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Mattia Destro uno di noi
26 set 2021
Il gol segnato con la bottiglietta in mano ci dice molto sull'immagine che abbiamo dell'attaccante.
(articolo)
8 min
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All’ottantatreesimo minuto di gioco, per la precisione dieci secondi prima della fine dell’ottantresimo minuto di gioco, Mattia Destro lavora una palla sulla fascia sinistra e lancia Pandev lungolinea e poi sparisce dall’azione. O almeno sparisce dall’inquadratura. Il Genoa ha recuperato due gol al Verona in quattro minuti, lui, Mattia Destro, ha segnato il secondo deviando di testa una punizione di Rovella che sembrava sparata da un altro pianeta, un pallone che pareva aver viaggiato nello spazio, attraversato la termosfera, la mesosfera, la troposfera, prima di schizzare sulla sua fronte e sbattere sul secondo palo. Poi ha esultato a pochi metri dal pubblico, separato solo da una rete da pesca, col naso rosso e la lingua di fuori, l’aria stravolta e felice. E probabilmente, cinque minuti dopo quel gol, quando gli arriva la palla sulla fascia sinistra, sta ancora recuperando energie.

Dopo che Destro li innesca, l’azione la portano avanti Ekuban e Pandev, con l’aiuto di Ghiglione, arrivano fino all’area di rigore veronese ma non riescono a portarla a termine. Il Verona riparte, risale il campo, e la camera centrale e alta sul Ferraris ruota verso destra, inquadrando prima Fares (finito a fare il terzino sinistro) e poi Mattia Destro: è in questo momento che compare per la prima volta la bottiglietta. Evidentemente si era fermato a bere a bordo campo e, forse ancora assetato, aveva deciso di portare in campo con sé quella bottiglietta di plastica. Perché no, deve aver pensato Mattia Destro, c’è gente che va a correre, che fa le maratone con delle cose in mano, bottiglie d’acqua, appunto, chiavi della macchina, cellulari, e io non posso marcare Casale? Mentre corre, all’inizio, la bottiglietta è aperta e cade fuori dell’acqua, sembra che Mattia Destro stia pisciando.

Provate a visualizzare Matttia Destro in quel momento. È un centravanti coi capelli e la barba lunga e i calzettoni bassi, con l’aria perennemente esausta e scazzata, che si è messo alle spalle qualsiasi sogno di gloria, nel corso degli ultimi anni anzi è diventato un attaccante ironico, da meme, che quando segna è sempre un po’ assurdo, e ormai si accontenta di piccole gioie e altrettanto piccole vendette. Più o meno un anno fa era svincolato e il Genoa gli ha offerto un contratto con una clausola di estensione che si sarebbe accesa qualora avesse segnato dieci gol in campionato: dopo un mese di gennaio 2021 strepitoso è arrivato a nove, ad aprile ha segnato il decimo e l’undicesimo, e poi si è fermato. Perché Mattia Destro, almeno così sembra a guardarlo dall’esterno, è un attaccante che si accontenta. Che fa quello che gli serve per sopravvivere e poco di più.

Così lontano dal giovane di Siena coi capelli corti e l’aria vagamente militare, che sembrava portarsi in campo una fame insaziabile. O forse mi sbaglio, è sempre stato decadente, fin da quando esultava scopandosi la bandierina del calcio d’angolo - un’esultanza troppo volgare persino per un ambiente volgare come quello calcistico, che sembrava voler togliere quel poco di romanticismo che resta nel fare gol - fin da quando a Roma si è trasformato in Bud Spencer, come un adolescente alto un metro e mezzo un’estate e quella dopo uno e novanta, solo che a lui sono cresciuti le guance, il collo, la barba, i capelli (era sotto cura di cortisone, ma la crudeltà a cui sono sottoposte le figure pubbliche non fa prigionieri).

Eppure per qualche ragione preferisco questo Mattia Destro, che sembra un poeta sciatto, rovinato da qualche amore infantile, con le occhiaie di chi resta la notte sveglio a fumare e a guardare le stelle, che ha barattato la fame per le grandi cose con l’appetito scomposto di chi mangia schifezze a ogni ora, che beve solo Coca Cola e pranza con un chilo di gelato, che va alle presentazioni dei libri degli altri con le magliette macchiate d’unto, rimane in fondo alla stanza e prova piacere nel provare invidia, come un bambino masochista che si stacca le croste dalle ferite.

Comunque, con quella bottiglietta in mano Mattia Destro difende per un po’, abbassandosi sulla linea dei difensori, poi si stufa e se ne va. Cammina con le braccia ciondoloni strascicando i piedi piatti verso la metà campo. Apparentemente disinteressato a quello che quello che sta facendo Caprari, perso nei propri pensieri, sticazzi della partita, io ho già segnato il gol del 2-2 adesso fate qualcosa voi.

Più che dall’ambizione sembra motivato da piccoli rancori, come quando una settimana fa ha segnato il gol del pareggio contro il Bologna che un anno prima, come detto, gli ha tolto il contratto, e ha esultato in modo fanatico, togliendosi la maglietta, gridando come se avesse segnato il gol decisivo della finale dello scorso Europeo, o del prossimo Mondiale. Salvo poi negare qualsiasi desiderio omicida: “A Bologna ho lasciato il cuore, voglio benissimo a questa gente”. E d’altra parte per certi poeti la disperazione e l’amore si fondono in ogni parola, in ogni gesto, la vita come opera d’arte, ed è l’impossibilità stessa dell’amore, la crudeltà del tradimento, ad alimentare la loro vena poetica.

Sono i suoi compagni a costruire il contropiede, ma non sono sicuro che lui se ne stia totalmente fregando. Forse la sua è una posa, un inganno per sorprendere la difesa del Verona quando arriva il momento. Farsi sottovalutare per poi cogliere impreparati gli avversari, una tecnica di sopravvivenza da strada si direbbe. Quando la palla arriva a Pandev, e lui resta uno contro uno con Gunter nella metà campo del Verona, sta ancora dando la schiena alla palla, ma ha già iniziato a muoversi da attaccante vero. Sta portando Gunter verso il centro del campo, per poi tagliare verso sinistra, dove vuole che Pandev gli dia la palla, nello spazio. Insomma Mattia Destro fa il classico movimento-e-contro-movimento per togliersi di dosso il difensore e copre una metà campo intera, prima di ricevere la palla e girarsi per puntare Gunter al limite dell’area. E in tutto ciò ha sempre la bottiglietta d’acqua in mano. A quel punto Destro deve aver pensato se c'è gente che fa le maratone con delle cose in mano, bottiglie d’acqua, appunto, chiavi della macchina, cellulari, e io non posso smarcare Gunter?

Nell’uno contro uno Mattia Destro finge di andare verso il centro, sterza a sinistra e poi, dopo aver fatto secco Gunter, salta il portiere con un tocco sotto di sinistro, ancora con quella bottiglietta d’acqua in mano. Poi quando inizia a esultare la lancia verso la curva, altissima, come un tennista che regala l’ultima palla della partita. Perché non l’ha lasciata cadere a un certo punto, come dovrebbe avergli suggerito l'istinto? Non è che voleva dimostrarci qualcosa? Guardate, non solo sono capace di fare un bellissimo gol, con una finta agile e persino elegante, con uno scavetto glaciale e raffinato, ma lo faccio tenendo in mano una bottiglia d’acqua. Bello il gol di Maradona con l’Inghilterra, ma sarebbe stato capace di farlo con una bottiglietta in mano? Bello il gol di Ibrahimovic da centrocampo, sempre contro l’Inghilterra, ma sarebbe stato in grado di farlo con una bottiglietta in mano?

Eccetera eccetera. Forse una parte di Mattia Destro ragiona davvero così. O forse è una parte di me, di noi. Quella che trova bellissimo il gol di Destro ma che impazzisce per la bottiglietta che Destro tiene in mano.

C’è una parte di noi che immagina un Mattia Destro che magari non esiste, ma che non sembra poi così lontano dal Mattia Destro vero e proprio. Mattia Destro studente fuorisede e fuoricorso, con la camera in disordine, piena di cartoni della pizza, bottiglie vuote, calzini sporchi, fazzoletti appallottolati, carte del Mars, bottiglie di birra in terra, tabacco sul cuscino. Mattia Destro tornato a vivere dai genitori a trent’anni, nella sua stanza da ragazzo, in mezzo a telefonini di vecchia generazione che non vuole buttare, vecchie console e il pavimento pieno cavi di computer fermi in un angolo a prendere la polvere, puffi di quando era bambino, una statua di stoffa di Ciao, la mascotte di Italia ‘90, annerita dallo smog.

Mattia Destro accumulatore, ospite di quella trasmissione triste Sepolti in casa, con dei gatti che vivono sotto strati di scatole di scarpe, impossibile sapere quanti gatti esattamente, gatti che si riproducono e muoiono sotto le lenzuola marce, libri impilati davanti ai muri che restringono ogni stanza, bicchieri di vetro pieni di cicche di sigaretta, pentole piene di grasso bruciato che escono dal lavandino della cucina, la vasca da bagno piena d’acqua con dentro dei pesci rossi. Mattia Destro che dorme con i gatti, o con un cane vecchissimo e incontinente, Mattia Destro che resta in pigiama fino a sera, che si lava i denti col dito, che si lava i capelli solo se qualcuno lo va a trovare, o quando deve andare a chiedere qualche soldo ai genitori. Mattia Destro con le Birkenstock d'inverno consumate e le unghie dei piedi curve.

Mattia Destro uno di noi, che non gliene frega un cazzo di niente. Mattia Destro - ripeto che questo non è Mattia Destro ma la nostra fantasia su Mattia Destro - la parte peggiore di noi, quella che ci fa un po’ spavento. Ma che è ancora capace di cose eccezionali, cose bellissime e inaspettate, fatte in modo perfetto ma sempre dando l’impressione che non siano importanti, che non ci sia niente di serio.

Mattia Destro che magari per colpa della bottiglietta in mano avrebbe anche potuto sbagliarlo il gol, ma non sarebbe stato lo stesso se ne avesse segnato uno identico senza quella bottiglietta. Per cui grazie Mattia Destro, che il calcio ci preservi Mattia Destro in questo stato di forma, perfettamente in bilico tra l’eccellenza (quattro gol nelle prime quattro partite di campionato) e il degrado, tra la Nazionale e l’addio al calcio.

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