Il 12 giugno 2014 non è ancora estate, ma il caldo è già pungente. Nulla sembra poter distrarre l’informazione italiana dal Mondiale brasiliano, se non fosse che la Sampdoria cambia proprietario. Il nuovo presidente è Ferrero: proprio quando molte squadre di A finiscono in mano a proprietà straniere, una multinazionale italiana di successo investe sulla Serie A? Qualcosa non torna, e infatti non si parla di cioccolata. Il “Ferrero” è un altro: Massimo. Un nome che dice poco a chi non conosca un minimo l’ambiente cinematografico o industriale romano. La cessione a titolo gratuito da Edoardo Garrone, con una dote di 15 milioni di debiti, è solo la lunga coda di un rapporto mai decollato tra il figlio di Riccardo e la tifoseria sampdoriana.
Dopo sette anni da quel pomeriggio caldo e confuso, abbiamo un’idea più chiara di cosa questo passaggio abbia rappresentato. In seguito all’arresto per reati societari e bancarotta fraudolenta, Massimo Ferrero si è dimesso da presidente il 6 dicembre scorso, dovendosi concentrare su quanto lo attenderà in sede giudiziaria. In attesa di vedere che fine farà la Sampdoria, è il momento di interrogarsi su cosa ha rappresentato la presidenza Ferrero. Non tanto dal punto di vista giudiziario, ma da quello sportivo e narrativo nel calcio italiano, di cui la vicenda Ferrero rappresenta un esempio fra i più rivelativi.
Così vanno le cose
Nel 2014 Ferrero ha una catena di cinema a Roma, è stato coinvolto nella bancarotta della compagnia aerea Livingston ed è stato sposato con Laura Sini, membro della famiglia che gestisce un’importante azienda casearia nel viterbese. Sarà un vago presagio o l’amore mai sbocciato con l’ambiente genovese, ma Il Secolo XIX subito menziona le “caciotte” nel delineare un profilo del neopresidente il giorno dopo l’acquisizione del club blucerchiato.
Sembra quasi che la Sampdoria sia il vero trampolino di lancio della vita manageriale e mediatica di Ferrero: oltre alla Livingston, i suoi film non ripagano gli investimenti e compra cinema in un’epoca dove molti di essi vengono chiusi. La Sampdoria sembra la luce sul palcoscenico della vita per un guascone, innamorato del cinema e che dichiara di “esser nato in un teatro”.
In un’altra vita, Ferrero ha avuto ambizioni attoriali, con qualche comparsatatra gli anni ’80 e ’90.
E mentre Ferrero anela a un pubblico che lo adori, la Samp ha perso da tempo la luce della ribalta. Nei quattro anni precedenti al passaggio di proprietà, il Doria ha vissuto un andamento schizofrenico: dalla possibilità di giocarsi la Champions League nel 2010 a una clamorosa retrocessione in Serie B appena 12 mesi più tardi. Di quella squadra magica, non è rimasto più nulla.
Non solo, però, perché scendere agli inferi dopo aver toccato il cielo con un dito non sembrava bastare. Nonostante lo status di favorita obbligata, la Samp fatica i primi mesi di cadetteria e rischia di rimanere impantanata in seconda serie, se non fosse che un cambio di allenatore, qualche acquisto e la vittoria dei play-off la riportano in A. Purtroppo, il sospiro di sollievo non si trasformerà in qualcosa di più.
In due anni di allenatori cambiati, giocatori che vanno e vengono e talenti persi (Icardi, per dire forse il più brillante), la Sampdoria è solo l’ombra di quello che aveva faticosamente costruito in otto anni di gestione Marotta. L’ex a.d. – diventato costruttore di successo della Juventus prima di Conte e poi di Allegri – è un lontano ricordo e nessuno è stato in grado di prendere il suo posto. Allo stesso modo, la gestione della parte sportiva ha lasciato la tifoseria tiepida e disillusa, un po’ come se l'umore di Genova dovesse ironicamente riflettersi sul Doria. A questo, si aggiunge la morte di Riccardo Garrone nel gennaio 2013, che spinge il figlio Edoardo – vicepresidente con ampi poteri già dal 2011 – a progettare la cessione. Non ci sono più energie, né soldi da spendere. Nella vulgata della famiglia Garrone si cita il “D-Day” blucerchiato, quell’11 gennaio 2002 nel quale Riccardo rilevò la società, vicina al fallimento e con lo spettro della C all’orizzonte.
I Garrone ci hanno sempre tenuto a ricordare questo sacrificio fatto negli anni, mai stato in realtà troppo apprezzato dalla parte blucerchiata di Genova. Sarà anche per questo che la cessione avviene a titolo gratuito e a Massimo Ferrero. Come a dire: «Avete voluto la cessione a tutti i costi e ora l’avrete».
Ostinato destino
L’arrivo di Ferrero è un divertissement per i media italiani e una tempesta per Genova. Un ambiente così misurato, rigoroso e attaccato alle sue radici – dopo anni tra famiglia Garrone e Mantovani – non riesce ad accettare Ferrero. Il suo arrivo pone diverse sfide. Ferrero dice subito di voler rinunciare a “Lettera da Amsterdam”, l’iconico inno dei New Trolls che accompagna la squadra da anni. È un pessimo inizio: persino uno tiepido come Fabio Fazio pone dei pacati dubbi nella comparsata di Ferrero a Che tempo che fa.
Intanto, però, Ferrero pone le basi per quello che sarà un leitmotiv della sua presidenza: la confusione. Con ogni beneficio del dubbio, è difficile pensare che abbia portato avanti una vera strategia comunicativa da presidente della Sampdoria. Più semplicemente, forse, le persone attorno a lui hanno cercato di limitarne le escandescenze e gli scivoloni, che comunque hanno fornito tanto materiale al mondo sportivo italiano. Quando Ferrero rileva la Samp, la panchina è in mano a Sinisa Mihajlovic, che ha avuto il merito di salvare la barca l’anno prima. Allenatore alla caccia di un nuovo trampolino, il serbo è già alla quinta panchina diversa in appena sei anni di carriera. Ha certamente bisogno di rivalutarsi nella sua reputazione, ma Ferrero non esita a tirare fuori il solito numero: la beatificazione, la difesa a spada tratta.
Mentre i media si concentrano sul suo personaggio (Ferrero è ovunque nei primi mesi di presidenza e scrive anche un libro), lui fa già capire quale sarà il pattern psicologico che lo contraddistinguerà. In una sorta di paradigma de “La volpe e l’uva” , Ferrero segue un percorso preciso:
- L’esaltazione per il presente. In questo caso, Mihajlovic è immediato elevato al meglio su piazza. Nella prima conferenza stampa da presidente, Ferrero dice: “Mihajlovic? È il più grande allenatore, il numero uno, sono un suo fan. Ho due modelli: Garrone e Mihajlovic”.
- L’adorazione al ribasso quando le nuvole si stagliano all’orizzonte. Quando la Samp volta a metà campionato e Mihajlovic è oggetto di attenzioni che potrebbero portarlo via da Genova, Ferrero non è abbastanza scavato da gestire una situazione mediatica del genere. E infatti afferma: “Mihajlovic al Milan?Ma chissenefrega: vada dove deve andare. È bravo, ma vada dove deve andare. Dove lo porta il cuore”. Non solo: per non passar da lasciato e tradito, rivela un interesse del Napoli per Mihajlovic nel post-Benitez.
- L’indifferenza per il passato. Quando effettivamente è tutto finito, allora non c’è più nulla da preservare. Una volta che Mihajlovic ufficializza l’addio e passa al Milan, Ferrero se ne fa una ragione (“La vita va avanti anche senza Mihajlovic”), pronto a passare un nuovo dio da venerare e proteggere. E infatti, qualche mese dopo, Montella è il nuovo che avanza (“Gli allenatori sono come le mogli. Sinisa ha trovato un altro marito e mi ha abbandonato.Sono fortunato, però, perché ora ho Montella, il migliore al mondo”).
È esattamente quello che accadrà anche per gli altri allenatori di questi anni. Tutti verranno venerati per poi esser dimenticati appena saranno lontani da Genova. Conta solo il presente: il passato e il futuro sono due virgole che la grammatica della vita ha messo lì per caso (e anche qualora avessero un significato, Ferrero non saprebbe che uso farne).
Walter Zenga è il sostituto di Mihajlovic, viene accolto a braccia aperte. Difeso a spada tratta dopo una burrascosa eliminazione dall’Europa League («Zenga? Può dormire sogni tranquilli, perché una rondine non fa primavera»), Ferrero non si risparmia neanche dopo un pareggio casalingo contro l’Inter: «Noi siamo più forti di tutti, quando la Samp gioca benissimo e Zenga fa girare al massimo i ragazzi». L’esonero arriverà un mese più tardi («Non era l’uomo giusto per me»).
Il copione non dipende nemmeno dalla durata di un allenatore sulla panchina della Samp. Montella si porta dietro un curriculum di prestigio, ma rimane appena otto mesi, giusto il tempo di lasciare un senso di incompiutezza. Poco importa a Ferrero, che dice: «Il mio cuore è sempre stato per Montella». Quando si respira aria di addio dopo un anno inconcludente, Ferrero è nuovamente disinteressato: «Vada dove gli pare. Pensiamo al derby, poi dopo ognuno fa come gli pare. Lui in nazionale? Per me resta l’allenatore del prossimo anno».
Lo schema si ripete senza interrompersi. Montella va al Milan, Ferrero prende Giampaolo e già ha dimenticato l’Aeroplanino: «Lo scorso anno con Montella me la sono fatta sotto» dice a luglio 2016 «Con una squadra così forte, stavamo andando sotto e le perdevamo tutte». Persino con un personaggio come Marco Giampaolo – quanto di più vicino a Genova e quanto di più lontano da Ferrero –, il circolo narrativo non si spezza.
Ferrero è come un rancoroso Dio del Vecchio Testamento, incapace di perdonare coloro che lo abbandonano. Giampaolo è un «maestro per i giovani», con tanto di filastrocca – «Di Giampaolo ce n'è uno, tutti gli altri sono nessuno: non dovevo farmi scappare un uomo del genere», ma alle prime serene di Napoli e Milan, Ferrero fa di nuovo il passivo-aggressivo: «Mica è mia moglie, gli allenatori sono come gli amanti: li puoi cambiare sempre» (ma gli allenatori non erano come le mogli?).
Se per Eusebio Di Francesco – esonerato dopo tre mesi – Ferrero ha smesso i panni dello show-man e messo addosso quelli dell’interventista (cambiando rotta in corsa, cosa che ha raramente fatto), per Ranieri è avvenuto lo stesso ciclo. E nonostante quest’andamento bizzoso, da diva dello spettacolo, Ferrero è riuscito a farsi amare da giocatori e allenatori transitati a Genova. Sareste stupiti da quanti ne parlano bene oggi. In ordine sparso:
- Sinisa Mihajlovic ha espresso il desiderio di andarlo a trovare in carcere dopo l’arresto.
- Emiliano Viviano, portiere della Samp per diverse stagioni, l’ha elogiato: «Forse sono stato il suo primo acquisto: con lui avevo e ho ancora un rapporto eccezionale».
- Giampaolo si è trovato a suo agio con il numero uno blucerchiato: «Tra i migliori presidenti possibili: è una persona intelligente, in tv appare diverso da ciò che è».
- Appena scappato da Udine, Muriel l’ha ringraziato: «Ferrero? Lo vedo come un padre, che mi dà sempre consigli da papà».
- Manolo Gabbiadini, che da giocatore ha vissuto l’inizio e la fine del settennato Ferrero, l’ha ricordato dopo la recente vittoria nel derby: «La vicenda del presidente Ferrero ci ha toccato, ma abbiamo reagito nel modo giusto».
- Persino Roberto D’Aversa, arrivato solo quest’estate e che era stato praticamente sostituito da Stankovic prima dell’arresto di Ferrero, ha comunque sostenuto il presidente: «Questa vittoria la dedichiamo a Ferrero e alla sua famiglia».
Parenti serpenti
Se il mondo Samp è stato facile da codificare per Ferrero – in modo binario tra protezione assoluta e facile indifferenza –, più difficile è stato farlo per il resto delle componenti della sua vita da presidente. Sostanzialmente sono state due: il mondo mediatico e i tifosi.
Il primo si è facilmente spezzato a metà. Una parte del giornalismo italiano ha goduto della presenza di Ferrero, lasciando da parte i vari motivi di preoccupazioni. Non ci si è mai fermati a chiedere se fosse opportuno, ma si è sostanzialmente passati alla cassa. In quanti programmi avete visto Ferrero in questi anni, specialmente appena arrivato alla Sampdoria?
Notiziari sportivi vari e trasmissioni di approfondimento. Rotocalchi d’attualità, spaziando dal nazionalpopolare al teoricamente satirico, passando persino per il vintage. Programmi giornalieri, dove l’abbiamo trovato disquisire sul Green Pass, “così, de botto”. Protagonista di sketch su YouTube, usato come gag da tutti coloro che ne hanno avuto la possibilità.
E se una certa sfera mediatica l’ha spremuto finché ha potuto, un’altra l’ha sempre rigettato. Un mondo a cui Ferrero era inviso, o dal quale sono semplicemente arrivate delle domande. Le insidie di una dialettica o, peggio ancora, di una contestazione ponevano però Ferrero in un mondo a lui non congeniale, quella dell’attore interrotto sul palco mentre recita.
Ferrero non l’ha mai presa bene. A qualunque sospetto o domanda più approfondita, ha sempre reagito di stomaco, distaccandosi da una teorica immagine presidenziale. Anche qui ci sono diversi esempi:
- Litigi su Twitter con un linguaggio rustico sul destino della Samp.
- Quando i giornalisti palesano il timore che la Samp possa fare la fine del Parma – smantellato dall’interno da problemi finanziari –, Ferrero “re-indirizza le paure al mittente”.
- La Samp vince l’ultimo derby sotto Giampaolo e il patron blucerchiato – di fronte alle voci di una possibile vendita – non esita a far conoscere il suo pensiero ai giornalisti.
- Lo stesso accade nelle conferenze stampa dov’è presente, dove quasi lo devono trattenere dall’andare oltre le parole.
In tutto questo, c’è la seconda parte che non l’ha mai accettato: i tifosi della Sampdoria, quasi integralmente. Un feeling mai sbocciato tra Genova e Ferrero (o tra lo zoccolo duro dell’ambiente blucerchiato e il suo presidente), con un pezzo di Maurizio Crozza che forse già inquadrava come si sarebbe sviluppato il rapporto umano tra la città e il presidente del Doria.
Al di là del romanticismo forse esagerato – la maggior parte delle proprietà di Serie A è in questo momento gestita da presidenti vittime di loro stessi, dei loro scivoloni e atteggiamenti –, c’è così tanta distanza tra la Samp e Ferrero che nemmeno sette anni assieme l’hanno veramente cancellata. L’eredità prima dei Mantovani e poi dei Garrone non andrà via facilmente: persino l’interim di Marco Lanna subisce già impennate di gradimento dall’ambiente. Ma c’è forse di più.
In questi anni, Ferrero è sempre sembrato più attento alla sua crescita mediatica piuttosto che alle sue responsabilità: il cuore alla Roma e mai un sincero attaccamento a una città e un ambiente che l’hanno mal sopportato. In fondo, non si spiegherebbe altrimenti né questo finale increscioso (personale, ma che coinvolge di riflesso la società che ha comprato), né le incalcolabili apparizioni mediatiche di cui Ferrero, quasi a cercare quell’approvazione che sapeva di non poter trovare a Genova.
In tutto questo, cosa ne è della Samp? Sette anni più tardi, il club è ancora vittima del suo presidente e delle sue bizze. Nonostante un apparato che avrebbe dovuto proteggerla – con il d.s. Carlo Osti e il plenipotenziario Antonio Romei, a lungo coinvolto nella gestione del club –, il club blucerchiato oggi ha veramente poco valore.
Per anni, in maniera intelligente, la Samp ha seguito la strada del player trading, acquistando giocatori di prospettiva e rivedendoli a laute cifre. E per diversi anni, soprattutto sotto Giampaolo, ha funzionato: la Samp ha registrato plusvalenze record in quel triennio, valorizzando diversi giocatori di prospettiva. Correa, Soriano, Praet, Torreira, Romagnoli, Linetty, Zapata, Muriel, Schick, Bruno Fernandes, Andersen per fare qualche nome.
Genova per un certo periodo è stato il posto perfetto per un giovane per crescere. Lo è stata durante tutto il periodo di Giampaolo, e ha smesso di esserlo con l'esonero del tecnico ma anche dopo diversi investimenti sbagliati (Chabot, Depaoli, Murru), senza margine di rivendita (Audero, Jankto, il ritorno di Gabbiadini) o semplicemente sfortunati (Gonzalo Maroni).
Oggi la Sampdoria, col ritorno di Giampaolo, sta vivendo l'ennesima fase di rinnovamento con la squadra che sta vedendo diversi addii. Adrien Silva ha voluto la rescissione del contratto pur di trasferirsi all’Al-Wahda, in Arabia Saudita. I colpi in entrata sono soprattutto prestiti o situazioni a costo zero. In un calcio pesantemente segnato dalla pandemia di COVID-19, non sembra esserci vera alternativa.
In questa situazione di incertezza, cosa resta di Massimo Ferrero? Il suo profilo problematico era così visibile che persino all’estero se ne sono accorti. Nel 2015, FourFourTwo gli dedica una copertina simile a quella di “The Economist” su Berlusconi alla vigilia delle elezioni politiche del 2001, chiedendo nel suo magazine: «Vorreste quest’uomo al comando della vostra squadra?».
Fast-forward all’arresto e il quotidiano bavarese Süddeutsche Zeitung ha dedicato un profilo approfondito a Ferrero. Lapidario l’inviato: «L’intero circo del calcio (italiano) vive soprattutto di figure come lui, più dei fondi d’investimento americani o degli investitori cinesi».
Massimo Ferrero avrebbe voluto avere l'importanza di Lotito nello scacchiere italiano; sognava i successi di Zamparini o almeno la prepotenza di Cellino. O forse, nel migliore degli scenari, sognava di fare come Cecchi Gori e alzarsi in piedi sul suo seggiolino di fronte a un successo prestigioso della Sampdoria: in quel momento si sarebbe davvero potuto prendere la scena. Probabilmente, invece, il modello di presidente italiano che più gli è vicino è quello di Luciano Gaucci: un presidente imprevedibile, carismatico in modo un po' comico, incapace di gestire con attenzione i suoi 15 minuti di celebrità. Per Ferrero questi quindici minuti sono durati quasi sette anni, vorremmo poter dire che ci siamo divertiti.