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Soulé e Dybala possono convivere?
26 lug 2024
26 lug 2024
Una domanda che molti tifosi della Roma si sono fatti nelle ultime ore.
(copertina)
IMAGO / Giuseppe Maffia
(copertina) IMAGO / Giuseppe Maffia
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Sean Combs, anche conosciuto come Diddy, o Puff Daddy, diceva che i veri ricchi, quelli che davvero avevano avuto successo, avevano due di tutto: due elicotteri, due ville con piscina, eccetera. De Rossi e Ghisolfi potrebbero benissimo aver ragionato così: perché accontentarsi di un numero dieci argentino, di piede mancino, che gioca coi calzettoni bassi e vuole toccare mille palloni a partita, quando puoi averne due?

Se si può prendere Matias Soulé, lo si prende. Perché no, in fondo? Pazienza se prima si era parlato di Chiesa, pazienza se alla Roma serve ancora molto altro (altri terzini oltre a Dahl, un difensore centrale, un centrocampista, un centravanti). Soulé vuole venire a Roma, dove potrà passarsi il mate con Paredes e Dybala, e mangiare asado bruciato in un parco con vista sulla cupola di San Pietro - esiste davvero un posto così, anche se non penso sia frequentato dai calciatori - e tanto basta per smuovere mari e monti pur di accontentarlo. Benvenuti nel calciomercato giallorosso 2024 e se leggete del sarcasmo nelle mie parole, be’, vi sbagliate.

Il mercato estivo può essere un momento molto noioso per i tifosi. Ma può essere anche molto eccitante. In assenza di altre notizie, le amichevole più inutili diventano significative - ci si legge dentro come facevano gli aruspici con le viscere degli animali sacrificati - e le trattative si fanno lente come soap-opera. Con tanto di dialoghi drammatici, in parte, o del tutto, inventati. E così pare che pochi giorni fa (ricostruzione del Corriere dello Sport) il DS della Juve, Cristiano Giuntoli, si sia rivolto a Soulé con toni da padrone novecentesco: «O accetti la Premier League o torni in Next Gen!».

Oggi, la Gazzetta calcola che con i talenti della seconda squadra bianconera venduti questa estate (Hujsen, Kaio Jorge, Barrenechea, Iling-Junior, De Winter) la Juventus ha guadagnato 87 milioni, poco più della metà di quelli già spesi per cominciare a rinnovare la squadra a disposizione di Thiago Motta (e nel calcolo non sono compresi Todibo, Koopmeiners e Adeyemi). Finalmente una ricostruzione che non è fatta solo di parole, finalmente una grande squadra che ha il coraggio di cambiare radicalmente. Nonostante ciò, i tifosi presenti ai primi allenamenti del ritiro tedesco, hanno comunque gridato a Soulé: «Resta, non andare a Roma!».

Perché Soulé, che non ha fatto praticamente niente con la maglia bianconera, ha diritto alla nostalgia dei tifosi mentre Chiesa, il cui desiderio di lasciare la Juventus non è poi così diverso, no? Perché Giuntoli gli riserva toni rabbiosi da innamorato deluso anziché pensare ai soldi con cui potrebbe pagare Koopmeiners? E se è comprensibile che Thiago Motta non volesse costruire la Juventus intorno a lui, perché invece la Roma è stata così insistente per un giocatore che pare il doppione di uno che già ha, promettendogli probabilmente un ruolo centrale già dalla prossima stagione?

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Un talento in divenire

Soulé ha giocato una sola vera stagione in Serie A, quella passata finita con la retrocessione del Frosinone. Cominciata benissimo, finita malissimo - il suo ultimo gol su azione è di novembre, nel famoso 4-3 di Cagliari. Trentasei partite, al tempo stesso abbastanza per vedere messe in atto quelle potenzialità di cui si parlava quando era ancora più giovane - e che hanno spinto Scaloni a farlo entrare nel giro della Nazionale maggiore quando aveva ancora 19 anni - ma, in teoria, non sufficienti a fare di lui già una stella.

Soulé continua a portarsi dietro l’aria da ragazzino prodigio che spingeva Allegri a calmare gli animi - «non è che fa tre partite buone ed è da Pallone d’Oro» - mantiene quello stile di gioco eccitante e rischioso che lo porta a forzare molte giocate, provando ad essere incisivo quasi con ogni pallone giocato.

Ha chiuso il campionato con una traversa colpita su punizione, ma l’azione più bella e significativa del punto in cui è arrivato il suo sviluppo calcistico, è arrivata un po’ prima in quella stessa, ultima, partita con l’Udinese in cui alla squadra di Di Francesco sarebbe stato sufficiente pareggiare (in casa) per salvarsi.

Soulé riceve palla sul centro-destra, all’interno della propria metà campo, al centro di un triangolo formato da tre giocatori in maglia bianconera. Si gira subito con un controllo di suola, poi con Payero davanti, se l’allunga verso l’esterno con il sinistro e inizia a correre. Kamara, alla sue spalle, non può fare nulla senza il rischio di commettere fallo e Soulé aspetta che sia Payero a chiudergli la strada prima di sterzare, con l’esterno, verso il centro. Facendo passare la palla sotto le gambe di Payero.

A quel punto è Nehuén Perez a sbarrargli la strada, ma arriva appena sul pallone mentre Soulé se lo sposta con l’esterno, ancora verso il centro, e prosegue la sua corsa. Da lì, venticinque metri più o meno, Soulé carica e lascia partire un tiro che chissà dove sarebbe finito, se non avesse colpito Cheddira, suo compagno, che gli stava tagliando davanti.

Era il diciassettesimo del primo tempo, il Frosinone avrebbe fatto in tempo a farsi rimontare e avrebbe perso lo stesso, come più volte successo la scorsa stagione, ma avesse segnato con un’azione del genere, in una partita così importante, Soulé avrebbe avuto un biglietto da visita da far invidia a Patrick Bateman (il protagonista di American Psycho, disposto letteralmente a uccidere per un biglietto da visita più bello del suo). E invece quest’azione resta per ricordarci lo spazio tra le potenzialità, la creatività e la faccia tosta di Soulé, e la sua efficacia nel campo da calcio.

Soulé è, almeno in parte, ancora una scommessa. Quando lo scorso novembre Marco D’Ottavi lo ha intervistato, dandogli simbolicamente il premio AIC come miglior giocatore della Serie A nel mese precedente, si è sentito in dovere di ringraziarlo per il fatto stesso di essere un calciatore divertente. Salvo poi chiedersi se non poteva essere frainteso, se essere divertente potesse non essere davvero un complimento per un calciatore che voglia essere competitivo ad alto livello.

A pensarci bene, però, non c’è contraddizione tra le due cose. Per i giocatori come Soulé divertirsi è il solo modo per essere (forse, magari, anche) efficaci. Certo anche i numeri 10 argentini hanno responsabilità: Paulo Dybala, a cui lo scorso anno è stato spremuta ogni goccia di calcio, lo sa bene. Ma devono anche sentirsi liberi. E più sono circondati da giocatori che parlano la loro stessa lingua - in questo senso anche Le Fée, Baldanzi e Pellegrini parlano argentino - meglio è.

Come si può adattare con Dybala: un falso problema

Appunto, Dybala e Soulé non giocano nelle stesse zone di campo, si è chiesto qualcuno, non fanno le stesse cose? Se sul piano tattico una soluzione si può trovare sempre - i ruoli dietro sono tre, e Soulé nelle giovanili del Velez giocava a sinistra - è soprattutto su quello relazionale ed emotivo che un acquisto del genere va interpretato.

Su Dybala gravava quasi tutto il peso della manovra offensiva giallorossa, specialmente quando con il passaggio da Mourinho a De Rossi la strategia principale non è più stata lanciare lungo per Lukaku. Per Dybala è stato un peso troppo grande da sostenere, non solo non gli ha permesso di mantenere un alto livello di forma molto a lungo ma che, anche nei momenti migliori, lo ha reso prevedibile.

Nonostante ciò, Dybala ha giocato una grande stagione in termini realizzativi di rifinitura (15 gol e 10 assist, coppe comprese, Soulé si è fermato a 11 e 3) e se si confronta il suo radar StatsBomb con quello di Soulé non ci sono dubbi su chi abbia il volume di gioco più definito. Il punto è che Dybala e Soulé non vanno confrontati, semmai andrebbero sommati: cosa succede quando gli assist di Dybala sono assist per Soulé, e viceversa?

Togliere responsabilità a Dybala - che a novembre compierà 31 anni - era diventata una necessità per la Roma. E se Pellegrini è più verticale e diretto, Soulé può spartirsi con lui i compiti offensivi ad altezze diverse di campo, in fasce magari vicine (centro e centro-destra, ad esempio), senza per questo finire a pestarsi i piedi.

Inoltre, la sola cosa che Soulé fa meglio di Dybala - e quasi di chiunque altro nel campionato italiano, tolti Kvara e Leao - e cioè i dribbling, sono una risorsa importantissima per una squadra che ambisce a giocare il più possibile nella metà campo avversaria. Dribblare ha un valore tattico, oltre che estetico, serve a rompere la pressione, a costringere gli avversari a difendere correndo verso la loro porta, a cambiare marcature aprendo spazi.

Soulé può essere il sostituto di Dybala, con qualche anno da passare insieme per fare un passaggio di consegne come si deve. Al tempo stesso può prolungare la carriera ad alto livello di Dybala limitando la sua usura, risparmiandolo magari per giocare in quelle zone di campo dove Dybala fa più la differenza che altrove (gli ultimi metri di campo).

Certo è difficile immaginare, oggi, la Roma 2023/24. Se qualche tifoso immagina già i duetti Dybala-Soulé come quelli Totti-Cassano, qualcun altro può chiedersi, a proposito di lingua calcistica, se non ci sia bisogno di un interprete per giocatori come Cristante (in teoria, altrettanto centrale nei piani di De Rossi). Così come non sembra del tutto naturale il passaggio da un esterno elettrico e verticale come Chiesa, del tutto autosufficiente, che usa i compagni come sponde, a un accentratore di gioco, un ragno costruttore di tele, come Soulé: possibile che per De Rossi non ci sia differenza?

Negli anni ‘80 Little Tony cantava la Roma brasilera, per via del legame profondo con giocatori come Da Costa, Falcao, Cerezo (che sarebbe arrivato fino ad Aldair, Cafu, Amantino Mancini, Paulo Sergio, e persino giocatori come Doni, Cicinho, Gerson) e un calcio leggero, felice: «Colpo di tacco, olè, stile giallorosso». Mentre gli argentini - Crespo, Veron, Simeone, Almeyda - erano più “da Lazio”.

Certo, ci sono state eccezioni come Samuel e Batistuta, ma mai prima d’ora i tifosi romanisti avevano immaginato una Roma argentina. L’importante, dopo anni di avarizia e stitichezza è che torni davvero una Roma offensiva, libera e creativa.

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