha meglio cantato Marsiglia (e con un padre italiano) ha scritto: «la mia città non è una fine in sé. Ma solamente una porta aperta». È impossibile sapere quanto a lungo ci si fermerà Roberto De Zerbi, di certo sta facendo di tutto per rendere il suo passaggio memorabile e dare senso a ogni giorno che passa in Costa Azzurra. Vedremo poi, su cosa apre questa porta.