
La parabola di Mauro German Camoranesi sembra quella di un outsider, mentre la sua carriera e i suoi trofei dicono tutt’altro. Tre volte campione d’Italia (anche se due scudetti sono stati revocati), finalista di Champions League, uno dei campioni del mondo-ombra del 2006: Camoranesi è stato uno dei protagonisti del calcio italiano tra il 2000 e il 2010. Eppure non è annoverato, non è ricordato, non è celebrato. La sua definizione rappresenta uno dei misteri rimasti insoluti negli anni 2000.
In parte è possibile che sia per il suo strano caracollare per il campo, come se si mettesse a correre appena sceso dal letto, o forse per uno stile di gioco inclassificabile: né ala pura, né trequartista, né mezzala ma a metà di tutto questo. Camoranesi però non era indisciplinato, altrimenti non avrebbe vinto da titolare un Mondiale in una delle squadre con la migliore fase difensiva della storia. Voleva però che il pallone rispondesse ai suoi modi e alla sua velocità. Uno strano tipo di indolenza, che poteva sfociare in momenti di autentica pazzia.
Col suo codino da Samurai, l'occhio vacuo e una carriera indefinibile, Camoranesi è stato uno dei giocatori di culto del recente passato del calcio italiano. Più ci si avvicina alla sua storia e meno si capisce chi fosse davvero.
L’età dell’innocenza
La prima testimonianza video disponibile di Camoranesi nelle giovanili non è uno di quei video sui giovani “SKILLS AND PASSES – NEW RONALDO” bensì un parapiglia terribile e un brutto infortunio causato al povero Roberto Pizzo. È il 1994, Camoranesi giocava in Argentina nell’Aldosivi, la squadra fica del clásico marplatense, uno dei 30 clásicos del calcio argentino; un clásico atipico perché una delle due squadre, l’Aldosivi, è sempre stata superiore per mezzi e riuscite all’Alvarado. Questo derby viene giocato a Mar del Plata, nella provincia di Buenos Aires, quindi è completamente oscurato dalle altre stracittadine molto più calde.
Camoranesi ha 18 anni e gioca nell’Aldosivi, gialli e verdi, e va in pressione alta su Pizzo all’altezza della linea di centrocampo, con l’entusiasmo e la furia tipici dei giovani. Lo stop di Pizzo non è irresistibile e ci mette un po’ a controllare il pallone, così gli arriva Camoranesi addosso, veloce e duro. Non si capisce quanta cattiveria effettiva ci sia nel gesto di Camoranesi, che ha un mezzo caschetto alla Backstreet Boys e la 11 sulle spalle: arriva all'improvviso e il piede d’appoggio va sopra la gamba di Pizzo mentre con l’altro piede cerca il pallone (che non c’è), ma tutto il peso è sulla gamba dell’avversario, che si spezza.
Il video è abbastanza impressionante, e la baruffa inevitabile, ma anche Camoranesi ha preso un colpo e si accascia prima di venire minacciato da avversari e area tecnica mentre arrivano i soccorsi e pure le forze dell’ordine. L’arbitro, che ha dei grossi baffi, espelle un po’ tutti aizzando ulteriore parapiglia. Camoranesi lascia il campo mentre il pubblico gli urla di tutto. Sembra contento, appagato.
Patricio Hernandez, calciatore ex-Torino, e il suo procuratore Sergio Fortunato gli trovano una squadra, in Messico, il Santos Laguna. Poi Camoranesi si fa male, alla caviglia, sei mesi di stop. Finisce in Uruguay, ai Montevideo Wanderers, e si parla di un pestone ad un arbitro che gli costa dieci giornate di squalifica, ma non si trovano prove se non articoli che rimandano ad altri articoli. Dopo ritorna in Argentina, al Banfield in Segunda Division, con grandi prestazioni (38 presenze e 16 gol) che lo fanno richiamare altrove. Mauro German Camoranesi a 22 anni arriva a Città del Messico, al Cruz Azul. Inizia a giocare con regolarità e a segnare (78 presenze, 32 gol).
Nel ritorno della semifinale invernale 1999 della Liguilla, i play-off che decretano i campioni della prima lega messicana, al 22’ un Mauro German Camoranesi dai capelli cortissimi corre in campo mentre America e Cruz Azul se le danno di santa ragione. Il clima è già tesissimo al 20’, con colpi proibiti, ganci e sbracciate, e il primo a prendersene le conseguenze è proprio Camoranesi. Al 22’, in seguito ad uno stop sbagliato, segue il pallone per recuperarlo mettendo il piede in avanti, a martello; peccato che lì ci sia la gamba di Cuauhtémoc Blanco, forse appena sfiorato. Rosso diretto, Mauro German torna in lacrime negli spogliatoi, consolato dall’avversario Estay. Il Cruz Azul mancherà il titolo in finale. L’anno dopo Camoranesi indosserà la 9 anziché la 8, dialogando spesso con Palencia nell’attacco degli azzurri e guadagnandosi un posto nel cuore dei messicani.
Se vi siete mai chiesti come fosse la fine degli anni ’90 per un calciatore argentino emigrato in Messico e benvoluto da tutti, che a 22 anni si ritrova ad essere già padre e con qualsiasi indumento griffato FILA, dovreste guardare questo video.
2000-2005: l’arrivo in Italia, la crescita

Foto di Grazia Neri/ALLSPORT.
Camoranesi arriva in Italia in maniera rocambolesca, come altri affari sudamericani fatti negli anni ’90 e primi 2000, intrecci di procuratori, ex giocatori, presidenti veggenti e clausole occulte. Si racconta che il procuratore Patricio Hernandez avesse mostrato una videocassetta ad Andrea Pastorello, figlio dell’allora patron dell’Hellas, per dare uno sguardo all’esterno sinistro del Banfield, ma lui fosse rimasto impressionato da quello destro, quello con il nome lungo e «l’andatura un po’ strana».
Mauro German aveva appena firmato per il Cruz Azul, ma Pastorello mantenne i contatti con Hernandez. Quando dopo un paio di stagioni ai gialloblù serviva un esterno destro, Pastorello junior andò da suo padre e dal DS dell’Hellas Rino Foschi dicendo tutto d’un fiato “MAUROGERMANCAMORANESI”. I dubbi sull’esterno c’erano e riguardavano soprattutto il suo adattamento al campionato italiano, infatti si forzò e si riuscì ad ottenere la formula del prestito con diritto di riscatto, grazie al procuratore Fortunato e proprio ad Hernandez. Ovviamente fu riscattato.
Esterno destro ma abile anche col sinistro, Mauro German si fa notare nel campionato non spettacolare dei gialloblù grazie soprattutto ad alcune giornate in cui sembra riuscirgli tutto. Ad esempio contro la Roma, all’Olimpico, Camoranesi segna e si inserisce costantemente ai fianchi della difesa giallorossa. Dribbla con facilità Rinaldi e Candela, tira di sinistro forte appena fuori. Sta imparando a controllarsi, non gli riesce sempre, ma è tutto sommato equilibrato.
Il secondo anno al Verona Camoranesi cresce ancora, ma alla fine i gialloblù retrocedono in Serie B. Di quell’anno è notevole la prestazione contro la Juventus: sulla fascia destra, supportato da Massimo Oddo e contro il solo Pessotto, Camoranesi si fa notare dalla dirigenza juventina. Oltre allo stato di grazia di Adrian Mutu e quello disgraziato di Igor Tudor in versione gigante impacciato, resta un gol propiziato dal romeno col classico inserimento di Camoranesi sul secondo palo e il mal di testa di Pessotto che si trova sempre ad inseguirlo.
Preoccupato dalla tenuta fisica di Zambrotta, tornato acciaccato dal Mondiale del 2002, Lippi chiede alla dirigenza Mauro German Camoranesi in comproprietà, riscattato l’anno successivo. Per la sesta giornata i bianconeri sono a San Siro, per quell’Inter-Juventus che finì al 95’ con megamischia su corner in area bianconera e gol attribuito a Toldo ma in realtà di Vieri. Camoranesi fa ammattire la difesa nerazzurra e ad un certo punto li salta come fossero birilli. Aveva provato poco prima a fare lo stesso gesto ma non gli era riuscito; testardo, riprova la seconda volta e trovatosi solo con Cordoba appresso fa il gesto più intelligente, ovvero il passaggio a Marcelo Salas. “El Matador”, ovviamente, fallisce.
Il primo gol di Camoranesi con la Juventus arriva contro il Perugia, in trasferta, a dodici minuti dal suo ingresso in campo in una partita dura contro l’undici di Cosmi, che i bianconeri rischiavano di pareggiare, se non di perdere: su cross di Zenoni ribattuto, Camoranesi riceve il pallone ed entra in area dal lato corto destro prima di far partire un missile sul palo del portiere. Al 91’.
A marzo la Juventus affronta l’Inter a Torino e in quegli anni le partite sono tesissime. Camoranesi riesce a segnare il suo terzo gol in campionato, appena prima di mettersi a litigare con Cordoba. Un mese dopo segna un gol del pareggio, al 92’, contro il Bologna che pesa molto sullo Scudetto. Camoranesi, insomma, dimostra di poter risultare importante anche in un contesto di così alto livello. Il suo gioco sembra crescere di pari passo con la sua immagine, sempre più iconica. Camoranesi inizia ad assumere un'aria mefistofelica: il capello lunghetto un po’ trascurato, coda di cavallo e un pizzetto da persona che non vorresti incontrare di notte. La stagione successiva la sua influenza sul gioco della Juventus cresce ancora e ne diventa uno dei leader tecnici, connettendosi alla perfezione con Pavel Nedved.

Foto AFP/Stringer.
Camoranesi è sempre più consapevole dei propri mezzi ed alterna giocate decisive a vezzi di pura onnipotenza calcistica. Quando sulla panchina della Juventus arriva Fabio Capello la squadra non può prescindere da lui, che non è neanche più il più pazzo della squadra perché nel frattempo è arrivato Zlatan Ibrahimovic. L’impressione è che il rendimento di Camoranesi riuscisse ad alzarsi insieme al livello di gioco circostante. Segna gol stupendi, come quello contro l’Udinese, di sinistro di controbalzo dopo uno stop di destro su fraseggio strettissimo.
2005-2006: perfettamente in equilibrio
Nel suo quarto anno in bianconero Camoranesi sembra aver raggiunto una sorta di maturità artistica. All’estro e alla furbizia unisce prestazioni di grande agonismo, che si sommano a giornate in cui sembra semplicemente inarrestabile. Contro la Fiorentina a dicembre 2005, al Franchi, Camoranesi ha il piede caldo. Ad un certo punto, pressato da Pasqual sulla linea di bordo campo, immobilizza il pallone e lavora col corpo tenendo lontano l’avversario viola puntandosi a terra; in una frazione di secondo vede Fiore che accorre al raddoppio e tira fuori il coniglio dal cappello: controlla il pallone con l’interno del piede e lo fa passare fra le gambe di Pasqual per arrivare a Zambrotta.
Poco dopo segna su un’azione in cui tutte le individualità biaconere si esaltano, in una Juventus fortissima: Thuram anticipa Luca Toni sulla trequarti e il pallone arriva ad Ibrahimovic che sulla sinistra, a centrocampo, su palla alta, fa volare un campanile percependo l’inserimento di Trezeguet, che sovrasta a sua volta Pancaro di testa per servire l’italo-argentino che accorre da destra. Il gol è facile, e Camoranesi va ad esultare alla bandierina facendo se possibile una cosa più sfigata dell’air guitar, ovvero l’air bass. Camoranesi è bassista, metallaro, ha comprato il basso di Steve Harris degli Iron Maiden e suona con le dita. Dopo, tornando nella propria metà campo, trova un accendino lanciato dagli spalti per terra, e finge di accendersi una sigaretta.
Questo forse è il gol più Camoranesi di tutti: improvviso, estroso, fuori dalla sua posizione, geniale e fortunato di quella fortuna degli audaci. Matto, anche: un tiro di mezza punta, mezzo esterno destro da così lontano è praticamente incontrollabile, una scommessa. Camoranesi l’ha vinta. «La Juventus del 2006 è la squadra più forte in cui abbia giocato avevamo 10 dei 30 migliori giocatori del mondo, molti dei quali capitani dello loro nazionali: una cosa che succede una volta ogni 20 anni. Sfortunatamente non siamo riusciti a vincere la Champions League».
Grazie al nonno marchigiano e alla miopia di Bielsa che non lo considera per la Nazionale argentina, Camoranesi viene convocato dall’Italia nel 2003 da Trapattoni. Continua a far parte del gruppo degli azzurri per diversi anni. Lippi, che già lo conosceva dalla Juventus, lo convoca per i Mondiali del 2006. Gioca cinque partite, comprese la semifinale e la finale.
Al 28’ della partita contro la Germania Camoranesi si prende gioco di Lahm facendo uno stop meraviglioso e puntando uno dei giocatori più importanti della Germania dei successivi dieci anni, costringendolo al fallo sul lato corto dell’area di rigore; poi, da terra, chiede a qualcuno di entrare in area sul primo palo, lucidissimo, non in trance agonistica, perfettamente in equilibrio.
Dopo tre minuti altro lancio di Pirlo, altro controllo che costringe Lahm a mettere in angolo. Durante tutto il match gioca come una sorta di esterno alto aggiunto, ma cerca poco in area Luca Toni, incompreso in quella partita, in cui gli viene fischiato praticamente anche il respirare troppo vicino agli avversari (la croce degli attaccanti giganteschi). Al 34’ Lahm vince il suo primo duello con Camoranesi, cadono insieme oltre la linea di fondo (rimessa dal fondo per i tedeschi) e Camoranesi non gli da la mano, provocando i fischi del pubblico. Dopo un match passato a riciclare palloni difficilissimi e a cercare di dare un’alternativa alla catena Totti-Perrotta-Grosso, all’89’, Camoranesi si esibisce in un intervento a forbice a centrocampo completamente immotivato su Kehl che, forse, gli costa la sostituzione per Iaquinta all’inizio dei tempi supplementari.
La notte prima della finale Camoranesi non riesce a dormire. «A un certo punto entro nella stanza di Ferrara che mi dice: “Sono al telefono con Diego” ed io gli rispondo: “Salutamelo, digli che voglio parlargli” e me ne vado, pensando a uno dei soliti scherzi di Ciro. Dieci minuti dopo lo vedo con il telefonino in mano e me lo passa. “Stai tranquillo che domani diventi Campione del Mondo, dormi sereno” Era Maradona, non ci potevo credere. Io Diego non lo conoscevo, non gli avevo neanche mai parlato. È stata una delle emozioni più grandi che abbia provato».
Prima della finale, come in tutte la altre occasioni, Camoranesi non canta l’inno, faccenda pruriginosa diventata poi di interesse nazionale: non cantare l’inno è grave, ma un oriundo che non canta l’inno sembra ancora peggio. La conferma che non ha nessun senso d’attaccamento alla maglia.
Interrogato sul tema, Camoranesi glissava con un senso di superiorità da irregolare: «Io non lo so, non canto neanche il mio». In una partita difficile e agonistica come può essere una finale Camoranesi gioca con foga, ferma in tackle uno Zidane spiritato, si perde Henry, e dopo un’ora di gioco appare stanco, con i calzettoni abbassati per il dolore ai polpacci. Al 74’ rischia una stupidaggine perdendo un pallone sciocco e andando con disattenzione al recupero su Abidal, procurando ai francesi un corner corto. Dodici minuti dopo viene sostituito da Del Piero. Quei momenti in panchina, a mezz’ora dalla conquista sofferta del titolo, li ricorda con ansia: «Mi ricordo, vedevo il trofeo in mostra di fronte a noi, e gli altri sul campo».
Al termine della partita è l’ultimo a raggiungere i suoi per festeggiare perché sta rincuorando Trezeguet. Subito dopo aver festeggiato la sua capigliatura da samurai con crocchia e nastro bianco a tenerla ferma viene tagliata da Oddo, passato alla storia come barbiere dell’Italia 2006.
È proprio all’ombra della nazionale, di questa nazionale, che ci si chiede ancora a maggior voce: ma perché giocava Camoranesi? Perché proprio lui e non qualcun altro nel suo stesso ruolo in quell’Italia da ascesa di un’impero?
2006-10: trauma post-Calciopoli
Nell’anno della Serie B si nota più che mai come in Camoranesi convivano due anime: la naturalezza assoluta col pallone e insieme una certa stanchezza, o indolenza, che lo fa sembrare uno che non ha voglia di giocare, soprattutto quando le cose non vanno come vuole lui. Sembra giochi con addosso un senso di frustrazione, cosa che gli fa perdere il controllo.
Dopo la retrocessione Camoranesi aveva chiesto la cessione insieme ad altri giocatori-chiave dei bianconeri. Nonostante l’interesse sussurrato di Roma e Inter, e contatti con squadre estere, Camoranesi resta alla Juventus e si fa lo strano anno della Serie B senza voglia. Nelle interviste si lamenta senza diplomazia che la società non lo ha lasciato andare: «Ero d'accordo con il Lione, ma sono stato obbligato a restare. Ho 30 anni e sto giocando in B, diciamo che non è proprio quello che sognavo a questo punto della carriera». L’unica cosa buona, dice, è che hanno tutte le domeniche libere.
Se non altro in Serie B ha potuto fare un po’ quello che gli pareva col pallone, ma Camoranesi non era davvero un anarchico del calcio. Era estroso ma disciplinato, e amava la competizione. In Serie B gioca con sufficienza, decidendo di accendere e di vincere le partite quando gli tornava la voglia.
Contro il Lecce, a poche giornate dalla fine, Camoranesi si accende tre volte e provoca tre gol. Prima fa una veronica complicatissima, con annesso tunnel, sulla fascia sinistra, poi propizia il gol di Zalayeta, alla fine si accentra da destra saltando tre avversari (un po’ come si era presentato contro l’Inter) e spara un missile col sinistro all’incrocio. Tutte e tre le volte Camoranesi sembra felice del gol, ma traspare una sufficienza da come ciondola in campo, come se facesse quei gesti perché gli sono naturali, ma senza una vera spinta. Dopo aver fatto la veronica e aver crossato un pallone che avrebbe portato in due passaggi al gol di Marchionni, Camoranesi si mette a passeggiare sulla fascia, guardando l’azione, come da spettatore. Nonostante questo, prolunga fino al 2010 il suo contratto – indolente, mica scemo.
Quando torna in Serie A inizia ad essere tormentato dagli acciacchi fisici. Quando gioca alterna giocate da fuoriclasse a momenti di totale pazzia. Quando Camoranesi torna in campo a fine gennaio 2008 ancora contro l’Inter si fa espellere a 18’ dal suo ingresso. Il fallo è senza senso per un sacco di motivi: Camoranesi è appena entrato in campo, i suoi hanno messo lui sul rettangolo insieme a Trezeguet per recuperare questo 2 a 3 firmato Balotelli, la palla è a centrocampo, ce l’ha tale Pelé che non ha fatto niente. A questo forse Camoranesi non sta pensando: l’avversario stoppa il pallone, lui gli dà un calcione: rosso diretto.
Anche la stagione successiva, la 2008/09, è piena di problemi fisici, prima alla gamba e poi a una costola. Il pezzetto di Camoranesi è sempre più caprino,l’età avanza e lui si ritira nel suo guscio. Il che significa soprattutto esprimere il proprio talento più con gli assist che con i gol. In 26 presenze mette insieme 9 assist e 2 gol. L’ultimo anno di Mauro Camoranesi alla Juventus è il 2009/2010 della Juve “brasiliana” di Melo, Diego e Amauri, con tutto ciò che ne consegue. Quell’anno la Vecchia Signora ha bisogno della concordanza di troppe variabili affinché possa giocare bene, e infatti gioca benissimo alcune partite, mentre le altre sono comparsate timide di Diego, comparsate fin troppo espansive di Felipe Melo, autorapimenti di Amauri, amnesie di Cannavaro. Il suo ultimo guizzo bianconero sono i due gol e l’assist di Bergamo nel 2-5 dominatore della Juventus. Un altro infortunio lo ferma e torna disponibile quando la squadra è settima; gioca a sprazzi, senza mai ritrovare la condizione, fino a fine campionato.
L’avventura di Camoranesi allo Stoccarda, iniziata nell’estate 2010, serve solo a ricordarci come non abbia imparato a convivere col naturale declino del proprio corpo. Camoranesi gioca poco e male e l’unico segno che riesce a lasciare sulla Bundesliga ha a che fare con la pazzia. In un Bayer Leverkusen Stoccarda entra da dietro a forbice su Tranquillo Barnetta, si prende il rosso diretto e due turni di squalifica. A fine anno lascia la Germania:«Per lo Stoccarda e per me, separarci, sarebbe la soluzione migliore» .
“Patada de Camoranesi”
C’è un bel numero di video “patada da camoranesi” o “pelea camoranesi” su YouTube. Patada sta per calcio, pedata, zampata, pelea per litigio, rissa, battaglia. Questi coincidono col ritorno di Mauro German in Sudamerica, che firmò per il Lanús a febbraio 2011. Senza la forza nervosa della competizione a tenerlo in piedi, Camoranesi può lasciarsi andare.
Camoranesi ci mette qualche mese ad ambientarsi, e a luglio c’è l’amichevole con gli All-Boys. Rodriguez fa un fallo un po’ sciocco a un compagno del Lanús in un’amichevole, Camoranesi si lamenta con lui, la telecamera li perde e poi si riconcentra su di loro quando l’italo-argentino, senza rabbia evidente ma una lucidità strana, si avvicina e tira un destro molto preciso al volto di Rodriguez e lo doppia col sinistro. L’avversario è così stordito da non bloccarne neanche mezzo e da impazzire in seguito, bloccato da compagni di squadra è avversari. Anche Camoranesi è attorniato dai calciatori in campo, ma nessuno sembra arrabbiato con lui, e lui è ancora calmissimo, mentre Rodriguez schiuma sui cartelloni pubblicitari; provano a bloccarlo in quattro ma lui ancora furente trova la via degli spogliatoi, dove si dice l’alterco sia continuato.
Camoranesi sembra imbolsito, non più una molla pronta a scattare; lascia dodici assist e un gol e una serie di passaggi e azioni illogiche: sembra faccia alcune cose a memoria, o che il suo corpo faccia alcuni gesti ma con un tempo diverso dal quale era abituato. Questi gesti appaiono sbilenchi, lenti, alle volte goffi. Quando corre trasmette con un grande senso di fatica, portandosi dietro un accenno di pancia che sbuca sotto la maglia granata del Lanús.
Pochi mesi dopo, a fine ottobre, Camoranesi dà di matto un’altra volta. In trasferta con il Racing commette un fallo normale su Toranzo, con cui finisce testa a testa. Toranzo cade e l’arbitro li divide ed espelle Camoranesi. A quel punto si avvicina come per vedere che succede all’uomo a terra, sembrava volesse sincerarsi delle sue condizioni, magari chiedergli scusa, invece gli sferra due calci, di cui uno in faccia. Come altri momenti in cui ha perso il controllo, Camoranesi rimane impassibile, sembrando così ancora più dissociato. È così visibilmente matto che persino uno che ha la nomea di essere matto come Diego Pablo Simeone, in quel momento allenatore del Racing, si fa gli affari suoi. Mentre esce dal campo Camoranesi mostra la propria virilità alla panchina avversaria.
Qualche mese dopo, a marzo, Camoranesi stoppa male un pallone e un po’ con sufficienza ma anche con fermezza va a contrastare Gastón Díaz col piede a martello e si prende un altro rosso diretto. Per qualche motivo - che credo abbia a che fare col sistema etico argentino - nell’estate 2012 finisce proprio tra le file del Racing Club, non appena Simeone si imbarca per Madrid – e anche Toranzo non c’è più. I suoi tre gol col Racing sono propiziati dal piedino di Vietto. Sembra che Camoranesi abbia trovato una sua nuova dimensione, ma nel dubbio non viene messo in campo contro la sua ex squadra.
In ogni caso non ha nessuna intenzione di diventare un 2senatore” del club. Nel 2014 critica l’allenatore Merlo in un’intervista in radio. Il motivo scatenante è il fatto che gioca poco, ma Camoranesi riesce comunque a farne una questione di gusto e critica il tecnico per un atteggiamento troppo difensivista: «Ci difendiamo negli ultimi 30 metri e in attacco improvvisiamo. Io ho tutt’altra mentalità». Viene messo fuori rosa, e così termina la carriera da calciatore di Mauro German Camoranesi.
Camoranesi a bordo campo

Il calcio è la vita di Camoranesi e la scelta di diventare un allenatore non è nemmeno una scelta ma un percorso obbligato. Ciò nonostante come allenatore Camoranesi è così poco credibile da sembrare tutt’al più un semplice spin-off della sua carriera da calciatore. Come lo spin-off di Friends con Joey come protagonista chiamato Joey, che riprende la vita di Joey Tribbiani quando Friends è finito, la sua carriera da tecnico finora è stata un flop. Nel 2014 Camoranesi diventa allenatore del Coras de Tepic nella serie B messicana, ma lascia dopo 8 mesi, mezz’ora prima del match contro il Chivas perché «credo […] che non mi siano state date le basi per poter continuare a lavorare nella miglior maniera, a differenza di quanto pensassi».
A dicembre di quell’anno arriva sulla panchina del Tigre: in 7 partite fa 5 punti, esonerato. Dai Cafetaleros di Tapachula, sempre serie cadetta messicana, el profesor Camoranesi viene licenziato a gennaio 2017, dopo aver guadagnato 3 punti dei 12 disponibili nella nuova stagione e una non sfavillante stagione precedente. Ad ottobre 2017 è arrivato a Coverciano per il corso speciale per allenatori Uefa A/Uefa B, alla ricerca di migliori sceneggiatori per le prossime stagioni. Interrogato sul suo futuro, qualche anno fa ha dichiarato: «Se non facessi qualcosa di legato al calcio impazzirei».