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L'ottimista del gol
04 set 2015
8 gol per spiegare (e forse smentire) la presunta pazzia di Martín Palermo.
(articolo)
10 min
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Se avessi un briciolo in più di faccia tosta forse mi andrei a incatenare di fronte al Bureau Internazionale dei Pesi e delle Misure fin quando non vedrei riconosciuta l’unità di misura martinpalermo™. Dopotutto le inferriate del Pavillon de Breteuil a Sèvres sembrano fatte apposta per inscenare un sit-in pacifico. E poi sono certo che i sevresini solidarizzerebbero con me portandomi caciotte e simpatia.

Sarei disposto a intrufolarmi a conferenze e programmi televisivi per spiegare che sebbene non esistano molte cose nell’universo dello scibile misurabili in martinpalermi™, ci sono pur sempre certi gol di Martín Palermo, il centravanti più tipico eppure più immotivatamente folkloristico, agli occhi dell’osservatore esterno, della storia calcistica argentina degli ultimi vent’anni.

Il martinpalermo™, in definitiva, non serve a nient’altro che a misurare il rapporto tra quello che ti aspetti possa fare un calciatore con la maglia numero 9 e il livello di assurdità che può raggiungere l’esecuzione reale se quella maglia numero 9 la indossa el loco. Per esempio, questa è una rete da 10 martinpalermi™:

4 Ottobre 2009: Boca 3 Vélez Sarsfield 2.

Assodato che la voce di Victor Hugo Morales (sì, quella voce) riuscirebbe a rendere epico anche il racconto di Roberto Trotta che stappa una bottiglia di Malbec durante un asado tra amici, c’è effettivamente qualcosa di titanico e travolgente nell’afflato eroico con il quale Palermo incrocia il rilancio del portiere del Vélez, Marcelo Germán Montoya, mettendoci la testa, immolandosi, per segnare con un cabezazo il gol che vale la vittoria per il Boca.

Nel momento in cui la sfera intercetta la testa di Martín (perché questa è l’impressione, e non il contrario) tra la linea di porta e la zazzera bionda di Palermo intercorrono 39 metri, ovvero 88 cubiti, ovvero 0,194 stadi, vale a dire 225 orgyia, 225 coppie di braccia distese che idealmente avvolgono Palermo e la sua pazza idea di provare a farlo, prima ancora di farlo tout court, un gol così. Credo sia un record: di certo è un case study cristallino per capire cosa servono a misurare i martinpalermi™.

Dei tre soprannomi dei quali Martín Palermo è stato fregiato, el loco mi sembra quello che dice meno di lui. C’è una certa leggerezza goliardica, in Argentina, nel chiamare qualcuno pazzo: Palermo è loco perché ha degli atteggiamenti poco convenzionali in campo? Perché dopo un gol contro il Gimnasia La Plata si bacia gli scarpini bianchi e rossi, cioè dei colori dell’Estudiantes, cioè la squadra che l’ha lanciato (e per la quale ha segnato il primo gol misurabile in martinpalermi™, nella sua parentesi Eminem) e che è rivale acerrima del Gimnasia LP? Palermo è loco perché per festeggiare inscena balletti osceni?

Gli altri due soprannomi, invece, mi sembrano più puntuali, forse più didascalici, certamente più suoi: el titán, il titano. Oppure, come l’ha definito una volta Carlos Bianchi: l’ottimista del gol.

24 Febbraio 2007: Independiente 1 Boca 3.

Per segnare una rete del genere bisogna averci molto ottimismo, credere in sé stessi fino all’autocelebrazione, entrare in un mood tale per cui tra te e te ti dici «ma sì, il portiere è fuori dai pali, quasi quasi ci provo, audaces fortuna iuvat», e prima ancora di arrivare a pensare al latinismo il piede d’appoggio si è già allineato con la sfera, e l’altro ha iniziato il movimento oscillatorio che si concluderà con il colpo magistrale, estroso, martinpalermico a livello 9/9,5.

12 Novembre 1999: Boca 3 San Lorenzo 0.

Oscar Passet, il portiere del San Lorenzo che è stato appena beffato dalla palombella di Palermo, ha raccontato di avergli urlato, dopo aver raccolto la palla dal fondo del sacco: «Qué horto tenés». Horto è quella parolaccia che si usa nella locuzione romper el horto, che poi è, più o meno, quel che fece il Boca al Ciclón in quella quattordicesima giornata del Clausura 1999.

Macri, storico presidente del Boca, una volta ha utilizzato un’immagine molto poetica per descrivere il rapporto tra Palermo e il Boca inteso come squadra, società, hinchada: ha detto che più o meno il Boca è come un’onda, che ti travolge e se non sei capace di dominarla rischi di finire affogato. Martín no, perché è sempre stato un ottimo surfista.

L’abilità da surfer di Palermo è strettamente collegata al suo ottimismo innato, alla sua semplicità, che a ben pensarci cozza un po’ con l’aura di pazzia che gli è stata ritagliata attorno. Sentirlo parlare, raccontarsi, anche a posteriori rispetto alla sua carriera, ci restituisce l’immagine di un uomo al contrario molto normale, o almeno di una genialità media, anche e soprattutto in campo: devo confessare che selezionare le reti più significative della sua presunta pazzia non è stato semplicissimo, e il risultato è la scrematura di una lista non troppo più lunga di venti, venticinque reti in qualche modo ascrivibili al genere.

Perché la cifra del Palermo cannoniere, al contrario di quanto si possa pensare, è una certa ricorsività di controlli al limite e diagonali, oppure colpi di testa (in senso stretto, e non lato). Le 253 reti ufficiali di Palermo, al 90%, sono reti ordinarie. Anche se sono una caterva.

28 Novembre 2000. Finale di Coppa Intercontinentale: Boca 2 Real Madrid 1.

Piuttosto, a risultare annichilenti spesso sono gli assist dei rimanenti due terzi di una triade devastante che ha fatto le fortune degli xenéizes a cavallo tra la metà degli anni Novanta e il principio del Duemila, vale a dire quella formata da lui, Román Riquelme e Guillermo Barros Schelotto.

Prendiamo le due reti segnate da Palermo contro il Real Madrid nella finale di Intercontinentale 2000: Martín non fa nulla di inatteso o eccezionale. In occasione del primo gol si fa semplicemente trovare dove ci si aspetta che si trovi un nueve quando il laterale (in quel caso Delgado, ma sarebbe potuto essere Schelotto) affonda sulla fascia e si crea uno spazio per metterla al centro. E la corsa verso la palla, il controllo normalissimo, lo scontato diagonale a incrociare del secondo gol sono nulla in confronto al coniglio pazzesco che estrae dal cilindro Román quaranta metri più indietro. Questa, se è locura, è per osmosi.

Oggi Palermo preferisce non pronunciarsi su Riquelme, che notoriamente non era proprio la persona più tranquilla con cui convivere all’interno di uno spogliatoio, e di un campo. In una partita contro l’Arsenal de Sarandí, dopo avergli servito l’assist per un gol facile facile, Román anziché correre ad abbracciarlo ha scelto di festeggiare per i fatti suoi. Se Palermo è Gauguin, e le sue reti le pennellate variopinte con cui ritrae la Polinesia francese, Román è van Gogh che per l’insostenibilità della situazione si taglia un orecchio. Alla fine il pazzo, però, era sempre Palermo.

Quello che voglio dire è che se volessimo cercare un’immagine iconica di Palermo non dovremmo per niente scandagliare nel novero delle sue reti fiutando spettacolari rovesciate o colpi balisticamente perfetti. Quello che non voglio dire è che Palermo non fosse capace di sciorinare colpi del genere.

2 Marzo 2005: Boca 3 Sporting Cristal 0, Copa Libertadores.

Contro i peruviani dello Sporting Cristal, nella Libertadores 2005, Martín riceve palla sul versante destro dell’area di rigore avversaria, la controlla, poi pennella una parabola che dì, te la saresti aspettata? Se si fosse insaccata nel sette ci saremmo guardati, cogliendoci negli occhi lo sberleffo, il guizzo inaspettato di un pensiero inedito: vuoi vedere che ha i piedi buoni?

Ma la palla colpisce la traversa, poi rimbalza sul palo, sorpassa la linea pochi frammenti di secondo prima di completare la carambola sul palo opposto, e di rimpallare nell’area piccola. Il portiere peruviano abbozza una reattività del tipo non-è-successo-davvero, sperando che nessuno se ne sia accorto. E invece è successo, e inevitabilmente in maniera assurda: l’aspetto affascinante della locura di Palermo è che è inesperada.

Ho capito, guardando i suoi gol, che Palermo forse non è pazzo, perché per dirla con le parole di Cortázar ne Il giro del giorno in ottanta mondi «il vero matto tende a credersi assennato»; Martín è più uno svitato, del tipo che mentre tutti frenano quando vedono un semaforo rosso lui preme l’acceleratore, e che Dio gliela mandi buona.

Quando poi gliela manda davvero buona, però, non sembra crederci davvero: non c’è compiacimento, forse neppure consapevolezza. Palermo, quando segna un gol pazzo tipo quest’altro in rovesciata contro il Banfield, quando ci prova e ci riesce, è divertito, stupito, in una parola felice. Ma non come il professionista che ha svolto egregiamente il suo lavoro; direi più come il ragazzino che ha azzeccato la giocata del pomeriggio alla PlayStation.

Alla lunga segnare reti o ergersi a protagonista di situazioni divertenti, ridicole o assurde può anche ritorcertisi contro: non è detto che ti trovi sempre a tuo agio, a indossare il cappello a sonagli del giullare.

Se mai esiste una sacca di rammarico nel diario segreto dell’esperienza calcistica di Martín Palermo, credo che vada cercata sotto la voce Penalty. El loco è riuscito a donare una nuance massimamente martinpalermica anche all’evento probabilmente meno fantasioso, in potenza, del micromondo che vive la sua palingenesi a ogni fischio iniziale di una partita. Ma Martín era un Re Mida dal tocco lisergico: riusciva a rendere allucinogeno qualsiasi pallone toccato, figuriamoci uno fermo sul disco di gesso.

24 Aprile 1999: Platense 0 Boca 2.

Il calcio di rigore contro i calamari del Platense è famoso per essere stato il primo (e di certo uno dei pochi convalidati) rigori calciati con entrambi i piedi: al momento di impattare il pallone Palermo scivola, più nella maniera goffa di Beckham contro la Turchia che in quella drammatica di Terry a Mosca, sfiorando la sfera con il sinistro e poi con il destro. Da un punto di vista regolamentare sarebbe stato da annullare.

Sebbene lo definisca il gol più brutto della sua carriera, credo che Palermo parli sempre molto volentieri di quel penalty perché è un aneddoto simpatico, passepartout che gli consente di ripulire la sua immagine e cavarsi d’impaccio quando il discorso comincia a incrociare le orbite dei pianeti Palermo e Calcio Di Rigore mettendoli pericolosamente in rotta di collisione.

Il punto di impatto si chiama Colombia-Argentina, 4 Luglio 1999: è l’episodio più infamante della carriera di Palermo, e forse quello che più coerentemente gli è valso l’epiteto di loco. Perché spesso la perseveranza (e la cocciutaggine) vengono confuse con la pazzia. E c’è da farci caso: soltanto quando le cose non vanno per il verso giusto.

È per questo che qua non troverete alcun video dei tre rigori sbagliati nella stessa partita da Martín, ma solo questo gesto di stizza—dopo il secondo errore—che racchiude in sé tutto lo scoramento dell’ottimista del gol (che in quanto ottimista si farà carico di calciare anche il terzo rigore, con l’epilogo che conosciamo già).

Forse Martín Palermo, dopotutto, non è stato poi così loco: non quanto sarebbe lecito aspettarsi per come l’immaginario collettivo ha forgiato la sua immagine. Di certo non lo sono stati molti dei suoi gol. Però sul finire della sua carriera ventennale la storia e il pallone hanno deciso di regalargli dei momenti davvero folli, di quella follia genuina che suscita emozionata compassione.

10 Ottobre 2009: Argentina 2 Perù 1.

Quando nel 2009 Diego Armando Maradona lo ha convocato per le ultime partite di qualificazione ai Mondiali sudafricani, Palermo mancava dalla Albiceleste da quasi dieci anni: più o meno dai tre rigori consecutivi sbagliati contro la Colombia.

Dopo esser stati raggiunti all’89’ da un Perù ormai fuori dai giochi, gli argentini sentivano già lo spettro della mancata qualificazione diretta materializzarsi nella cancha del Monumental. La rete che segna Martín al 92’ è squisitamente palermica: non è bella, e non è pure particolarmente difficile, perché la palla che schizza tra una selva di gambe termina tra i suoi piedi a porta spalancata e portiere fuori causa. Però, per buttarla dentro, quella palla, devi avere la scintillanza che non appartiene a tutti, devi farti trovare nella giusta posizione in quell’hic et nunc, e poi devi avere la pazzia di non farti prendere la pazzia, mantenere la lucidità ed entrare nell’epica.

È questo che significava essere Martín Palermo: segnare la prima rete a un Mondiale a 36 anni, davanti a tua madre, nel giorno dell’ultima partita con la Selección; guadagnarsi tanto di quell’affetto che la tua squadra del cuore possa sentirsi in diritto di intitolarti la traversa di una delle porte del suo stadio, prima di eradicarla e fartene dono.

Misurare la distanza tra il semplice indossare una maglia numero 9 e farlo diventare, per modalità interpretative e assurdità delle conseguenze, un gesto folle e rivoluzionario è qualcosa che si fa fatica a spiegare con le parole. È esattamente per questo che sono stati inventati i martinpalermi™.

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