Gli ottavi di finale disputati lunedì allo US Open da Matteo Berrettini, contro Andrey Rublëv, resteranno fotografati nell'immaginario collettivo come una vittoria di tattica, di sensibilità, di freddezza mentale. Attributi insoliti per un tennista alto un metro e 95, che nella rapidità dei piedi e negli spostamenti laterali ha il suo punto debole, e che oltretutto quel tipo di partita - gli ottavi in uno Slam - l'aveva già disputata solamente una volta perdendola in maniera rovinosa contro Roger Federer a Wimbledon, appena qualche mese fa.
Ma quando Berrettini ha avuto bisogno di una scossa per svoltare la partita dei quarti di finale contro Gaël Monfils, all'inizio del secondo set, ha fatto ricorso alle sue armi più classiche. Sotto già di un set e di un break, sul 2-0 del secondo parziale, ha fronteggiato una palla per un ulteriore break. Un momento che avrebbe potuto segnare un percorso per lui forse irreversibile nella partita. Con tre punti consecutivi chiusi con lo schema classico servizio-dritto, Berrettini ha ripreso la propria marcia. Sarà più o meno una costante nell'arco di tutta la partita: per battere Monfils ha fatto ricorso più alla forza e alla pesantezza del suo tennis piuttosto che alla sua saggezza e all'utilizzo ben calibrato del suo repertorio tecnico, come aveva invece fatto contro Rublëv.
Senza dubbio Monfils era un giocatore più complesso da battere, molto più abituato alle variazioni di ritmo del gioco e di altezze della palla, rispetto a Rublëv. Ed è proprio nell'essere riuscito a portare a casa la vittoria contro entrambi, attraverso due prestazioni piuttosto differenti, che Berrettini ha dato sfoggio della sua completezza e della sua raffinatezza, che poggiano ovviamente su una grande stabilità mentale. Forse sarà proprio con Berrettini, visto anche il rendimento molto altalenante mostrato da Marco Cecchinato - che proprio ieri ha perso al primo turno anche in un Challenger, a Genova - che l'Italia del tennis maschile potrà finalmente imprimere una svolta ai suoi vecchi paradigmi e a molti stereotipi negativi che si porta dietro da troppi decenni.
La crescita atipica
Nella capacità di Berrettini di migliorarsi a vista d’occhio, partita dopo partita, sia dal punto di vista tecnico che da quello tattico, c'è molto del modo in cui è cresciuto, facendo parte di una schiera ormai nutrita di giocatori italiani che nel tennis hanno raccolto risultati migliori rispetto ad altri considerati dei predestinati. E forse proprio lui, coetaneo di Gianluigi Quinzi e Filippo Baldi, e cresciuto totalmente oscurato dalla loro ombra, ne rappresenta l'esempio più evidente.
La totale inversione delle parabole di Quinzi e Berrettini è senza dubbio una delle storie più significative del tennis italiano negli ultimi anni. Se da una parte il romano sta dando continuamente prova di crescita tecnica partita dopo partita, Quinzi rappresenta il paradigma totalmente opposto: forse da sempre troppo incentrato sul risultato immediato, avendo cambiato una quantità sconfinata di allenatori, tuttora è rimasto esattamente al livello tecnico di quando vinse Wimbledon junior nel 2013, senza aver mai sfondato la barriera dei Challenger - ad eccezione del torneo ATP di Marrakech del 2017.
Berrettini - così come Cecchinato e il suo migliore amico Lorenzo Sonego - ha avuto invece modo di lavorare con più calma, discostandosi dalla tendenza più o meno generalizzata a sovrastimare i risultati ottenuti nel tennis junior, finendo perfino ignorato in alcuni raduni nazionali in età giovanile. Ha avuto invece modo, allenandosi proprio con Sonego, di testare positivamente il nuovo progetto Over 18 varato dalla Federazione qualche anno fa, capace ora di accompagnare in maniera più efficace i giocatori non più compresi nelle fasce junior ma non ancora pronti per un tennis mondiale con dinamiche sempre più vantaggiose per i trentenni.
La calma di Berrettini
Il risultato della sua parabola controintuitiva fa sì che ora Berrettini sia uno dei primi giocatori innovativi che l'Italia abbia prodotto, e che sia riuscito a trasferire questa sua freschezza all'interno di una mentalità sana e stabile. Come visto anche in questo US Open, Berrettini possiede un repertorio così vasto che gli permette di controllare le partite in modo diverso e contro giocatori dalle caratteristiche molto differenti tra loro. Pur essendo un giocatore cresciuto sulla terra, e con qualità che nel tennis moderno lo renderebbero più efficace sul rosso, Berrettini attraverso i suoi miglioramenti tecnici ha fatto in modo da ottenere i risultati migliori prima sull'erba e ora in uno slam sul cemento.
Se l'esplosività è la prima caratteristica che salta all'occhio per quanto riguarda il suo dritto, il fatto che lo si possa considerare un dritto potente non gli rende giustizia. «Il suo dritto è molto carico, non riesci ad attaccarlo neanche quando è poco profondo», ha detto Alexei Popyrin, che allo US Open ha affrontato Berrettini al terzo turno. Da questo si capisce come dal dritto Berrettini possa ricavare qualsiasi tipo di soluzione, sia nelle conclusioni forti che lo premiano sui terreni veloci, sia le capacità in manovra.
E proprio grazie alla pesantezza della sua palla è arrivata la vittoria su Monfils: «All'inizio faticavo perché, nonostante tirassi forte, non riuscivo a sfondarlo perché lui si appoggiava bene», ha detto Berrettini dopo la partita. «Poi però ho continuato a mettere peso alla palla e a manovrare bene, piano piano gli ho dato fastidio e lui ha perso sempre più fiducia». Grazie alla sua tecnica molto moderna del dritto, attraverso la quale porta dietro il gomito in preparazione per poi usare tutta la frustata dell'avambraccio e del polso e generare velocità e top spin, Berrettini non solo riesce a giocare molto arrotato e pesante ma trova anche angoli molto stretti da tutti i lati. In particolare nella partita contro Monfils lo ha fatto trovando angoli interni, velocizzando la rotazione interna del busto e dando una sorta di top spin interno alla palla con una traiettoria più volte ingestibile per il francese.
Già dal primo punto mostrato si vede come Berrettini tenga lontano dal campo Monfils grazie a una serie di dritti molto carichi, per poi concludere con una traiettoria stretta velocizzando l'entrata del busto sulla palla.
È in questo modo che Berrettini si pone in prima linea nella rivoluzione di alcuni paradigmi tennistici, in particolare dalla generazione di Struff e Sock - classe 1990 e 1992 rispettivamente - in poi. Se prima il tennista bombardiere aveva quasi l'obbligo di generare colpi piatti per esaltare l'efficacia dell'aggressività del proprio tennis, i giocatori nati dai primi anni Novanta in poi, esaltando quello che si era già un po' visto con Jim Courier, hanno iniziato a sperimentare tecniche di dritto in grado di produrre contemporaneamente velocità e rotazione, un tempo riservata ai giocatori più regolaristi da terra battuta. Caratteristiche che si possono e si potranno rivedere anche in futuro in altri giocatori di successo, come soprattutto Khachanov e Auger-Aliassime, e magari anche nel nostro Lorenzo Musetti.
Ed è proprio grazie a Berrettini, che non a caso ha proprio in Sock e Struff i profili a lui più simili nel circuito dal punto di vista tecnico, che l'Italia può finalmente allinearsi a una corrente di avanguardia tennistica, disponendo per una volta anche di un giocatore capace di fare la differenza con il servizio nei punti importanti, agevolando la calma e la sicurezza nei momenti delicati.
Berrettini e il suo staff gli hanno permesso di evolvere anche il suo lato sinistro, passando da un rovescio a due mani portato naturalmente anch'esso a generare traiettorie molto arrotate e poco incisive a un colpo ora più efficace rispetto a prima, sia in risposta che più in generale quando viene impattato più avanti in anticipo. Forse, però, il miglioramento più sbalorditivo Berrettini lo ha compiuto sul rovescio tagliato: riesce ora ad accompagnarlo con una frustata violentissima del gomito destro anche quando la palla arriva più alta, e quindi più difficile per giocare un back.
Nel rovescio tagliato Berrettini sorprende anche per lucidità nelle scelte: contro Monfils lo ha giocato quasi esclusivamente in diagonale, sul suo rovescio, perché conosce l'abilità del francese quando spinge il dritto su una palla bassa. Contro Rublëv ha invece variato molto spesso le traiettorie per non dare punti di riferimento a un giocatore che si nutre di ritmo. Ha anche eseguito alcuni capolavori per precisione e scelta della profondità con il back lungolinea, una soluzione che ha utilizzato molto nella stagione sull'erba dove i colpi in lungolinea in genere schizzano di più.
Lo scambio più emblematico della partita contro Rublëv. Quando Berrettini gioca il rovescio in top a due mani dà ritmo al russo, appena cambia invece taglio alla palla giocando il back manda "fuori palla" il rovescio di Rublëv, che lo alza e lo rallenta. In un attimo Berrettini legge il gioco e si sposta sul dritto per chiudere.
E ora?
Il risultato di questa crescita rende Berrettini una delle più luminose del tennis mondiale del futuro. Se non altro sono i risultati a dircelo. Berrettini riesce a coniugare una perfetta sintesi tra alcune delle caratteristiche tipiche dei nostri tennisti - come l'adattabilità alla terra in manovra e i cambi di ritmo, anche grazie alle palle corte - e l'inserimento di altre qualità provenienti da altre culture tennistiche, come l'esplosività con il servizio e il dritto. Anche in relazione alle nostre altre promesse, Berrettini appare molto più completo: Sinner sembra essere un tennista eccezionale ma soffre un po' le variazioni di ritmo, Musetti sembra invece più in difficoltà a gestire i terreni veloci.
Senza dubbio Berrettini è già un profilo di tennista molto studiato, non solo dai suoi successivi avversari ma soprattutto dagli analisti in generale. Non ha un talento cristallino in nessun fondamentale tecnico, ma riesce a fare tutto molto bene - a eccezione del rovescio in anticipo, che verrà senza dubbio sollecitato da Nadal in semifinale, forse senza scampo per il romano - e appare più completo anche di molte altre promesse mondiali, oltre che italiane. Ma la costruzione armonica del suo tennis e della sua personalità suggerisce che forse Berrettini sia uno dei primissimi, se non forse il primo, come talento mentale nel capire come lavorare, sia programmando le sessioni di allenamento a breve e a lungo termine, sia proprio nel capire come affrontare le partite, che sia prima o durante il match. Un tipo di talento di importanza per nulla secondaria rispetto a quello tecnico.
«Una cosa che ho imparato a fare è non portarmi dietro le brutte sensazioni dopo le occasioni fallite», ha detto Berrettini ieri dopo la partita. Nel tie-break finale del quinto set non solo veniva da tre match point sprecati, di cui uno con un doppio fallo in rete di pura tensione, ma non aveva saputo allungare sul 5-2 a favore con due servizi, finendo pareggiato sul conto dei mini-break sul 5-4. Sul servizio di Monfils ha giocato un punto fantastico, lavorando prima ai fianchi il francese con palle pesanti impossibili da spingere, e poi facendolo accorciare con un back in diagonale che gli ha tolto sensibilità sul rovescio. In quel momento Berrettini non ha esitato: ha scagliato un rischioso ma produttivo dritto inside-in che gli ha dato poi la possibilità di attaccare più facilmente la rete.
Il punto che lo ha portato ad avere altri due match point nel tie-break, stavolta quelli buoni.
In quel punto, così come avvenne per un altro punto al tie-break decisivo per un italiano per andare in semifinale in uno Slam, quello di Marco Cecchinato contro Novak Djokovic, c'è tutta la capacità di saper modellare la tensione a proprio piacimento, allenata con anni di costruzione paziente e lungimirante sul proprio tennis. Il palermitano, nonostante anche lui abbia avuto una carriera da adulto decisamente superiore alle sue promesse da juniores, ha però fallito il test psicologico dell'assestamento dell'anno successivo all'exploit e della gestione delle aspettative più alte. Berrettini senza dubbio ha più armi dal punto di vista tecnico e ha davanti a sé l'esempio di Cecchinato da cui prendere spunto, per non ripetere gli stessi errori e cadere vittima della sua esplosione, come avvenuto invece ad esempio a Sock e Dimitrov dopo la fine del 2017.
La risalita del tennis italiano, oltre alla riforma delle strutture tecniche e ai maggiori investimenti della Federazione, è passata probabilmente anche attraverso l'effetto traino dell'esplosione di Cecchinato. Il suo esempio, e quello che sarà dato anche da Berrettini, saranno importanti anche per tracciare il futuro del nostro tennis, soprattutto attraverso la generazione 2001-2002 sulla quale tutti nutriamo grandi speranze. Ma forse è soprattutto grazie a Berrettini che l'Italia può finalmente liberarsi di alcune scorie accumulate nel passato ed entrare, finalmente, in una dimensione contemporanea del tennis maschile