
Dei fuoriclasse in Formula 1 si dice spesso che siano in grado di andare oltre i limiti della propria vettura. È un’espressione che presuppone l'esistenza di un livello massimo verso cui spingerla, oltre il quale schiantare. Ma dove si pone questo livello? Esiste davvero qualcuno in grado di vederlo?
Nella storia della Formula 1 la maggior parte delle volte che un pilota ha dato l’impressione di poterlo fare, alla fine non è riuscito a vincere il Campionato del Mondo, non potendo bluffare fino in fondo. Queste imprese sono quasi sempre rimaste confinate a singoli exploit: Gilles Villeneuve che vinse a Montecarlo nel 1981 con il motore turbo, più adatto ai lunghi rettilinei che in trazione in uscita dalle lente curve monegasche; Ayrton Senna secondo nel Mondiale e vincitore di cinque gare contro le imbattibili Williams nel 1993; Michael Schumacher, anche lui a sfidare le Williams battendole con la Benetton e sfiorando il titolo nel 1997, su una Ferrari ancora acerba.
La Formula 1 contemporanea, che ha assottigliato i distacchi tra i compagni di squadra dando ancora più rilevanza al mezzo meccanico rispetto a qualche decennio fa, ha però ritrovato in Max Verstappen un eroe romantico d’altri tempi. L'olandese, infatti, non sta solamente sfidando a viso aperto quelle McLaren che da un anno ormai sono il punto di riferimento assoluto dal punto di vista tecnico, ma anche più in generale il peso della tecnologia in questo sport in cui la variabile umana si erode lentamente ogni anno che passa.
Il talento di Verstappen è lo stesso di un grande dribblatore istintivo nel calcio contemporaneo. È l’unica speranza di far saltare il banco quando tutto il contesto sembra già predefinito, quando la preparazione tecnologica e strategica dell’avversario è mirata ad annullare il più possibile l’influenza dell’imprevedibilità del gesto tecnico. C'è anche un paradosso in questo: Verstappen è così naturale in talmente tante cose diverse da essere considerato robotico, troppo perfetto. In una Formula 1 dove conta sempre di più la macchina, Verstappen è il pilota più vicino a essere egli stesso una macchina.
I piloti di Formula 1 sono gli sportivi il cui corpo resta più fermo, inchiodato rigorosamente al sedile e le cui abilità tecniche sono meno visibili a "occhio nudo". La fluidità di guida di Verstappen è però una grande eccezione. La sua Red Bull si muove in modo armonioso come il corpo di un ginnasta, almeno fin quando non è chiamato a un duello, in cui sembra spostare con arroganza le vetture dei suoi avversari come King Kong con gli esseri umani.
Lo stile di guida di Verstappen, a guardarlo da fuori, sembra armonioso, naturale, e questo nonostante il fatto che in realtà l'assetto scelto per la sua macchina sia estremo. Il suo compagno di squadra in Red Bull nel 2019 e nel 2020, Alexander Albon, ha spiegato che «anche io, come Max, preferisco avere un buon anteriore. Man mano che la stagione va avanti, però, Max vuole che l’anteriore della macchina sia sempre più forte, sempre più sensibile, come se un mouse, appena toccato, facesse sfrecciare il puntatore ovunque». L'assetto scelto da Verstappen in Red Bull spiega come mai nessun compagno di squadra sembra sopravvivergli - incapaci di guidare una vettura costruita per esaltare i punti di forza del suo fuoriclasse. Un fattore che, tra l'altro, fa sembrare la Red Bull meno competitivo di quello che è davvero.
DA DOVE NASCE LA RIMONTA DI VERSTAPPEN
La stagione 2025 di Verstappen, unico pilota in grado di sfidare le McLaren di Lando Norris e Oscar Piastri, è quanto di più vicino si sia mai visto, nella Formula 1 del nuovo millennio, a un pilota che saggia davvero i limiti della propria macchina.
Quando ha conquistato la pole position a Suzuka al terzo Gran Premio stagionale, per esempio, Verstappen ha davvero lambito questo confine: «In alcuni punti non ero sicuro di riuscire a tenere la macchina», ha detto descrivendo il suo giro perfetto, «nelle curve 1, 2, 6, 7, 8 e poi nella Spoon ho pensato: “Spero che la macchina stia in pista”». Un simile rischio se lo è preso anche a Silverstone, scegliendo un assetto estremo, scarico di aerodinamica, che ha pagato ottimi dividendi con un’altra pole position ma che è costato il testacoda nella gara bagnata, dove la mancanza di carico ha pesato negativamente.
La pole di Suzuka dove Verstappen, nonostante si sia preso molti rischi, sembrava guidare totalmente rilassato, decontratto e senza correzioni sul volante. Eppure era al limite.
Il 31 agosto, dopo il secondo posto alle spalle di Piastri a Zandvoort, Verstappen pagava dall’australiano della McLaren 104 punti di ritardo in classifica, con 9 gare lunghe e 3 sprint da correre. Se Monza pareva a tutti gli effetti il tracciato dove la McLaren – avendo già sofferto nelle altre piste a basso carico, ovvero Canada e Arabia Saudita – avrebbe potuto più facilmente essere battuta, anche a Baku tutto sommato, per lo stesso motivo, era lecito aspettarsi un altro possibile exploit di una scuderia rivale. Le due corse in effetti sono state vinte entrambe da Verstappen senza troppo scalpore. Molto meno scontato invece sarebbe stato attendersi l’olandese davanti a entrambe le McLaren anche a Singapore e in tutte le gare di Austin, sia nella sprint che in quella lunga della domenica.
Se a Singapore si incontrano sempre condizioni molto insolite e di frequente avvengono clamorosi ribaltamenti di gerarchie tecniche – come nel 2015 e nel 2023, per esempio – la doppietta di Austin ha riportato Verstappen a soli 40 punti da Piastri, aprendo scenari che sembravano completamente irrealizzabili. La pista del Texas ha caratteristiche molto più canoniche, richiede una grande stabilità in curva e per questo motivo avrebbe dovuto favorire sulla carta la McLaren, anche per via del grande caldo atteso. Verstappen è stato invece il più veloce – sia nelle qualifiche sprint che in quelle del sabato – nella spettacolare sequenza di curve, chiamata “Snake”, simili alle Maggots e alle Becketts di Silverstone e che caratterizzano tutto il primo settore, e più in generale ha fatto la differenza in tutte le sessioni ufficiali.
Va anche molto aggressivo sui cordoli in quella sezione di pista, evidentemente potendosi fidare sia del proprio talento che della tenuta della macchina.
Non è dato sapere esattamente quanto Verstappen abbia scavato un solco nello Snake per meriti propri e quanto, invece, per la crescita della sua Red Bull: sembra che questi due fattori coesistano. La scuderia austriaca è riuscita, infatti, a fare un salto di qualità almeno in parte simile a quello della McLaren dello scorso anno, nell’epoca del budget cap e del divieto dei test di routine. Il motivo principale è stato attribuito al nuovo fondo portato proprio a Monza, la gara della svolta, ma Verstappen stesso ha aggiunto che «di ragioni ce ne sono altre, ma non posso dire di più», alludendo però al fatto che «ora è possibile mettere meglio a punto la macchina, cambiare rotta al venerdì, e questo è importante».
La ristrutturazione interna della Red Bull, passato dalla direzione di Christian Horner a quella di Laurent Mekies, ha prodotto una rapida escalation di risultati impossibile da pronosticare in una Formula 1 dove tutto sembra muoversi molto più lentamente di qualche decennio fa, dove gli equilibri nei vari cicli si mantengono stabilmente per molto più tempo e dove per vedere la mano di un nuovo team principal bisogna di solito aspettare anni. La Red Bull ha portato numerosi aggiornamenti successivi a quello del fondo, prendendo alla sprovvista una McLaren che in questo momento è più ferma al cospetto della crescita dei rivali, anche della Mercedes e a Austin perfino della Ferrari. La Red Bull è ora più guidabile nel misto, senza costringere di nuovo Verstappen a cercare soluzioni di set up estreme per poter stare davanti.
È stato detto, anzi, che il poco tempo a disposizione di prove libere prima della qualifica sprint del venerdì abbia indotto l’olandese a disputarla con l’assetto del compagno Yuki Tsunoda, portando di nuovo la macchina in pole position. Anche l'accresciuta frequenza degli arrivi a punti dello stesso Tsunoda, negli ultimi cinque Gran Premi, è una testimonianza del fatto che la Red Bull sia diventata una macchina più facile da guidare anche per un pilota dalle caratteristiche più canoniche, dopo le numerose difficoltà incontrate da tutti i compagni di Verstappen dal 2019 a oggi.
CHE FINALE CI ASPETTIAMO
Verstappen aveva dichiarato, già prima del Gran Premio degli Stati Uniti, di avere «il 50% di possibilità di vincere il Mondiale». «Non sono sicuro che la monoposto possa essere veloce ovunque da qui alla fine», ha aggiunto l'olandese. «Questa vettura è un po’ differente da quelle degli scorsi anni». Gli appuntamenti che restano in calendario sono, nell’ordine: Messico, Brasile, Las Vegas, Qatar e Abu Dhabi, con le gare sprint programmate per il Brasile e il Qatar. Restano quindi 141 punti totali da assegnare: Verstappen deve recuperarne 40 su Piastri, come detto, ma anche 26 su Norris.
L’impressione, sulla carta, è che il Gran Premio più favorevole per Verstappen tra quelli rimasti sia quello di Las Vegas, per via del layout della pista che, pur essendo cittadina, richiede molta efficienza in rettilineo e poco carico aerodinamico, le condizioni che hanno messo più in difficoltà le McLaren quest’anno. A Las Vegas si corre di notte a temperature piuttosto fresche, il che fa ipotizzare che anche la Mercedes – soprattutto con George Russell – possa essere competitiva per la vittoria, infastidendo anche Verstappen in quel caso.
Più aperti restano i pronostici sulle altre piste, anche perché si pongono varie questioni che potrebbero rivelarsi decisive. La prima riguarda, come accennato poco fa, la competitività della Ferrari e soprattutto della Mercedes: la Rossa a Austin è stata grande alleata di Verstappen, piazzando entrambi i piloti davanti a Piastri, ma è veramente complicato ipotizzare dove potrebbe essere ancora così veloce da lottare per il podio o, più improbabilmente, per la vittoria.
Forse Leclerc, che ha sfiorato la pole a Montecarlo e l’ha ottenuta a Budapest, potrebbe fare la differenza sul giro da qualifica anche in Messico, la pista con le curve più lente e che richiede molto carico – per via dell’altitudine – tra quelle rimaste. Ovviamente, però, se le Mercedes riuscissero, come l’anno scorso, in un’eventuale doppietta a Las Vegas o comunque a far vincere Russell, andrebbero inevitabilmente a frenare la rincorsa di Verstappen come già successo a Singapore.
C’è poi la questione dei weekend in cui si corrono le gare sprint e in cui si sviluppano dinamiche inevitabilmente insolite. C’è un solo turno di prove libere prima della prima sessione ufficiale, la qualifica sprint, per cui il tempo per mettere a posto la vettura e trovare confidenza con la pista è veramente ridotto. Austin è stato solamente l’ultimo esempio, dopo anche Spa, in cui Verstappen ha fatto la differenza con il suo istinto puro in queste situazioni, quando i piloti della McLaren sembrano metterci più tempo per raggiungere il limite nonostante una vettura più facile da guidare. Qatar e Interlagos, come detto, ci daranno risposte in questo senso e dovranno costringere Piastri e Norris a trovare confidenza alla svelta.
L’ultimo e forse più importante nodo da sciogliere riguarda le decisioni che verranno prese dalla McLaren. Si è parlato fin troppo delle cosiddette papaya rules, del regolamento interno volto a rendere la competizione più equa ma anche più innocua possibile, un atto considerato antisportivo da molti appassionati e addetti ai lavori. Ma a questo punto alla McLaren conviene davvero lasciare ai piloti totale libertà di battagliare, con il rischio di favorire il terzo incomodo come già avvenuto in molti casi nella storia della Formula 1 (1981, 1986, 2007)?
Se la McLaren – già ampiamente vincitrice del titolo costruttori – decidesse di puntare su un solo cavallo per frenare la spaventosa rimonta di Verstappen, il prescelto sarebbe a quel punto Piastri, che ha 14 punti in più da amministrare sull’olandese della Red Bull rispetto a Norris. C’è però il grande problema che Piastri, in questo momento, sembra il pilota più appannato e forse più teso tra quelli di vertice, autore di numerosi errori tra imprecisioni e avventatezze – come nel caso della sprint di Austin – e clamorosamente lento nell’ultima gara lunga americana. Da quattro Gran Premi consecutivi l'australiano viene battuto da Norris e ha mostrato un nervosismo che sembrava insospettabile per un pilota che proprio sul piano psicologico pareva superiore al suo compagno di squadra.
Norris, oltretutto, difficilmente accetterebbe di fare da vassallo in un momento in cui è a soli 14 punti dalla testa del Mondiale, dopo aver già perso per colpa di molti suoi errori la possibilità di lottare fino in fondo per quello dello scorso anno. A questo punto per la McLaren appare impossibile pianificare una strategia del genere, probabilmente perché nessuno dei due piloti sarebbe disposto a metterla in pratica, a costo di perdere un altro titolo piloti – che alla scuderia inglese manca da quello di Hamilton del 2008. Forse solo nelle ultime due o nell’ultima gara, quella di Abu Dhabi, si potrebbe assistere a una maggiore collaborazione tra le due McLaren, ma ovviamente dipenderebbe dalla situazione di classifica.
Il Mondiale 2025 si prospettava come uno dei meno interessanti di sempre, caratterizzato da una lotta interna in casa McLaren tra due piloti che vengono percepiti inferiori ad almeno altri due colleghi – di sicuro Verstappen e Leclerc, forse anche Russell in questo momento – oltre che dotati di minor carisma. Rischia invece di diventare un campionato che potrebbe passare alla storia per l'impresa di un pilota che come pochi altri, in tutta la storia di questo sport, ha saputo piegare le logiche della competizione a suo favore.
Verstappen ha di recente corso in modo superlativo la 4 ore del Nürburgring, sulla vecchia gloriosa pista del Nordschleife, e proprio qualche giorno fa ha dichiarato di voler correre un giorno tutte le gare da 24 ore: Spa, Nürburgring, Daytona e quella più famosa e prestigiosa, Le Mans. In una Formula 1 dominata dalla spettacolarizzazione di Drive to survive e dei film brandizzati con Brad Pitt, Verstappen traccia una linea sempre più anacronistica ma allo stesso tempo autentica nel suo legame viscerale con la pista, con i suoi odori.
In questo senso, la vittoria del titolo mondiale di un pilota già così affermato potrebbe essere paradossalmente una ventata d'aria fresca.