Marvin Vettori è il fighter italiano più di successo in questo momento, viene da tre vittorie consecutive ed è entrato nella top 15 del ranking UFC dei Pesi Medi. Anche per questo si inizia a parlare di lui e di MMA anche sui media mainstream, in Italia, mentre il pubblico di appassionati nutre aspettative sempre più grandi su di lui. I suoi miglioramenti sono sotto gli occhi di tutti e per la prima volta in carriera sembra potersi godere il frutto dei sacrifici compiuti negli ultimi anni, a cominciare da quando giovanissimo ha lasciato Mezzocorona, il paese in Trentino dove è cresciuto, per tentare le sue chances in l’Inghilterra e negli Stati Uniti.
Al tempo stesso, il percorso recente di Vettori è stato tormentato dagli accidenti. Prima, a inizio 2019, la sospensione dell’agenzia antidoping americana per degli integratori contaminati da ostarina. Un caso che non riguardava solo lui e che è stato risolto dalla stessa agenzia antidoping americana che ha riconosciuto l’involontarietà della contaminazione; poi una sequenza di incontri rifiutati dai suoi possibili avversari, saltati o spostati.
Avrebbe dovuto combattere a marzo 2020 nell’evento di Londra, ma il coronavirus si è messo di mezzo e quando l’UFC ha trovato un accordo per far combattere, in quegli stessi giorni, alcuni fighter in programma con la promotion inglese Cage Warriors, Vettori aveva già preso l’aereo per tornare in California dove vive. Avrebbe dovuto combattere a maggio, ma il suo avversario, Karl Roberson, è finito all’ospedale poche ore prima, e quando i due si sono incontrati nella hall dell’hotel il video del confronto è diventato virale. L’incontro è slittato di un mese, Vettori ha tagliato nuovamente il peso mentre Roberson si è presentato con due chili di troppo. Alla fine ha vinto lui, con una sottomissione al primo round e una prestazione dominante che ha messo a tacere i suoi critici.
Per qualcuno questa scena è servita ad attirargli l’attenzione dei media statunitensi.
È stato un anno felice per te, arrivato però dopo mesi complicati. Come ti senti oggi?
I risultati sono stati positivi, ma non è andato tutto liscio, anzi. Ho fatto un camp lungo sei mesi... Anche adesso in realtà è un casino trovare avversari e sono ancora un po’ in fase di stallo. Detto questo sono contento, sto proseguendo sulla strada giusta, ma le difficoltà ci sono sempre.
Quale è stato l’aspetto più duro da affrontare in questo periodo? La sospensione, i match che saltavano? Qual è stato il momento in cui ti sei sentito più sovraccarico?
Quando a marzo è saltato il match che dovevo combattere a Londra è stato brutto. Perché ero pronto, ero carichissimo, anche di testa stavo bene e volevo veramente combattere a tutti i costi. Per un po’ pensavo si riuscisse a tenerlo in piedi, spostandolo magari di una settimana o due... poi alla fine se fossi stato ancora a Londra avrei combattuto nel Cage Warrior, dove ha combattuto il mio avversario (Darren Stewart ndr) con un altro che lo ha battuto (Bartosz Fabinski ndr) quindi nella mia testa mi sono detto che lo avrei massacrato…
Poi c’è stato un periodo ancora più brutto, in cui non si sapeva se la UFC avrebbe continuato a fare lo show, se si sarebbe dovuto fermare per un po’... anche in quel periodo mi sono saltati dei match, mi hanno dato un paio di contratti per incontri che gli avversari, per un motivo o per un altro, non hanno accettato. Insomma, un casino fino al match in programma per il 13 maggio: io mi preparo per il 13 maggio e salta il match di nuovo. Avevo fatto il peso e tutto e finalmente sono riuscito a combattere un mese dopo.
Economicamente come ha funzionato quel periodo?
La UFC per Londra qualcosa mi ha dato, anche se non molto. Poi quando Roberson si è ritirato la prima volta io comunque ero pronto e i soldi per combattere li ho presi (non quelli per la vittoria ndr) e poi dopo ho preso tutto più il bonus Performance of The Night, quindi non ti dico che è come se avessi combattuto due volte ma quasi.
Adesso mi sembri meno nervoso rispetto ad anni fa, anche quando sali nell’ottagono. Inizi a sentire che stai dimostrando il tuo valore?
Io sono sempre in evoluzione sotto tutti gli aspetti, anche a livello mentale mi sento sempre meglio. È già da un po’ che non salgo sul ring incazzato, oppure nervoso. Cerco di entrare senza nessun tipo di emozione.
Con Roberson però qualche emozione c’è stata, Mi racconti come è nata la scena nella lobby con Roberson? Cioè ti ha chiamato qualcuno per dirti che stava lì, vi siete incontrati per caso? Avevi pensato a cosa gli avresti detto?
Nelle interviste prima dell’incontro mi chiedevano se sarei andato su e gli sarei corso addosso cercando di staccargli la testa. Che poi è così, ma devi farlo in modo tecnico. Non puoi fare il kamikaze, lo devi rompere piano piano. Per quanto mi riguarda, quando salgo sul ring non devo essere né troppo eccitato né spento. Ma per me è praticamente impossibile essere spento, io devo solo cercare di non farmi condizionare dalle emozioni.
Considera che in quel caso Roberson si è ritirato dopo il peso, io sono andato a dormire tranquillo e l’ho scoperto il giorno dopo. Ovviamente ho un attimo perso le staffe, sono stato incazzatissimo tutta la mattina e penso sia anche normale. Poi ero giù a pranzo a mangiare e mi guardavo intorno, lo stavo aspettando per chiedergli che cazzo era successo, come poteva essere arrivato al punto di ritirarsi. Perché un conto è leggerlo nelle news un altro guardarlo negli occhi e farselo dire personalmente. Ma non è che avessi intenzioni maligne fin da subito, non mi sarei approcciato a lui in maniera particolarmente aggressiva. Quelli del mio team sapevano che stavo aspettando di vederlo, e il mio nutrizionista (italiano come lui, Matteo Capodaglio, ndr) ha visto Roberson che scendeva con tutto il suo staff, allora io sono andato lì dove c’erano gli ascensori e gli ho chiesto cosa era successo, come mai il giorno prima, al peso, era tutto arzillo e poi si è ritirato.
Lui non ha neanche parlato, si è messo subito in mezzo il suo coach che ha detto “Ah no, è stato male, è svenuto, in ospedale gli hanno detto che stava rischiando la rabdomiolisi”. Però se veramente avesse avuto la “rabdo” sarebbe dovuto restare in ospedale una settimana, non è che ti rilasciano il giorno stesso. Nella mia testa mi dicevo: ok, è svenuto, ma ci potevano essere mille ragioni. Mi sono messo nei suoi panni, perché è la cosa giusta da fare, e mi sono detto: ma se io arrivo al giorno del match e svengo, col cazzo che la prima cosa che faccio chiamo i medici dell’UFC, perché è chiaro che non ti fanno combattere. Questa storia della rabdo era una balla madornale perché se ce l’avesse avuta non sarebbe stato là…
(Per dovere di cronaca, Roberson ha descritto in questo modo il momento in cui decide di ritirarsi: «Durante il taglio del peso ho iniziato ad avere delle convulsioni, delle piccole convulsioni, e abbiamo dovuto interrompere il taglio del peso (...) Quando ho provato a reidratarmi il mio corpo non ha reagito, le gambe mi hanno ceduto e sono svenuto, ho sbattuto la testa e pensavano stessi andando incontro alla rabdomiolisi. Le funzioni del mio cervello hanno smesso di funzionare e così mi hanno portato all'ospedale, dove mi hanno reidratato e controllato che non fossi completamente distrutto. E mi hanno tolto dalla card»).
Fatto sta che io li ho visti tutti un po’ così, scazzati, dispiaciuti dell’accaduto, e me ne stavo andando. Però prima di andarmene ho guardato Roberson negli occhi e gli ho detto: “You know you fucked up right?”. E lui di colpo si accende e mi dice che ha sentito che io ho detto che aveva paura di combattere con me. A parte che non lo avevo detto, ma comunque lo pensavo al 100%, anche perché non solo sta bene ma adesso di colpo mi confronta pure… e da lì è partito tutto. Adesso fai lo scemo nella lobby quando avremmo dovuto combattere tra due o tre ore?
Non ne avete più parlato dopo? In generale dopo gli incontri parli con i fighter con cui combatti?
Dopo che ti ho menato nel modo in cui l’ho fatto, di che dobbiamo parlare? Molte persone pensano che sia tutto costruito, ma quello che leggi nelle news, anche se lì è strumentalizzato, succede sul serio. Non mi vedrete mai fare quello che dice le cose giusto per dirle e per creare hype. Per me è lavoro, io contro di lui non avevo nulla fino al peso. Ho cominciato ad avere qualcosa contro di lui quando ha cominciato a non essere professionale. Non portando a termine il suo compito: entrare in gabbia.
Dopo il match dovrei andare io a cercarlo o lui a cercarmi, non ha senso. È finita. Poi dopo il match con Sanchez, è successo che mi sono trovato in ascensore io, altri due del mio team, lui e la sua ragazza. È stato un momento un po’ strano, ci siamo detti due parole così, mi ha fatto anche ridere la situazione. Per me è come se fosse un capitolo, una volta finito lo chiudi. Che senso ha per me portarmi dietro degli screzi? Soprattutto dopo aver battuto un avversario in modo dominante.
In questo periodo sembri sinceramente deluso del fatto che alcuni fighter davanti a te nei ranking non ti accettano come avversario. Secondo te da che dipende?
Certo che sono sinceramente deluso. Io non posso continuare la mia missione di arrivare in cima perché gli avversari rifiutano gli incontri. Mi sento bloccato. Perché? Perché il mio è un match che tutti sanno essere molto scomodo e allo stesso tempo per loro c’è poco guadagno, perché magari non sono ancora “scoppiato” in America. C’è quasi solo rischio e poco guadagno. Sono in un limbo in cui la gente mi conosce ma non sono ancora un nome grosso.
Tu hai fatto i nomi di Jacare e Anderson Silva, che ok sono conosciuti e un po’ in fase calante e non avrebbero molto da guadagnare combattendo con te. Ma hai parlato anche di Krzysztof Jotko e Ian Heinisch. E non è che Ian Heinisch (arrivato in UFC due anni fa, con un record in UFC di 3-2, una posizione davanti a Vettori nel ranking dei Pesi Medi, ndr) abbia chissà che nome…
Lui è venuto fuori con questa storia che spacciava pillole e in carcere è diventato un fighter, ma in realtà è il più “pussy” della divisione. Uno scarsone imbarazzante. Tre o quattro volte l’ho confrontato sulla questione, non dal vivo, e manco ribatte, sta zitto. Personaggi così sono proprio dei codardi, ti evitano perché sanno di perdere. Uno come Ian Heinisch è meno nome di me. Ma chi cazzo lo conosce Ian Heinisch? Lui avrebbe anche dei vantaggi nel combattere con me, ma non lo fa perché perderebbe. Io Anderson Silva lo capisco, ma Ian Heinisch che è arrivato in UFC due anni dopo di me, non è nessuno.
Quale sarebbe, secondo te, un match fattibile e che soddisferebbe le tue ambizioni?
Abbiamo provato a combattere con Chris Weidman e adesso spero possa succedere. Sarebbe un match che mi piacerebbe tantissimo.
Tu quando saresti pronto a combattere di nuovo?
Fine ottobre, inizio novembre io sono pronto.
La vittoria dominante con Roberson che lo ha lanciato nella top 15.
Tornando al match contro Roberson, contro di lui è arrivata la seconda ghigliottina della tua carriera UFC dopo quella con Alberto Uda, all’esordio. Secondo molti dovresti cercare di spostare più spesso il match a terra, cercare di chiuderli più spesso con le sottomissioni.
Può darsi. Penso che in futuro si vedranno anche KO da parte mia. Sicuramente finirò sempre più match, questo è sicuro.
Però anche in questo caso la finalizzazione non è arrivata nella fase di Ground and Pound. E quello che manca, guardando il tuo record, sono proprio i KO e i TKO. Pensi che sia un caso o un limite su cui lavorare, che si possa acquistare la famosa “castagna da knockdown”?
Il mio Ground and Pound è buono, con Roberson ho fatto degli errori in quella particolare situazione e so esattamente quali sono, ma di solito il mio GnP è parecchio efficace. Da sempre, con Uda ma anche con Cara de Sapato non è stato male. Con Ferreira, quell’attimo che è stato già l’ho aperto completamente in faccia. Il Ground and Pound di per sé non è un problema, ci continuerò a lavorare ma non penso sia una cosa in cui pecchi. Il KO sicuramente può essere lavorato. Nel senso che si può lavorare sulla tecnica dei pugni, migliorarla il più possibile. E penso di averla migliorata già molto, anche da quando ho cominciato a lavorare con Julian Chua, che era al mio angolo nell’ultimo match, in cui però sono stato pochissimo in piedi.
È stato strano che Roberson, un po’ a sorpresa, ti abbia portato a terra all’inizio, poi sei stato fenomenale nello scramble anche quando lui ha fatto quel ribaltamento pazzesco, tipo parkour, e tu l’hai tenuto giù… ma qual era la strategia iniziale?
La strategia era di stare in piedi senza nessun problema, e nel momento in cui fossimo entrati in clintch o nella zona del grappling, di usare le mie qualità, perché sapevo di essere superiore a lui. Come penso di essere superiore a praticamente qualsiasi fighter nella middlewight division, nel grappling.
C’è un cosa che molti non capiscono. Quando io sono entrato su quel single leg, all’inizio, l’entrata era sbagliata e lo so benissimo, ma l’ho fatta perché io mi sentivo tranquillissimo, sentivo di poterla fare. Mi sono esposto al suo tentativo di presa alla schiena, da cui però mi sono subito difeso: ero superiore dappertutto, ho fatto quell’entrata “sbagliata” perché poi sapevo di potermi sistemare nel grappling. E così è stato. Può lui ha fatto quell’uscita che non mi aspettavo ma quando l’ho ribaltato dopo, nel giro di pochissimo, sarò stato sotto una decina di secondi, lui poi si è rotto. Di testa è partito, non c’era più.
Negli ultimi incontri non hai solo migliorato il ritmo e il cardio, al punto che adesso nelle terze riprese stai sempre al massimo, ma anche i movimenti di testa, la gestione delle distanze e le parate, che io trovo anche molto belle da vedere. Lo testimoniano anche le basse percentuali di colpi andati a segno di Ferreira (44%), Sanchez (21%) e Roberson (25%). Quale pensi che sia la cosa che fa più la differenza rispetto al Vettori che quattro anni fa arriva in UFC?
Io metto molto attenzione nella difesa, mi concentro per avere una difesa molto solida. Penso sia la cosa più importante del combattimento. Se hai una difesa solidissima, sei difficile da battere. Ci lavoro tanto e sono migliorato, io di solito non guardo le statistiche ma queste parlano chiaro. Nel momento in cui l’avversario non riesce ad andare a segno, non riesce a far danno e a mettere in atto la sua strategia, per lui non è solo frustrante ma è anche un dispendio di energie.
E l’aspetto psicologico quanto conta? Se riguardiamo l’incontro con Akmedov oggi sei più in controllo, gestisci meglio l’aggressività.
Assolutamente sì. A parte che quella con Akmedov è stata una parentesi strana, ero più rotto che sano, avevo un dito del piede rotto, lo sterno rotto, ma non ho voluto ritirarmi perché nella mia carriera non mi sono mai ritirato da un combattimento…
Oggi sono contento di aver combattuto, perché ci sono dei momenti in cui ti rendi conto sei hai le palle o meno. In quel match, comunque, ero un ragazzo, dal punto di vista tecnico, di testa, di tutto. Ma è stato un punto di svolta, da là sono cresciuto tantissimo.
Ricordo che già un’altra volta mi avevi elencato i punti che ti eri messo. A quanto è arrivata la conta dei punti e delle fratture?
Punti neanche a parlarne. Se non arriviamo a cento ci siamo quasi, ormai mi apro sempre il sopracciglio (mi indica una ferita aperta che ha su quello destro ndr) ma ormai non ci faccio più neanche più caso. Fratture di per sé poche, a parte che mi sono rotto un altro dito del piede qualche tempo fa… Ho magagne varie ma adesso è un momento in cui sto bene.
Poco più di due anni fa, l’incontro che Vettori pensa di aver vinto con Adesanya, che nel frattempo è diventato campione.
Fino a poco tempo fa molti ti accusavano di arroganza, ma non si può dire tu abbia mai fatto il passo più lungo della gamba. Una cosa che si sottolinea poco, soprattutto considerando quanto eri giovane quando sei entrato in UFC e che hai già affrontato il campione della tua categoria uscendo bene da quell’incontro (con una sconfitta ai punti molto dibattuta ndr).
Ci sono state delle performance dove non mi sono espresso come avrei voluto, ma le cose possono andare storte. Soprattutto in passato, quando mancavo di esperienza e lungimiranza. Ma adesso, anche in termini di verdetti, non ci sono più passi falsi. Io ci ho sempre messo la faccia, e soprattutto i coglioni. Le parole sono le parole, ma il mio lo farò sempre, cascasse il mondo.
A proposito, su Adesanya hai detto a Italian Fighting Magazine: “Ci ho già vinto, la prossima volta non lascerò alcun dubbio”. Cosa faresti di diverso stavolta?
Io penso di essere superiore a lui come fighter. Non è che entro pensando a un gameplan da mettere in pratica perché altrimenti mi sentirei esposto in altre aree. Sarò migliore di lui come fighter: ci scambierò in piedi, userò il mio wrestling, farò il fighter di MMA a 360 gradi e lo batterò.
Combattere senza pubblico ha cambiato qualcosa? Che effetto ti ha fatto?
Sinceramente non è che cambi tanto. È un po’ diverso, però quando entri in modalità, diciamo, “missione”, non è che ci fai troppo caso. Il mio match, poi, non è durato molto, in altre situazioni il pubblico magari ti può dare un po’ di carica.
In Italia adesso qualcuno ti indica come “modello”. Ma io mi chiedo quanto sia ripetibile quello che hai fatto te, voglio dire con i sacrifici che hai fatto all’inizio.
Ma anche quelli che faccio adesso… più grande è il sogno più grande il sacrificio, non si scappa. Sicuramente è dura. È fattibile, perché se l’ho fatto io si può rifare, ma è dura. Devi estraniarti da tutte quelle che possono essere distrazioni e devi pensare, vivere, respirare MMA dalla mattina alla sera. Se già è difficile arrivare in alto, partire da dove sono partito io è ancora più difficile. Non si può scendere a compromessi. Ogni compromesso a cui scendi te lo porti dietro e prima o poi verrà fuori. Ci sono vari livelli di “commitment”: un conto è dire “voglio arrivare in UFC e restarci”, e se il tuo obiettivo è quello, vincere qua, perdere là, ci puoi anche scendere a compromessi. Però se vuoi arrivare in cima non si può scendere a compromessi...
A cosa ti riferisci?
Anche in America c’è gente che ha tutte le possibilità di questo mondo ma non arriva in cima. Quindi il discorso non è: America sì o America no. Dipende tanto dalla persona di cui stiamo parlando. O vai all-in e dopo, con tutta la fatica di questo mondo, arrivi, oppure non arrivi. Queste sono cose che richiedono il coinvolgimento massimo a livello mentale, fisico, emozionale. Devi volerlo così fortemente da non pensare neanche al resto. Io vedo un sacco di gente intorno a me, ventotto, ventinove anni, cominciano a metter su famiglia, e la casa, e i figli… sono compromessi che da italiani non possiamo permetterci se vogliamo arrivare al top.
Per l’americano è diverso, ma l’americano ha molte meno distrazioni di suo. Io so cosa significa vivere in Italia. In America fai una vita individuale: vai, ti alleni, torni; vai, ti alleni, torni. Basta. Hai le tue commissioni da fare, ma poi basta. In Italia sei parte di mille cose, devi vedere, devi fare, ti chiamano “dai vieni qua”, “facciamo quella cosa”. L’atleta fa fatica. L’atleta deve allenarsi e non deve pensare ad altro. La mia non è una terra migratoria, dal mio paese nessuno va via, sono solo io. Anche a me pesa tantissimo. Ma quante volte io ho dovuto troncare delle relazioni perché so che se scendo a compromessi con le MMA mi vengono fuori più avanti. È un discorso di priorità. Io dov’è che ho problemi? Con le relazioni, perché sono sempre al secondo posto. Se invece metti davanti altre cose poi hai un deficit nelle MMA.
Tu non hai mai avuto un dubbio, un calo di motivazione?
Sicuramente ci sono stati momenti difficili, ma devi conoscere la tua testa. Tutto il percorso serve anche per conoscersi veramente. E poi ovviamente devi pensare al quadro più grande, alla “bigger picture”. Se ti concentri sempre sulle piccole cose che ti succedono ogni giorno molte cose possono andare storte, però devi avere chiaro l’obiettivo finale. E il perché stai facendo quella determinata cosa.
Tu ogni tanto vieni in Italia, ti alleni con Max Reppucci, il tuo nutrizionista è italiano anche se vive in California… da quello che vedi te a che punto è il sistema italiano delle MMA?
Per quanto ami l’Italia e voglia che le MMA italiane abbiano successo io ormai mi sono un po’ estraniato. Tengo i rapporti con pochi, quelli che per me hanno l’approccio giusto. Poi oh, adesso si parla di me perché sono quello che sta avendo più successo, poi magari tra due anni viene fuori uno che è un fenomeno e ha un approccio diverso e ha successo lo stesso. Se c’è una cosa di cui mi sono reso conto è che nello sport non c’è solo un modo per arrivare al top, ce ne sono cento, ce ne sono mille, ce ne sono un’infinità. E ognuno ha ragione a modo suo, perché se è arrivato là ha ragione.
Però è difficile adesso in Italia, perché sono tutti un po’ divisi. Ognuno guarda il suo e ci sono troppo faide, per quelle che sono veramente delle briciole. In Italia si pensa di saper far tutto e invece non è così. È un discorso complicato, però fatto sta che il livello è ancora un po’ lontano. Anche il giornalismo italiano sulle MMA tante volte è un po’ spiccio, si cerca il gossip di basso livello. Invece di fare informazione seria per quelle pochissime persone a cui piace.
Pensi che Di Chirico abbia ricevuto troppe critiche dopo l’incontro con Cummings?
È stato un incontro tirato. Tutti e tre gli ultimi suoi match sono stati tirati, secondo me quello con Holland e quello con Muradov dovevano essere suoi, per dire, ma anche qui a parte quel mezzo KO finale, Cummings non ha fatto niente. Poi il verdetto capita che sia sbagliato... È successo tante volte anche a me, con Akhmedov e con Adesanya anche io pensavo che non fossero giusti, però non bisogna star troppo a guardare i verdetti. Alessio ha delle grandissime potenzialità secondo me, se fa quel passetto in più, match di questo tipo li vince senza alcun dubbio. Poi per le critiche in Italia, come detto, io non le guardo… vedi adesso danno tutti credito a me, ma sono giudizi volatili…
Cosa ti aspetti dall’incontro tra Borracinha e Adesanya?
Secondo me vince Adesanya. Perché è un fighter molto più solido, in generale. In gabbia ha autorità, ha un livello di abilità superiore. Borracinha è duro e ha buona potenza, ma sono abilità di più basso livello di quelle che ha Adesanya. Le verità abilità sono: prevedere quello che l’avversario farà, vedere i colpi e riuscire a guidare l’avversario dove vuoi. Queste sono qualità vere, e Borracinha non le ha.
E tu ce le hai?
Ci lavoriamo sempre di più.