
Massimiliano Allegri mi era mancato. Cominciamo da qui. È stato via solo un anno ma sono sembrati almeno un paio. Se non di più. Forse perché l’immagine che conservo nella mia memoria è quella dell’Allegri vincente, non quello dell’ultimo triennio, quindi, piuttosto quello dei cinque scudetti consecutivi, Allegri pre-covid.
Mi è mancata la sua energia dispettosa, furba, beffarda, che sa parlare agli italiani - a quasi tutti, almeno. Mi è mancata la sua mimica facciale, gli occhi strizzati come panni da cui far uscire l’acqua, le rughe della fronte sempre più ironiche (Spalletti, per dire, le sa solo piegare all’ingiù, le sue rughe, per esprimere il pathos, la drammaticità con cui vive ogni momento), le sopracciglia che Allegri usa come uno strumento musicale, squillanti come una tromba jazz.
Mi è mancata quell’aria da intoccabile, da persona superiore a tutto, da re dell’aperitivo, leggero a costo di apparire superficiale, o crudele. Mi è mancato il suo desiderio di piacere, di intrattenere, di divertire; mi è mancata persino la sua sottile competitività, quell’aggressività che gli fa brillare i denti, la voglia di primeggiare, di essere comunque il migliore - quello che gli scherzi li fa, non che li subisce - il più fico della stanza, in ogni stanza.
Mi è mancato Max Allegri felice, tranquillo, circondato da persone che, come è successo nella prima conferenza stampa di ritorno al Milan, lo accolgono come un liberatore, come un politico esiliato da una dittatura sovietica, grigia, ormai caduta.
Quindi, in bocca al lupo Max, spero sinceramente di vederti così felice il più a lungo possibile.
___STEADY_PAYWALL___