
Da qualche settimana le calciatrici del Milan avranno una preoccupazione in meno: quella di perdere il proprio posto di lavoro nel caso in cui dovessero rimanere incinta. Con le nuove politiche sulla maternità della squadra, annunciate a inizio agosto, a ogni calciatrice e membro della staff che rimane incinta a ridosso della scadenza di contratto, questo verrà infatti esteso almeno per un altro anno. Il club aiuterà le calciatrici anche nell’assistenza all’infanzia e si farà carico dei costi di viaggio e di alloggio durante le trasferte per il bambino e un accompagnatore.
Si tratta di una novità per l'Italia ma non solo: il Milan è la prima squadra calcistica a livello europeo a introdurre di spontanea volontà delle politiche specifiche sulla maternità per la squadra femminile che vadano oltre quanto stabilito dagli accordi collettivi. «Si è sempre detto che il calcio femminile italiano è indietro rispetto al resto del mondo, ma oggi possiamo dire che non solo il Milan, ma tutto il panorama calcistico italiano si è collocato in maniera diversa su un aspetto specifico, in questo caso la maternità», mi ha detto Elisabet Spina, Head of Women Football del Milan.
Questa è una storia che inizia nella stagione 2022/23, quando il professionismo aveva portato nel calcio femminile contratti lavorativi veri, cioè che garantiscono alle calciatrici stipendi più alti e tutele. Tra queste c'era anche il diritto alla maternità. Le squadre che militano nella Serie A femminile hanno infatti firmato l’accordo collettivo che garantisce delle sicurezze per le calciatrici che rimangono incinta: il diritto di determinare l’inizio e la fine della maternità, di continuare ad allenarsi e seguire un piano di lavoro differenziato che tenga conto dello stato di gravidanza e di ricevere l’intera retribuzione per tutto il periodo.
Il Milan, mi dice Elisabet Spina, già prima del professionismo versava alle proprie atlete (che erano considerate “dilettanti”) contributi previdenziali e aveva un protocollo apposito per le lavoratrici in gravidanza o che avevano appena partorito, e in periodo di allenamento, in modo da valutare i rischi legati alla gravidanza e al lavoro. Il professionismo ha poi migliorato queste condizioni, che il Milan ha voluto incrementare ulteriormente: «Abbiamo puntato a migliorare tutti quegli aspetti che concernono la gravidanza e la maternità, quindi abbiamo lavorato su tutte le situazioni che creano stress all’atleta, per mettere le giocatrici in una situazione di sicurezza e tranquillità», aggiunge Spina.
Per costruire queste nuove politiche il club ha coinvolto le atlete della Prima squadra e della Primavera, sottoponendo loro dei questionari sulle aspettative, criticità e preoccupazioni sulla maternità. «Ci sono stati anche dei confronti con le atlete, e insieme abbiamo cercato di trovare delle soluzioni che riuscissero a soddisfare le loro aspettative e anche i valori del club», mi dice Spina.
Le normative della FIFA
L’annuncio del Milan è arrivato sulla scia delle nuove politiche della FIFA, annunciate a giugno. Secondo quest'ultime, le giocatrici e le allenatrici dovrebbero avere diritto ad almeno 14 settimane di congedo retribuito, avendo così una maggiore sicurezza finanziaria. A chi adotta un bambino con meno di due anni, invece, così come alle donne che non sono le madri biologiche del neonato, invece, sono garantite 8 settimane di congedo retribuito. Le giocatrici avranno anche il diritto di assentarsi dagli allenamenti o dalle partite per motivi di salute mestruale, continuando a ricevere lo stipendio pieno.
Mentre il congedo di maternità per le giocatrici era stato precedentemente adottato nel 2021, le nuove regole lo estendono alle allenatrici, alle madri non biologiche e a quelle adottive.
A questa iniziativa ha dato seguito FIFPro, il sindacato dei calciatori professionisti, che prima dell’inizio di questa stagione ha inviato delle linee guida a tutti i club per sostenere le giocatrici al rientro dopo il parto. Il documento riguarda una serie di argomenti, tra cui l’attenzione alla forma fisica e all'alimentazione delle calciatrici, ma anche la cura dei bambini.
In questo senso, nelle nuove normativa FIFA c’è un'importante clausola che spinge i club a creare in squadra un ambiente familiare: questo significa sostenere la giocatrice anche nell’assistenza al bambino o alla bambina, far sì che possa viaggiare in trasferta insieme a lui o a lei, e che il club e le federazioni nazionali si facciano carico, ad esempio, di un o una baby-sitter che accompagni la neo mamma nelle trasferte.
Certo, c'è da dire che le regole FIFA dovrebbero essere adottate e poi rispettate da tutte le federazioni ma in realtà non sempre è così. È successo per esempio in Francia nel 2021, quando il Lione non ha pagato lo stipendio alla sua atleta islandese Sara Björk Gunnarsdóttir dopo che aveva annunciato di essere incinta. Il club, ha spiegato Björk Gunnarsdóttir, si era giustificato dicendo di star seguendo la legge francese sul congedo di malattia invece del regolamento di maternità della FIFA, e che il primo non le avrebbe dato diritto al pagamento completo durante la gravidanza. La calciatrice islandese ha poi fatto causa al club ed è diventata la prima giocatrice a vincere una causa grazie al regolamento FIFA sulla maternità del 2021.
L’importanza di una normativa
Il caso di Björk Gunnarsdóttir, come scrive FIFPro, ha dimostrato che tutte le calciatrici, anche quelle di club di alto profilo, hanno bisogno di protezione, ma anche che è importante regolamentare i diritti di base e non lasciarli alla singola decisione dei club.
Ma non solo. Avere delle tutele sulla maternità scritte, regolamentate, permette alle calciatrici di scegliere di poter essere madre e continuare a lavorare. Katrina Gorry, calciatrice australiana del West Ham e madre di due bambini, in un’intervista alla BBC aveva spiegato di aver sempre pensato «di dover appendere le scarpette al chiodo per formare una famiglia». Ora, per molte calciatrici, le cose potrebbero essere più facili di così, o almeno questa è la speranza.
È per questo motivo che il Milan, nel percorso di consultazione per le nuove politiche sulla maternità, ha voluto coinvolgere anche le giocatrici della Primavera. «A differenza di qualche tempo fa, ora le calciatrici si possono pensare madri senza dover finire necessariamente la loro carriera», mi dice Elisabet Spina «Questo perché sanno di essere tutelate completamente».
Per Spina, se nel panorama calcistico italiano non ci sono state giocatrici che hanno deciso di voler diventare madre è dovuto anche al fatto che nessuna di loro si immaginava di poterlo essere e di continuare allo stesso tempo la carriera professionale. Erano praticamente obbligate a dover scegliere l’uno o l’altro. L'iniziativa del Milan apre una prospettiva diversa, quella in cui il lavoro e la maternità non sono necessariamente in conflitto tra loro.